Esercitazioni di geometria /2009 (Damiani) Il polinomio minimo. I) Definizione del polinomio minimo.

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1 Esercitazioni di geometria /2009 (Damiani) Il polinomio minimo I) Definizione del polinomio minimo. Siano k un campo, A un anello (associativo) unitario, k Z(A) A un omomorfismo di anelli unitari (dove Z(A) è il centro di A); si osservi che sotto queste ipotesi A è anche un k-spazio vettoriale e si supponga dim k A < ; infine sia α A. Osservazione: la struttura su A può essere equivalentemente descritta nel modo seguente: i) A è un k-spazio vettoriale; ii) A è un anello (associativo) unitario; iii) il prodotto A A A è k-bilineare (cioè oltre ad essere distributivo commuta con il prodotto per scalari: (λa)b = λ(ab) = a(λb) λ k, a, b A). Se valgono i), ii) e iii) si dice che A è una k-algebra (associativa) unitaria. Sia v α : k[t ] A la valutazione in α, cioè l omomorfismo k-lineare di anelli unitari (l omomorfismo di k-algebre unitarie) definito da v α (T ) = α; osservare che i a it i k[t ] si ha v α ( i a it i ) = i a iα i dove α 0 = 1 A e α i+1 = αα i i N. Notazione: dato P k[t ], v α (P ) si scrive anche P (α). Osservare che {P k[t ] P (α) = 0} = ker(v α ) è un ideale di k[t ]. In particolare esiste p α k[t ] tale che {P k[t ] P (α) = 0} = ker(v α ) = (p α ); p α è unico a meno di scalari. Osservazione: p α 0. Dimostrazione: dim k A < dim k k[t ], quindi non esiste un omomorfismo iniettivo di k[t ] in A; ne segue che ker(v α ) (0). Notazione: si osservi che p α è univocamente determinato se si impone la scelta che sia monico. In queste note si indicherà con p α il generatore monico di ker(v α ); tale polinomio si chiama polinomio minimo di α. Osservare che p α = 1 A = {0}. In particolare: i) Siano V uno spazio vettoriale di dimensione finita su k ed f End k (V ). Osservare che dim k End k (V ) < ; si chiama polinomio minimo di f il polinomio monico p f k[t ] tale che (p f ) = ker(v f ) dove v f : k[t ] End k (V ) è la valutazione in f. Osservare che p f = 1 V = {0}. ii) Siano n N e A M n n (k). Osservare che dim k M n n (k) < ; si chiama polinomio minimo di A il polinomio monico p A k[t ] tale che (p A ) = ker(v A ) dove v A : k[t ] M n n (k) è la valutazione in A. 1

2 iii) Siano n N e k un campo che contiene k. Se A M n n (k) siano v A : k[t ] M n n (k) e ṽ A : k[t ] M n n ( k) le valutazioni in A e p A, p A i polinomi minimi di A rispettivamente su k e su k (cioè ker(v A ) = p A k[t ] e ker(ṽ A ) = p A k[t ]); osservare che: a) p A k[t ]; b) k[t ] k[t ], M n n (k) M n n ( k) e ṽ A k[t ] = v A ; c) p A = p A. iv) Siano n N, k un campo che contiene k, A M n n ( k), p A il polinomio minimo di A. Osservare che non necessariamente p A k[t ]. v) Siano k un campo che contiene k con dim k k <, λ k, vλ : k[t ] k la valutazione in λ; il generatore monico p λ di ker(v λ ) si chiama il polinomio minimo di λ su k. Si osservi che λ k se e solo se p λ = T λ; altro esempio: il polinomio minimo di i su R è T Si osservi ancora che (a differenza degli esempi i-iv)) in questa situazione p λ è sempre irriducibile in k[t ] (perché?). È vero anche il viceversa: se q k[t ] è irriducibile, esistono k k campo di dimensione finita su k e λ k tali che q = p λ. Osservazione: Siano A, B due k-algebre associative unitarie di dimensione finita (su k) e sia ϕ : A B un isomorfismo. Dato α A si ha che p α = p ϕ(α) (segue dal fatto che v ϕ(α) = ϕ v α, da cui ker(v α ) = ker(v ϕ(α) )). In particolare: se A è la matrice di f rispetto ad una base di V allora il polinomio minimo di A è uguale al polinomio minimo di f ed è indipendente dalla scelta della base di V ; analogamente se A e B sono due matrici simili (cioè legate dalla relazione B = M 1 AM per qualche M invertibile) il polinomio minimo di A è uguale al polinomio minimo di B. II) Polinomio minimo e sottospazi stabili. Sia U V un k sottospazio vettoriale. Osservare che E(V, U) = {f End k (V ) f(u) U} è una sottoalgebra unitaria di End k (V ) e che la restrizione res U : E(V, U) f f U End k (U) e l induzione sul quoziente ind U : E(V, U) f f End k (V/U) sono omomorfismi. Ne segue che se f E(V, U) si ha che p f U p f e p f p f. Osservare inoltre che p f può essere descritto anche nel modo seguente: sia I = {p k[t ] p(f)(v ) U}; allora I è un ideale di k[t ] e si ha I = (p f ); notare che naturalmente ker(v f ) I. Analogamente p f U può essere descritto anche nel modo seguente: sia I = {p k[t ] p(f)(u) = {0}} = {p k[t ] p(f) U = 0}; allora I è un ideale di k[t ] e si ha I = (p f U ); notare che naturalmente ker(v f ) I. Dalle descrizioni date sopra di p f e p f U segue subito anche la relazione p f p f U p f : infatti p f U (f)(p f (f)(v )) p f U (f)(u) = {0}. Siano ora U, W V tali che V = U W ed f E(V, U) E(V, W ); allora p f = m.c.m.(p f U, p f W ). Infatti sicuramente p f U p f e p f W p f ; d altra parte se si pone q = m.c.m.(p f U, p f W ) si ha q(f)(u) = {0} e q(f)(w ) = {0}, quindi q(f) = 0. Il risultato appena visto si generalizza facilmente: siano V = U 1... U r ed f End k (V ) tale che f(u i ) U i i = 1,..., r; allora p f = m.c.m.(p f U1,..., p f U r ). 2

3 Viceversa sia f End k (V ) e sia p f = q 1 q 2 con m.c.d.(q 1, q 2 ) = 1; allora V = ker(q 1 (f)) ker(q 2 (f)) = Im(q 1 (f)) Im(q 2 (f)) e questi sottospazi sono tutti f stabili. Dimostrazione: che ker(q i ), Im(q i ) (i = 1, 2) sono f stabili è ovvio; dimostriamo che Im(q i (f)) ker(q j (f)) (i j = 1, 2), che ker(q 1 (f)) ker(q 2 (f)) = {0} e che Im(q 1 (f)) + Im(q 2 (f)) = V. i) Im(q i (f)) ker(q j (f)) (i j = 1, 2): (q j (f)(im(q i (f))) = q j (f)(q i (f)(v )) = p f (f)(v ) = {0}; ii) ker(q 1 (f)) ker(q 2 (f)) = {0}: se U = ker(q 1 (f)) ker(q 2 (f)) si ha p f U p f ker(qi (f)) i = 1, 2; ne segue che p f U m.c.d.(q 1, q 2 ) = 1, cioè U = {0}; iii) Im(q 1 (f)) + Im(q 2 (f)) = V : siano r 1, r 2 k[t ] tali che 1 = q 1 r 1 + q 2 r 2 ; allora v v si ha v = q 1 (f)r 1 (f)(v) + q 2 (f)r 2 (f)(v); la tesi segue dal fatto che q i (f)r i (f)(v) Im(q i (f)) i = 1, 2. Osservazione: per induzione su r si generalizza facilmente il risultato precedente: sia f End k (V ) e sia p f = q 1... q r con m.c.d.(q i, q j ) = 1 i j = 1,..., r; allora V = r i=1 ker(q i(f)) (e i = 1,..., r ker(q i (f)) = Im( p f q i (f))). III) Esempi. i) p f (T ) = T λ f = λid V ; in tal caso det(f T id V ) = (T λ) dim k(v ( ) ) ; λ 0 ii) se f = con λ µ, p 0 µ f = (T λ)(t µ) = det(f T id V ); ( ) λ 1 iii) se f = p 0 λ f = (T λ) 2 = det(f T id V ); λ λ λ iv) se f =..... (n n) λ λ p f (T ) = (T λ) n = det(f T id V ); a a a v) se f = a n a n 1 p f (T ) = T n a n 1 T n 1 a n 2 T n 2... a 2 T 2 a 1 T a 0 = det(f T id V ); vi) determinare p f (T ) e det(f T id V ) nei casi seguenti: a) f = ; b) f = ;

4 c) f = ; d) f = ; e) f = IV) Legame tra polinomio minimo e polinomio caratteristico. Osservazione: p f det(f T id V ); in particolare deg(p f ) dim k (V ). Dimostrazione: la tesi è un corollario immediato del teorema di Cayley-Hamilton (il polinomio caratteristico di f è annullato da f). Si osservi che questa è un altra dimostrazione del fatto che p f 0. Proposizione: p f (λ) = 0 det(f λid V ) = 0 (cioè λ è un autovalore per f). Dimostrazione: ( ) segue dal fatto che p f det(f T id V ). Altra dimostrazione (senza usare il teorema di Cayley-Hamilton): p f (λ) = 0 q k[t ] tale che p f = (T λ)q. Ne segue che 0 = p f (f) = (f λid V ) q(f). Ma la minimalità di p f implica che q(f) 0, quindi f λid V non è invertibile, dunque det(f λid V ) = 0. ( ) Sia V λ V l autospazio per f relativo a λ, cioè V λ = {v V f(v) = λv}. Osservare che f Vλ = λid Vλ, quindi (f µid V ) Vλ è invertibile µ λ. Ne segue che se λ è un autovalore per f e q k[t ] è un polinomio tale che q(λ) 0 si ha q(f) Vλ invertibile e in particolare q(f) Vλ 0, da cui q(f) 0 e q p f. Dunque p f (λ) = 0. Osservare che in questa dimostrazione si è supposto che gli autovalori siano contenuti in k; questa ipotesi è lecita grazie al risultato dell esempio iii,c). La proposizione può essere riformulata e dimostrata nel modo seguente (senza assumere il teorema di Cayley-Hamilton, di cui si fornisce un ulteriore dimostrazione): Proposizione : p f e det(f T id V ) hanno gli stessi fattori irriducibili (e p f det(f id V )). Dimostrazione: a) supponiamo inizialmente che V non contenga sottospazi f-stabili non banali; allora dato v 0 si ha che U =< f i (v) i N > è un sottospazio stabile non nullo, quindi U = V ; d altra parte se d = deg(p f ) si ha che {f i (v) i = 0,..., d 1} è linearmente indipendente (perché?) e V =< f i (v) i = 0,..., d 1 >, quindi d = deg(p f ) = dim k V. Se p f = T d +a d 1 T d a 0, la matrice di f rispetto alla base {v, f(v),..., f d 1 (v)} 4

5 a a a è 2 da cui con un semplice conto (cfr. III,v)) si trova det(f a d a d 1 T id V ) = ±p f e la tesi è ovvia. b) consideriamo ora il caso generale e procediamo per induzione su dim k V. Se V non contiene sottospazi f-stabili non banali la tesi è provata in a). Sia U V un sottospazio f-stabile non banale; osservare che dim k (U), dim k (V/U) < dim k V, quindi per l ipotesi induttiva la proposizione è vera per f U e per f, dove f End k (V/U) è l applicazione lineare indotta da f sul quoziente. Ma ovviamente det(f T id V ) = det(f U T id U )det( f T id V/U ) e (v. II)) p f U p f, p f p f e p f p f U p f : la tesi segue. Corollario: Sia q k[t ] irriducibile. Allora q det(f T id V ) V q = ker(q(f)) {0}. Si osservi che se q = T λ allora V q è l autospazio relativo a λ; inoltre se q 1,..., q r sono i fattori irriducibili di det(f T id V ) si ha che r i=1 V q i = r i=1 V q i V. Corollario: Sia q k[t ] irriducibile; allora degq dim k V q. Dimostrazione: k[t ]/(q) è un campo e V q è un k[t ]/(q)-spazio vettoriale: si ha allora che dim k V q = (dim k k[t ]/(q))(dim k[t ]/(q) V q ) = (degq)(dim k[t ]/(q) V q ). V) Polinomio minimo e diagonalizzabilità. Proposizione: sia f End k (V ). Allora f è diagonalizzabile λ 1,..., λ r k distinti tali che p f = (T λ 1 )... (T λ r ). Dimostrazione: ( ) siano λ 1,..., λ r gli autovalori di f; allora λ i k i k e V = r i=1 V λ i dove V λi è l autospazio relativo a λ i. Ma p f Vλi = T λ i i = 1,..., r, quindi p f = m.c.m.(t λ 1,..., T λ r ) = (T λ 1 )... (T λ r ). ( ) V = r i 1 ker(f λ i id V ); ma ker(f λ i id V ) = V λi, quindi f è diagonalizzabile. Corollario: sia f End k (V ) diagonalizzabile e sia U V tale che f(u) U. Allora: i) f U è diagonalizzabile; ii) U = λ U V λ; iii) f End k (V/U) è diagonalizzabile; iv) (V/U) λ = V λ /U λ. Viceversa (e banalmente) se W V è un sottospazio tale che W = λ W V λ allora f(w ) W. Osservazione: siano f End k (V ), U V tale che f(u) U l omomorfismo indotto da f sul quoziente. Allora: i) f U, f diagonalizzabili f diagonalizzabile; ii) (V/U) λ V λ /U λ ; iii) se U = V λ {0} per qualche λ k si ha p f = p f T λ ; f End k (V/U) 5

6 iv) se U = λ k V λ si ha p f = p f λ k autovalore T λ. 6

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