Programma Provinciale di Previsione e Prevenzione di Protezione Civile per il Rischio Sismico PARTE I: IMPOSTAZIONE SCIENTIFICA DEL PROBLEMA

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1 Provincia di Mantova Settore Ambiente Ecologia Dipartimento di Fisica Università di Bologna CONVENZIONE TRA PROVINCIA DI MANTOVA E DIPARTIMENTO DI FISICA DELL UNIVERSITA' DI BOLOGNA Programma Provinciale di Previsione e Prevenzione di Protezione Civile per il Rischio Sismico PARTE I: IMPOSTAZIONE SCIENTIFICA DEL PROBLEMA

2 1 Introduzione 4 2. Il processo sismico La generazione del terremoto Il terremoto: concetti base La genesi dei terremoti Le onde sismiche L energia del terremoto Lo scuotimento sismico Aspetti generali Le interazioni suolo-strutture La misura strumentale dello scuotimento sismico La caratterizzazione quantitativa dello scuotimento sismico Le scale d intensità macrosismica I processi fisici che controllano lo scuotimento sismico La sorgente sismica Gli effetti direzionali Gli effetti di propagazione L attenuazione La legge di attenuazione Gli effetti di sito Gli effetti di risonanza Gli effetti di bordo in valli alluvionali Gli effetti della topografia La liquefazione sismica del terreno La Pericolosità sismica Introduzione: le metodologie per la stima della pericolosità sismica L approccio deterministico La caratterizzazione delle strutture sismogenetiche Le Strutture localizzate La zona sismogenetica Il terremoto massimo atteso La determinazione dello scuotimento sismico atteso L approccio teorico L approccio empirico Gli approcci misti I vantaggi ed i limiti dell approccio deterministico L approccio probabilistico Aspetti generali La sismicità La sismicità strumentale La sismicità storica L indagine macrosismica dei terremoti contemporanei I dati sismici storici: problemi connessi all interpretazione delle fonti documentarie La parametrizzazione del terremoto su base macrosismica I metodi di stima: elementi di analisi probabilistica di rischio sismico Il metodo di Cornell I limiti superiore ed inferiore di magnitudo Lo spettro di risposta di pericolosità uniforme Il metodo di sito per la stima della pericolosità sismica La ricostruzione del catalogo sismico di sito La definizione della storia di sito sulla base dei risentimenti osservati La valutazione della pericolosità al sito e la stima di completezza del catalogo sismico I vantaggi ed i limiti degli approcci probabilistici di Cornell e di sito 83 2

3 4. La pericolosità sismica: la Situazione Italiana La classificazione sismica La pericolosità sismica La storia sismica I cataloghi sismici italiani La carta delle massime intensità La zonazione sismogenetica del territorio nazionale Le carte di pericolosità 100 Appendici 105 Scala MCS (Mercalli - Cancani - Sieberg) di intensità del terremoto 105 Simboli utilizzati 108 Letture consigliate ed approfondimenti 109 Siti Internet 109 3

4 1 Introduzione La previsione dei terremoti, intesa come descrizione del dove e quando avverrà il prossimo evento distruttivo, è impossibile allo stato attuale delle conoscenze. Ciò che è invece possibile, a partire dalle conoscenze attualmente disponibili, è formulare ipotesi plausibili sui valori attesi d accelerazione del suolo, indotti dagli eventi sismici futuri in un dato intervallo di tempo, e stimarne l attendibilità relativa. Queste valutazioni hanno un importanza fondamentale sia nella progettazione sia nella verifica della sicurezza di strutture abitative, impianti industriali (fabbriche e dighe) o elementi infrastrutturali (ponti e strade) i cui danni risultano potenzialmente pericolosi per la vita umana o per le diverse attività produttive. L attendibilità delle stime è condizionata dagli attuali limiti conoscitivi posti dalle diverse discipline che entrano in questo genere di studi. La convergenza delle conoscenze di sismologi, geologi, ingegneri e storici è fondamentale negli interventi sul patrimonio edilizio e sul territorio che esse apportano. Coordinare tecniche di lavoro e soprattutto conciliare le impostazioni, talvolta contrastanti, di specialisti appartenenti a discipline diverse è indispensabile. In termini economici il Rischio sismico è definibile come la possibilità di perdita di agibilità o di funzionalità degli edifici e delle strutture a causa di un terremoto. Nella stima quantitativa del rischio sismico entrano tre fattori: la Pericolosità Sismica, la Vulnerabilità e l Esposizione. La Pericolosità Sismica è la probabilità che, in un determinato intervallo di tempo (detto tempo di esposizione), si verifichi un terremoto capace di causare danni. La pericolosità sismica può alternativamente essere espressa come il massimo scuotimento che è ragionevole attendersi al sito di interesse durante il tempo di esposizione. La Vulnerabilità rappresenta la predisposizione da parte di persone, beni o attività a subire danni o modificazioni a causa del verificarsi di un terremoto. Tali danni possono estendersi da una momentanea riduzione di efficienza ad una totale irrecuperabilità. Essa si identifica con la resistenza strutturale alle sollecitazioni sismiche. 4

5 L'Esposizione tiene conto della dislocazione, consistenza, qualità e valore dei beni e delle attività presenti sul territorio che possono essere influenzate direttamente o indirettamente dall'evento sismico (insediamenti, edifici, attività economico-produttive, infrastrutture, densità di popolazione). Il processo di valutazione del rischio sismico può essere sintetizzato in uno schema in cui vengono messi in evidenza i contributi dei singoli elementi che intervengono nel processo di stima. Ogni elemento può essere rappresentato attraverso delle mappe tematiche (carte di pericolosità, di vulnerabilità e di esposizione) la cui correlazione porta alla valutazione del rischio sismico (carta del rischio sismico). Come si è accennato in precedenza, un analisi di pericolosità sismica e del rischio sismico connesso, è un operazione multidisciplinare. Infatti, conoscenze geologiche, geofisiche, sismologiche concorrono nella definizione dei parametri ingegneristici che è necessario modificare per mettere al riparo le strutture dagli effetti devastanti di un terremoto. Questo primo interscambio di competenze non è facile, in quanto non sempre sono note le rispettive procedure di lavoro, i margini d errore e l attendibilità. L altra interazione difficile è quella tra l area scientifica che abbraccia le precedenti categorie e l area politico-legislativa. Non si dimentichi che i risultati delle analisi di rischio devono essere poi tradotti in interventi concreti tesi a ridurre, per quanto possibile, i rischi per la popolazione e per il patrimonio pubblico e privato. Questi interventi devono essere supportati da leggi e provvedimenti che li pongano in opera e li mantengano in essere. L efficacia dell emanazione legislativa si può ottenere però solo con una corretta comprensione e condivisione delle stime, proposte dagli esperti, da parte dei legislatori. Qui i risultati non sono sempre ottimali in quanto i due mondi oltre ad avere serie difficoltà a bilanciare risorse, costi e priorità, non sempre riescono a conciliare i diversi punti di vista. Nel presente documento verranno descritti i principali fenomeni fisici responsabili dei terremoti. Si descriverà a cosa sono dovuti, dove si generano e quali meccanismi li rendono così distruttivi, definendo cosa e quali sono le sorgenti sismogenetiche. Si illustrerà come viene misurata l energia rilasciata dai terremoti e quali sono le modalità utilizzate per descriverne gli effetti. Particolare attenzione verrà posta al modo in cui gli effetti dello scuotimento del suolo variano da sito a sito, evidenziando l esistenza di numerosi fenomeni che 5

6 possono amplificare in modo catastrofico gli effetti locali di un sisma. Inquadrata la fisica dei terremoti, si affronterà il problema della quantificazione della pericolosità sismica dandone una definizione formale. Si descriveranno i metodi maggiormente utilizzati nell analisi di pericolosità sismica: l approccio deterministico e l approccio probabilistico. Dell approccio deterministico saranno descritte le condizioni di applicabilità e di come queste ne limitano l utilizzo. Particolare attenzione sarà quindi riservata agli approcci probabilistici, tra questi, al metodo proposto da Cornell, considerato standard. Saranno descritti i suoi pregi e difetti e come questi ultimi possano essere in gran parte risolti utilizzando un nuovo approccio sviluppato di recente. Al lettore verranno così forniti gli strumenti necessari per comprendere e valutare i risultati dell analisi di pericolosità con particolare riferimento alla situazione italiana. 6

7 2. Il processo sismico 2.1 La generazione del terremoto Il terremoto: concetti base Cos è un terremoto? In che modo può provocare danni ingenti? Come si genera? Per rispondere a queste domande, tutt altro che banali, è necessario coinvolgere numerosi fenomeni fisici e geologici in grado di spiegare i meccanismi di funzionamento e gli effetti di un sisma. L effetto principale di un terremoto, cioè lo scuotimento violento del suolo, è il risultato della liberazione d energia in seguito ad una rottura delle rocce delle porzioni più superficiali della crosta terrestre. Sarà descritto in seguito dove e in che modo si genera la frattura che propagandosi provoca effetti potenzialmente disastrosi. I terremoti non avvengono ovunque, ma solo in contesti geologici ben definiti, dove le spinte tettoniche e cioè forze responsabili della creazione delle montagne e dell apertura degli oceani, sono maggiori o dove minore è la resistenza dei materiali all azione di queste forze. Tutte le rocce della crosta terrestre sono poste sotto l azione di torsioni e compressioni (sforzi) dipendenti dall orientazione delle spinte tettoniche. Entro i primi 30 Km (la crosta terrestre) la roccia è ad una temperatura tale per cui, questa, in presenza di sforzi ridotti, tende a deformarsi elasticamente accumulando energia elastica. Quando gli sforzi superano una soglia critica, la roccia si frattura catastroficamente liberando l energia elastica accumulata nella fase di deformazione. La frattura, detta faglia sismica, avviene lungo superfici approssimativamente piane la cui orientazione è determinata dalla direzione delle forze agenti e dalle proprietà meccaniche della roccia stessa. La faglia, ed in particolare il luogo in cui si origina la frattura, costituisce la sorgente sismica. La superficie di frattura può essere di neoformazione, avvenire lungo una zona di debolezza della roccia o, con maggiore probabilità, costituire la riattivazione di una faglia preesistente: è richiesta, infatti, meno energia per riattivare una vecchia superficie di frattura 7

8 rispetto a quella richiesta per rompere un materiale integro. Molto schematicamente nel primo caso si può pensare che per attivare la frattura è necessario vincere la sola forza d attrito tra le due superfici della faglia preesistente, che è minore della forza necessaria a vincere la coesione interna della roccia intatta. L effetto della frattura è, in ogni caso, uno scorrimento relativo di porzioni di roccia lungo la superficie di frattura. Per definire univocamente nello spazio l orientazione ed il movimento della superficie di faglia si adotta la seguente terminologia (fig. 2.1): Fig Definizioni strutture e parametri della faglia direzione (strike): angolo destrogiro formato tra il nord e l intersezione del piano di faglia con il piano orizzontale. immersione (dip): angolo tra il piano di faglia ed il piano orizzontale. letto (footwall): porzione di roccia al di sotto della superficie di faglia. tetto (hangingwall): porzione di roccia sopra la superficie di faglia. verso (slip): angolo, sulla superficie di faglia, tra la direzione di movimento relativo delle due porzioni di roccia (letto e tetto) e l intersezione del piano di faglia con il piano orizzontale. A seconda del verso, si distinguono tre tipi fondamentali di faglia: diretta, inversa, trascorrente destra e sinistra (fig. 2.2). Le faglie che si osservano in natura sono in generale combinazioni delle tre tipologie fondamentali. 8

9 Fig Modelli di faglia riscontrabili in natura. Le faglie possono avere dimensioni molto variabili: dai centimetri alle centinaia di chilometri. Possono essere localizzate molto in profondità o arrivare fino in superficie dando origine a strutture geologiche e geomorfologiche caratteristiche La genesi dei terremoti Come può la generazione o la riattivazione della rottura sulla superficie di faglia produrre un terremoto? La spiegazione può essere data, molto schematicamente, dal modello del rimbalzo elastico proposto da Reid nel La deformazione delle rocce, provocata dagli sforzi tettonici, aumenta fino a che non viene superato il carico di rottura (o molto schematicamente la soglia di attrito) della roccia. L idealizzazione del modello, esemplificato dalla faglia californiana di S. Andreas, parte dall esistenza di due blocchi di crosta terrestre in reciproco movimento e a contatto lungo una faglia (fig. 2.3a). Inizialmente l attrito tra le zolle, esercitato sulla superficie di faglia, impedisce il reciproco movimento, ma la roccia circostante la faglia è deformata dagli sforzi (fig. 2.3b). La deformazione si accumula, per un tempo che può variare dalle 9

10 decine alle migliaia di anni, fino a che lo sforzo supera la resistenza del punto di maggiore debolezza, solitamente in profondità (fig. 2.3c). Da quel punto, definito ipocentro, la frattura si espande irradiando onde elastiche e cioè le onde sismiche: i blocchi scorreranno l uno contro l altro, di solito in pochi secondi, fino a riprendere una nuova posizione di equilibrio (fig. 2.3d). L epicentro è invece la proiezione in superficie dell ipocentro. Il modello è in grado di spiegare approssimativamente la deformazione delle rocce e gli spostamenti osservabili tra i riferimenti posti sui due lembi della faglia prima e dopo l occorrenza del terremoto. Fig Modello schematico dei meccanismi che generano il terremoto (vedi testo). Dal punto ipocentrale, una volta innescata, la rottura si propaga consentendo ai due lembi di scorrere reciprocamente lungo la superficie di faglia. Il processo di propagazione della rottura non è istantaneo: il fronte della rottura si muove con velocità molto alta (tipicamente centinaia di m/s) sulla superficie di faglia. Essendo la roccia non omogenea ma più o meno resistente nelle sue diverse porzioni di volume, il fronte di propagazione può risultare frastagliato (fig. 2.4) e la velocità di avanzamento della rottura variabile, con rallentamenti ed accelerazioni. L estensione complessiva della rottura dipende dalla deformazione della roccia che la circonda, cosicché la rottura si propagherà sino 10

11 a che saranno raggiunte porzioni di roccia in cui la deformazione è sufficiente per consentire un ulteriore avanzamento del fronte. Durante la rottura, che permette il movimento relativo di letto e tetto, si ha sfregamento delle due superfici a contatto che produce calore per attrito ed una macinazione della roccia (breccia di faglia). Le onde elastiche (sismiche), risultanti dal rilascio elastico, sono effetto dello spostamento delle masse di roccia adiacenti alla superficie di rottura. Fig Propagazione del fronte di rottura sulla superficie di faglia e posizione di Ipocentro ed Epicentro Le onde sismiche Le onde sismiche sono onde elastiche che si propagano dal loro punto di origine fino alla superficie topografica con modalità differenti. Le onde sismiche sono caratterizzate da tre parametri: la lunghezza d onda (fig. 2.5), l ampiezza e la frequenza (numero di oscillazioni al secondo o Hz). La durata di un oscillazione completa è detta periodo ed è pari all inverso della frequenza. Esistono due principali tipi di onde sismiche: le Onde di Volume e le Onde di Superficie. Le Onde di volume sono: 11

12 Le Onde P (Primae o onde di compressione, fig. 2.5A): si propagano con moto oscillatorio parallelo alla direzione di propagazione. Sono le più veloci (circa 5.5 Km/s nel granito crostale) perciò le prime ad essere percepite. Possiedono un potenziale distruttivo relativamente basso. Le Onde S (Secundae o onde di taglio, fig. 2.5B): arrivano dopo le onde P, propagandosi più lentamente (circa 3.0 Km/s nel granito crostale), la loro oscillazione è perpendicolare alla direzione di propagazione. Il moto oscillatorio può essere scomposto in una componente verticale SV ed una componente orizzontale SH. Le onde S non si propagano, a differenza delle onde P, nei fluidi. Esse hanno un alto potenziale distruttivo, soprattutto le SH. Le onde di superficie invece si propagano solo lungo gli strati più prossimi alla superficie topografica. L ampiezza di tali onde è infatti massima in superficie e decresce molto rapidamente con la profondità. Esistono due principali tipi di onde di superficie: Le Onde di Love (LQ) (fig. 2.5C). Esse sono simili alle onde SH ma confinate alla zona superficiale, si propagano con moto oscillatorio parallelo alla superficie del terreno e perpendicolarmente alla direzione di propagazione. Non si propagano attraverso i fluidi. Insieme alle SH sono responsabili delle massime distruzioni. Le Onde di Rayleigh (LR) (fig. 2.5D). Al loro passaggio, le particelle del suolo si muovono lungo un ellisse perpendicolare alla superficie di propagazione. 12

13 Fig Tipi di Onde sismiche e caratteristiche del loro moto ondulatorio. Le onde P, essendo le prime ad essere registrate dagli strumenti sismografici (costituiscono infatti i cosiddetti Primi Arrivi ), permettono di determinare la posizione della sorgente sismica (ipocentro) in termini di longitudine, latitudine e profondità. La proiezione in superficie dell ipocentro è detta epicentro (Fig. 13

14 2.3 e 2.4). I sismografi posti in una stazione di misura possono registrare il primo arrivo in avvicinamento o in allontanamento, in relazione alla loro posizione rispetto alla superficie di faglia ed al movimento di quest ultima. Riferendosi per semplicità ad una faglia trascorrente pura, con immersione a 90 ed osservandola dall alto (fig. 2.6) i movimenti dei due lembi (essendo il piano di faglia verticale non si distinguono letto e tetto) determinano due quadranti in compressione e due in estensione. Fig Modello di movimento di faglia che spiega l esistenza di due quadranti in compressione e due in estensione Tutte le stazioni sismiche poste nei due quadranti in compressione misureranno le onde P in avvicinamento, mentre le stazioni poste nei due quadranti in estensione misureranno le onde P in allontanamento. L ipocentro di un terremoto è individuato dall intersezione dei due piani, definiti nodali, che limitano i quattro quadranti. I quadranti in compressione ed estensione sono individuati in base alla distribuzione dei primi arrivi registrati dalle stazioni sismografiche più prossime all area in cui si sono risentiti gli effetti del terremoto. La disposizione dei due piani ortogonali, nei cui quadranti ricadono le stazioni che hanno registrato solo segnali di compressione o dilatazione, definisce la soluzione nodale del terremoto (fig. 2.7). Risulta così nota l orientazione spaziale del piano di faglia che ha generato il terremoto (per definire quale dei due piani sia la faglia sismogenetica sono necessarie altre informazioni come l assetto geologico-tettonico dell area coinvolta). 14

15 Fig Rappresentazione grafica della soluzione nodale del terremoto (meccanismo focale) in base alla distribuzione e tipologia dei primi arrivi alle stazioni sismografiche L energia del terremoto Il parametro strumentale più usato per quantificare l energia rilasciata da un terremoto è la magnitudo. Nella sua definizione originale, la magnitudo è espressa come il logaritmo decimale del rapporto tre l ampiezza massima A della deflessione misurata su uno strumento standard (un sismometro di tipo Wood-Anderson) e l ampiezza A * che sullo stesso strumento produrrebbe un terremoto campione, detto terremoto standard, preso come riferimento (Richter, 1935): M = Log 10 (A/A*) = log 10 A log 10 A * (2.0) dove M è la magnitudo, A è l ampiezza del segnale del sismogramma che a sua volta è proporzionale all energia liberata dal terremoto. Correda questa definizione una tabella in cui vengono forniti i valori delle deflessioni prodotte dai terremoti standard (in termini di -log 10 A * ) in funzione della distanza tra la 15

16 stazione sismica e l epicentro. Il terremoto standard ha perciò una magnitudo M=0.0. Dalla definizione si deduce che il terremoto campione è quello che a 100 Km di distanza produce una deflessione (ampiezza) pari a 10-3 mm (1 µm). Richter chiamò la quantità così calcolata magnitudo locale poiché la sua definizione era originariamente pensata per i terremoti locali della California. Per tale motivo la magnitudo di Richter viene spesso indicata con il simbolo M L. Esistono altre scale di magnitudo: M S : ottenuta dall ampiezza delle onde di Rayleigh. È utilizzata per caratterizzare i terremoti più distruttivi con origine relativamente in superficie. Non è invece indicato per i terremoti relativamente piccoli, regionali o locali. m b : ottenuta dalla massima ampiezza di onde P misurata sulla componente verticale. Descrive in modo attendibile l intensità di terremoti profondi ed intensi ma non di quelli più catastrofici. In generale tutti questi tipi di magnitudo tendono a saturare, ovvero ad essere insensibili alle differenze di energia rilasciata dai terremoti più intensi. Una magnitudo che descriva ogni tipo di terremoto si basa sul concetto di Momento Sismico M 0 : M 0 = µs r u (2.1) dove µ è il modulo di rigidità della roccia, s r è l area della superficie di rottura, u è lo spostamento medio tra i due lembi della superficie di rottura. A partire dal momento sismico è possibile determinare una Magnitudo Momento Sismico M W : M W = (LogM )/1.5 Oltre a legare direttamente la grandezza del terremoto alle dimensioni della sorgente, a differenza delle altre, la magnitudo momento sismico ha l indubbio vantaggio di distinguere i diversi livelli di energia irradiata dagli eventi maggiori. Una relazione approssimata tra la magnitudo e l energia rilasciata è fornita dalla seguente equazione: Log E = 1.5M S dove E è l energia, in erg, rilasciata da un terremoto di magnitudo M S. Essendo la relazione logaritmica, la differenza d energia tra due gradi di magnitudo è quindi pari ad un fattore

17 2.2 Lo scuotimento sismico Aspetti generali Il punto chiave di ogni stima di pericolosità sismica è la previsione dello scuotimento sismico, e cioè del moto sismico del suolo. In particolare, nell analisi di pericolosità sismica si considerano i moti del suolo di entità tale da provocare danni su strutture edili (abitazioni, strutture industriali, ponti, strade, ecc.). Il modo più diretto per caratterizzare le interazioni fra i movimenti del suolo e le sollecitazioni prodotte sull edificato è quello di utilizzare l accelerazione del terreno in quanto questa è direttamente legata alle forze in gioco. Questa è solitamente espressa in frazioni di g, l accelerazione di gravità, che è pari a 9.81 m/s 2. La scelta di questa unità di misura è legata al fatto che le strutture portanti degli edifici sono sostanzialmente progettate per sostenerne il peso che è funzione diretta dell accelerazione di gravità. Quest ultima rappresenta quindi una scala naturale per rappresentare tutte le sollecitazioni a cui una costruzione può essere sottoposta Le interazioni suolo-strutture L analisi della pericolosità sismica mira a prevedere gli effetti del moto del suolo su strutture e costruzioni di dimensioni e massa ben definite. Le interazioni tra le costruzioni e il moto del suolo durante un terremoto (SSI Soil- Structure Interaction) sono assai complesse e vanno valutate attraverso studi ingegneristici e geotecnici di dettaglio, specifici per ciascuna situazione (si vedano i paragrafi e seguenti). Le interazioni suolo-strutture possono essere suddivise in due gruppi: interazioni cinematiche e interazioni dinamiche. Le prime sono calcolate non considerando la massa delle strutture coinvolte ritenendo che le dimensioni relativamente piccole delle fondazioni rispetto alla lunghezza d onda delle onde sismiche giustifichino questo approccio. In questo caso, infatti, la modificazione del moto del suolo causata dalla presenza di edifici è trascurabile. Le interazioni 17

18 dinamiche o inerziali sono prese in esame quando la massa delle fondazioni e l inerzia che essa oppone ai cambiamenti di quiete o moto, secondo i princìpi della dinamica, giocano un ruolo importante. In questo caso, le interazioni dinamiche fra suolo e struttura possono limitare l ampiezza e l intensità dello scuotimento sismico diminuendo gli effetti dannosi e dissipando molta energia (smorzamento della radiazione o radiation damping). In una visione assai semplificata il moto del suolo, provocato dal terremoto, causa negli edifici oscillazioni smorzate. Ciascun edificio è infatti caratterizzato da una frequenza naturale ν n il cui valore dipende dalle dimensioni e dalle caratteristiche costruttive. L inverso della frequenza 1/ν definisce il periodo proprio dell oscillazione. Se un edificio viene sottoposto ad una sollecitazione periodica con frequenza vicina a quella naturale, gli effetti di questa sollecitazione saranno massimi (fenomeno della risonanza). È quindi di estrema importanza sapere se le sollecitazioni del terreno sono caratterizzate da periodi simili a quelli naturali delle strutture sollecitate. L andamento nel tempo della sollecitazione sismica del terreno può essere visto come la somma di diverse sollecitazioni periodiche ciascuna caratterizzata in termini di un oscillazione regolare di frequenza fissata (componenti spettrali). Utilizzando opportuni algoritmi matematici (analisi di Fourier) è possibile sapere come la sollecitazione complessiva che interessa l edificio viene distribuita nelle varie componenti spettrali ed, in particolare, a quale di queste sono associate le sollecitazioni massime. Per valutare i possibili effetti dello scuotimento sismico è importante accertare quali siano le componenti spettrali più energetiche e se la loro frequenza si avvicina alla frequenza naturale di oscillazione degli edifici. Per questo motivo è stato introdotto il concetto di accelerazione effettiva, definita come il valore d accelerazione corrispondente alla frequenza di interesse, di solito quella propria della struttura allo studio. L evidenza sperimentale indica che i massimi d accelerazione provocati dal terremoto si hanno per alte frequenze (>10 Hz) mentre le strutture più massive sono caratterizzate da frequenze naturali molto piccole (Ζ1 Hz). In particolare, gli edifici con ampie fondamenta risultano meno sensibili ai moti sismici caratterizzati da frequenze elevate mentre risultano molto sensibili a sollecitazioni caratterizzate da basse frequenze. 18

19 La misura strumentale dello scuotimento sismico Dal punto di vista sperimentale, l andamento nel tempo dell accelerazione che il suolo subisce a seguito di un terremoto può essere rilevato dall accelerografo, un sismografo configurato in modo da risultare sensibile alle onde sismiche ad alta frequenza nelle tre direzioni spaziali. Il tracciato corrispondente viene denominato accelerogramma. Integrando analiticamente i dati di accelerazione è possibile risalire alla velocità e all ampiezza dei movimenti del suolo. Le registrazioni accelerografiche sono caratterizzate da alcune limitazioni. Per esempio il valore di PGA (peak ground acceleration o massima accelerazione del suolo) direttamente misurabile dagli accelerogrammi non è il massimo assoluto di accelerazione ma il massimo tra le frequenze rilevabili dagli accelerografi in funzione delle condizioni locali del sito di misura. Inoltre, tutte le registrazioni sismiche sono ricavate da strumentazioni poste in particolari edifici o strutture. Al fine di valutare l attendibilità delle registrazioni, è necessario conoscere come e quanto gli strumenti di misura siano influenzati dalle interazioni suolo-strutture dovute agli edifici o alle installazioni dove sono posizionati. A causa di queste influenze i valori di accelerazione possono essere filtrati, alterati da amplificazioni o smorzati in corrispondenza di alcune frequenze. In generale, i fenomeni di interazione suolo-strutture possono condizionare in modo rilevante la stima strumentale del moto sismico soprattutto alle alte frequenze. Il fenomeno diventa energeticamente trascurabile quando le frequenze interessanti superano i 10 Hz. Per valutare l effetto dell accelerazione del suolo, su di un generico edificio, l accelerazione misurata viene analizzata matematicamente ipotizzando che questa solleciti un oscillatore sinusoidale, smorzato o no, rappresentativo dell edificio. In questo modo viene costruito il cosiddetto spettro di risposta che rappresenta l effetto dello scuotimento sismico alle diverse frequenze. L accelerogramma teorico ottenuto in questo modo può essere utilizzato, mediante successive operazioni di integrazione matematica, per stimare lo spostamento relativo del terreno (RD - Relative Displacement), la pseudo velocità relativa PSRV (pseudo relative velocity) e la pseudo accelerazione assoluta PSAA (pseudo absolute acceleration). 19

20 Le relazioni tra RD, PSRV, PSSA, in funzione dello spettro di frequenza e per diversi valori dello smorzamento, sono rappresentabili mediante un diagramma tripartito (tripartite plot, fig. 2.8). Da questo tipo di diagramma è possibile identificare quali sono i valori massimi di velocità, accelerazione e spostamento del suolo, nonché se le frequenze che li generano si avvicinano alle frequenze naturali delle strutture di interesse. Fig. 2.8 Spettro di risposta relativo ad una registrazione accelerografica. Sono rappresentati lo spostamento relativo del terreno (RD - Relative Displacement), la pseudo velocità relativa PSRV (pseudo relative velocity) e la pseudo accelerazione assoluta PSAA (pseudo absolute acceleration). Le diverse curve si riferiscono a diversi valori dello smorzamento (damping). Le lettere in blu si riferiscono ad un esempio di lettura riportato nel testo. La lettura dei tre parametri per un periodo (o frequenza) d interesse si effettua a partire dal punto A sull asse dei periodi (ma sarebbe uguale partendo dall asse delle frequenze) mandando la verticale sino all intersezione B con la curva dello spettro di risposta per il valore di smorzamento (damping) prefissato, 20

21 0% nell esempio riportato. Dal punto di intersezione B, la parallela all asse dei periodi, nella direzione C, individua il valore della pseudo velocità relativa PSRV (pollici/s nel grafico). La direzione D, a 45 verso sinistra, individua invece il valore della pseudo accelerazione assoluta PSAA (in frazioni di g), mentre la direzione E a 45 verso destra, individua lo spostamento relativo del terreno RD (in cm o pollici). I valori dei tre parametri sono leggibili in corrispondenza della freccia sul rispettivo asse, che si ricorda essere logaritmico La caratterizzazione quantitativa dello scuotimento sismico Lo scuotimento sismico può essere caratterizzato mediante diversi parametri. La scelta del parametro più adatto è funzione degli obiettivi dell analisi di pericolosità sismica e delle informazioni disponibili. Il modo più semplice, ed il più utilizzato, per caratterizzare lo scuotimento sismico è mediante il picco di massima accelerazione del suolo PGA (Peak Ground Acceleration) che rappresenta la massima sollecitazione (in termini di forze) a cui una data struttura viene sottoposta. In generale, il massimo delle accelerazioni viene riscontrato per frequenze alte, lontane dalla frequenza propria degli edifici (tipicamente 1 Hz), quindi la PGA è solo raramente efficace come indicatore sintetico dei danni. Si è osservato che in alcuni casi il picco di velocità è un migliore indicatore sintetico di danno rispetto al picco di accelerazione. Il picco di velocità, usualmente associato a movimenti sismici del suolo a lungo periodo, è facilmente correlabile con l energia cinetica (proporzionale a V 2 ). Per ovviare i limiti che anche il picco di velocità possiede nel quantificare le relazioni tra danni e moto del suolo, sono stati proposti altri parametri ritenuti più efficaci. Uno di questi parametri è l Intensità di Arias I A (Arias, 1970), definita come: I A π = 2g t 0 0 a 2 ( t) dt dove a(t) è l accelerazione rilevata nell intervallo compreso fra l inizio dello scuotimento sismico e il tempo t 0 quando il forte moto del suolo cessa. L Intensità di Arias I A è dipendente dall energia totale del moto sismico. 21

22 Un altro parametro è il CAV o Velocità Assoluta Cumulativa (Cumulative Absolute Velocity) definito come: CAV t = 0 0 a( t ) dt dove a(t) è il valore assoluto dell accelerazione e CAV è la somma delle velocità incrementali. Un ulteriore parametro rappresentativo della pericolosità sismica è l Intensità di Housner H definita come l integrale dello spettro di risposta di pseudovelocità (a pericolosità uniforme, par ) calcolato in un opportuno intervallo di frequenze; i puntini indicano il tempo di esposizione per cui è stimata. Il parametro può rappresentare le diverse condizioni di pericolosità e risultare correlato al danno subito dagli edifici in base alle scelte del periodo di ritorno e dell intervallo spettrale. È quindi possibile utilizzare diversi indicatori. Ad esempio il parametro H50 è significativo per individuare il livello di protezione dal collasso dovuto a terremoti distruttivi ma piuttosto rari, H10 è significativo per individuare il livello di protezione dal danneggiamento per terremoti più frequenti e meno pericolosi, ma tali da produrre danni e disagi notevoli. In particolare: H50, corrispondente a un periodo medio di ritorno di 475 anni (probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni) e all intervallo spettrale sec.; tale parametro, associato a un lungo periodo di ritorno e alle ordinate spettrali relative a periodi medio lunghi, è correlato principalmente alla possibilità che si verifichino terremoti di elevata magnitudo e di conseguenza è un indice significativo del livello di protezione dal collasso. H10: corrispondente a un periodo medio di ritorno di 95 anni (probabilità di eccedenza del 10% in 10 anni) e all intervallo spettrale sec; tale parametro, associato a un breve periodo di ritorno e alle ordinate spettrali relative a periodi brevi, è correlato principalmente alla possibilità che si verifichino terremoti di bassa magnitudo e di conseguenza è un indice significativo del livello di protezione dal danneggiamento. (per la definizione di tempo medio di ritorno, tempo di esposizione e probabilità di eccedenza si vedano i par. 3.3 e seguenti). Alcune evidenze, infine, indicano che a parità di valore assoluto di accelerazione, la durata delle oscillazioni sismiche è da considerarsi 22

23 determinante per l intensità finale dei danni. L effetto della durata è quello di prolungare le sollecitazioni nel tempo e attivare fenomeni che aggravano gli effetti del moto sismico (liquefazione del suolo, instabilità di versanti, ecc.). Utilizzando i soli picchi di velocità o accelerazione del suolo, la durata dello scuotimento non è considerata, mentre costituisce un fattore importante per definire gli effetti attesi anche in corrispondenza di picchi di accelerazione o velocità non ritenuti pericolosi. La durata dello scuotimento sismico può essere definita in diversi modi. La definizione più diffusa è quella di durata limitata (bracketed duration) che descrive l intervallo di tempo, durante il terremoto, nel quale è superata una soglia di accelerazione del moto sismico del suolo (es. 0.05g) Le scale d intensità macrosismica Tutte le grandezze descritte nel paragrafo precedente possono essere dedotte dall analisi delle accelerazioni misurate strumentalmente. I principali vantaggi, nell uso di questi parametri per caratterizzare lo scuotimento sismico, risiedono nel loro carattere quantitativo e nella possibilità che offrono di analizzare, da un punto di vista fisico, le interazioni suolo-strutture. Tuttavia la complessità di quest ultimo processo rende impossibile stabilire una relazione biunivoca fra il danneggiamento atteso e lo scuotimento sismico descritto da questi parametri. Un procedimento alternativo, per la valutazione dello scuotimento sismico, è quello di tipo indiretto basato su una classificazione dei diversi scenari di danno prodotti dai terremoti. I vari scenari permettono una valutazione di tipo ordinale degli effetti sismici e, indirettamente, dello scuotimento sismico che li ha originati. Questi scenari costituiscono le cosiddette scale di intensità macrosismica. Ciascuna fornisce una classificazione numerica basata su classi discrete che esprimono l intensità I, definendola come l unico parametro fondamentale della sismologia macrosismica, capace di quantificare e classificare la severità dello scuotimento del terreno attraverso l osservazione degli effetti prodotti dal terremoto. L intensità macrosismica è una misura convenzionale basata sull osservazione di un insieme di elementi (relativi ai comportamenti delle persone, gli effetti 23

24 sull ambiente e sugli edifici) congruenti con una determinata risposta sismica. Le varie categorie di effetti vengono ordinate su una scala ordinale e discreta di valori, a partire dalla risposta più leggera fino a quella più distruttiva, venendo così a costituire i gradi di una scala di intensità che consente di attribuire un parametro in qualche modo quantitativo (il grado di intensità espresso in forma numerica) ad un insieme di dati puramente qualitativi (la descrizione dei danni e degli effetti causati da un terremoto in una determinata località). Benché già nel XVI secolo fosse iniziata la compilazione di scale di questo genere, il primo lavoro nel quale veniva stabilito un criterio di valutazione internazionalmente riconosciuto fu la scala De Rossi-Forel (1884), in 10 gradi, successivamente ampliata e migliorata (soprattutto per quanto concerneva la saturazione dei gradi elevati) nel 1902 da Giuseppe Mercalli il quale ne portò a 12 i livelli. Tale scala, in seguito ulteriormente modificata da Cancani e Sieberg (1932) nella versione MCS (dalle iniziali degli autori: Mercalli-Cancani- Sieberg), è tuttora in uso in Italia (la scala MCS è riportata in Appendice). Ulteriori variazioni, come l introduzione della tipologia degli edifici nella valutazione del grado di danneggiamento, furono apportate nel 1931 da Wood e Neumann i quali produssero la scala Mercalli Modificata (MM), in seguito perfezionata da Richter nel Più recentemente, i danni arrecati alle costruzioni hanno assunto sempre maggiore importanza, rispetto ad indicatori di altro genere, nell evoluzione delle scale macrosismiche. Infatti, se da un lato la possibilità di classificare le tipologie di edificio e le caratteristiche dei danni consente una maggiore oggettività delle valutazioni, dall altro è importante ricordare che la prevenzione dei danni alle costruzioni, e di conseguenza alle persone, costituisce l obiettivo principale della ricerca sismologica. In base a queste considerazioni, le scale macrosismiche più recenti, quali ad esempio la Medvedev-Sponheuer-Karnik (MSK), prendono in esame il tipo di danno in relazione alle tipologie costruttive legate all edilizia più recente e, quindi, forniscono un quadro complessivo degli effetti sismici in relazione al contesto edilizio coinvolto. Negli ultimi anni, l esigenza di definire una scala più robusta ed agevole nell utilizzo e che prendesse in considerazione le nuove tipologie edilizie (soprattutto le costruzioni progettate a norma antisismica) ha portato alla compilazione della nuova scala macrosismica europea EMS92 e successiva 24

25 EMS98. Tale scala, che costituisce un aggiornamento della precedente MSK, individua per gli edifici cinque gradi di danno crescenti da 1 a 5 (es., grado 1 = danno strutturale assente; grado 5 = collasso o danno strutturale molto forte) e sei classi di vulnerabilità (es., classe A = edifici molto vulnerabili in muratura con pietre non squadrate; classe F = edifici poco vulnerabili in cemento armato con alto livello di progettazione antisismica). Attualmente in vari Paesi del mondo vengono adottate scale diverse. Negli Stati Uniti è particolarmente in uso la scala MM, in Europa Orientale viene prevalentemente impiegata la MSK, mentre in Giappone è utilizzata la scala JMA a otto gradi di intensità. Per quanto riguarda l Italia, viene prevalentemente adottata la scala MCS, soltanto negli ultimi anni è entrata in uso anche la scala europea EMS. Dal momento che le scale macrosismiche elencate risalgono ad epoche diverse e sono basate su criteri differenti, esse non coincidono esattamente: spesso apparenti contraddizioni sorgono dal modo in cui sono state utilizzate soprattutto per quanto concerne gli effetti sugli edifici. La scala MCS, ad esempio, nata intorno agli inizi del XX Secolo, fa riferimento a costruzioni dell epoca (certamente preesistenti all avvento del cemento armato ed alla progettazione antisismica) realizzate con mezzi tecnici ed economici modesti; un applicazione letterale di tale scala ad un abitato moderno porterebbe, secondo alcuni, a sottostimare l intensità di almeno due gradi nel caso di intensità superiori al grado VI. Il principale vantaggio di una parametrizzazione dello scuotimento sismico mediante l intensità macrosismica risiede nella possibilità che offre di classificare lo scuotimento in funzione dei danni, e più in generale, degli effetti che esso è in grado di provocare nell ambiente antropico, tenendo quindi conto implicitamente del complesso processo di interazione suolo-strutture. Un ulteriore vantaggio dell utilizzo dell intensità macrosismica è quello di consentire la caratterizzazione dello scuotimento sismico in corrispondenza di terremoti del passato i cui effetti possono essere dedotti in modo nonstrumentale solo sulla base dei documenti disponibili. Questo rende l intensità uno strumento insostituibile per analisi di pericolosità basate sullo studio della sismicità passata. 25

26 Il principale limite di questo tipo di parametrizzazione risiede nel suo carattere fondamentalmente empirico. Va comunque notato come il carattere fenomenologico dell intensità macrosismica non rende questa parametrizzazione dello scuotimento arbitraria anche se mantiene grandi margini di soggettività. Un altro limite dell intensità macrosismica è il suo carattere medio. Infatti, mentre le misure accelerografiche permettono una stima puntuale dello scuotimento, l intensità rappresenta uno scenario di danno e quindi uno scuotimento medio del terreno su di un area estesa. Infine, questo parametro non è direttamente utilizzabile per la progettazione degli edifici in funzione antisismica. Per superare quest ultimo problema sono state proposte stime e leggi empiriche per la valutazione grossolana dei parametri di scuotimento ingegneristici a partire dal dato di intensità. Per esempio log â = 0.30 I MM (IV I MM X) e log vˆ = 0.25 I MM 0.63 (IV I MM X) dove â è la media stimata della componente orizzontale del picco d accelerazione, vˆ è la media stimata della componente orizzontale del picco della velocità, I MM è l intensità Mercalli Modificata. Per l area mediterranea, l Italia in particolare, sono state proposte le seguenti relazioni di regressione tra l intensità macrosismica e l accelerazione del suolo. In condizioni di campo lontano si avrà che e log hpga 0.158I = MSK log hpga 0.179I = MCS dove hpga è il picco di accelerazione orizzontale del suolo, I MSK è l intensità espressa nella scala MSK e I MCS è l intensità espressa nella scala MCS. Queste relazioni, utilizzabili per una stima qualitativa dei parametri di scuotimento di interesse ingegneristico, qualificano l intensità macrosismica per valutazioni di pericolosità, grazie alla sua capacità di fornire una stima diretta (anche se empirica) del tipo di scenario di danno atteso per un dato evento sismico. 26

27 2.2.2 I processi fisici che controllano lo scuotimento sismico Lo scuotimento sismico è generalmente controllato da tre fattori principali: Caratteristiche della Sorgente, ovvero le modalità di rilascio dell energia sismica responsabile dello scuotimento sismico al sito. Caratteristiche di propagazione dell energia sismica, che includono le modalità di propagazione dell energia dalla sorgente al sito. Caratteristiche di sito, ovvero l insieme dei fattori geomorfologici e strutturali che controllano le modalità di propagazione dell energia nelle immediate vicinanze del sito. La conoscenza del modo in cui questi fattori controllano lo scuotimento sismico è la premessa fondamentale per la valutazione della pericolosità sismica La sorgente sismica Per meglio capire come il moto sismico del suolo sia influenzato dal tipo di sorgente, è uso corrente riferirsi ad un semplice modello (modello di Brune) in cui la sorgente viene descritta come un piano di scorrimento circolare di raggio definito (la faglia), in cui la rottura interessa contemporaneamente l intera area. La dimensione della faglia, in relazione alla lunghezza d onda dell emissione sismica, individua una distanza minima oltre la quale si definisce il campo lontano (far field), dove gli effetti di dimensione o conformazione della superficie di rottura sismica possono essere considerati trascurabili. Normalmente l assunzione di campo lontano si realizza quando le dimensioni stimate della sorgente sismogenica sono inferiori di un fattore 10-2 rispetto alla distanza sito-sorgente. In questo caso la sorgente può essere assunta puntiforme. Se ciò non si verifica si fa riferimento ad una situazione di campo vicino (near field). Utilizzando il semplice modello proposto è poi possibile calcolare analiticamente lo spettro del terremoto atteso in funzione delle caratteristiche geometriche della sorgente. La reale conformazione della superficie di rottura complica il semplice modello proposto quando si tenta di simulare la radiazione sismica nel campo vicino. La nucleazione della rottura non è un processo istantaneo, l espansione della 27

28 superficie di frattura avviene a velocità finita. Il fronte di rottura si propaga sul piano di faglia con velocità dell ordine di grandezza delle onde S, fino a che non arriva in superficie o incontra troppa resistenza per proseguire. Alte velocità di propagazione della frattura implicano grandi movimenti del suolo in superficie, specialmente per onde sismiche ad alta frequenza. La propagazione del fronte di rottura risulta condizionata dall eterogeneità del mezzo geologico. L effetto è che il moto risultante associato alla faglia non è uguale su tutta la superficie di rottura, cosa che risulterebbe da una propagazione perfettamente omogenea. Le faglie reali sono dotate di porzioni più resistenti definite barriere o asperità. I termini implicano diversi meccanismi nel movimento delle superfici di faglia. Nel modello a barriere, lo stato di sforzo iniziale della superficie di faglia è considerato uniforme, mentre l avanzamento dei fronti di rottura lascia alle sue spalle zone di resistenza definite barriere. Se lo stato di sforzo è tale da vincere anche queste resistenze, si potranno avere altre nucleazioni di rottura, queste produrranno le repliche (aftershock), scosse associate all evento sismico principale. Nel modello ad asperità lo stato di sforzo della faglia è già inizialmente eterogeneo con zone a tensione nulla e zone in cui gli sforzi sono concentrati, le asperità. Quando la resistenza delle asperità è superata, la faglia si muove generando il terremoto. Secondo alcuni studiosi, le repliche e le eventuali scosse precedenti quella principale sono spiegabili con la presenza delle barriere e delle asperità Gli effetti direzionali La conoscenza dell orientazione spaziale della superficie di faglia, la struttura sismogenica, è importante in quanto permette di determinare le direzioni lungo le quali le onde sismiche avranno la massima ampiezza. Infatti, a partire dall ipocentro, le onde S e P non si propagano nel volume di roccia con un fronte sferico uniforme ma assumono una distribuzione che dipende dall orientazione del piano di faglia e dalla direzione di scorrimento. Le caratteristiche proprie del moto oscillatorio delle onde P determinano dei lobi di propagazione in cui quelle a massima ampiezza sono prossime alle direzioni a 28

29 45, 135, 225 e 315 dal piano di faglia (fig. 2.9). Nell illustrazione si è assunto una condizione di campo lontano approssimando la sorgente ad un punto. Risultano così quattro lobi perpendicolari tra loro che individuano le direzioni di massima ampiezza delle onde P (nella realtà i lobi sono tridimensionali). Analogamente esistono quattro lobi in cui si ha il massimo di ampiezza delle onde S. Questi hanno direzione parallela e perpendicolare al piano di faglia e risultano ruotati di 45 rispetto ai lobi delle onde P. Sapere le direzioni in cui si propagano le onde di massima ampiezza è fondamentale per conoscere in che zone, rispetto all ipocentro e all orientazione del piano di faglia, si riscontreranno, in superficie, gli effetti più intensi di scuotimento del suolo. Fig Orientazione dei lobi di propagazione delle onde P in funzione dell orientazione della faglia sismogenetica. La lunghezza delle frecce è proporzionale all ampiezza delle onde emesse nella direzione corrispondente Un importante effetto legato alla velocità finita di propagazione del fronte di rottura è la direttività (directivity) o focalizzazione (focusing). Il fronte di rottura, propagandosi con velocità finita dall ipocentro lungo la superficie di faglia, determinerà uno scuotimento del suolo differente in due siti posizionati in modo opposto rispetto alla direzione di faglia. Per un effetto di interferenza costruttiva, un sito che si trova lungo la direzione di propagazione del fronte di 29

30 rottura, risentirà di ampi scuotimenti sismici di breve durata. Un sito posto nel verso opposto, risentirà invece di movimenti di minore ampiezza ma di più lunga durata. Il fenomeno si accentua quando la velocità di rottura è prossima a quella delle onde S e l angolo tra ricevitore e faglia è piccolo Gli effetti di propagazione L attenuazione Gli effetti del percorso di propagazione sul moto sismico del suolo sono principalmente legati al fenomeno dell attenuazione che agisce sulle onde sismiche. L attenuazione comporta una diminuzione nell ampiezza delle onde sismiche man mano che queste si allontanano dalla sorgente. Per questo motivo la distanza r sito-epicentro terremoto, insieme alla magnitudo, rimane uno dei parametri fondamentali per la definizione del moto sismico del suolo. Nel caso ideale, l attenuazione risulta dalla combinazione di due componenti: la diffusione geometrica (geometrical spreading) e l assorbimento o smorzamento (adsorption o damping). Il primo effetto comporta una diminuzione d ampiezza delle onde sismiche dovuta alla ridistribuzione della loro energia su di un fronte d onda di superficie sempre più ampia al crescere della distanza dalla sorgente. La diminuzione di ampiezza avviene secondo un fattore 1/r, se il fronte d onda è assunto sferico (propagazione in un mezzo uniforme ed isotropo), oppure 1/ r se il fronte d onda è assunto cilindrico (mezzo stratificato e piano). La struttura sferica e stratificata della Terra complica la scelta dell esatto fattore di attenuazione per diffusione geometrica, tuttavia, per forti scuotimenti dovuti a terremoti vicini l incertezza sull esatta assunzione del fattore di attenuazione è secondaria. Il fenomeno dello smorzamento dipende dalla natura non perfettamente elastica del mezzo geologico che determina una perdita continua di energia durante la propagazione. L effetto è quello di una costante diminuzione nell ampiezza dell oscillazione, con la distanza, fino al completo smorzamento. L espressione che lega la diminuzione di ampiezza, dovuta allo smorzamento, in relazione alla 30

31 distanza percorsa dall onda sismica tra due posizioni successive r ed r 0 lungo la stessa direzione, ha la forma generica A( r) = A( r 0 ) e Q( r r 2 dove Q, definito Fattore di Qualità, caratterizza l assorbimento in funzione del tipo di onda sismica e del mezzo di propagazione. Q può essere definito come il tasso con cui l ampiezza delle onde sismiche diminuisce con la distanza percorsa. L effetto dell attenuazione, direttamente proporzionale alla frequenza di propagazione, è confermato da evidenze sperimentali che evidenziano un maggiore smorzamento delle onde sismiche che si propagano ad alta frequenza, con conseguente diminuzione degli effetti provocati. 0 ) La legge di attenuazione I fenomeni di attenuazione descritti nel paragrafo precedente e nell assunzione che la propagazione avvenga in una Terra immaginata come uno spazio omogeneo ed isotropo, possono essere sintetizzati nella relazione seguente Q ( r r0 ) 2 r0 A= KA0 e (2.2) r dove A è l ampiezza dell onda alla distanza r dalla sorgente, A 0 rappresenta l ampiezza dell onda in un punto fissato posto ad una distanza r 0 dalla sorgente, K è una costante che non dipende dalla distanza della sorgente. In forma logaritmica, l equazione (2.2) è la seguente Q ln A= ln A0 + ln( r0 K ) lnr ( r r0 ) (2.3) 2 Dalla definizione della magnitudo M (vedi eq. 2.0) si sa che * M = ln A0 ln A (2.4) Sostituendo la (2.4) nella (2.3) si ha che Q * Q ln A = M ln r r+ ln( Kr0 ) + ln A + r0 (2.5) 2 2 dove il termine fra parentesi quadre non dipende dalla distanza del punto considerato dalla sorgente o dall energia rilasciata. 31

32 L equazione (2.5) suggerisce che il logaritmo dell accelerazione di un onda, che si propaga in un mezzo isotropo, dipende linearmente dalla distanza r dalla sorgente, dal logaritmo di questa distanza e dalla magnitudo dell evento che l ha generata. In pratica, conoscendo la posizione della sorgente e la magnitudo del terremoto responsabile dello scuotimento sismico ad un dato sito, conoscendo Q e le costanti sperimentali che compaiono nella (2.5) sarebbe possibile prevedere il valore dell accelerazione prodotta dal terremoto. In generale, questi dati non sono disponibili per via teorica e devono essere determinati empiricamente a partire da osservazioni strumentali relative agli effetti di attenuazione effettivamente osservati. Le modalità di attenuazione descritte sopra rappresentano una semplificazione dei processi che avvengono effettivamente. In particolare, l eterogeneità del mezzo in cui si propagano le onde sismiche rende l attenuazione funzione del percorso effettivamente seguito dalle onde sismiche dalla sorgente al sito. È quindi ragionevole aspettarsi che terremoti provenienti da direzioni diverse o da terremoti con epicentro caratterizzato da profondità differenti possano raggiungere il sito con modalità differenti anche a parità di distanza Gli effetti di sito In occasione di molti terremoti si sono riscontrati danni di intensità inattesa in relazione alla distanza epicentrale e alla magnitudo del sisma. La causa è da attribuirsi alle particolari condizioni geomorfologiche del sito colpito capaci di amplificare lo scuotimento del suolo e quindi gli effetti distruttivi sulle strutture che sono poste sopra di esso. Questi effetti di sito possono risultare preponderanti rispetto agli altri parametri che determinano il valore del moto del suolo Gli effetti di risonanza La risposta sismica locale è definita come l insieme delle variazioni in ampiezza, durata e contenuto in frequenza, che un onda sismica subisce 32

33 attraversando gli strati di terreno sovrastanti una formazione rocciosa, posta ad una certa profondità nel sottosuolo, fino alla superficie. Queste variazioni possono comportare un amplificazione, come è il caso di una struttura geologica molto comune, costituta da una copertura sedimentaria di spessore variabile posta al di sopra di un basamento roccioso. Il fenomeno è provocato dalle differenti caratteristiche meccaniche della roccia e del terreno. Il rapporto tra l accelerazione misurabile sul suolo rispetto all accelerazione misurabile su roccia, se affiorasse nel medesimo sito, determina il fattore di amplificazione che solitamente è >1. È quindi frequente riscontrare i valori maggiori di accelerazione in presenza di copertura sedimentaria. Il fattore di amplificazione al sito non è costante, ma varia in funzione del contenuto in frequenza delle onde sismiche. Questo andamento, dipendente dalla frequenza, è descritto dalla funzione di amplificazione. Si avranno quindi frequenze di oscillazione particolari per cui le onde sismiche, passando dalla roccia alla copertura sedimentaria, daranno picchi di accelerazione del suolo molto elevati. La funzione di amplificazione è una grandezza importante che indica quali componenti spettrali delle onde sismiche sono state amplificate nel passaggio attraverso il terreno e quali sono state smorzate. La copertura sedimentaria agisce quindi come un filtro, amplificando l ampiezza del moto del suolo in corrispondenza di alcune frequenze e riducendola in corrispondenza di altre. Questo effetto è dovuto alla differenza di densità ρ e di velocità delle onde di taglio V S che esiste tra roccia e sedimento. Il prodotto ρv S definisce l impedenza del mezzo geologico rispetto alle onde sismiche. L interfaccia deposizionale (contatto netto tra roccia e sedimento) costituisce il contrasto d impedenza che è la condizione necessaria per permettere i fenomeni di intrappolamento e risonanza causa dell aumento locale dell ampiezza delle onde sismiche. Sinteticamente, il fenomeno si ha quando un onda S, assunta come sollecitazione armonica (a frequenza υ costante), colpisce dal basso l interfaccia roccia-sedimento, questo ultimo considerato con caratteristiche costitutive lineari. Il contrasto di impedenza tra roccia e sedimento intrappola l onda sismica nello spessore del deposito sedimentario determinando una serie di riflessioni multiple costruttive. Il risultato è un accrescimento dell ampiezza dell onda sismica e del conseguente scuotimento sismico del suolo. Il fenomeno è fondamentalmente regolato dal rapporto esistente tra le caratteristiche 33

34 geometriche della copertura sedimentaria (spessore H) e dal contenuto in frequenza dell onda sismica. Il rapporto V S /H determina le frequenze per cui la funzione di amplificazione raggiunge i massimi valori (nel caso teorico essa tende all ), queste frequenze sono definite frequenze naturali υ n = V S ( 2n 1) H 4 con n=1,2,3,,. La risposta di un deposito sedimentario ad un onda sismica risulta quindi fortemente influenzata dalla frequenza naturale υ n del deposito sedimentario. La situazione più pericolosa in termini di fenomeni di amplificazione si verifica quando la frequenza di eccitazione υ è pari ad una delle frequenze naturali di vibrazione dello strato υ n. Quando si verifica tale condizione (υ = υ n ) si parla di risonanza dello strato. Nella realtà il fenomeno è complicato dalle variazioni non lineari delle caratteristiche del terreno che modificano anche l'andamento delle onde sismiche. Il risultato è che la funzione di amplificazione dei terreni reali è molto complicata, dipendendo dalla combinazione di molti parametri Gli effetti di bordo in valli alluvionali Nel caso di valli alluvionali, oltre ai fenomeni citati precedentemente, è necessario considerare due ulteriori effetti legati alla geometria particolare della sezione valliva (effetti di bordo). Il primo effetto è quello della focalizzazione delle onde sismiche in aree prossime al bordo della valle a seguito dell interferenza costruttiva delle onde riflesse e rifratte. Il fenomeno è chiamato in causa in occasione di diversi eventi sismici per spiegare i danni localizzati lungo strisce di terreno poste al margine di valli alluvionali. Il secondo effetto è quello prodotto dall incidenza delle onde sismiche in corrispondenza dell interfaccia non orizzontale roccia-sedimento, al bordo della valle, che determina la generazione di onde di superficie aventi direzione di propagazione orizzontale e parallela alla superficie valliva. Le onde di superficie, così generate, in presenza di una marcata differenza di impedenza tra copertura sedimentaria e basamento roccioso, rimangono intrappolate all interno della valle e sono soggette a riflessioni multiple sui bordi della valle 34

35 stessa. Il loro moto è limitato soltanto dallo smorzamento del terreno. Il risultato è, anche in questo caso, un aumento degli effetti distruttivi provocati dall intensificazione dello scuotimento sismico del suolo. La caratteristica peculiare delle onde di superficie è rappresentata dalla loro durata, generalmente di decine di secondi, e dal lungo periodo di oscillazione. Queste peculiarità possono avere importanti ripercussioni da un punto di vista ingegneristico, in special modo nella definizione della vulnerabilità sismica di ponti, dighe, edifici di elevata altezza e di altre strutture caratterizzate da elevati periodi naturali di vibrazione (>0.5 s). Questi sono alcuni casi in cui sono possibili fenomeni di risonanza. Le valli alluvionali profonde (H/L>0.25, dove H è la profondità e L la semilarghezza della valle) sono caratterizzate da fenomeni di interazione tra onde di volume e di superficie decisamente più complessi rispetto a quelli delle valli superficiali (H/L<0.25). In entrambi i casi deve essere comunque sottolineato che le marcate differenze di risposta locale esistenti tra le diverse posizioni della valle possono determinare movimenti differenziali del terreno con rilevanti implicazioni applicative per la progettazione antisismica Gli effetti della topografia Oltre alle caratteristiche proprie delle diverse litologie, nelle condizioni di sito vanno annoverate anche le particolarità geomorfologiche dell area e della superficie topografica stessa. Gli effetti topografici spiegano l amplificazione locale delle ampiezze dei movimenti del suolo che a volte si riscontrano in presenza di cime, rilievi particolari, dorsali. In questi casi i fenomeni di risonanza ed amplificazione sono dovuti a forme del paesaggio che favoriscono riflessioni costruttive delle onde sismiche. L effetto è particolarmente efficace in presenza di creste rocciose. È questo uno dei casi, non sempre generalizzabile, in cui risulta una maggiore pericolosità sismica per costruzioni su roccia rispetto a quelle edificate su suolo. È stato notato che l amplificazione delle onde sismiche in presenza di cime è un fenomeno dipendente dalla frequenza e che i massimi effetti si hanno quando la lunghezza d onda della sollecitazione sismica è circa confrontabile con la 35

36 larghezza del rilievo. L effetto è più intenso per moti orizzontali. Alla base del rilievo si ha invece un attenuazione maggiore delle ampiezze determinando tra base e cima sensibili differenze di scuotimento. Le attuali conoscenze sugli effetti della topografia sono ancora molto limitate e per certi versi contraddittorie soprattutto per quanto riguarda la valutazione quantitativa di tali effetti. Le principali indicazioni ricavate da studi sperimentali e teorici riguardanti gli effetti topografici sono le seguenti: Alla sommità di un irregolarità topografica lo scuotimento sismico è amplificato rispetto a quello della base; Esiste una relazione tra i fenomeni di amplificazione alla sommità di un irregolarità topografica e le caratteristiche geometriche dell irregolarità stessa. In particolare, tali fenomeni si verificano quando la lunghezza dell onda sismica incidente è comparabile con la larghezza della base dell irregolarità. L entità dei fenomeni di amplificazione è correlata alla forma dell irregolarità topografica: maggiore è il fattore di forma H/L (i.e. rapporto tra altezza dell irregolarità H, rispetto alla base, e la semilarghezza L dell irregolarità), più elevata è l amplificazione alla sua sommità; Non esiste, invece, un accordo quantitativo tra i risultati delle modellazioni e le osservazioni sperimentali: generalmente i rapporti di amplificazione misurati sono molto maggiori di quelli teorici. In conclusione gli effetti topografici sono molto complessi, variano da caso a caso, e non sono stimabili accuratamente. Per queste ragioni gli effetti topografici sono di solito tralasciati nelle analisi di pericolosità sismica La liquefazione sismica del terreno Tra gli effetti più distruttivi dei terremoti si annoverano quelli causati dal fenomeno della liquefazione sismica del terreno. Questa è la causa dei danni più importanti alle strutture costruite secondo le normative antisismiche. La liquefazione lascia gli edifici intatti ma li fa vistosamente inclinare su di un fianco o lo fa sprofondare per buona parte nel terreno (si veda la foto nel frontespizio), fa emergere serbatoi di idrocarburi originariamente interrati, ecc. 36

37 La liquefazione sismica è un processo che altera le proprietà di resistenza meccanica del suolo rendendolo simile ad un fluido viscoso. Questa perdita di resistenza dei terreni saturi, posti cioè al di sotto del livello della falda acquifera, si ha in conseguenza di sollecitazioni meccaniche statiche o dinamiche. Ciò avviene solitamente nei depositi di sabbie sciolte fini (diametro dei clasti da 0.05 a 1.5 mm) sotto l azione di carichi applicati o forze idrodinamiche, indotte dalle onde sismiche, tali da provocare un aumento progressivo della pressione dell acqua che pervade i pori del sedimento. Quando questa pressione, detta interstiziale, uguaglia la pressione di confinamento (quella a cui è sottoposto un volume unitario di sedimento) la resistenza al taglio si riduce a zero ed il terreno perde ogni resistenza meccanica. L effetto finale prevede una compattazione del terreno dovuta ad una diminuzione del volume dei pori. Il fenomeno della liquefazione è direttamente controllato dalla granulometria del sedimento interessato dalla sollecitazione sismica. La dimensione delle particelle ha un duplice effetto, il primo è quello di determinare il tipo di forze che le legano le une alle altre, il secondo è quello di definire la dimensione dei pori del sedimento e quindi la sua capacità drenante. La classe granulometrica dei sedimenti suscettibili di liquefazione (diametro dei clasti da 0.05 a 1.5 mm) è correlabile alle dimensioni massime dei granuli tali da rendere ininfluenti le cariche elettrostatiche superficiali che determinano la coesività dei terreni coerenti. Il fenomeno è tipico delle argille che sono composte da frammenti di minerali argillosi di dimensioni inferiori ai mm (4 µm). Le caratteristiche cristallografiche dei minerali che compongono le argille (smectiti, illiti, montmorilloniti, ecc.) determinano uno spaiamento delle cariche elettriche sulla superficie delle particelle che, in ossequio alle leggi dell'elettrostatica, sono in grado di produrre una attrazione elettrostatica. È questa forza che conferisce alle argille la sua caratteristica "adesività", proprietà che invece non è posseduta dalle sabbie (diametro dei clasti maggiori di 0.06 mm) la cui unica forza che lega un granulo all'altro è quella d'attrito. I sedimenti di questo tipo sono definiti incoerenti. Il legame elettrostatico, dipendendo dal quadrato della distanza tra due particelle, diminuisce molto rapidamente se queste vengono allontanate (ad esempio un raddoppio della distanza comporta un indebolimento di quattro volte della forza elettrostatica del legame). L'allontanamento delle particelle può essere provocato da un aumento della 37

38 pressione dell'acqua interstiziale che pervade i sedimenti saturi. La sollecitazione sismica è spesso la causa della sovrappressione. L eliminazione della sovrappressione interstiziale è regolata anch essa dalla dimensione dei clasti. Granuli di dimensioni maggiori, lasciando spazi vuoti più grandi anche se in minore numero per unità di volume, favoriscono una maggiore velocità di drenaggio e quindi una più rapida eliminazione della sovrappressione. In questo modo, la resistenza al taglio del sedimento, pur abbassandosi, non arriva ad annullarsi e non porta quindi alla liquefazione del sedimento. Pertanto le granulometrie corrispondenti alle ghiaie (clasti centimetrici) non danno luogo a liquefazione perché la sovrappressione di origine sismica è immediatamente dissipata per le dimensioni centimetriche dei pori. All estremo opposto, nelle argille non si ha liquefazione perché le dimensioni micrometriche dei pori determinano una permeabilità così bassa che la sovrappressione non ha il tempo di diffondersi nell intero sedimento sedimento. I terreni più suscettibili di liquefazione sono quindi quelli incoerenti in cui la resistenza alla deformazione è dovuta principalmente all'attrito tra i clasti. Nei depositi incoerenti saturi esistono tre meccanismi di liquefazione: a) Liquefazione per filtrazione. Il terreno diventa instabile per la variazione dei livelli di falda che provocano filtrazione di acqua dal basso. Il fenomeno è legato ad un gradiente idraulico. Si ha in dighe in terra e argini; è un fenomeno diverso da quello che si ha in condizioni sismiche per effetto di sollecitazioni cicliche. b) Liquefazione per effetto di carichi monotòni crescenti. La liquefazione si ha per deformazioni volumetriche date da contrazioni dello scheletro solido dei terreni incoerenti saturi ad elevata porosità iniziale, sotto l azione di carichi crescenti in condizioni non drenate (la pressione interstiziale non può liberarsi). c) liquefazione per effetto di carichi ciclici. È dovuta alla tendenza delle sabbie a contrarsi sotto l effetto delle vibrazioni. È il fenomeno più complesso per il numero elevato di fattori che lo governano. Sotto carichi ciclici la liquefazione può essere una condizione temporanea, seguita da un recupero di resistenza, ma anche una condizione finale caratterizzata da deformazione illimitata che comporta una totale perdita di capacità portante del terreno. 38

39 La liquefazione può essere prodotta da sforzi ciclici completamente o parzialmente alternati, prodotti da forze ad andamento regolare continuo o irregolare (artificiali), più o meno prolungate nel tempo, o da carichi transitori quali esplosioni o terremoti. Partendo dalla constatazione che le sabbie soggette a vibrazioni tendono a compattarsi, un sedimento in condizioni non drenate, sottoposto a sollecitazioni cicliche per un tempo sufficiente, determinerà una competizione tra due processi che comportano rispettivamente uno la tendenza a ridurre il volume totale del sedimento e uno a produrre una dilatazione dello scheletro solido del medesimo. Questi processi avvengono in modo alternato fino a che la pressione efficace non si annulla azzerando la resistenza al taglio. Quando ciò avviene il mezzo si comporterà come un fluido dando luogo a grandi deformazioni. L ultima fase del processo prevede una compattazione finale e l assunzione di una struttura più stabile. Un fattore determinante per il verificarsi o meno della liquefazione è la durata della sollecitazione sismica. I fenomeni che innescano il processo non sono istantanei, l annullamento della resistenza al taglio si ha se la durata della sollecitazione è tale da superare la capacità della porosità del terreno di dissipare l incremento di pressione interstiziale. Perciò, la liquefazione può avvenire solo se la sollecitazione sismica ha una certa durata. La rapida diminuzione della resistenza al taglio del suolo, che si ha nel processo di liquefazione, può essere innescata da un altrettanto rapido cambiamento della frequenza di oscillazione delle onde sismiche. In questo caso è il passaggio da onde di breve periodo ed alta frequenza ad onde di lungo periodo e bassa frequenza che rende il terreno simile ad un fluido, la transizione è nettamente non lineare. L esposizione dei siti alla liquefazione è strettamente correlabile all età del deposito: terreni di fondovalle recenti, paludi, zone deltizie e costali, meandri di fiumi, riempimenti detritici, ecc. sono i terreni più esposti, mentre la liquefazione non è stata osservata in aree alluvionali antiche. Spesso la liquefazione si ripete nei siti dove già si era verificata in passato anche con effetti maggiori. In sintesi, si ha liquefazione nei seguenti casi: In pianura il fenomeno diventa importante per terremoti di magnitudo maggiore a 6.0, con durata delle onde sismiche di almeno 15 s e accelerazioni del suolo maggiori di 0.10g; 39

40 In depositi di delta fluviali e marini recenti, terreni di diporto, sedimenti secondari con falda superficiale, vecchie paludi, vecchi meandri di fiume, costituiti da materiali granulari fini, saturi, non consolidati, con densità medio-bassa, con granulometria uniforme, tipicamente sabbie grossolane-fini e limi (diametro clasti da 0.05 a 1.5 mm); Negli strati più superficiali, poiché la liquefazione difficilmente interessa profondità superiori a m; In presenza di basse percentuali di argilla o ghiaia. Percentuali alte, determinando rispettivamente un certo grado di cementazione tra i clasti e un aumento delle dimensioni dei pori, limitano la suscettibilità alla liquefazione dei depositi sedimentari; In assenza di strati superficiali non liquefacibili che, se di spessore maggiore 3m, possono contrastare la liquefazione degli strati. In un sito le liquefazioni possono essere ripetute e l effetto di densificazione non sempre è sufficiente ad impedire il ripetersi del fenomeno. 40

41 3. La Pericolosità sismica 3.1 Introduzione: le metodologie per la stima della pericolosità sismica La pericolosità sismica, definita come la probabilità che, in un determinato intervallo di tempo (detto di esposizione), si verifichi in un dato luogo un terremoto capace di causare danni, può essere valutata sia sulla base di metodi deterministici sia mediante approcci di tipo statistico/probabilistico. Il primo tipo di approccio tenta di definire la pericolosità sismica a partire da una modellazione qualitativa del processo sismogenetico. Per essere efficace questo tipo di approccio necessita di una notevole mole di informazioni affidabili circa le caratteristiche delle sorgenti sismiche, dei processi di propagazione dell energia e sulle presenze di possibili effetti di sito. Attualmente, a causa di un incompleta caratterizzazione dei processi fisici all origine dei terremoti, i metodi deterministici trovano scarsa applicazione. Alla base delle tecniche statistiche è la teoria della probabilità che trova applicazione laddove il fenomeno studiato (in questo caso la sismicità) abbia un andamento non prevedibile sulla base delle variabili che lo caratterizzano. Essendo in grado di tenere conto delle incertezze derivanti da un incompleta conoscenza del processo sismico, i metodi statistici risultano di gran lunga quelli più utilizzati a scala mondiale. 3.2 L approccio deterministico L Analisi Deterministica parte dalla previsione dei singoli eventi per stimare la pericolosità sismica sul territorio. Un esempio dei risultati di un analisi deterministica è il seguente: il massimo terremoto atteso al sito X sarà caratterizzato da un accelerazione di picco del suolo di 0.5g come effetto di un sisma di magnitudo 6.5 con sorgente localizzata nella faglia Y distante 10 Km 41

42 dal sito di studio. Occorre quindi prevedere la sorgente sismica (faglia Y), l energia rilasciata dal terremoto massimo che essa può produrre nel tempo di esposizione (magnitudo 6.5) e lo scuotimento del suolo, in termini di accelerazione di picco, considerando l attenuazione determinata dai 10 Km di crosta che separano la faglia Y dal sito X. Il procedimento può essere sintetizzato nei seguenti passaggi: I. Definizione delle sorgenti sismiche. Sono considerate tali le strutture geologiche potenzialmente sismogenetiche e definite in termini di faglie, oppure, in mancanza di precise informazioni, come zone di varia estensione areale. Le sorgenti possono quindi essere approssimate come punti, linee o volumi secondo la precisione decrescente con cui è possibile definirle. II. Identificazione del potenziale di ogni sorgente. Questo è definito in termini di massimo terremoto atteso (o terremoto di progetto) e cioè del terremoto più forte plausibilmente associabile ad una data sorgente sismica nel tempo di esposizione. III. Quantificazione delle sollecitazioni del terremoto. Espresse di solito in termini di accelerazione attesa attraverso la definizione di funzioni di attenuazione con cui riportare al sito le sollecitazioni che si producono alla sorgente La caratterizzazione delle strutture sismogenetiche Assodato che i terremoti sono generati dalle faglie, non sempre è possibile identificare con sicurezza quali faglie siano in grado di generarne e quali no. Per ovviare alla mancanza di informazione sulle singole, si considerano le strutture composte da più faglie pericolose. Sono definite strutture localizzate quelle in cui sono chiaramente individuabili le faglie responsabili di terremoti. Una zona sismogenetica è invece definita come un area in cui non sono palesemente individuabili faglie attive o strutture localizzate, e in cui il potenziale sismogenetico si assume distribuito uniformemente su tutta l area. 42

43 Le Strutture localizzate Il primo passo di un analisi deterministica prevede il riconoscimento e la localizzazione delle sorgenti sismiche. Il riconoscimento delle strutture di faglia o degli indizi della loro presenza avviene di solito con i seguenti criteri: I. Evidenze direttamente osservabili di superfici e indicatori di frattura; come specchi di faglia, strie di frizione, breccia di faglia, ecc. II. Evidenze geologiche del movimento relativo dei due lembi di faglia; come discontinuità o troncature di strati, contatti discordanti tra unità stratigrafiche diverse o coeve. III. Evidenze topografiche o geomorfologiche; come presenza di scarpate, deformazioni del suolo o cambiamenti nella morfologia del paesaggio. IV. Strutture geologiche secondarie; come variazioni nel livello della falda freatica, variazioni dei parametri geochimici, allineamento di sorgenti calde. V. Lineamenti individuati con tecniche di telerilevamento; che possono essere suggerite dalle strutture lineari individuabili da foto aeree o da satellite. VI. Indicatori geofisici di superfici di faglia; e cioè anomalie di gravità, geomagnetiche, geoelettriche o cambiamenti repentini nelle velocità di propagazione delle onde sismiche. VII. Indicatori geodetici; e cioè movimenti relativi di capisaldi o rotazioni anomale del suolo. VIII. Sismicità; e cioè allineamento degli epicentri o distribuzione planare degli ipocentri. Accertata l esistenza della faglia questa deve essere identificata come attiva e cioè ancora in grado di produrre terremoti. In quest ultimo caso la faglia può essere definita faglia pericolosa se esibisce le seguenti caratteristiche: 1) Movimenti della stessa negli ultimi anni o movimenti di natura ricorrente negli ultimi anni. 2) Sismicità, determinata per via strumentale direttamente correlabile ad essa. 3) Relazioni geofisico-strutturali con faglie che soddisfano le caratteristiche 1) e 2). 43

44 Esistono diversi stadi intermedi tra lo stato attivo e inattivo di una faglia. Questi sono: attività potenziale, attività incerta, attività provvisoria e inattività provvisoria. L unica categoria di faglie tralasciata nell analisi di pericolosità, perché non considerata fonte di rischio, è quella delle faglie inattive. Un importante parametro che lega la sismicità e lo stato di attività di una faglia è il tempo medio di ritorno, definito come l intervallo medio tra il ripetersi di due eventi di data grandezza nella medesima faglia. Molto spesso la lunghezza di questo intervallo è subordinata alla disponibilità di dati storici. Un aiuto nella ricerca di eventi sempre più addietro nel tempo è fornito dalla paleosismica. Evidenze geologiche di terremoti passati possono essere forniti dal riconoscimento di particolari depositi sabbiosi associabili a fenomeni di liquefazione del terreno La zona sismogenetica L estensione di una zona sismogenetica è definita in base ad una concentrazione di terremoti collegabili ad un medesimo raggruppamento (cluster) rispetto alle regioni circostanti. Ad ogni punto della zona sismogenetica è assegnata la medesima capacità di generare terremoti. Ogni individuazione di strutture localizzate diminuisce l equipotenzialità della provincia a favore della localizzazione di potenziali sorgenti. Normalmente le zone sismogenetiche sono individuate nelle regioni situate tra le principali strutture tettoniche. Le zone sismogenetiche sono definite in base ai seguenti tipi di dati: Geologici; e cioè dalle carte geologiche, nonché dalla lettura della geomorfologia dell area di studio, da cui è possibile risalire alla storia geologica che ha portato all attuale assetto regionale. Tettonici; e cioè dall assetto strutturale dell area di studio, raccogliendo i terremoti accomunati dalla stessa area di origine e da meccanismi focali compatibili. Particolare peso è dato alle strutture legate alla neotettonica, e cioè prodotte dai terremoti più recenti. Geofisici; che forniscono informazione sulla struttura del sottosuolo a diversi Km di profondità. Le anomalie di gravità, legate a contrasti di densità e concentrazioni di massa, evidenziano le strutture di maggiori dimensioni. Le 44

45 anomalie magnetiche, segnalando la presenza di corpi rocciosi di diversa proprietà magnetica rispetto a quelle della roccia incassante, evidenziano possibili contatti tra rocce di diverso tipo, come spesso avviene tra i due lembi di faglia. Le misure geodetiche possono indicare variazioni di quote topografiche o di posizioni di capisaldi in seguito al movimento di strutture sismogenetiche non superficiali. Gli strumenti principali per l individuazione di strutture profonde nelle provincie sismotettoniche sono la propagazione sismica a rifrazione e quella a riflessione che permettono di identificare forme e dimensioni delle strutture subcrostali e quindi anche delle faglie pericolose. Campi di sforzo. Una tecnica recente, da misure in pozzo, permette di quantificare direttamente il campo di sforzo in termini di intensità e direzione. Questi dati permettono di stimare il tasso con cui l energia elastica si accumula e sul come verrà liberata. Sismici; e cioè le registrazioni storiche e strumentali della sismicità che permettono di delimitare i confini delle zone sismogenetiche Il terremoto massimo atteso Definite le sorgenti sismiche, lo schema dell analisi deterministica (par. 3.2) prevede la definizione del terremoto di progetto, o massimo terremoto atteso. In questa fase si stima la grandezza del massimo terremoto associabile ad ogni faglia, struttura localizzata o provincia sismotettonica attiva. Il massimo terremoto che descrive più appropriatamente il potenziale sismico di una sorgente sismica può essere definito in diversi modi: Il massimo terremoto possibile, che definisce il limite superiore dell energia che la struttura può rilasciare in un terremoto, determinato in base alla tipologia della sorgente sismica. Rappresenta il parametro maggiormente utilizzato nelle analisi deterministiche. Il massimo terremoto credibile, che viene utilizzato quando le conoscenze sulle caratteristiche della sorgente permettono una migliore definizione del più grande evento ad essa associabile. Suoi sinonimi sono massimo terremoto atteso o massimo terremoto probabile. 45

46 Il massimo terremoto storico, che è applicabile quando si ha a disposizione un numero di dati storici sufficiente. Costituisce il limite inferiore della dimensione del terremoto atteso associabile alla sorgente sismica. La stessa fisica della sorgente sismica può fornire un indicazione sulla stima del massimo terremoto. Ricordando la definizione del momento sismico (eq. 2.1) ed il modello di faglia di Brune (par ), la magnitudo M di un terremoto può essere correlata alle dimensioni della faglia secondo la seguente equazione 16 M = 7 2 Φ 2 σ dove Φ è il raggio della faglia supposta circolare, σ è lo stress drop, e cioè la 2 caduta di sforzo durante il sisma. Dall equazione si può dedurre che, a parità di σ, più è grande la faglia maggiore è il momento sismico associato e l energia liberata nel terremoto. Per situazioni geometricamente più complesse è necessario ricorrere a relazioni di tipo empirico che mettono in relazione le caratteristiche geometriche delle strutture attive, come lunghezza e movimento relativo dei lembi di faglia, con il momento sismico del terremoto massimo. L estensione di una struttura sismogenetica viene efficacemente stimata dall estensione delle repliche (aftershock), che sono i terremoti che seguono l evento principale (mainshock) erroneamente definite scosse d assestamento. Le repliche sono ritenute responsabili della liberazione d energia non completamente rilasciata dall evento sismico principale e la loro posizione definisce al meglio l estensione areale della superficie di frattura. La ripetizione, nella stessa faglia, di eventi di intensità confrontabile con il massimo terremoto definiscono il terremoto caratteristico. La stima del massimo terremoto può essere fatta utilizzando le seguenti caratteristiche geometriche delle faglie: Lunghezza in affioramento. Da questa è possibile ricavare la magnitudo attesa tramite un equazione empirica. Le difficoltà vengono dalla ricostruzione della lunghezza totale di faglia come sommatoria di più segmenti la cui attribuzione al medesimo evento non è sempre certa e 46

47 condizionata da variabili geometriche, meccaniche e di isotropia delle caratteristiche della roccia. Area di frattura. L area della superficie di frattura, direttamente correlabile al momento sismico, è legata alla magnitudo del terremoto. Mentre la lunghezza è stimabile, quando possibile, direttamente sul terreno, la larghezza può essere assunta dai valori determinati per terremoti simili della medesima regione. Una relazione valida in molti contesti tettonici è la seguente: log s r = Mˆ (M>5.6) dove Mˆ è la magnitudo stimata e s r è l area di rottura in Km 2. Rigetto o spostamento. Lo spostamento relativo tra i due lembi della faglia rappresenta un altro fattore direttamente correlato al momento sismico di un terremoto. Il massimo rigetto osservabile in superficie viene assunto come lo spostamento medio associato all equazione del momento sismico (eq. 2.1) con un intervallo d incertezza del 30-50%. Importante è il riconoscimento del tipo di faglia e del movimento relativo dei due lembi (letto e tetto). Tasso di spostamento. È la velocità con cui si muove una faglia, normalmente espressa come media annua. Viene determinato misurando il movimento totale lungo la faglia e dividendolo per il tempo impiegato a percorrerlo. In questo modo si mediano i movimenti lenti (asismici), e quelli rapidi (sismici) che potrebbero costituire la parte preponderante dello spostamento totale. Si assume che faglie ad alto tasso di spostamento implichino un alta sismicità La determinazione dello scuotimento sismico atteso La stima dei movimenti sismici del suolo, per gli scopi dell analisi di pericolosità sismica, deve essere effettuata con tecniche semplici che si prestino ad essere applicate in contesti differenti anche in assenza di informazioni dettagliate sul processo sismogenetico e sulle modalità di propagazione dell energia sismica, ma sostenute da basi teoriche o empiriche valide. In generale, questo problema può essere affrontato partendo dalla modellazione 47

48 fisica del processo di propagazione, basato su di una parametrizzazione più o meno completa del processo fisico, oppure su base empirica a partire dai dati osservati L approccio teorico Esistono due tipi di modellazione teorica del moto sismico del suolo: la modellazione dinamica e la modellazione cinematica. I modelli dinamici si basano sulla definizione delle forze fisiche, tettoniche o meno, che creano i regimi di sforzo e di attrito sulle superfici di frattura. Per descrivere questi regimi vengono utilizzate equazioni matematiche. I modelli cinematici non considerano lo stato di sforzo ma le condizioni statiche iniziali (la posizione e l orientamento) del processo di propagazione della superficie di rottura (dislocazione). Il moto sismico della superficie è conseguenza diretta della dislocazione. Un modello cinematico molto semplice (diverso da quello di Brune precedentemente esposto par ), assumendo una dislocazione uniforme che si propaga a velocità di rottura costante lungo una superficie di faglia rettangolare, è in grado di fornire dati del moto del suolo confrontabili con quelli misurati direttamente in regime di campo lontano. I modelli cinematici, apparentemente semplicistici nelle assunzioni di partenza, richiedono strumenti matematici tutt altro che banali per ottenere lo spostamento finale della dislocazione dalle funzioni di scorrimento (slip function). Queste funzioni, a partire dalle condizioni iniziali, descrivono le modalità di spostamento delle diverse porzioni della superficie di faglia. Per entrambe le procedure di modellazione, il calcolo dello scuotimento sismico al sito viene effettuato mediante l applicazione delle funzioni di Green, funzioni che rappresentano in modo quantitativo le modalità di propagazione dell onda sismica a partire dalle caratteristiche strutturali del substrato interessato. Il principale limite dell approccio teorico è la quantità di informazioni (geometria della sorgente, modalità di propagazione della frattura, caratteristiche strutturali del mezzo fra la sorgente ed il sito, ecc.) che è necessario fornire al modello per la previsione dello scuotimento sismico atteso. Inoltre, quanto più si 48

49 è interessati alle componenti in alta frequenza dello scuotimento sismico (ad esempio per riprodurre il regime di campo vicino dello scuotimento) tanto più dettagliate devono essere le conoscenze sui valori assunti dai vari parametri fisici che influenzano il processo. Queste informazioni sono invece, per lo più, ignote L approccio empirico Seguendo questo approccio, si rinuncia alla caratterizzazione dettagliata del processo sismico e si tenta di valutare, su base esclusivamente empirica e utilizzando leggi fenomenologiche, lo scuotimento sismico atteso partendo da un numero di parametri fisici assai ristretto e che è possibile misurare. La base di partenza di questo genere di approcci è la relazione (3.1) che lega il logaritmo dell accelerazione â, attesa al sito, alla magnitudo dell evento sismico (che rappresenta in qualche modo l energia rilasciata alla sorgente) e alla distanza del sito dalla sorgente. Come si è detto, questa relazione vale rigorosamente solo nel caso ideale di una Terra isotropa. Più in generale si può presumere che la forma funzionale f che lega i diversi parametri all accelerazione attesa â abbia una generica forma del tipo ln â =f( M, r, ln r, Γ ) (3.1) dove r è la distanza dalla sorgente, M è la magnitudo e Γ è un parametro rappresentativo degli effetti di sito. f è in genere non lineare ed incognita. Utilizzando però la formula di Taylor troncata al secondo ordine, la funzione generica f può essere rappresentata nella forma: ) ln a ˆ= a + a M+ a M + a r+ a r + a ln r+ a (ln r + a Γ + a Γ +ε (3.2) Le 9 costanti a j che compaiono nella (3.2), che rappresentano le derivate parziali ed il termine noto, non possono essere calcolate direttamente dato che la forma funzionale f è ignota. Questi parametri possono tuttavia essere stimati per via empirica individuando i valori tra quelli che permettono di riprodurre le accelerazioni effettivamente misurate, nota la distanza della sorgente dal punto di misura, la magnitudo e il parametro di sito. È l analisi statistica (detta di regressione) a mettere eventualmente in evidenza la possibilità di ridurre la complessità dell equazione eliminando questa o quella variabile indipendente. Il

50 termine ε rappresenta il resto dell approssimazione di Taylor ed in termini statistici può essere visto come l incertezza associata alla stima dell accelerazione mediante la relazione empirica. La qualità dei risultati finali è condizionata dalle limitazioni del campione dei dati disponibili per l analisi di regressione e dalle incertezze sui valori sperimentali relativi alle variabili indipendenti: sorgente, percorsi di propagazione delle onde sismiche e condizioni locali del sito. Il parametro dimensione della sorgente è espresso dalla Magnitudo M ed è importante scegliere la scala più adatta in relazione alla disponibilità locale di dati e al fenomeno della saturazione. Tutt altro che semplice è la scelta della variabile indipendente r, cioè la distanza sito-sorgente. Questa può essere misurata dall ipocentro, dall epicentro, dalla zona di massima concentrazione di sforzi della faglia (asperità), dal punto più superficiale del piano di rottura o dalla proiezione di questo sulla superficie topografica se la faglia non affiora. Normalmente si considera come riferimento il punto appartenente alla struttura sismogenetica considerata più vicino al sito in studio. Spesso questo punto di riferimento si trova al limite tra la copertura sedimentaria ed il basamento cristallino sottostante. Nel caso in cui sito e sorgente siano molto distanti, la scelta di dove misurare la loro distanza genera un errore relativo trascurabile. Come si è detto, il termine Γ è legato alle condizioni di sito. La classificazione del substrato geologico, al di sotto del sito in studio, si limita spesso alla distinzione fra la presenza di roccia o suolo. Nel migliore dei casi si distingue ulteriormente fra depositi alluvionali profondi o superficiali. La distinzione può essere eseguita secondo criteri geologici, in base alla lettura delle carte geologiche della zona o con un rilevamento sul campo, oppure seguendo criteri geotecnici che definiscono roccia una litologia in cui le onde S si propagano con velocità maggiore di 825 m/s. Le caratteristiche di propagazione delle diverse unità litologiche, variabili anche in relazione alla forma geologica del corpo, influenzano direttamente i picchi di accelerazione già a partire dalle misure accelerometriche. Il non considerare queste variazioni locali conduce a risultati inaccurati in quanto picchi anomali possono essere direttamente correlati con una particolare litologia al di sotto del sito di misura. Sperimentalmente si è rilevato che, in presenza di spessori di suolo variabili tra i dieci e venti metri, si riscontrano i maggiori valori nei picchi di accelerazione e 50

51 velocità. Questi picchi sono particolarmente elevati alle basse frequenze dove gli effetti di smorzamento sono minimi. Un approccio alternativo all uso del parametro Γ nella legge di attenuazione è quello di utilizzare questa senza il parametro di sito per una stima dell accelerazione di picco. Questa, viene poi utilizzata come fattore di scala applicato a spettri di risposta standard validi per le diverse configurazioni strutturali al di sotto del sito di interesse. I parametri dedotti dall analisi empirica risultano dipendenti dal tipo di faglia coinvolta e dal contesto tettonico in cui essa si trova. Si osserva, normalmente, che in regime tettonico compressivo i picchi di accelerazione sismica sono tripli, mentre quelli di velocità doppi, rispetto ai corrispondenti valori riscontrabili in un regime tettonico distensivo. Nella parametrizzazione empirica dell equazione (3.1) è importante specificare se i dati di moto del suolo sono correlati con accelerazioni orizzontali o verticali in quanto i picchi raggiunti nelle tre direzioni spaziali possono essere molto differenti. Anche se l approccio empirico appare invitante, in realtà presenta dei seri limiti. Innanzi tutto, nonostante il suo carattere lineare, la funzione empirica (3.1) risulta di difficile parametrizzazione a causa di una serie di fenomeni statistici che rendono numericamente assai instabili i risultati della regressione. Infatti, l analisi condotta da diversi autori su banche dati differenti ha prodotto stime assai differenti dei parametri presenti nella relazione. Risulta poi assai difficile la valutazione del livello di incertezza associato alle stime fornite a causa della particolare distribuzione dei residui. In generale, abbastanza ottimisticamente, le relazioni empiriche tipo la (3.1) sono considerate attendibili in presenza di terremoti di magnitudo 5.0 e distanti meno di 50 Km, comunque in condizioni di campo vicino Gli approcci misti Le conoscenze incomplete delle proprietà locali d attenuazione, della distribuzione dell entità di scuotimento e di altri parametri, possono essere migliorati con un approccio che, utilizzando i dati disponibili, sopperisca con la 51

52 modellizzazione teorica a quelli mancanti. Questa combinazione deterministica di metodi empirici e simulazioni numeriche, definiti metodi misti, tenta di sopperire all inapplicabilità del metodo deterministico puro. Il metodo semi-teorico è il più semplice. A parità di parametri (magnitudo, distanza sorgente-sito, effetti locali, ecc.), la stima del moto del suolo viene fatta considerando i valori di smorzamento che riproducono in modo più attendibile gli scuotimenti registrati in passato nell area in esame. È stato proposto anche un approccio semi-empirico. Partendo da una sorgente di riferimento semplificata, pertanto modellizzabile analiticamente, vengono sviluppate relazioni empiriche che quantificano il picco del moto del suolo in funzione della magnitudo e della distanza. Per l applicazione di questo approccio si devono avere informazioni sui parametri d attenuazione da calibrare in funzione dell entità di scuotimento risentiti nell area di studio. Il più potente approccio misto per stimare il moto sismico del suolo è chiamato a vibrazione casuale (random vibration), detto anche metodo stocastico (stochastic method). La tecnica si basa sulla constatazione che la maggior parte di un accelerogramma mostra una distribuzione pressoché casuale dei picchi di massimo scuotimento associabili agli arrivi delle onde S. In pratica il metodo parte da un segnale casuale (rumore bianco) che viene modificato mediante un filtro numerico definito a partire da un modello di faglia. Utilizzando questa tecnica è possibile generare segnali casuali con le stesse caratteristiche spettrali di un segnale sismico. In questo modo possono essere generati a piacere terremoti artificiali per ciascuno dei quali è possibile calcolare la massima accelerazione. Ripetendo le simulazioni è possibile valutare le frequenze relative dei diversi valori di picco e valutare quale sia il valore più attendibile. Per la loro diretta dipendenza dai parametri fisici che condizionano i fenomeni di propagazione delle onde sismiche, i metodi stocastici di questo tipo sono molto considerati. Il loro limite principale è legato alla necessità di conoscere diversi dettagli della sorgente sismica in mancanza dei quali diventa molto difficile ottenere risultati attendibili. 52

53 3.2.4 I vantaggi ed i limiti dell approccio deterministico Nei precedenti paragrafi sono state evidenziate le difficoltà connesse alla stima dello scuotimento sismico atteso. Questo parametro costituisce in realtà solo un elemento del processo di definizione della pericolosità sismica. In particolare, la valutazione dello scuotimento assume nota l occorrenza di un evento sismico con caratteristiche e geometria definite. In generale, sebbene sia possibile formulare diverse ipotesi sul terremoto atteso, le caratteristiche di quest ultimo risultano ignote. È quindi necessario valutare la probabilità che uno dei possibili eventi sismici, capaci di produrre danni al sito di interesse, si verifichi durante il tempo di esposizione. Una stima di questo tipo richiede una conoscenza dettagliata delle possibili sorgenti sismiche, delle sollecitazioni a cui esse sono sottoposte, della loro storia deformativa, ecc. In generale, queste conoscenze non sono disponibili per i siti di interesse. Queste incertezze si sommano a quelle elencate relative alla valutazione dello scuotimento sismico. In pratica ogni elemento che entra nell analisi di rischio sismico è inevitabilmente affetto da un incertezza. Nella definizione delle sorgenti sismiche, coinvolte nello studio, gli approcci possibili per ovviare le incertezze possono essere di tipo conservativo, optando cioè per il peggiore scenario sismico prevedibile o con un approccio che si basi solo sulle informazioni evidenti e sicure ricavabili sperimentalmente. La prima procedura fornisce risultati privi di ambiguità, come richiesto da chi deve poi prendere decisioni pratiche, ma può condurre anche a risultati inutilizzabili. Questo perché le soluzioni, derivanti dall utilizzo del peggiore evento possibile, spesso non sono applicabili per i costi eccessivi. Il secondo approccio che dà maggior peso ai dati sicuri o verificabili, è più scientifico e razionale, ma è limitato dallo stato delle conoscenze. Tra gli svantaggi del metodo deterministico vi è quello di non considerare esplicitamente i margini d errore che tutti i dati e parametri utilizzati immancabilmente possiedono. Queste incertezze colpiscono particolarmente la stima della magnitudo del massimo terremoto e la stima del moto sismico del suolo. Un altro svantaggio del metodo deterministico è che la distribuzione nel tempo dei terremoti non è esplicitamente considerata. La pericolosità assegnata dall analisi deterministica a due aree sismogeniche è uguale, a parità di 53

54 magnitudo del massimo terremoto possibile, anche se i tempi medi di ritorno sono molto diversi. Il principale vantaggio di un analisi deterministica basata sulla descrizione dei peggiori scenari sismici prevedibili, è quello di fornire i parametri fisici che li descrivono, dando risultati direttamente interpretabili e utilizzabili nelle applicazioni ingegneristiche. 54

55 3.3 L approccio probabilistico Aspetti generali Il risultato dell analisi probabilistica di pericolosità sismica non è la singola descrizione del peggiore scenario possibile, come nell approccio deterministico, ma la probabilità che si verifichi lo scenario corrispondente ad intensità variabili da una minima sino alla massima possibile. La probabilità assegnata ad ogni intensità o magnitudo, ritenuta possibile per il sito in studio, diventa un parametro fondamentale nell approccio probabilistico, a differenza del metodo deterministico che considera solo l evento più sfavorevole. In questo modo è possibile definire il valore di soglia del parametro di scuotimento (accelerazione, velocità o massimo spostamento del suolo) ritenuto probabile e su questa base, a partire dalle stime di vulnerabilità ed esposizione, si potranno sostenere le scelte dei provvedimenti e delle soluzioni da adottare sul territorio studiato. La premessa essenziale di ogni approccio probabilistico alla pericolosità è l assunzione che la storia sismica passata, ovvero la successione degli eventi sismici di cui si ha notizia, possa essere utilizzata per caratterizzare la sismicità futura nell area di interesse. Questo equivale ad assumere che il processo sismogenetico è stazionario, ovvero, che sia possibile caratterizzarlo mediante una parametrizzazione di tipo statistico che rimane invariata nel tempo. In questo genere di analisi quindi, i cataloghi sismici giocano un ruolo essenziale e comunque assai maggiore di quello relativo alle conoscenze circa le proprietà fisiche del processo sismogenetico. La forma più comune con cui sono presentati i risultati dell analisi probabilistica della pericolosità sismica è l insieme delle curve di probabilità di eccedenza. Queste curve rappresentano le probabilità associate al superamento di un determinato livello di scuotimento sismico, esprimibile con diversi parametri (si veda il par ), nell intervallo di esposizione. Da queste curve è possibile dedurre lo scuotimento atteso, che è rappresento dal valore dello scuotimento che ha una probabilità di essere superata inferiore al 10% durante il tempo di esposizione (di solito 50 anni). Nelle mappe di pericolosità sono riportati solitamente i valori dello scuotimento atteso relativi alle diverse località di una regione. 55

56 3.3.2 La sismicità La base di ogni analisi di pericolosità sismica è il concetto di sismicità, definita come la distribuzione dei terremoti nel tempo e nello spazio. La sismicità di un area, definita dal numero totale di terremoti di ogni dimensione, può essere definita dal numero di eventi di una determinata intensità, considerando ad esempio solo il numero dei terremoti più distruttivi che sono avvenuti in un preciso periodo di tempo. Quindi, l espressione alta sismicità deve specificare a quali parametri si riferisce per non generare ambiguità La sismicità strumentale Lo scopo principale delle reti sismiche è quello di individuare e localizzare i terremoti. Il processo richiede stime accurate di come i diversi tipi di onde (vedi par 2.1.3) si propagano nei substrati geologici e con quali velocità. Date queste conoscenze, è possibile calcolare la distanza tra la sorgente delle onde sismiche e le stazioni in base ai loro tempi di arrivo. Noti la velocità a cui viaggiano le diverse onde e quanto tempo hanno impiegato ad essere rilevate, la velocità, moltiplicata per tempo d arrivo, dà lo spazio tra la posizione del sismometro e l ipocentro del terremoto. Maggiore è il numero di misure disponibili e maggiore è la precisione con cui si può tracciare la posizione epicentrale del terremoto, espressa in termini di longitudine, latitudine e dimensioni dell ellisse di confidenza. Quest ultima esprime la regione entro cui è possibile localizzare la posizione dell epicentro con una probabilità finita. Le dimensioni degli assi dell ellisse di confidenza sono proporzionali all incertezza che esprimono. Le principali fonti d errore in questo procedimento sono costituite da: numero insufficiente o di bassa qualità delle registrazioni sismiche; posizionamento sfavorevole delle stazioni di rilevazione; scelta di un modello sbagliato delle velocità di propagazione; supposizione iniziale sbagliata di dove sia situato l epicentro. In Italia l'istituto Nazionale di Geofisica (ING) svolge da molti anni il compito di sorveglianza sismica del territorio nazionale attraverso una rete di sensori collegati in tempo reale al centro di acquisizione dati di Roma. Lo scopo di tale 56

57 rete è duplice: la comunicazione tempestiva agli organi di Protezione Civile dei dati relativi alla localizzazione e all'entità di ogni evento sismico e la produzione di informazioni scientifiche di base (localizzazione epicentrale, meccanismo focale, magnitudo) per una migliore conoscenza dei processi fisici responsabili dei terremoti nell area italiana. La Rete Sismica Nazionale Centralizzata (RSNC) è stata potenziata nel corso degli anni fino al raggiungimento della configurazione attuale che è di circa 90 stazioni sismiche (vedi fig. 3.1) di cui 4 tridirezionali dotate di sensori verticali a corto periodo. La sensibilità di ogni stazione sismica, cioè la magnitudo minima percepibile, è determinata dalla distanza di percettibilità. Questa è definita come la distanza epicentrale minima per la quale è possibile misurare il primo arrivo delle onde P con un errore pari all errore di sensibilità dello strumento con cui si misura il tempo sul sismogramma. La distanza di percettibilità è funzione della magnitudo e del rumore ambientale, la prima determina l intensità del segnale, il secondo condiziona la qualità della registrazione. 57

58 Fig Disposizione sul territorio italiano delle stazioni sismiche appartenenti alla Rete Sismica Nazionale Centralizzata (RSNC). Sul territorio italiano è inoltre attiva la Rete Accelerometrica Nazionale (RAN) gestita dal Servizio Sismico Nazionale (SSN). È costituita da 260 accelerografi (analogici e digitali) distribuiti su tutto il territorio nazionale ad eccezione della Sardegna per la sua bassa sismicità (fig. 3.2). Le caratteristiche fisiche degli accelerometri, cioè di non saturare in prossimità delle aree epicentrali, rendono la RAN complementare alla rete sismica nazionale. I dati accelerometrici sono importanti per l individuazione degli effetti locali determinati dalla diversità di litologia e dalle caratteristiche geomorfologiche del sito. La migliore conoscenza delle variazioni areali e puntuali delle accelerazioni sismiche del suolo consente una più efficiente stima delle sollecitazioni, a cui è sottoposto l edificato, con importanti ricadute nella prevenzione e progettazione antisismica. 58

59 Fig Distribuzione sul territorio nazionale delle postazioni accelerometriche appartenenti alla Rete Accelerometrica Nazionale (RAN). Osservando le figure 3.3 e 3.4, che riportano la posizione epicentrale rispettivamente dei terremoti storici ( , dal catalogo NT) e dei terremoti recenti ( , fonti ING), si può osservare come il numero dei terremoti registrati in questi 14 anni si avvicini a quello dei terremoti storici degli ultimi mille anni. Ciò è dovuto alla sensibilità delle moderne stazioni sismiche che sono in grado di rilevare, con buona qualità segnale/rumore, terremoti sino alla magnitudo 2.5. Questa sensibilità si raggiunge per i terremoti con epicentro ubicato nella porzione del territorio nazionale che va dal nord Italia fino al centro-sud, Puglia e Calabria escluse. L effettiva utilità dei dati sismici strumentali è però limitata dalla breve copertura temporale disponibile che copre in modo soddisfacente, e nei casi più favorevoli, solo l ultimo secolo. 59

60 In questo senso la sismicità strumentale non costituisce una fonte informativa sufficiente per una ricostruzione adeguata della storia sismica del territorio nazionale, e che deve quindi essere effettuata ricorrendo ad informazioni di tipo non strumentale dedotte da fonti storiografiche. Fig Epicentri di terremoti storici ( dal catalogo NT), la posizione dell epicentro è rappresentata da un cerchietto di raggio proporzionale alla magnitudo del terremoto. Sono inoltre riportate le tracce degli elementi strutturali e cinematici di ordine maggiore. 60

61 Fig. 3.4 Epicentri di terremoti recenti ( dal fonti ING), la posizione dell epicentro è rappresentata da un cerchietto di raggio proporzionale alla magnitudo del terremoto. Sono inoltre riportate le tracce degli elementi strutturali e cinematici di ordine maggiore La sismicità storica La descrizione qualitativa dei terremoti distruttivi verificatisi in epoca storica, prima dell avvento della sismologia strumentale, assieme alle testimonianze archeologiche, concorrono a definire la sismicità storica. Quest enorme raccolta di dati, di essenziale utilità per quantificare la pericolosità di un area, costituisce la parte non strumentale dei cataloghi sismici. Naturalmente più si arretra nel tempo più l affidabilità del catalogo diminuisce. Infatti le cronache riportano, per lo più, solo i terremoti più distruttivi e con un affidabilità che peggiora a ritroso nel tempo. È questo il problema dell incompletezza dei cataloghi sismici (par ). Il non considerare questo problema determina un rapporto inesatto tra il numero dei terremoti forti e quelli modesti. Occorre poi associare 61

62 un incertezza alle descrizioni di effetti, durata e danni che i cronisti hanno soggettivamente riportato filtrandoli con la loro cultura, epoca storica e fede religiosa. Fino alla fine del XIX secolo l unico strumento disponibile per tentare un approccio scientifico alla comprensione del fenomeno terremoto era rappresentato dalla osservazione e successiva quantificazione degli effetti prodotti da un sisma sull ambiente naturale ed antropico. In seguito, nel corso del Novecento, fino all inizio degli anni Ottanta, i notevoli e continui progressi scientifici e tecnologici compiuti in ambito geofisico hanno portato a privilegiare alcuni aspetti fondamentali, quali la strumentazione e la comprensione dei meccanismi fisici di sorgente, relegando in secondo piano l interesse nei confronti delle informazioni relative agli effetti prodotti da un terremoto (osservazioni macrosismiche). Ciò che veniva rifiutato era essenzialmente il carattere soggettivo dei dati macrosismici qualitativi, in contrapposizione a quelli strumentali ritenuti oggettivi. Al contrario, oggi è ormai una convinzione acquisita che l utilizzo dei soli dati strumentali, certamente indispensabili per la conoscenza dei meccanismi di sorgente del terremoto e delle caratteristiche di moto del suolo, possa essere fonte di notevoli manchevolezze e perfino di errori quando si intenda caratterizzare la sismicità di una determinata regione nel lungo periodo. Ciò è vero soprattutto per l Italia dove, come suggerito anche da studi paleosismologici, in quasi tutte le aree sismogenetiche i forti terremoti sono caratterizzati da periodi di ritorno molto lunghi dell ordine di decine di anni e spesso di secoli. È in base a queste considerazioni che negli ultimi venti anni si è assistito ad una vera e propria riscoperta dell importanza delle informazioni macrosismiche, in particolare in Paesi come il nostro, dove la presenza pressoché ininterrotta nel tempo di civiltà distribuite su ampia parte del territorio (ad eccezione del periodo dell Alto Medioevo, quando la raccolta e la trasmissione di informazioni era comunque garantita dalla cultura monastica) ha consentito di disporre oggi di un inestimabile quantità di fonti documentarie. Lo studio dei terremoti del passato è attualmente ritenuto uno strumento indispensabile per tentare di caratterizzare la sismicità di un area. Insieme agli studi geologici e geofisici, infatti, le informazioni relative agli effetti dei 62

63 terremoti nel lungo periodo possono guidare l identificazione delle principali strutture sismogenetiche rendendo così possibile la formulazione di ipotesi sull andamento dell attività sismica e fornendo indicazioni probabilistiche sull occorrenza di eventi futuri. Benché le scale macrosismiche stabiliscano criteri di valutazione in qualche misura oggettivi, in realtà risulta spesso assai difficile attribuire un unico grado di intensità. Frequenti sono, infatti, i casi in cui le osservazioni macrosismiche forniscono indicazioni ambigue o addirittura contraddittorie: accanto a numerosi indicatori di un determinato grado se ne possono riscontrare altri tipici dei gradi inferiori o superiori. In queste circostanze, qualora l incertezza sia notevole, si ricorre generalmente all attribuzione multipla (es. VI-VII) non avendo significato valori di intensità frazionari L indagine macrosismica dei terremoti contemporanei L analisi dei danni e degli effetti prodotti sul territorio dai terremoti contemporanei viene condotta principalmente in due modi: mediante la compilazione di questionari o per mezzo di indagini macrosismiche di campagna effettuate nei giorni immediatamente successivi all evento. In occasione dei terremoti disastrosi più recenti, che hanno colpito la penisola italiana (Friuli, maggio 1976; Irpinia, novembre 1980; Umbria-Marche, settembre-ottobre 1997), sono state effettuate campagne di indagine macrosismica. Le loro finalità erano quelle di determinare più dettagliatamente i danni arrecati all ambiente antropico e soprattutto l individuazione di eventuali tracce di fagliazione superficiale che consentissero di identificare la struttura sismogenetica responsabile del terremoto. Per quanto riguarda invece i terremoti di minore energia, l analisi macrosismica viene essenzialmente condotta per mezzo di questionari che costituiscono un mezzo certamente più economico del precedente ma allo stesso tempo meno attendibile e completo. La raccolta sistematica delle informazioni macrosismiche degli eventi risentiti sul territorio italiano è attualmente gestita dall Istituto Nazionale di Geofisica (ING) tramite questionari che vengono inviati ad una rete di corrispondenti costituita dalle Stazioni dell Arma dei 63

64 Carabinieri, dai Comuni e relative frazioni e dalle Stazioni del Corpo Forestale dello Stato, per un totale di oltre punti di controllo. Lo stesso Istituto pubblica un Bollettino Macrosismico con cadenza quadrimestrale I dati sismici storici: problemi connessi all interpretazione delle fonti documentarie Nel corso degli ultimi venti anni si è assistito in Italia ad un enorme progresso e sviluppo dell indagine storica di terremoti del passato. Un simile risultato è stato reso possibile grazie ad uno stimolante matrimonio fra la storia e la sismologia (riguardo ad obiettivi, metodi e punti di vista), il cui risultato può essere visto nella creazione di un settore di ricerca denominato sismologia storica. Il lavoro di acquisizione e successiva elaborazione dei dati storici può essere sostanzialmente riassunto nei seguenti passaggi: 1) Ricerca storica. L indagine macrosismica di terremoti del passato può essere effettuata sia mediante lo studio di cronache contemporanee agli eventi che di relazioni successive. In generale, informazioni dirette riportate da cronisti che abbiano sperimentato il terremoto di persona sono certamente preferibili rispetto ad analisi successive più facilmente alterabili o ambigue. Tuttavia, soprattutto nel caso in cui la ricerca storica riguardi epoche molto lontane nel tempo, lo studio delle fonti originali richiede un notevole impegno sia a causa dell estrema dispersione geografica dei documenti (spesso conservati in piccoli archivi locali di centri minori o addirittura di parrocchie), sia per le difficoltà connesse alla interpretazione storica e linguistica dei testi. Di conseguenza, l esame di fonti originali può essere condotto soltanto con una stretta collaborazione tra sismologi, storici e linguisti e con un notevole impiego di mezzi economici. Un ulteriore problema relativo ai dati documentari è costituito dalla eterogeneità ed attendibilità delle fonti storiche utilizzate, in genere rappresentate dai più svariati tipi di documenti come testi religiosi, storiografici, letterari, epigrafici, amministrativi, ecc., spesso difficilmente omologabili. A tutto ciò, si aggiunge il fatto che tali dati sono inevitabilmente affetti da un notevole grado di soggettività da parte del narratore o di colui che li ha tramandati sino ad oggi. 64

65 2) Ricomposizione del terremoto. Le informazioni relative agli effetti prodotti dal terremoto sul territorio possono essere considerate come elementi di un puzzle che devono essere riuniti in modo appropriato. Questo passaggio risulta estremamente critico, dal momento che tutti i dati devono essere collocati rispetto ad un sistema di riferimento spazio-temporale. Duplicazioni o cattive interpretazioni, presenti spesso nei cataloghi sismici storici, sono infatti la conseguenza di un approccio non sufficientemente attento ed approfondito a tale lavoro. 3) Quantificazione degli effetti: assegnazione del grado di intensità. Affinché le informazioni storiche raccolte possano essere utilizzate per scopi pratici, occorre in qualche modo quantificare i danni e gli effetti che il terremoto ha prodotto sul territorio, confrontandoli con un insieme di descrizioni di effetti ordinato in modo progressivo (gradi di intensità definiti nelle scale macrosismiche) e, quindi, selezionare quello al quale le osservazioni sembrano meglio corrispondere. Tuttavia, solo raramente i dati documentari sono riportati in modo da essere facilmente confrontabili con le descrizioni di danno presenti nelle scale macrosismiche. Inoltre, dal momento che la stima dell intensità viene usualmente effettuata sulla base di criteri esperti del tutto soggettivi, risulta spesso estremamente problematico trovare un criterio di valutazione omogeneo. Nel valutare gli effetti che un dato terremoto ha prodotto sull ambiente, occorre anche considerare che questi non dipendono soltanto dalle caratteristiche fisiche della sorgente sismica (considerate stabili se rapportate alla scala temporale degli uomini) ma anche dalle condizioni geologico-geomorfologiche locali e, soprattutto, dalla vulnerabilità del patrimonio edilizio coinvolto. A questo proposito, mentre le caratteristiche dei terreni di superficie possono essere in una certa misura considerate costanti, altrettanto non si può dire per quanto concerne la vulnerabilità degli edifici: essa dipende, infatti, dalle tecniche edilizie impiegate, dai materiali utilizzati, dallo stato di conservazione delle costruzioni, ovvero da un insieme di fattori interpretabili come variabili storiche. Il grado di danneggiamento di una determinata località è infatti determinato dalle condizioni storiche abitative e dal loro mutare. Esaminando le informazioni disponibili nei quasi mille anni di copertura temporale offerta dai cataloghi sismici italiani, si nota che la gravità dei disastri sismici è cresciuta in modo 65

66 proporzionale allo sviluppo delle città, in funzione delle diverse caratteristiche degli edifici e della morfologia dei centri abitati. Tenendo conto dei numerosi problemi esposti, è evidente che arrivare ad una quantificazione omogenea degli effetti provocati da un terremoto avvenuto in epoca passata, sulla base di testimonianze tanto eterogenee e spesso ambigue, risulta un compito estremamente complesso La parametrizzazione del terremoto su base macrosismica La differenza più importante tra magnitudo ed intensità di un terremoto è che la prima è una misura strumentale correlata ai processi della sorgente sismica mentre l intensità definisce la severità degli effetti del terremoto in un particolare luogo, che non dipende solo dall energia liberata alla sorgente sismica e dalla sua distanza. L assegnazione dell intensità dopo un evento sismico, riferita ad un dato sito, viene effettuata tramite la constatazione diretta dei danni ed effetti. Da queste informazioni si deduce la distribuzione spaziale delle intensità di sito che, raggruppate su supporti cartografici costituiscono la carta delle isosisme identificanti il campo macrosismico. Il tracciamento delle isosisme, fino a pochi anni fa eseguito manualmente (fig. 3.5), può essere oggi realizzato in modo automatico con appositi programmi di contouring. In questo modo, all arbitrarietà associata a qualsiasi problema di interpolazione, non si viene ad aggiungere il rischio di scarsa obiettività da parte del tracciatore. 66

67 Fig Campo macrosismico del terremoto della Valtellina del 29 dicembre 1999 elaborato in base alla descrizioni degli effetti locali. Le aree colorate, delimitate dalle isosisme, descrivono le zone in cui si sono risentiti gli stessi effetti (quantificati secondo la scala MCS). L utilizzo di questo genere di rappresentazione comporta una serie di problemi. Occorre innanzitutto sottolineare che l andamento delle isosisme dipende non soltanto dal criterio adottato per il tracciamento, ma anche dalla rappresentatività (in alcuni casi molto limitata) dei punti di controllo dell intensità. Tali punti, infatti, corrispondono a località e di conseguenza non sono distribuiti in modo omogeneo lungo la superficie terrestre. Al contrario, essi risultano più densi all interno delle valli e lungo le linee costiere, più scarsi lungo le catene montuose e, addirittura, assenti in mare. Inoltre una rappresentazione mediante curve di livello, basata sulla interpolazione di valori puntuali d intensità, non è in grado di evidenziare la presenza di eventuali località che abbiano sperimentato risentimenti anomali particolarmente elevati attribuibili ad amplificazioni locali del moto sismico del suolo. Una volta ricostruito il campo macrosismico di un terremoto, il passo successivo consiste nella individuazione del punto in superficie corrispondente al cosiddetto epicentro macrosismico. Al contrario dell epicentro strumentale, non esiste in letteratura una definizione altrettanto precisa di epicentro macrosismico. Esso dovrebbe rappresentare il punto in superficie corrispondente alla massima intensità osservata I max. Tale 67

68 definizione risulta tuttavia ambigua in quanto frequentemente l I max non corrisponde ad un unico punto ma ad un area (talvolta intervallata da altri punti con risentimento minore). È inoltre possibile che anche qualora si individui un unico punto, il valore di intensità massima sia da porre in relazione ad effetti di sito piuttosto che alla vicinanza della sorgente sismica. In genere l epicentro macrosismico può essere definito come il baricentro dell area dove si sono verificati i massimi effetti. Utilizzando le isosisme ciò corrisponde a prendere il centro della isolinea di grado più elevato. Qualora invece si usino punti quotati dell intensità, il baricentro può essere ottenuto facendo la media delle coordinate dei punti con intensità più alta. È così possibile definire l intensità epicentrale I e come «il valore della isolinea chiusa di grado più elevato che è possibile tracciare considerando almeno tre diversi punti». Tale quantità viene tuttavia indicata solo quando disponibile, mentre più frequentemente nei cataloghi è riportata soltanto l I max. In alcuni casi i due valori di intensità (massima ed epicentrale) possono risultare sensibilmente diversi e di ciò è necessario tenere conto al fine di evitare gravi errori di valutazione. È questo il caso di epicentri localizzati in mare aperto o in aree scarsamente popolate: in simili circostanze, infatti, occorre considerare anche l incompletezza del dato macrosismico. Nel caso specifico dell Italia, mentre a causa della sua conformazione geografica, il primo di questi casi risulta importante, il secondo, è pressoché irrilevante, dal momento che la penisola è stata densamente abitata sin dai tempi antichi. In ogni analisi volta a caratterizzare i terremoti a partire da informazioni macrosismiche, bisogna considerare che lo scuotimento sismico del suolo è fortemente condizionato dalle condizioni geologiche superficiali di sito. La presenza di roccia o di centinaia di metri di sedimenti, nel sottosuolo dell area in esame, come già visto, ha più influenza sugli effetti del terremoto che non la grandezza del terremoto stesso (e cioè la sua magnitudo). È dall analisi delle isosisme che si possono rilevare le anomalie d intensità. Queste, imputabili ad effetti di sito, si manifestano con attenuazioni o amplificazioni anomale dei risentimenti di un terremoto. È questo un fenomeno di cui tenere conto al momento dell assegnazione del grado di intensità, in quanto nelle varie scale macrosismiche si fa sempre riferimento alla tipologia dell abitazione colpita ma non su quale tipo di substrato, roccia o suolo, sorga l edificio. È infatti comune 68

69 riscontrare differenze di parecchi gradi di intensità anche a breve distanza, a seconda del substrato presente. La tendenza generale è quella di avere le maggiori intensità in presenza di rocce sedimentarie recenti o poco consolidate rispetto alle più rigide rocce granitiche, vulcaniche o metamorfiche. Le scale macrosismiche hanno poi la tendenza a sovrastimare i gradi più alti. Spesso effetti indotti dai terremoti più forti, come grandi frane o scivolamenti, e che concorrono all assegnazione del grado, possono non essere una diretta conseguenza del sisma che va ad innescare preesistenti condizioni di instabilità. Esistono diverse relazioni empiriche che stimano la magnitudo in funzione di un parametro che descriva gli effetti macrosismici al sito. Il parametro più utilizzato è l intensità epicentrale I e e la magnitudo è ricavabile attraverso una relazione di regressione. Un altro parametro utilizzato per stimare la magnitudo è l estensione dell area totale di risentimento del terremoto (felt area) o quella in cui si sono riscontrati gli effetti propri di un dato grado (di solito il IV). Le relazioni empiriche corrispondenti sono formulate a partire dalla constatazione che più è alta la magnitudo di un terremoto maggiore risulterà l area in cui si risentono gli effetti di scuotimento. Sono state proposte numerose relazioni empiriche magnitudo-intensità valide per il territorio italiano. Queste sono state calcolate per ognuna delle regioni in cui è stata suddivisa l Italia sulla base di criteri tettonico-geologici e per l omogenea sismicità. Una relazione valida per il territorio italiano è la seguente M 0.47I (I e X) L = e Relazioni di questo tipo sono importanti per stimare la magnitudo dei terremoti storici. Incertezze e soggettività del metodo sono compensate dalla grande quantità di dati che la sismologia storica può fornire a complemento di quella strumentale. Queste relazioni empiriche devono essere utilizzate criticamente in quanto è necessario conoscere le assunzioni su cui sono basate. Il numero, la classe, la profondità epicentrale dei terremoti considerati, i criteri di definizione delle aree in cui sono validi i coefficienti di regressione, sono variabili da considerare per una corretta utilizzazione. 69

70 3.3.3 I metodi di stima: elementi di analisi probabilistica di rischio sismico Tra le metodologie di tipo statistico si possono essenzialmente distinguere due diversi approcci: il primo, basato sull impiego di soli dati epicentrali (approccio di sorgente), consente di stimare la pericolosità al sito ricorrendo a relazioni di attenuazione che considerano gli effetti della distanza sul parametro adottato per la stima del moto del terreno (intensità, accelerazione di picco, ecc.). Il secondo, invece, perviene alla stima di pericolosità locale attraverso il diretto impiego delle informazioni disponibili circa la storia sismica del sito in esame (approccio di sito), riducendo in tal modo le incertezze introdotte dall utilizzo di una legge empirica di attenuazione. Mentre il primo approccio viene adottato su larga scala sia in Italia che all estero e rappresenta attualmente una metodologia di tipo standard, la stima di pericolosità da dati di sito costituisce un metodo innovativo. Nell ambito dell approccio di sorgente, il metodo più noto e maggiormente diffuso a livello mondiale è senza dubbio quello proposto in origine da C.A. Cornell nel 1968 (par ) Il metodo di Cornell L approccio rappresenta un tentativo di introdurre in ambito probabilistico aspetti deterministici capaci di ridurre l'indeterminazione sulla localizzazione spazio-temporale dei futuri eventi sismici. La probabilità di eccedenza di un determinato livello di scuotimento del suolo (in genere espresso in termini di accelerazione di picco del terreno o PGA), in un dato periodo di tempo, è valutata determinando la probabilità di ogni possibile valore di scuotimento, data ogni possibile magnitudo, ad ogni possibile distanza, per ogni possibile sorgente. Il risultato di tale calcolo viene usualmente rappresentato mediante una curva di pericolosità indicante la probabilità annua di superamento, al sito di interesse, di un dato livello di scuotimento del terreno. Da quanto detto risulta quindi evidente che l applicazione del metodo di Cornell richiede, oltre ad un catalogo epicentrale, anche una certa conoscenza 70

71 delle caratteristiche sismotettoniche della regione in esame. Di conseguenza, l affidabilità delle stime di pericolosità risulta strettamente dipendente anche dal livello di conoscenza della tettonica attiva raggiunto in una determinata area. Nel seguito vengono elencati i punti fondamentali della metodologia di Cornell. I. Definizione delle sorgenti sismiche. È la prima operazione del metodo. La mancata conoscenza dell esatta ubicazione delle sorgenti sismogeniche dovuta, per esempio, alla complessa situazione tettonica dell area, è affrontata assumendo uniforme la probabilità di occorrenza all interno della zona sismogenica ZS. Questo equivale a spalmare il numero totale di eventi sull intera ZS. In questo modo ogni elemento areale della zona sismogenetica risulta dotato del medesimo tasso di sismicità, inteso come il numero medio di terremoti nell unità di tempo. È facilmente intuibile che questa assunzione pone molti problemi. Innanzitutto è critica la scelta della forma e dell estensione delle zone sismogenetiche in quanto la forma determina il numero totale di terremoti che ricadono al suo interno. Inoltre, l estensione determina quanto alto sarà il tasso di sismicità della ZS, dato che a parità di numero di terremoti più è ampia la ZS più risulterà basso il tasso di sismicità per ogni elemento areale. II. Definizione del tasso di sismicità per ciascuna zona sismogenica. Viene effettuata stimando per ciascuna classe di magnitudo m il numero di eventi N(m) che si verifica mediamente nell unità di tempo per ogni elemento areale. Questo viene calcolato a partire dal catalogo sismico, come il numero di eventi con magnitudo superiore o uguale a m avvenuti nelle ZS, nell intervallo in cui il catalogo sismico è considerato completo, diviso per la durata di questo intervallo. Si vede quindi l importanza cruciale di un accurata valutazione dell intervallo di completezza del catalogo disponibile. La funzione N(m) così ottenuta è detta relazione di ricorrenza numero eventi-magnitudo. Si assume che questa abbia la forma della relazione semilogaritmica di Gutenberg e Richter (G-R): Log N =A-Bm dove N è il numero di terremoti di magnitudo almeno pari a m nell unità di tempo. A e B sono i parametri della relazione di ricorrenza e vanno determinati sperimentalmente a partire dai valori osservati del tasso di sismicità ottenuti per alcuni valori delle magnitudo di soglia. A definisce 71

72 un tasso di attività che varia sensibilmente da zona a zona. Un importante indicatore di pericolosità sismica è il periodo medio di ritorno T per unità di area pari al reciproco del tasso di sismicità. B esprime il rapporto tra il numero dei terremoti forti e di quelli deboli. III. Definizione della sismicità al sito. A partire da opportune leggi empiriche di attenuazione (vedi par ) è possibile calcolare l accelerazione attesa ad un determinato sito, posto ad una distanza r dalla sorgente, una volta nota la magnitudo dell evento sorgente. Per ciascuna classe di magnitudo e per ciascuna parte delle diverse zone sismogenetiche è possibile quindi dedurre l accelerazione attesa al sito. Su questa base, e noti i tassi di sismicità di ciascuna zona sismogenetica, è quindi possibile conoscere il numero di volte che, mediamente, un dato valore di accelerazione sarà superato al sito nell unità di tempo. Questo numero definisce il tasso di sismicità al sito. IV. Distribuzione temporale delle scosse. I tassi di sismicità al sito ricavati non forniscono informazioni sulla distribuzione nel tempo delle scosse relative ai vari livelli di accelerazione. Si fa a questo punto l assunzione che ogni terremoto è indipendente dall altro (ovvero che l occorrenza di un evento non condiziona il successivo e quindi il processo è privo di memoria ). Assumendo, inoltre, che il numero di terremoti in un intervallo di tempo dipenda linearmente dalla durata di quest ultimo e che l occorrenza contemporanea di due eventi sia altamente improbabile si può dimostrare che la distribuzione nel tempo delle scosse segue una distribuzione di Poisson. Queste assunzioni, sono in realtà attendibili solo se dai dati del catalogo sismico sono escluse le sequenze di eventi (sciami) o le repliche (aftershock), eventi che sono considerati dipendenti dall evento principale (mainshock). La procedura di esclusione non è univoca e presenta alcuni elementi arbitrari che rendono le stime, almeno in parte, soggettive. La distribuzione di Poisson è definita da un unico parametro descrittivo, la media, che coincide appunto con il tasso di sismicità. Un parametro spesso usato è il periodo medio di ritorno T che è pari all inverso del tasso di sismicità. V. Determinazione della pericolosità del sito. A partire dal tempo medio di ritorno è possibile esprimere la pericolosità al sito mediante curve di 72

73 eccedenza p(z), che definiscono la probabilità di superare un dato scuotimento del suolo P(Z>z), almeno una volta, in un determinato periodo (tempo di esposizione T), per ogni valore Z di accelerazione del suolo plausibilmente raggiungibile. Queste curve, vista la forma Poissoniana della sismicità, sono esprimibili come P( Z > z) = 1 e T T dove P è la probabilità che il valore di scuotimento Z superi la soglia z. Utilizzando questa relazione è possibile determinare, per esempio, l accelerazione attesa come quel valore massimo di accelerazione per cui a T = 50 anni (tempo di esposizione) si ha una probabilità P di eccedenza (cioè di osservare almeno una volta quell accelerazione) minore del 10% I limiti superiore ed inferiore di magnitudo Per ottenere la quantificazione probabilistica della pericolosità sismica con il metodo di Cornell è necessario specificare i limiti superiore ed inferiore della magnitudo degli eventi sismici presi in considerazione ovvero i limiti di validità della relazione di G-R. Il limite inferiore è assunto come la magnitudo minima al di sotto della quale non si hanno effetti ingegneristicamente rilevanti. Come visto, la stima del limite inferiore di magnitudo non è contemplata nell analisi deterministica (par. 3.2). Il limite inferiore di magnitudo, condizionando lo spettro di frequenza dei terremoti più piccoli, riveste invece un importante ruolo nell approccio probabilistico, dato che il moto del suolo ad essi relativo è ricco di alte frequenze. Molti studi suggeriscono la magnitudo 5.0 come il minimo valore conservativo per il quale sono attesi danni in strutture costruite con particolari criteri di sicurezza. In questa generalizzazione non vengono considerati i terremoti molto superficiali i quali, nonostante le loro limitate dimensioni, possiedono un elevato potenziale di danneggiamento. La definizione del limite superiore di magnitudo è più difficile. A differenza del limite inferiore, il cui valore proposto è valido per diversi contesti tettonici, il limite di magnitudo superiore è specifico e molto spesso determinato con 73

74 estrapolazioni a partire da pochi dati. La determinazione del massimo terremoto possibile, descritta nel par , dipende dall approccio utilizzato. Nell analisi deterministica, la scelta della massima magnitudo stabilisce direttamente i risultati finali non considerando l intervallo temporale su cui l analisi si estende. Nell approccio probabilistico, il massimo evento possibile è determinato dalla probabilità di occorrenza, il che lega la massima magnitudo all intervallo di tempo considerato ed al contesto geodinamico. Il massimo terremoto storico costituisce il limite inferiore delle dimensioni assegnabili al massimo terremoto possibile, secondo la logica che ciò che è accaduto in passato può ripetersi in futuro. La scelta del limite superiore di magnitudo pone delle domande sull adeguatezza dei dati deducibili dalla retta che interpola i punti dell equazione di ricorrenza. L equazione di Gutenberg Richter evidenzia come il numero dei terremoti diminuisce logaritmicamente con l aumentare della magnitudo. L accuratezza della retta che approssima l equazione di ricorrenza decresce notevolmente con il diminuire dei punti che deve interpolare. Per ovviare a questo inconveniente si possono adottare le relazioni esponenziali di ricorrenza troncate basate su di una normalizzazione dell equazione di Gutenberg Richter, che funzionano bene nei casi di dati sismici eterogenei (strumentali, storici e paleosismici), che producono grafici frequenza-magnitudo lineari a tratti. L esistenza di tratti delle relazioni di ricorrenza, caratterizzati da valori diversi della pendenza B, evidenzia che la legge di ricorrenza del terremoto non è costante per tutte le magnitudo, quindi si rischierebbe di estrapolare la ricorrenza, per alcuni valori di magnitudo, utilizzando un coefficiente B non corretto. Le relazioni di ricorrenza troncate risolvono in modo accettabile questo fenomeno Lo spettro di risposta di pericolosità uniforme I risultati dell analisi di pericolosità ottenuti con il metodo di Cornell sono, come visto, le curve di eccedenza. Queste esprimono la probabilità di superare, nel tempo di esposizione, un determinato valore di scuotimento del suolo. Normalmente, il parametro descrittivo a cui si fa riferimento è il picco massimo 74

75 di accelerazione del suolo o PGA. Questo parametro viene dato indipendentemente dalla frequenza e quindi dall attenuazione differenziata in funzione della frequenza di oscillazione delle onde sismiche. Per quantificare l effetto delle diverse modalità di attenuazione si può utilizzare lo spettro di risposta di pericolosità uniforme. Da questo tipo di risultato è possibile ricavare il valore di accelerazione, atteso al sito, in funzione dei diversi periodi di oscillazione che compongono il segnale sismico. L aggettivo uniforme si riferisce all equiprobabilità che ogni accelerazione ha, in corrispondenza ad un preciso periodo, di essere raggiunta rispetto alle altre della medesima curva. Lo spettro di pericolosità uniforme è composto dalle accelerazioni attese al sito, stimate con il metodo di Cornell, utilizzando una legge di attenuazione diversa per ciascun valore dello spettro dei periodi di oscillazione ingegneristicamente rilevanti. In pratica è come se si applicasse il metodo di Cornell per ognuno dei periodi che compongono le onde sismiche, determinando come l attenuazione influisce sugli effetti di scuotimento al sito in funzione della frequenza oltreché della distanza e della magnitudo. La richiesta di maggiore tempo di calcolo, necessario per ottenere lo spettro di risposta di pericolosità uniforme, è compensata dal maggiore dettaglio che esso fornisce sull entità dello scuotimento atteso in funzione della frequenza di oscillazione. Gli spettri di risposta a periodo uniforme permettono una stima migliore degli effetti sismici sulle strutture fornendo un immediato confronto tra accelerazione, frequenza di oscillazione e frequenza naturale della costruzione evidenziando la possibilità di avere fenomeni di risonanza Il metodo di sito per la stima della pericolosità sismica La grande ricchezza di dati documentari disponibili in Italia e le ricerche storiche condotte negli ultimi due decenni hanno consentito di redigere un catalogo unico al mondo riguardo ai terremoti del passato. Fino ad oggi, tuttavia, tale ricchezza di informazioni non ha trovato piena utilizzazione nelle stime di pericolosità sismica. L ostacolo principale all impiego di questi dati è rappresentato dalla loro natura semi-qualitativa che porta alcuni a ritenere il dato storiografico povero, 75

76 rispetto a quello strumentale e, di conseguenza, utilizzabile soltanto marginalmente per stime di pericolosità, a condizione di forzare l informazione documentaria all interno di categorie tipiche del dato strumentale (epicentro, magnitudo, ecc.). Quest ultima conversione (spesso implicata nell applicazione del metodo di Cornell) non è in grado di tenere conto delle particolari caratteristiche del dato macrosismico né delle incertezze che lo caratterizzano quali quelle relative all attribuzione del livello di danno da dati antichi (il grado di intensità della scala macrosismica). Per utilizzare appieno l informazione macrosismica è stato recentemente sviluppato un approccio di stima della pericolosità sismica. Questo è basato sull impiego diretto dei dati d intensità al sito in grado di tenere correttamente conto delle diverse incertezze che caratterizzano la stima di pericolosità. A differenza dei metodi standard, inoltre, non richiede altra assunzione che la stazionarietà dei processi sismogenetici responsabili dei terremoti La ricostruzione del catalogo sismico di sito Il primo passo della procedura, consiste nella ricostruzione del catalogo sismico di sito, ovvero nella definizione della sismicità passata sulla base delle informazioni macrosismiche disponibili. In generale, per una data località, si possono presentare tre diverse situazioni: a) I dati sono sufficienti per un attribuzione univoca del valore di intensità. Ciò si verifica in particolare per i terremoti recenti o per i siti nei quali sono stati osservati gli effetti più intensi (epicentri macrosismici); b) I dati consentono soltanto la determinazione di un intervallo di valori di intensità accettabili (es. V-VIII). Il caso, tipico dei dati documentari, renderebbe opportuna l assegnazione di un valore di probabilità ad ogni valore di intensità ritenuto plausibile; c) I dati non sono disponibili al sito ma soltanto all epicentro. Tale situazione è particolarmente frequente nel caso dei terremoti più antichi per i quali spesso si dispone di informazioni relative alle sole località epicentrali o alle più importanti di un area. Lo stesso accade quando, per scopi ingegneristici, è 76

77 necessario stimare la pericolosità sismica in siti disabitati del tutto privi di informazioni storiche (es. dighe, centrali nucleari, ecc.). È quindi opportuno definire ciascun dato di intensità risentita al sito in termini probabilistici, esprimendo il livello di probabilità associato ad ogni classe di intensità. Di conseguenza, anche i parametri più semplici che definiscono l attività sismica (ad esempio il numero di terremoti risentiti al sito con una data intensità) vanno espressi in termini probabilistici La definizione della storia di sito sulla base dei risentimenti osservati Per tenere conto delle incertezze presenti nel dato documentario, ad ogni terremoto risentito al sito viene quindi associata una densità di probabilità p n (I), funzione del valore discreto di intensità I, rappresentativo del livello di danneggiamento osservato al sito espresso in gradi di intensità secondo una scala macrosismica. Ogni valore di tale distribuzione rappresenta la probabilità che quel terremoto sia stato effettivamente risentito al sito con intensità pari al grado I considerato. Per definizione di probabilità, la funzione p n (I), deve dare: Imax n( I I= I min p ) = 1 (3.3) dove I min e I max rappresentano rispettivamente il minimo ed il massimo valore consentito dalla scala macrosismica adottata (ovvero 1 e 12 nel caso della scala MCS). A causa del carattere ordinale e discreto del dato di intensità, la funzione p n (I) ha la forma di un vettore di 12 elementi. Qualora le fonti storiche siano sufficientemente chiare e concordi da consentire un attribuzione univoca della intensità I 0 risentita al sito, la funzione p n (I) sarà uguale a 0 per ogni valore di I diverso da I 0 ed a 1 quando I è uguale a I 0. La distribuzione di probabilità p n (I) consente quindi una rappresentazione corretta del livello di confidenza attribuito al singolo possibile valore di intensità, ovvero della probabilità che un dato terremoto abbia prodotto al sito effetti di intensità pari a I. Come esempio di tale formalizzazione viene riportata una descrizione di danneggiamento prodotto a Napoli da un terremoto verificatosi il 26 luglio 1805, 77

78 con epicentro in Molise (testo dal Catalogo dei Forti Terremoti in Italia dal 461 a.c. al 1990, Boschi et al., 1997): «Il terremoto causò fessurazioni ai muri e danni diffusi a molti edifici e chiese. Alcune case crollarono, altre si resero inabitabili e poche rimasero illese. Gran parte delle abitazioni dovettero essere puntellate e altre demolite in parte. Furono maggiormente colpiti i palazzi più alti e anche i più solidi. Due persone morirono a causa del crollo di alcuni pavimenti e di una torretta nel palazzo del Principe Corigliano, numerosi i feriti». Un simile scenario di danni ha portato ad un attribuzione non univoca del grado di intensità, pari a VII-VIII. In questo caso, assumendo che entrambi i valori siano equiprobabili, ovvero ugualmente attendibili, l informazione viene espressa, in termini di densità di probabilità, nella seguente forma: p n (I)={0,0,0,0,0,0,0.5,0.5,0,0,0,0} Per ciascuna densità di probabilità p n (I) è possibile inoltre definire la probabilità di eccedenza P n (I) che è la probabilità, al sito, che il terremoto in esame abbia prodotto effetti almeno pari al grado I e cioè: I max P ( I ) = p ( j) (3.4) n j= I Nell esempio sopra considerato un intensità pari a VII-VIII viene espressa, in termini di probabilità di eccedenza, nella forma: P n (I)={1,1,1,1,1,1,1,0.5,0,0,0,0} La storia sismica di un sito viene quindi rappresentata da un numero totale N di terremoti, ad ognuno dei quali è associata una distribuzione di probabilità P n (I) rappresentativa del livello di confidenza attribuito all ipotesi che quel dato evento abbia prodotto al sito effetti almeno pari ad una determinata intensità. Come accennato al punto c) del par , spesso nel caso dei terremoti più antichi i dati documentari non sono disponibili al sito di interesse ma soltanto per le località maggiormente danneggiate (epicentri macrosismici) o per i centri di maggiore importanza culturale, politica o economica. In questo caso, l intensità al sito deve essere stimata mediante relazioni di attenuazione di tipo empirico. In base a numerose evidenze sperimentali è stato dimostrato che il livello di danneggiamento tende a decrescere in modo monotòno con la distanza n 78

79 dall epicentro. Si può quindi definire una funzione densità di probabilità R(I f(r), I e ) che rappresenta la probabilità che almeno un terremoto sia stato risentito al sito con intensità maggiore o uguale a I, condizionata dalla intensità epicentrale I e e da una funzione f(r) proporzionale alla distanza tra sito ed epicentro. Per semplicità si considera che f sia funzione della sola distanza epicentrale r, ovvero che l attenuazione sia isotropa. La probabilità di eccedenza P n (I) alla località n, associata ad un terremoto per il quale non sia disponibile l intensità risentita al sito ma soltanto all epicentro, può essere calcolata combinando la funzione R(I f(r), I e ) con la probabilità p e (I) (densità di probabilità che esprime l incertezza di attribuzione dell intensità epicentrale). Queste probabilità possono essere considerate indipendenti, per cui la probabilità di eccedenza P n (I) al sito è espressa nella seguente forma: I max P ( I ) = p ( J ) R( I f ( r), J ) (3.5) n J= I e Nell ambito della formalizzazione proposta, la funzione densità di probabilità R equivale alle leggi di attenuazione deterministiche ampiamente utilizzate e descritte in letteratura. A differenza di tali leggi tuttavia, la funzione R ha un carattere probabilistico ed è quindi in grado di tenere conto delle incertezze che il loro utilizzo comporta. La funzione probabilistica R, di seguito utilizzata, è stata determinata per l intero territorio italiano sulla base di oltre 2400 terremoti verificatisi dal 1000 al 1980, riportati nel catalogo epicentrale NT4.1 e di quasi valori di intensità risentiti in circa località italiane, disponibili nell archivio delle informazioni macrosismiche DOM4. La funzione probabilistica R assume la forma a( A ) + b( A ) ln( r) o o e R= a( Ao ) + b( Ao ) ln( r) 1+ e dove A o rappresenta la soglia di attenuazione, ovvero la massima differenza attesa tra l intensità, rispettivamente, all epicentro I e ed al sito I s, r è la distanza epicentrale. I parametri a e b sono dati mediante le due relazioni a(a o ) = A o b(a o ) = A o 79

80 Sulla base dei risentimenti di cui si ha effettivamente notizia al sito e degli effetti calcolati a partire dai soli dati epicentrali riportati in catalogo, ridotti al sito mediante la funzione di attenuazione descritta (casi più sfavorevoli), è quindi possibile ricostruire per singole località la storia sismica, formalizzata in termini probabilistici La valutazione della pericolosità al sito e la stima di completezza del catalogo sismico Una volta ricostruita la storia sismica di sito, è possibile stimare la pericolosità H, nell assunzione che siano verificate le seguenti tre condizioni: a) durante l intervallo temporale coperto dalla storia sismica disponibile, si sono verificate tutte le possibili situazioni responsabili degli effetti sismici attesi; b) la storia sismica ricostruita è rappresentativa della sismicità realmente accaduta al sito nel periodo considerato, ovvero il catalogo sismico di sito risulta completo ; c) a causa di un incompleta conoscenza delle condizioni tettoniche e dinamiche presenti e passate, è possibile assumere a priori che tutte le condizioni in grado di produrre effetti pari ad un determinato grado di intensità I in un qualsiasi futuro intervallo di tempo t siano equiprobabili. Sulla base di tali assunzioni, la pericolosità H al sito è espressa nella forma: Y i H( T ) = s( t ) Q( I t ) (3.6) i j= 1 dove H rappresenta la probabilità che in un futuro intervallo di tempo t si verifichi almeno un terremoto in grado di produrre al sito di interesse effetti almeno pari a I 0. Nella (3.6), s( t j ) esprime la probabilità che in un qualsiasi intervallo futuro t si verifichino le medesime condizioni geodinamiche attive durante l intervallo passato t j. In base all assunzione al punto c), tutte le condizioni risultano in realtà equiprobabili. Posto che su tutti gli Y i intervalli di durata t si possono essere verificate condizioni analoghe a quelle dell intervallo di esposizione T, il valore di s( t j )è costante e pari a j 0 j 80

81 1 1 s( t j ) = = Y T t+ 1 (3.7) i dove T i è la durata del catalogo considerato. Il secondo termine nella (3.6), Q ( I 0 j t ), rappresenta invece la probabilità che almeno uno degli eventi verificatisi durante un intervallo di tempo t j sia stato realmente risentito al sito con un intensità maggiore o uguale a I 0. Questo prodotto si ottiene dai vettori di probabilità P n (I) che rappresentano la storia sismica di sito attraverso la relazione N j i [ 1 Pn ( I0 ] Q( I (3.8) 0 t j ) = 1 ) n= 1 Il valore di Q I t ) viene quindi stimato sulla base della storia sismica ( 0 j disponibile al sito di interesse, ovvero dal numero di eventi N j, verificatisi nell intervallo t j, ad ognuno dei quali è associata la probabilità di eccedenza P n (I) (si veda il par ), che stima la sicurezza che l intensità I 0 si sia effettivamente osservata. La stima di pericolosità H ottenuta dalla (3.6) dipende in modo critico dalla storia sismica contenuta nel catalogo sismico. Fondamentale appare quindi la definizione del periodo T i, all interno del catalogo sismico disponibile, ritenuto rappresentativo della sismicità effettiva al sito di interesse. In generale, una maggiore durata di tale intervallo comporta stime di pericolosità più attendibili, dal momento che le ipotesi alla base dell equazione (3.6) risultano meglio soddisfatte e la conoscenza relativa alla sismicità locale migliora. Tuttavia, se allunghiamo l intervallo T i, la nostra conoscenza sull attività sismica passata e, in particolare, sugli effetti da essa prodotti al sito peggiora e diviene sempre meno affidabile: la causa è da ricercare nel problema della completezza dei cataloghi sismici. In generale, a causa del peggioramento (in termini sia quantitativi che qualitativi) delle informazioni disponibili sulla sismicità passata, il tasso di sismicità apparente (ricavabile dai cataloghi) tende a decrescere retrocedendo nel tempo. Una simile apparente diminuzione può quindi produrre significativi errori sistematici nelle risultanti stime di pericolosità effettuate sulla base di cataloghi incompleti. 81

82 In base a tali considerazioni, assumendo L possibili scelte di T i, si otterranno altrettante stime di H definite per ciascuno di tali intervalli. La (3.6) viene quindi generalizzata nella forma: L 0 i= 1 H ( t, I ) = r( T ) H( t, I ) (3.9) i 0 T i dove il termine r( T i ) rappresenta la cosiddetta funzione di completezza ovvero il grado di credibilità, espresso in termini probabilistici, nella ipotesi che, per un determinato intervallo di tempo T i, il catalogo risulti completo ed attendibile essendo L i= 1 r ( ) = 1 (3.10) La stima della completezza di un catalogo sismico dovrebbe essere condotta sulla base di approfondite indagini storiografiche finalizzate all individuazione delle fonti di incertezza presenti in un determinato periodo e alla definizione del grado di attendibilità delle informazioni documentarie, contemporanee e posteriori al terremoto, disponibili per le singole località. Il livello di completezza di tali informazioni dipende infatti da un insieme di fattori riconducibili alla situazione politico-sociale-economica presente nell area in esame nel corso della storia. Fino ad oggi, tuttavia, simili studi non hanno trovato diretta applicazione nella valutazione della funzione di completezza a causa delle difficoltà relative sia alla raccolta e successiva interpretazione dei dati documentari che alla rappresentazione in termini quantitativi delle informazioni ottenute. Di conseguenza, la funzione r( T i ) viene generalmente stimata per via indiretta su base statistica attraverso metodologie che tendono ad identificare i segmenti stazionari, ovvero completi, dei cataloghi. Dalla (3.9) risulta che la stima finale di pericolosità, sulla base dell intera storia sismica disponibile al sito, si ottiene dalla combinazione di tutti i valori di pericolosità ottenuti per ciascuno degli L possibili intervalli T i, valori di pericolosità a cui sarà assegnata un attendibilità (peso) funzione del livello di completezza r( T i ) su cui è stata calcolata. T i 82

83 3.3.4 I vantaggi ed i limiti degli approcci probabilistici di Cornell e di sito Da quanto esposto nel presente capitolo è emerso che le metodologie probabilistiche per la valutazione della pericolosità sismica hanno molti vantaggi rispetto all approccio deterministico. Vantaggi che derivano da una razionale considerazione di tutte le fonti di incertezza che entrano nella stima di pericolosità, incertezze che negli approcci deterministici venivano affrontate con assunzioni non sempre verificabili. Ovviamente sia il metodo di Cornell che l approccio di sito non sono privi di difetti. Entrambi i metodi considerano la sismicità passata rappresentativa di quella futura. In questo modo è necessario attingere alle registrazioni, strumentali e non, degli eventi sismici passati per stimare la sismicità futura. Bisogna però considerare che i dati non strumentali, di grande importanza perché coprono un intervallo temporale molto maggiore di quelli strumentali, sono condizionati dalle forti eterogeneità delle fonti documentarie utilizzate. Il catalogo di tutti i dati, strumentali e non, ha poi, in generale, problemi di completezza. Quest ultima va accuratamente verificata per non portare a stime probabilistiche errate. L applicazione del metodo di Cornell richiede, oltre ad un catalogo epicentrale, l identificazione di zone sismogenetiche. Questa identificazione si effettua in base alle conoscenze delle caratteristiche sismotettoniche della regione in esame ed è, almeno in parte, soggettiva. La forma e la dimensione delle zone sismogenetiche sono cruciali per la determinazione del tasso di sismicità, facendo variare il numero totale di terremoti considerati nel computo e l entità del numero di terremoti/anno per unità di superficie. Uno dei punti cruciale del metodo di Cornell risiede nell utilizzo delle relazioni empiriche di attenuazione. Queste permettono di ricostruire la sismicità al sito ma lo fanno in modo deterministico, non considerando cioè l incertezza intrinseca di questa operazione. Quindi, il numero totale di volte che al sito è superata una soglia di accelerazione del suolo (per ogni magnitudo e porzione delle zone sismogenetiche considerate), può variare notevolmente in base alla relazione di attenuazione adottata. La ricostruzione della distribuzione temporale delle scosse che danno un particolare livello di scuotimento, nello schema di Cornell, 83

84 richiede una distribuzione Poissoniana nei tempi inter-evento. Quest ultima è plausibile solo se vengono utilizzati cataloghi sismici che comprendono solo eventi indipendenti, il che comporta un eliminazione, anch essa arbitraria, di alcuni degli eventi del catalogo (eventi dipendenti). L approccio di sito invece determina la pericolosità direttamente dalla descrizione degli effetti sismici in ciascun sito. La principale differenza tra il metodo di sito ed il metodo di Cornell risiede nel fatto che il primo applica in modo estensivo la filosofia probabilistica includendo nel calcolo della pericolosità ogni fonte di incertezza, mentre il metodo di Cornell tenta di imporla attraverso assunzioni riduttive o arbitrarie. Per esempio nel caso in cui i dati di risentimento al sito non siano noti, anche nell approccio di sito si utilizzano leggi di attenuazione per stimare la probabilità che nella località di interesse si sia risentita una data intensità, ma in questo caso le incertezze coinvolte nelle stime sono considerate esplicitamente. Sebbene esistano approcci statistici più sofisticati, in base ai quali la pericolosità viene stimata in funzione del tempo trascorso dall ultimo evento verificatosi in una data area (tecniche cosiddette time-dependent o non Poissoniane), questi vengono adottati per ora solo a livello sperimentale. 84

85 4. La pericolosità sismica: la Situazione Italiana 4.1 La classificazione sismica Le cronache riportano frequentemente il verificarsi in Italia di un terremoto con conseguenze da gravi a catastrofiche. Da cui la necessità di fronteggiare l'emergenza e la ricostruzione, ma anche di elaborare una strategia di difesa dai terremoti. Lo strumento di difesa adottato fino ad oggi in Italia è incentrato sulla normativa sismica, che predispone i requisiti antisismici adeguati per le nuove costruzioni in determinate zone del Paese. L'altra possibile difesa può avvenire attraverso l'intervento sul patrimonio edilizio già esistente, operazione che deve essere articolata a valle di complesse valutazioni socio-economiche, denominate analisi di rischio, diffusasi solo negli ultimi anni. Entrambi gli strumenti di protezione dagli effetti dei terremoti hanno un denominatore comune nella stima della pericolosità sismica del territorio, ovvero nella stima dello scuotimento del suolo, previsto in un certo sito durante un dato periodo di tempo, imputabile a terremoti. L importanza dei risultati degli studi di pericolosità, in particolare, può essere meglio compresa se consideriamo che su di essi si basa la classificazione sismica del territorio nazionale, che insieme alle normative per l edificazione in aree sismiche, concorre alla mitigazione e prevenzione dei danni prodotti dal terremoto sull ambiente. Mentre la classificazione definisce i parametri progettuali dei nuovi edifici, l applicazione e la pianificazione urbanistica antisismica sono regolate invece dalla normativa. Per quanto riguarda l Italia, fino dalla metà degli anni Settanta, i criteri seguiti in materia di classificazione del territorio erano estremamente eterogenei e assolutamente non guidati da considerazioni di tipo scientifico. Infatti, la prima classificazione sismica nazionale fu promulgata in seguito al disastroso terremoto che distrusse Messina e Reggio Calabria nel 1908 provocando circa vittime, senza dubbio uno degli eventi più violenti mai verificatisi sul territorio italiano. Tale classificazione consisteva in una lista di comuni 85

86 danneggiati dal sisma e veniva successivamente aggiornata dopo ogni forte terremoto che colpiva la penisola. Soltanto nel 1974 fu emanata la prima legge (legge 2 febbraio 1974 n. 64 o n. 64/74) che prescriveva i criteri generali per la costruzione in zone sismiche. La 64/74 delega la definizione delle norme tecniche e la classificazione del territorio a successivi decreti ministeriali ed è pertanto aggiornabile qualora le nuove conoscenze in materia lo suggeriscano. Tale classificazione prevedeva un elenco di comuni suddivisi in due categorie, in funzione del livello di pericolosità espresso in termini della massima intensità storicamente risentita all interno del area comunale (1 categoria = I max tra IX e XII; 2 categoria = I max tra VI e IX).In seguito al terremoto che colpì il Friuli il 6 maggio 1976, furono avviati in Italia molti studi finalizzati alla revisione della precedente classificazione sismica. Tra i risultati di questi lavori, in particolare nell ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica (PFG) del CNR, si ricorda l Atlante della classificazione sismica e il Catalogo dei Terremoti Italiani dall Anno 1000 al 1980 (Postpischl, 1985) e le mappe di scuotibilità d Italia (Gruppo di Lavoro Scuotibilità, 1979; Petrini et al., 1979), sulla base delle quali il CNR avanzò una proposta per la riclassificazione sismica del territorio italiano. Tale proposta fu accettata e tradotta in una serie di decreti legge emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici, tra il 1980 ed il 1984, in seguito al disastroso terremoto che colpì l Irpinia il 23 novembre 1980 provocando enormi danni economici e circa 3000 vittime. La nuova classificazione, che risale al 1986 ed attualmente in vigore, lasciava sostanzialmente inalterati i comuni già in prima e seconda categoria, mentre prevedeva l ingresso in seconda categoria di molti comuni precedentemente non classificati sismici e la definizione di una terza categoria (I MAX VI) per alcune località del Meridione per le quali, nonostante il basso livello di pericolosità, erano attesi danni considerevoli per gli alti livelli di vulnerabilità ed esposizione. Oltre alla suddivisione dei comuni nelle tre categorie sismiche, vennero fissate per legge anche alcune norme tecniche mediante le quali vennero definite le caratteristiche costruttive per i nuovi edifici in aree sismiche, introducendo il coefficiente sismico di progetto C da assegnarsi all edificio sulla base delle sollecitazioni previste per la classe di appartenenza del comune di edificazione. Un altro parametro a cui fa riferimento 86

87 la classificazione è il grado di sismicità S ad uso prevalentemente ingegneristico (vedi tabella 4.1). Uno dei limiti di tale normativa consiste nel fatto che essa è applicabile esclusivamente ad edifici di nuova costruzione. La normativa italiana attuale (dati al 1991) prevede una classificazione sismica degli 8102 comuni del territorio italiano (fig. 4.1). Di questi comuni, 2965 sono classificati come sismici interessando il 45% del territorio nazionale ed il 70% dell Italia centro-meridionale. La popolazione sottoposta a rischio sismico è il 40% (fonti SSN). Attualmente, è in fase di ultimazione una nuova classificazione sismica del territorio nazionale, che prevede una complessiva diminuzione del numero di comuni classificati sismici e di quelli in seconda categoria e, al contrario, un aumento dei comuni classificati in prima e soprattutto in terza categoria. Questa nuova classificazione è frutto dei più recenti studi sulla storia sismica del territorio italiano ed all impiego di più aggiornate metodologie di analisi. Nel seguito verrà presentata una breve rassegna dello stato delle conoscenze e dei più recenti risultati ottenuti nella stima della pericolosità sismica per il territorio italiano. Fig. 4.1 Classificazione sismica del territorio italiano in vigore dal I diversi colori corrispondono alle diverse categorie sismiche: rosso = 1 cat.; arancione = 2 cat.; giallo = 3 cat.; grigio = non classificato. (dal sito Internet del SSN: 87

88 Tabella La pericolosità sismica Dal 1974, data della promulgazione della normativa sismica nazionale contenente i criteri di costruzione antisismica e della classificazione sismica, gli studi sismologici e geologici svolti nell'ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), hanno portato ad un sostanziale sviluppo delle conoscenze sulla sismicità del territorio nazionale e permesso la formulazione di una proposta di classificazione sismica basata, per la prima volta in Italia, su indagini di tipo probabilistico della sismicità italiana e contenente un embrione di stima del rischio sismico sul territorio nazionale. Il risultato di questi studi, presentato al governo e tradotto in una serie di decreti, costituisce la base per la classificazione sismica italiana attualmente in vigore. Sono passati più di venti anni da allora, e la comunità scientifica ha compiuto altri significativi passi nella comprensione del fenomeno sismicità e nella valutazione e sviluppo di tecniche per la riduzione delle sue conseguenze. Come in tutti i settori della ricerca i risultati non sono esaustivi ma consentono però un aggiornamento della classificazione sismica del territorio. Nell'ambito delle attività di ricerca del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) del CNR, il progetto "Pericolosità Sismica del Territorio Nazionale" si è posto quale obiettivo ottenere una nuova stima della pericolosità sismica d'italia, utilizzando metodologie statistiche internazionalmente convalidate, per fissare le conoscenze disponibili alla prima metà degli anni '90. 88

89 Hanno concorso alla realizzazione di tale progetto le attività di tre Linee di Ricerca del GNDT, che possono semplicisticamente rappresentare gli "ingredienti" necessari per la stima della pericolosità. La Linea "Sismicità" ha contribuito al miglioramento delle conoscenze sismologiche ed alla valutazione della sismicità nazionale, la Linea "Sismotettonica" ha guidato l'interpretazione del "dove e perché" avvengono i terremoti, la Linea "Pericolosità" ha esplorato gli aspetti metodologici della stima della pericolosità, ed è quindi stata coinvolta nelle fasi di calcolo vero e proprio. Senza l'apporto originale e la sinergia di queste ricerche non sarebbe stato possibile giungere a risultati culturalmente e scientificamente validi e nuovi. Nell'ambito del progetto GNDT per la nuova proposta di classificazione sismica del territorio nazionale è stato scelto il metodo di Cornell (vedi par ) preso a riferimento anche da numerosi progetti internazionali. Come si è visto, gli elementi basilari sono una zonazione sismogenetica dell'area studiata, un catalogo dei terremoti ed una o più relazioni di attenuazione del parametro sismologico scelto quale indicatore di pericolosità. Nell'ambito delle attività del GNDT, è stata elaborata una zonazione sismogenetica del territorio italiano e regioni limitrofe che considera 80 sorgenti, omogenee dal punto di vista strutturale e sismogenetico (modello del GNDT par ). È stato poi predisposto un nuovo catalogo sismico finalizzato alla pericolosità per i terremoti avvenuti nell'intervallo temporale dall'anno 1000 al 1980 sul territorio nazionale e regioni limitrofe (NT4.1 e DOM4.1) che consiste di oltre 3000 eventi principali (le repliche sono escluse). Per tenere conto degli effetti d attenuazione, provocati dalla distanza sito-sorgente sull indicatore di pericolosità di interesse, ovvero l'accelerazione orizzontale di picco PGA, sono state utilizzate le relazioni di attenuazione proposte da Ambraseys e da Sabetta e Pugliese. Per l intensità macrosismica I sono state invece sviluppate nuove relazioni empiriche. I risultati sono descritti nel par

90 4.2.1 La storia sismica I cataloghi sismici italiani Come visto in precedenza, la conoscenza della sismicità passata è uno strumento essenziale per la valutazione della pericolosità sismica. La raccolta e la successiva analisi delle informazioni riguardanti gli effetti dei terremoti verificatisi nel passato si sono rivelate, già da molto tempo, di enorme interesse. Intorno alla metà dell Ottocento, infatti, l esistenza di una tradizione europea di studi sulla sismicità storica permise allo studioso inglese Robert Mallet di compilare uno dei più vasti cataloghi sismici (Mallet, ) e di tracciare una carta sismica dell intero Mediterraneo. In Italia l interesse per questo genere di raccolte fu molto precoce, stimolato da una ricca ed antica tradizione di fonti documentarie e dal frequente ripetersi di terremoti distruttivi. Molto antica, in quanto risalente al mondo classico, è infatti l osservazione che i terremoti hanno la tendenza a manifestarsi negli stessi luoghi e che vi fossero zone più sismiche di altre. Sebbene nel nostro Paese, già a partire dal XVI secolo si fosse formata una tradizione di cataloghi sismici, soltanto all inizio del Novecento lo studioso Mario Baratta pubblicò a Torino una raccolta contenente materiale informativo su tutti gli eventi sismici avvenuti in Italia, di cui era stato possibile reperire notizie. Questa fu pubblicata con il titolo: I terremoti d Italia. Saggio di storia, geografia e bibliografia sismica (Baratta, 1901). L organicità di tale lavoro, al quale l autore aveva lavorato da solo per dieci anni, consentì di compiere enormi passi avanti nella conoscenza delle caratteristiche delle diverse aree sismiche del territorio italiano. Tuttavia, l opera di Baratta presentava alcuni limiti, dal momento che riportava alcuni terremoti risultati poi, alla luce di recenti revisioni, mal stimati o addirittura falsi, ovvero mai verificatisi. Frequenti sono anche gli errori di cronologia, dovuti ai differenti sistemi di datazione antica e moderna adottati in Italia, che hanno causato duplicazioni di eventi. Negli anni Settanta l ENEL, in collaborazione con l Istituto Nazionale di Geofisica (ING) ed il CNEN (attuale ENEA), ha affrontato il problema dell informatizzazione del catalogo dei terremoti italiani, pubblicando una raccolta con oltre eventi avvenuti dall anno 1000 al Lo stesso ente 90

91 ha poi prodotto il "catalogo ENEL-ISTAT 1971 delle località abitate italiane". Quest ultimo catalogo, composto da circa località, costituisce il riferimento geografico (denominazione e coordinate delle località) per i successivi cataloghi sismici. Successivamente, le ricerche svolte dal Gruppo Catalogo dei Terremoti (GCT) hanno portato quasi a raddoppiare il numero di eventi storici italiani confluiti nel Catalogo dei Terremoti Italiani dall Anno 1000 al 1980 (Postpischl, 1985). Negli ultimi anni, l Istituto Nazionale di Geofisica da un lato, ed il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) dall altro, hanno completato un lungo e complesso lavoro di rivalutazione ed omogeneizzazione dei risultati delle ricerche sismiche storiche, condotte in diversi ambiti, pervenendo ambedue alla compilazione di nuovi cataloghi sismici. All interno dell ING, è stato prodotto il Catalogo dei Forti Terremoti in Italia dal 461 a.c. al 1980 (CFTI, Boschi et al., 1995), cui ha fatto seguito una seconda edizione nella quale sono stati aggiunti ulteriori eventi ( Catalogo dei Forti Terremoti in Italia dal 461 a.c. al 1990, Boschi et al., 1997). Oltre alle principali informazioni parametriche (es. data del terremoto, coordinate epicentrali, magnitudo ed intensità epicentrale) tale compilazione riporta, per ogni evento, la lista completa delle località per le quali sono disponibili informazioni macrosismiche. Parallelamente, in ambito GNDT, sono stati concepiti due cataloghi relativi ai terremoti verificatisi nella penisola dal 1000 al Il primo è un catalogo epicentrale ( NT4.1 - un catalogo parametrico di terremoti di area italiana al di sopra della soglia del danno, Camassi e Stucchi, 1996), aggiornato nella versione fino al Il catalogo è costituito da una sequenza di stringhe, una per terremoto, che contengono i parametri scelti dal compilatore per rappresentare alcune caratteristiche di ciascun terremoto (localizzazione epicentrale, tempo origine, magnitudo, ecc.) e copre la finestra temporale L'estensione al 1995 è stata resa disponibile nel 1996 e considera gli epicentri di "area italiana", ossia inclusi in un poligono che comprende le zone sismogenetiche di interesse per la valutazione della pericolosità sismica in Italia, secondo il modello proposto da Scandone et al. (1992), si veda il par Fra il catalogo NT4.1 e la zonazione sismogenetica citata esiste una relazione molto stretta. In pratica, NT4.1 può essere visto come la somma di 82 sub-cataloghi indipendenti, relativi alle 80 zone sismogenetiche e alle 2 zone accessorie di 91

92 background. Il catalogo NT4.1 non comprende i terremoti delle zone sismogenetiche balcaniche e delle relative zone di background. Esso comprende in generale eventi con I e V-VII oppure M s 4.0. Uno degli aspetti che più caratterizzano l'orientamento del catalogo, ai fini di valutazione della pericolosità sismica, è costituito dal fatto che NT4.1 non contiene registrazioni di scosse considerate repliche o precedenti l evento principale (aftershocks e foreshocks). La rimozione è stata effettuata con un criterio freddo, rimuovendo gli eventi all'interno di finestre spazio-temporali di raggio 30 km e di +/- 90 giorni, indipendentemente da I e e M, conservando solo l'evento più grande. Ulteriori informazioni sul catalogo parametrico NT4 sono reperibili nel sito Internet: Il secondo catalogo è il DOM4.1 - un database di osservazioni macrosismiche di terremoti di area italiana al di sopra della soglia del danno, redatto da Monachesi e Stucchi (1997). DOM4.1 è un catalogo di sito contenente quasi dati di intensità risentita in circa località italiane e costituisce un indispensabile fonte di dati per le analisi probabilistiche di pericolosità sismica. In sintesi, DOM4.1 è un archivio di osservazioni macrosismiche di terremoti di area italiana al di sopra della soglia del danno contenente i dati macrosismici, provenienti da studi GNDT e di altri enti, che sono stati utilizzati per la compilazione di NT4.1. Evoluzioni di DOM4.1 sono state utilizzate per: La compilazione della "Mappa delle massime intensità macrosismiche osservate nei comuni italiani" (Molin et al., 1996), in combinazione con i dati di CFTI (Boschi et al., 1995), si veda la figura 4.2; La determinazione dei parametri di attenuazione (Peruzza, 1996) utilizzati per la redazione della "Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale" (Slejko, 1996); La redazione degli Scenari di danno speditivi da dati storici di terremoti" (ISMES, 1997). DOM4.1 non include i seguenti terremoti: al di sotto della soglia di danno I o 5, M s 4.0 profondi (con profondità ipocentrale Σ 35 km); 92

93 considerati repliche o foreshocks di eventi principali (si vedano le assunzioni del metodo di Cornell par ); relativi a zone balcaniche; relativi a terremoti prima del 1000 o successivi al Ulteriori informazioni sul catalogo parametrico DOM4.1 sono reperibili nel sito Internet: È quindi evidente come, rispetto alle precedenti compilazioni parametriche che si limitavano a riportare sintetiche informazioni epicentrali, il catalogo DOM4.1 risulta assai più ricco di dati, grazie ad approfondite indagini storiografiche attraverso le quali è stato possibile ricostruire un elevato numero di campi macrosismici delle intensità valutate con criteri omogenei. A partire dal 1988 il GNDT ha raccolto, verificato e ricompilato la maggioranza dei dati macrosismici disponibili per terremoti relativi al periodo , provenienti da fonti differenti, in parte pubblici, in parte riservati, e da studi isolati. È stata così data priorità agli eventi "principali" di ciascuna sequenza, con esclusione quindi delle repliche individuate secondo il criterio adottato per la compilazione dei cataloghi NT. In definitiva, i dati disponibili sono quelli relativi agli eventi "principali", cioè quelli relativi ai terremoti inseriti nel predetto catalogo. In totale, utilizzando i dati della banca GNDT la mappa delle massime intensità osservate può essere prodotta a partire da 943 eventi di intensità epicentrale superiore o uguale alla soglia del danno (I e V- VI). Per questi eventi si dispone complessivamente di circa osservazioni riferite a 9070 località, di cui 8518 in territorio italiano. Il "Catalogo dei Forti Terremoti in Italia" (CFTI), considerando solo marginalmente le informazioni concernenti terremoti con I e 8, caratterizza 226 eventi per i quali sono disponibili dati di intensità relativi a circa 8110 località, di cui circa 7800 in territorio italiano. Di questi eventi circa 215 possono essere considerate scosse "principali"; per 205 di questi ultimi sono disponibili anche i dati di intensità della banca dati GNDT, provenienti da studi differenti e indipendenti. La disponibilità di una vasta base di informazioni di buona qualità ha dunque consentito negli ultimi anni di incrementare sensibilmente le conoscenze relative all attività sismica nella penisola. Tuttavia, le differenze esistenti tra il catalogo CFTI e le compilazioni NT e DOM, hanno talvolta reso difficoltosa la scelta dei 93

94 parametri di riferimento, soprattutto ai fini di interventi di tipo normativo. Di conseguenza, su richiesta del Dipartimento della Protezione Civile, allo scopo di superare tali problemi e poter disporre di un catalogo unificato da adottare come riferimento per il territorio nazionale, è stato di recente pubblicato il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (Gruppo di Lavoro CPTI, 1999), risultato da una complessa integrazione tra le tre compilazioni La carta delle massime intensità La compilazione di una mappa affidabile delle massime intensità macrosismiche, realmente osservate, richiede la disponibilità di una storia sismica sufficientemente completa nell'arco di tempo prescelto per un insieme di località abbastanza denso. In passato queste condizioni erano ben lontane dall'essere soddisfatte. Di conseguenza, la maggior parte delle cosiddette carte delle "massime intensità osservate" prodotte sia in Italia (PFG, ING/SGA), sia in Europa, sono basate su dati estrapolati da carte delle isosisme o addirittura calcolati a partire da un catalogo e da leggi di attenuazione, a loro volta ottenute da isosisme. Queste carte non rappresentano dunque le massime intensità "realmente osservate", tant è che esse non riportano la massima intensità risentita da ogni singolo centro abitato. Per precisare questo concetto, il PFG adottò il termine di massime intensità "osservabili", ovvero intensità che si sarebbero potute osservare, in passato, in assenza di anomalie geologiche locali o di vulnerabilità, nell'ipotesi che catalogo e leggi di attenuazione scelti fossero effettivamente rappresentativi delle caratteristiche della sismicità nella regione di interesse. Oggi, in Italia, la situazione si presenta abbastanza diversa. Gli studi effettuati da ENEA, PFG, ENEL, GNDT, ING/SGA e da singoli autori hanno reso disponibili una grande quantità di osservazioni macrosismiche, la maggior parte delle quali esprimibili in termini di scale macrosismiche. È dunque pensabile di poter compilare una mappa di massime intensità osservate che si basi, in misura prevalente, su valori realmente osservati, ricorrendo ad aggiustamenti solo per quelle località ove questo si renda necessario, a misura del dettaglio dell'analisi. 94

95 I dati DOM e CFTI, coprendo un totale di circa località, hanno una copertura geografica sufficientemente omogenea, con distribuzione temporale che privilegia gli ultimi due secoli. I valori di intensità vengono riferiti al territorio comunale che è considerato l unità operativa base per l'attuazione delle normative. La mappa delle massime intensità osservate è stata quindi compilata "per comune". Qualora per uno stesso comune siano disponibili dati riferiti a più località, è stata attribuita all'intero territorio comunale la massima fra le intensità osservate nelle varie località appartenenti al comune stesso. Questa scelta rappresenta solo una prima approssimazione. Può infatti risultare penalizzante per località non soggette a fenomeni sistematici di amplificazione o per porzioni del territorio comunale molto distanti dalle località alle quali si riferisce il grosso delle informazioni disponibili. Si nota che tale effetto è tanto più significativo quanto più il comune è esteso, come ad esempio nel caso di Roma. Occorre infine osservare che alle cosiddette "isole amministrative" andrebbe attribuito, in via di principio, un valore di intensità massima osservata coerente con la loro collocazione geografica piuttosto che con la loro afferenza amministrativa. Le circa località per cui sono disponibili osservazioni ricadono in 5660 comuni, a fronte di 8101 comuni italiani (censimento ISTAT 91). In particolare, per 4065 comuni esistono dati sia DOM che CFTI, per 950 comuni esistono solo dati DOM, per 645 comuni esistono solo dati CFTI, mentre per 2441 comuni non si hanno dati osservati. La maggior parte di questi ultimi comuni si trova in Sardegna, regione poco sismica, nonché in Piemonte e Lombardia, regioni in cui si osserva una forte frammentazione con numerosissimi comuni di piccola superficie. Nell'elaborazione dei dati, volta alla compilazione della carta delle massime intensità, sono stati affrontati diversi problemi. Uno di questi è stata la parziale congruenza tra i dati DOM e CFTI. Un altro è la limitata disponibilità di dati, limitata per alcuni comuni (poche osservazioni o addirittura una soltanto). Si tratta in generale di piccoli comuni entrati in gioco solo in occasione di forti terremoti, o territori comunali in cui sono segnalate intensità basse, per lo più in occasione di terremoti recenti. Per questi ultimi, l'uso dell'unico dato disponibile, può risultare non corretto e né tanto meno cautelativo. In questi casi, così come in quelli in cui l'intensità massima risulta molto più bassa di quanto suggerito dai valori osservati nei comuni limitrofi, o nei casi estremi in cui non esiste alcun 95

96 dato osservato, si è proceduto assegnando, comune per comune, un valore "ponderato" di intensità (I max /pon), stimato per estrapolazione dai valori osservati nei comuni limitrofi oppure calcolando un risentimento massimo a partire dal catalogo NT mediante opportune leggi di attenuazione. Seguendo un'analoga strategia, oppure in presenza di evidenti imprecisioni nei dati, in poche decine di casi si è ritenuto opportuno "abbassare" il valore osservato di I max. Così non è stato nel caso di alcune grandi città (ad esempio Roma, Milano, ecc.), in quanto si è ritenuto che l'amplificazione degli effetti osservati relativamente ai comuni limitrofi possa riflettere una reale e maggior vulnerabilità complessiva di questo tipo di abitati. In totale I max /oss è stata assegnata ai 2441 comuni per i quali non sono disponibili osservazioni, e ad altri 1810, in relazione alle considerazioni espresse più sopra. Ad ogni comune risulta quindi associato un valore di intensità massima osservata (I max /oss), oppure "ponderata", espresso in una delle cinque classi seguenti: VI, VII, VIII, IX, X. Ai fini della stesura della Carta delle I max non si è ritenuto utile differenziare i valori al di sotto del VI grado ed al di sopra del X. I valori incerti sono stati associati alla classe superiore (es.: VI-VII è stato considerato equivalente a VII). Va sottolineato che questa scelta, unitamente a quella di associare all'intero territorio comunale il valore massimo di intensità osservata in almeno una località appartenente al comune stesso e di assegnare un valore "ponderato" nei casi in cui il record storico è molto incompleto, determina una rappresentazione tendenzialmente "pessimista" degli effetti dei terremoti del passato. La distribuzione geografica dei risultati è presentata in Fig Si sottolinea che queste scelte, unitamente a quelle precedentemente illustrate, di assumere per il comune il valore massimo osservato nel comune stesso e, nel caso di disponibilità di dati sia DOM che CFTI, di scegliere il valore più elevato, orientano i risultati in senso cautelativo e possono pertanto risultare sovrastimati. Ulteriori informazioni sulla carta delle massime intensità osservate, organizzata per regione e provincia, è disponibile nel sito Internet: 96

97 Fig Massime intensità macrosismiche osservate nei comuni italiani (dal sito Internet: dove sono disponibili le carte geografiche regionali e le tabelle con i dati di I max per i singolo comune) La zonazione sismogenetica del territorio nazionale La zonazione sismogenetica (Scandone et al., 1994) è stata tracciata con lo scopo prevalente di servire da input per valutazioni di pericolosità sismica effettuate dal GNDT applicando la metodologia di Cornell o altre metodologie (metodo "misto", ecc.). Questa zonazione sismogenetica rappresenta dunque una delle possibili zonazioni sismogenetiche: lo specifico ruolo rivestito nel calcolo della pericolosità, insieme al catalogo dei terremoti, alla modalità di valutazione dei tassi di sismicità e alle leggi di attenuazione utilizzate, ne ha profondamente determinato le caratteristiche, in particolare per quanto riguarda il numero e le dimensioni delle zone sismogenetiche. Il modello sismotettonico adottato nel tracciamento delle zone sismogenetiche è basato sulla correlazione incrociata di tre basi di dati che riguardano: 97

98 il modello strutturale 3D della penisola italiana e mari adiacenti che ha permesso di ricostruire la geometria delle strutture potenzialmente attive e di valutare le caratteristiche meccaniche delle rocce alle varie profondità; la distribuzione spaziale dei terremoti storici e attuali per le diverse classi di magnitudo. Particolarmente utili ai fini della zonazione sono risultate le numerose ricostruzioni di campi macrosismici esistenti. In molti casi sono state riscontrate strette correlazioni tra strutture geologiche potenzialmente attive e terremoti; in altri casi la ricca documentazione macrosismica disponibile ha indirizzato la revisione di aree dove non erano state riconosciute strutture attive. In qualche caso, infine, l'assenza di terremoti documentati in aree caratterizzate da deformazioni tettoniche recenti ha suggerito ulteriori approfondimenti nelle ricerche storiche nonché l'applicazione di indagini paleosismologiche; il modello cinematico dell'area mediterranea centrale riferito agli ultimi 6 milioni di anni. Il modello ha permesso di ricostruire l'andamento spaziotemporale di parametri estremamente importanti nell'analisi sismotettonica. L'approccio strutturale-cinematico, in definitiva, è sembrato il più promettente per giungere ad un quadro interpretativo coerente della sismicità in una regione tettonicamente complessa quale l'italia. In conclusione, la sismicità dell'area italiana si inserisce in un quadro geodinamico complesso nel quale trovano coesistenza processi cinematici diversi. La figura 4.3, oltre alla zonazione sismogenetica, mostra il comportamento cinematico atteso delle strutture sismogenetiche nelle varie zone del territorio nazionale. Nelle valutazioni di pericolosità che utilizzano l'approccio Cornell ogni zona sorgente, rappresentata da un poligono, viene assunta come omogenea. All'interno di essa i terremoti possono verificarsi in ogni punto con la medesima probabilità e sono distribuiti casualmente ("spalmatura" degli eventi). È bene sottolineare che le zone sismogenetiche, concepite in questa prospettiva, rappresentano una combinazione ragionata di elementi geologici e sismologici e non, viceversa, un insieme di elementi geologici nel quale si innesta, successivamente, un catalogo sismico. In altre parole, la geometria delle zone e i tassi di sismicità sono entrambi elementi costitutivi della zonazione. Ora, l'assunzione che terremoti di magnitudo medio-alta possano verificarsi con la stessa probabilità in un punto qualsiasi di una certa zona rappresenta, 98

99 ovviamente, un eccessiva semplificazione. Ciascuna zona sismogenetica è caratterizzata da un sistema di strutture sismogenetiche coerenti al proprio interno, in termini di geometria e cinematica, con i sistemi tettonici attivi delle zone adiacenti. Ciascuna zona rappresenta in sostanza la proiezione in superficie di un segmento, più o meno lungo, di un sistema di faglie attive capaci di generare terremoti. Ogni zona sismogenetica contiene quindi uno o più segmenti di faglie maggiori, responsabili degli eventi di più alta energia, e numerose faglie minori associate, responsabili degli eventi di più bassa energia. In questo senso i tassi di sismicità di ciascuna zona, comunque vengano calcolati, rappresentano valori che spesso mediano fra caratteristiche di rilascio dell'energia molto diverse fra loro. L eccessiva semplificazione, che è stata introdotta assumendo zone al loro interno omogenee, ha rappresentato dunque un prezzo coscientemente pagato per procedere in tempi ragionevoli a valutazioni di pericolosità relative all'intero territorio nazionale che tenessero conto in qualche modo delle informazioni allora disponibili. Va infine osservato che, di fatto, la zonazione sismogenetica adottata identifica 80 zone indipendenti ciascuna dall'altra e che il catalogo sismico, costruito in stretta connessione con la zonazione, può essere inteso come la somma di 80 sottocataloghi indipendenti (più due riferiti alle zone accessorie di background). L'operazione di "spalmatura" che viene effettuata nelle procedure di tipo Cornell fa sì che, a parità di eventi contenuti in catalogo, i valori dei descrittori dello scuotimento, atteso in un sito in un certo intervallo temporale, varino sensibilmente al variare della dimensione dell'area sorgente. Il criterio adottato nell'assegnare alle zone una certa larghezza è stato quello di mediare tra terremoti maggiori (che potrebbero essere contenuti in poligoni più stretti) e terremoti minori, ma comunque superiori alla soglia del danno, che sono di regola circoscritti da zone più larghe. Circa la lunghezza, il criterio seguito è stato quello geometrico-cinematico (continuità o meno delle strutture e omogeneità di comportamento cinematico) integrato dalle conoscenze disponibili sulla distribuzione spazio-temporale della sismicità. Il numero di zone nelle quali è stato diviso il territorio nazionale è la diretta conseguenza dell'applicazione di questi criteri e potrebbe variare nelle future revisioni del modello per future e differenti applicazioni. 99

100 Fig Zonazione sismogenetica del GNDT (dal sito Internet: a. zone legate alla convergenza Adria-Europa. b. Zone di trasferimento Alpi-Appennino e Mar Ligure. c. Zone legate allo sprofondamento passivo della litosfera adriatica sotto il sistema di catena nell'arco Appenninico Settentrionale. d. Zone legate alla disattivazione del sistema catena-avanfossa nell'appennino meridionale e alla rotazione antioraria dell'adria. e. Zone dell'arco Calabro, verosimilmente legate alla subduzione passiva della litosfera ionica, e Sicilia Settentrionale. f. Zone legate alla divergenza Africa-Adria. g. Zone di avampaese, con diversi comportamenti cinematici. h. Zone in aree vulcaniche attive. i. Zone con comportamento cinematico indefinito Le carte di pericolosità Per il calcolo della pericolosità è stato utilizzato il codice Seisrisk-III, basato sul metodo di Cornell, che richiede come input i parametri: geometria delle zone sismogenetiche, sismicità e relazioni di ricorrenza per ciascuna zona sismogenetica, relazioni di attenuazione. Nonostante il codice consenta la possibilità di considerare l'incertezza associata alla definizione spaziale delle 100

101 zone sismogenetiche, attraverso l opzione "bordi morbidi", è stato deciso di non utilizzarla. Il codice Seisrisk-III fornisce come output le frequenze di osservazione (sismicità macrosismica al sito), le frequenze di eccedenza ed il valore del periodo medio di ritorno associati a ciascun valore dell'intensità. Va sottolineato che, sulla base della ipotizzata distribuzione di Poisson, associare ad un evento un periodo di ritorno di 100 anni, significa dire che in 100 anni tale evento ha una probabilità di eccedenza uguale a 1 e 1 e cioè pari a circa il 63% (si veda punto V. par ). Infatti la probabilità p(1, T) di avere almeno un evento, di periodo medio di ritorno T nel tempo di esposizione T, è data da: T T p( 1, T ) = 1 e (4.1) In base alla (4.1) è possibile calcolare altre statistiche di interesse, come i valori di accelerazione del suolo aventi una probabilità di eccedenza assegnata in un certo intervallo di tempo. La stima della pericolosità è stata effettuata suddividendo il territorio italiano in maglie geografiche di circa 8 x 10 km e calcolando, per ciascuna maglia, il valore di intensità MCS o il valore di PGA, che ha una probabilità di non eccedenza del 90% (o di eccedenza del 10%) in tempi di 10, 50 e 100 anni. Tali tempi di osservazione, in base alla (4.1), corrispondono rispettivamente a periodi di ritorno di circa 95, 475, e 950 anni. Le scelte dei periodi di ritorno tengono conto, sia della copertura temporale e dei periodi di completezza del catalogo utilizzato, sia dei tempi di vita medi delle strutture normalmente utilizzati in campo ingegneristico. Le carte di pericolosità sono state ottenute calcolando le curve di livello che interpolano i valori delle singole maglie geografiche. I risultati di questa metodologia sono in genere riferiti ad un certo livello di probabilità in un dato periodo di tempo. Le figure presentate più avanti illustrano il valore dell'indicatore di pericolosità che si prevede non venga superato nel 90% dei casi in 50 anni. I risultati possono anche essere interpretati come quel valore di scuotimento (in I o PGA) che nel 10% dei casi al massimo si prevede verrà superato in 50 anni. Questo equivale allo scuotimento sismico che mediamente si verifica ogni 475 anni (cosiddetto periodo di ritorno). Si tratta di valori convenzionali utilizzati nel mondo ed in particolare in campo europeo anche 101

102 come valore di riferimento per l'eurocodice sismico (EC8). Non corrispondono pertanto né al massimo valore possibile per la regione, né al massimo valore osservato storicamente, ma sono ragionevoli compromessi legati alla presunta vita media delle strutture abitative. I due indicatori di pericolosità qui utilizzati (PGA e I)rappresentano due aspetti diversi dello stesso fenomeno. L'accelerazione orizzontale di picco PGA di Fig. 4.4 illustra l'aspetto più propriamente fisico: si tratta di una grandezza di interesse ingegneristico che viene utilizzata nella progettazione in quanto definisce le caratteristiche costruttive richieste agli edifici in zona sismica. L'intensità macrosismica I di Fig. 4.5 rappresenta, invece, in un certo senso le conseguenze socio-economiche. Descrivendo infatti il grado di danneggiamento causato dai terremoti, una carta di pericolosità in intensità macrosismica si avvicina, con le dovute cautele derivate da diverse approssimazioni insite nel parametro intensità, al concetto di rischio sismico. Le informazioni che si possono dedurre dalle due carte sono quindi diverse. Va ricordato che in entrambi i casi, i risultati forniti non contemplano le situazioni di anomalia particolare, legati a possibili amplificazioni locali dello scuotimento per caratteristiche geomorfologiche sfavorevoli oppure a situazioni di alta vulnerabilità degli edifici. Globalmente, comunque, i due prodotti hanno caratteristiche simili. Nel dettaglio della Fig. 4.4, i valori massimi di pericolosità (accelerazioni attese superiori a 0,36 g, dove con g si indica l'accelerazione di gravità) sono raggiunti in Friuli, in alcune zone dell'appennino Centrale e Meridionale, lungo l'arco Calabro fino allo stretto di Messina. Piccole porzioni della penisola (le zone pianeggianti del Piemonte e Lombardia, l'alto Adige, il Tavoliere delle Puglie) e la Sardegna risultano caratterizzate da valori di scuotimento atteso molto bassi (accelerazioni attese inferiori a 0,08 g). È da segnalare che l'attenuazione dell'accelerazione di picco selezionata è riferita ad un terreno medio ed è stata tarata su un vasto parco di dati europei per garantire robustezza ai risultati. La dinamica della carta d'intensità macrosismica di Fig. 4.5 individua ancora un'area di elevata pericolosità sismica in Friuli (valori corrispondenti al IX grado della scala MCS) mentre un massimo interessa questa volta tutta la parte assiale della penisola, dall'appennino Umbro-Marchigiano fino a quello Lucano, per poi proseguire lungo l'arco Calabro fino a Messina. In due fasce 102

103 costiere calabre vengono raggiunti i valori massimi di pericolosità, corrispondenti agli effetti del X grado MCS. Va segnalato che la convenzione utilizzata per la rappresentazione grafica associa i gradi intermedi, solitamente usati per indicare l'incerta attribuzione tra due classi di intensità, alla classe superiore. Così, ad esempio, per la maggior parte della Pianura Padana, si prevede che possano verificarsi mediamente ogni cinque secoli effetti del V-VI o VI grado MCS, corrispondenti alla soglia dei primi danneggiamenti. La Sardegna resta sensibilmente meno pericolosa del resto d'italia. Ulteriori informazioni si possono trovare nel sito: Fig Mappa della pericolosità sismica in Italia riferita all accelerazione orizzontale di picco PGA con periodo medio di ritorno T = 475 anni. 103

104 Fig Mappa della pericolosità sismica in Italia riferita all Intensità macrosismica con periodo medio di ritorno T = 475 anni. 104

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