Friedrich Wilhelm Schelling

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1 Friedrich Wilhelm Schelling VITA Frequentò la celebre scuola teologica di Tubinga, dove conobbe Hegel e Holderlin, dei quali divenne amico, per poi passare alle università di Lipsia e Jena (qui, fra le altre cose, assistette alle lezioni di Fichte). Già a 23 anni, con l aiuto di Goethe, Schelling è docente presso l università di Jena e già nel 1800 pubblica la sua opera, Sistema dell idealismo trascendentale, che attira l interesse sia dei romantici che degli idealisti. Del 1809 è l opera Ricerche filosofiche sulla libertà umana che segnò una svolta nel suo pensiero. Dagli anni Venti in poi tutti i suoi sforzi sono orientati al superamento di quel razionalismo metafisico che egli vede espresso nella figura di Hegel. Proprio ad Hegel, nel 1841, succede sulla cattedra di filosofia presso l università di Berlino. 2. IL "FARSI SPIRITO" DELLA NATURA: LA FILOSOFIA DELLA NATURA Schelling prende le mosse da Fichte: occorre cercare nel Soggetto ciò che Kant aveva cercato nel mondo esterno, nella oggettualità della cose in sé. Anche per Schelling, quindi, la natura non è semplicemente una "cosa" (in sé o meno!), ma è il prodotto interno dello Spirito, dell'assoluto. Essa però non sarebbe, come invece sosteneva Fichte, un limite che l io impone a se stesso nel suo continuo processo di autosuperamento, la natura cioè non sarebbe solo l altro dell io, ciò che l io oppone a sé, semplice non-io, ma l io più segreto ed oscuro. La natura, insomma, non è solo posta dallo Spirito come altro da sé in opposizione a sé, ma è anche, per così dire, la sua preistoria. Essa, non a caso, è definita "Spirito visibile" e correlativamente lo Spirito è "natura invisibile". Accade, quindi, che è assoluta unità fra la natura, fuori di noi, e lo Spirito, dentro di noi. La natura, ad avviso del nostro, segue un percorso di sviluppo che la vede farsi spirito in maniera progressiva e secondo alcune potenze, o forze. In essa si riscontra quella medesima dinamica di azione di cui abbiamo detto in relazione a Fichte. Vediamo, seppure in termini del tutto schematici, i tre stadi di sviluppo della natura. Sia detto che ciascuno stadio è più ricco e complesso del precedente, sino a giungere all'uomo come culmine: in esso quella "intelligenza inconscia" che si manifesta sin dalla mera materia raggiunge la coscienza di sé, l'autocoscienza: 1

2 In un primo stadio di sviluppo, la natura comprende tutto ciò che è inorganico: questo stadio ha come propria legge regolatrice la forza di gravità: qualcosa, dunque, di puramente meccanico e che si addice come norma alle cose. Attenzione però: già in questo primo stadio la materia altro non è se non spirito irrigidito, le cose sono vita che dorme. Il terzo stadio comprende, invece, tutto ciò che è organico, ciò che è governato da quelle forze che sono la sensibilità, l eccitabilità, l istinto a procreare. In particolare, una volta affacciatasi nel regno della dimensione spirituale conscia con l'uomo, in esso la natura troverà ancora tre potenze, analoghe alle precedenti, che sono quelle della conoscenza, dell azione e dell arte. Ecco che l'uomo - minuscolo essere nella immensità del cosmo - risulta essere niente di meno che il fine, lo scopo della Natura tutta! È solo nell'uomo, infatti, che lo Spirito di risveglia e diviene cosciente di sé. Il secondo stadio, invece, funziona come una specie di termine mediatore fra il primo e il terzo e vede il mondo inorganico elevarsi progressivamente fino a giungere alla presa di coscienza di sé. Le potenze connesse al secondo stadio sarebbero le leggi dell elettromagnetismo. Seguire il percorso che abbiamo sin qui delineato è ciò che Schelling chiama filosofia della natura (Primo progetto di un sistema di filosofia della natura, 1799) che ha, appunto, lo scopo di riconoscere nella natura cioè in tutto ciò che si manifesta nella forma dell esteriorità, dell oggettività una manifestazione dello Spirito. Una perfetta teoria della natura sarebbe quella in forza della quale l intera natura si dissolvesse in un intelligenza. Gli inerti e inconsci prodotti della natura non sono che tentativi falliti della natura per riflettere se stessa, e la cosiddetta natura morta non è altro in generale che un intelligenza immatura; perciò nei suoi fenomeni già traluce, ancora inconscio, il carattere intelligente. Il fine supremo, che è quello di diventare interamente oggetto a se stessa, la natura lo attinge soltanto con la suprema e ultima riflessione, che non è altro se non l uomo, o, più generalmente, ciò che noi chiamiamo ragione, per mezzo di cui la natura ritorna per la prima volta completamente in se stessa, e diventa manifesto che la natura è originariamente identica a ciò che in noi viene riconosciuto come principio intelligente e cosciente. (F.W. Schelling Sistema dell Idealismo trascendentale) Ancora: Porre come primo l'obiettivo [oggetto] e ricavare il subiettivo [soggetto] è, come abbiamo già accennato, il compito della filosofia della natura. Ora, se una filosofia trascendentale esiste, non le rimane altro che seguire il cammino opposto [...]. In tal modo la filosofia della Natura e quella dello Spirito si sono distinte secondo le due possibili direzioni della filosofia; se ogni filosofia deve riuscire, o a far nella Natura un'intelligenza, o dell'intelligenza una Natura, ne 2

3 segue che la filosofia trascendentale a cui spetta quest'ultimo ufficio, sia l'altra necessaria scienza fondamentale della filosofia. (F.W. Schelling Sistema dell Idealismo trascendentale) 3. IL CAMMINO INVERSO: CENNI SULLA FILOSOFIA TRASCENDENTALE Quella appena descritta è solo la prima via che la filosofia deve percorrere quella che dall oggetto (inerte) va al soggetto (spirituale): la seconda, che è la via trascendentale, compie il cammino inverso, dal soggetto all oggetto (come Schelling dice nella seconda citazione sopra riportata). È la filosofia trascendentale che, partendo dal soggettivo come primo assoluto, ne deve derivare l oggettivo. Il cammino "opposto" a quello della filosofia della natura! La via trascendentale parte dunque dall Io. L io, come mostrato da Fichte, ha in sé il suo fondamento: esso è, nella terminologia di Schelling, atto puro. L atto puro è un sapere al quale non conducono concetti e mediazioni per via di ragionamento, ma è un intuire. Tale intuizione si sviluppa in tre fasi: 1. La coscienza considera il proprio oggetto come fuori di sé, infatti l oggetto è dato alla coscienza innanzitutto dalla sensazione che proviene dall esterno; io sono cosciente di ogni oggetto innanzitutto come cosa che mi sta di fronte, fuori di me, cosa che i miei sensi mi consentono di afferrare. 2. La coscienza riconosce se stessa nell oggetto, riconoscimento che genera l uomo come essere intelligente; a questo livello, infatti, l'oggetto non è semplicemente oggetto di sensazione (e nulla più), ma diventa oggetto di coscienza, interiorizzato: questo significa, per esempio, che alle cose comincio ad attribuire delle finalità, degli scopi, dei significati, ecc. 3. La coscienza concepisce se stessa come proprio oggetto: è l autocoscienza piena. L'Assoluto, l'atto puro che si avvede di essere tale. 4. L'ASSOLUTO E IL PROBLEMA DELLA SCISSIONE E DELL'INFELICITÀ Filosofia della natura e filosofia trascendentale percorrono la medesima via nei due possibili versi, giungendo al riconoscimento che la Natura e lo Spirito sono così legati da essere uno. La Natura è lo Spirito nella forma dell esteriorità, mentre lo Spirito è la Natura nella forma dell interiorità: questa identità è l Assoluto. Ancora: l Assoluto è indifferenza dei contrari. In esso tutto ciò che dal particolare punto di vista della singola coscienza finita appare separato e distinto è uno e identico. Ma l Assoluto si può cogliere in quanto tale? 3

4 Schelling ritiene di sì, e pensa che questo sia il compito dell arte. Nell opera d arte interno ed esterno, conscio ed inconscio, materia e forma, natura e spirito, oggettivo e soggettivo si rivelano per ciò che veramente sono: uno. Se ogni prodotto artistico è finito e determinato, esso mantiene sempre una possibilità di significazione e di interpretazione infinita. Ecco che "L'arte porta l'uomo intero, come egli è, alla conoscenza del sommo vero [cioè dell'assoluto, ndr], e qui riposa l'eterna diversità e il portento dell'arte". Nell'arte l'assoluto viene intuito (e non conosciuto intellettualmente!). Ricorderete come già Fichte assegnasse all'arte un grande valore conoscitivo - elemento, questo, caratteristico non solo dell'intero Idealismo tedesco, ma anche di tutto il Romanticismo - ma qui Schelling va certamente oltre, assegnando all'arte una posizione del tutto privilegiata: "[...] c'è da aspettarsi, per tirare ancora questa conclusione, che la filosofia, come è stata prodotta e nutrita dalla poesia nell'infanzia del sapere, e con essa tutte quelle scienze, che per mezzo suo vengono recate alla perfezione, una volta giunte alla loro pienezza, come altrettanti fiumi ritorneranno a quell'universale oceano della poesia, da cui erano uscite." Questa concezione di Schelling è quanto viene definito idealismo estetico. Con una tale concezione della intuizione artistica-estetica, Schelling concepisce l'assoluto abbandonando idee di Fichte che vedevano nell'assoluto un "Soggetto", un "Io" e una "Autocoscienza", per intendere l'assoluto (proprio come abbiamo detto poche righe sopra!) come identità originaria di Soggetto e Oggetto, Io e nonio, Conscio e Inconscio, coincidentia oppositorum (coincidenza degli opposti) appunto. La posizione di Kant è ormai del tutto rovesciata: con Schelling la filosofia diventa conoscenza assoluta delle cose come sono in sé e questo accade perché soggetto (conoscente) e oggetto (conosciuto) si risolvono nell'identità assoluta di cui sopra: "[...] appartiene alla natura della filosofia considerare le cose come sono in sé, ciò in quanto sono infinite, e sono l'identità assoluta stessa". Ogni essere singolo - soggetto o oggetto - deriva dall'assoluto, ma senza distanziarsene o distaccarsene! Ogni essere singolo è la differenziazione qualitativa dell'identità assoluta, ma rimane radicato in tale identità e, come cosa in sé, si identifica con essa. Come non è difficile immaginare, questa filosofia dell identità approda ad un esito di carattere panteistico di tipo spinoziano. Come ricorderete, per Spinoza nulla si trova "al di fuori" dell'unica Sostanza divina: Schelling dice lo stesso affermando che "tutto ciò che è, in quanto è, è l'infinità stessa". Ora emerge, naturalmente, la grave difficoltà dello spiegare in che modo dall'identità assoluta e infinita nascano cose finite e fra loro differenziate. Detto diversamente: se la realtà è in se stessa così unitaria e armonica, tale da essere assoluta identità, come mai essa è così spesso sentita e vissuta come scissa, lacerata, divisa, e abitata da dolore e infelicità? Se, come Schelling di fatto sostiene, il mondo e tutte le cose del mondo sono l esplicazione di Dio, l'assoluto, al punto tale che ogni singola cosa in sé è tale Assoluto, come mai pare esserci una così drammatica frattura fra mondo e Dio medesimo? Schelling ammette che, se è vero che il mondo manifesta ed esprime Dio, che il mondo e le sue cose sono in Dio, pure esso se ne allontana. 4

5 È un po il concetto di caduta, comune a molte tradizioni religiose. Schelling dice infatti che "l'origine del mondo sensibile può spiegarsi solamente con un distacco dall'assoluto mediante un salto". Tutto questo, come vedremo ora, implica la questione della libertà. 5. IL PROBLEMA DELLA LIBERTÀ Ecco che a Schelling il quadro proposto ne il Sistema dell Idealismo trascendentale comincia a parere incompleto. Nelle sue Ricerche filosofiche intorno alla libertà umana, del 1809, il nostro mette a tema proprio la libertà dell uomo. Se Dio e mondo sono il medesimo, in che modo salvaguardare ciò che caratterizza l essere umano, ovvero la sua libertà? La soluzione tradizionale era di carattere dualistico: da una parte c è Dio, nella sua trascendente necessità, e dall altra c è il mondo della natura, con i suoi innumerevoli fenomeni contingenti e, in quanto tali, liberi. In questo modo però succede che la libertà esiste a patto di mettere Dio, cioè l Assoluto, fra parentesi, staccandolo nettamente dalle cose del mondo. Il problema è che di fronte a Dio l uomo non sarebbe davvero libero: se lo fosse Dio non potrebbe essere ciò che è, cioè unità e identità originaria in cui tutto è pienamente compreso. Se le cose stanno così, allora la libertà è solo apparenza. Schelling prova a risolvere questo problema e, nel farlo, modifica notevolmente alcune sue posizioni appena descritte, in particolare quella sull'assoluto come Identità. Dio, l Assoluto, in origine sceglie liberamente il bene e rifiuta il male: questo significa che il male, in qualche modo, esiste e rimane una possibilità sempre aperta. Questo presuppone l'accettazione, da parte di Schelling, di una idea del tutto esclusa tanto da Spinoza quanto da Fichte. Dio è una "persona" (solo così, infatti, ha senso parlare di "scelta"!). Inoltre, se Dio "sceglie" fra Bene e Male, è chiaro che ora Schelling vede Bene e Male non più come identità assoluta (come invece riteneva precedentemente!), ma come elementi separati e in lotta dentro l'assoluto stesso! Anche l uomo, proprio come Dio, è chiamato a compiere la medesima scelta, ma egli ha scelto (liberamente!) il Male. Schelling sta, con una concezione assai audace, sostenendo che Dio e l uomo sono stretti in un comune e ineludibile vincolo, quello della scelta originaria. Se il Male c'è nel mondo, è perché c'è già in Dio! Dio però sceglie il Bene e solo così si fa Dio: ecco che egli non può essere inteso come principio immutabile (dunque oggettivistico!), ma deve essere piuttosto visto come una persona (soggetto): egli è in quanto agisce e diviene! Nel suo agire Dio è legato all uomo: egli è dunque coinvolto totalmente nella storia umana. Se è così, è chiaro che questa storia non è decisa una volta per sempre, non è necessaria, ma Dio e l uomo ne portano, insieme, la responsabilità! Questa responsabilità è la libertà: scegliere il Bene oppure il Male. Appare molto chiaro che, in questa ultima fase del suo pensiero, Schelling ha di molto modificato la sua concezione dell'assoluto. 5

6 6. CONTRO HEGEL L ultimo Schelling, come abbiamo detto, si pone in termini critici di fronte al razionalismo metafisico che trova la sua massima realizzazione, come vedremo, in Hegel. A questo riguardo, Schelling distingue ciò che chiama filosofia negativa da ciò che chiama filosofia positiva. La prima è quella che determina il reale solo nella sua negatività, ovvero nel suo semplice poter essere, nelle condizioni razionali-formali che lo rendono possibile. Insomma: la filosofia negativa stabilisce che una cosa è possibile (o, eventualmente, impossibile), ma non dice nulla sulla effettiva realtà di quella cosa! È come, per fare un esempio banale, se io dicessi: "ho la possibilità di acquistare casa, perché ho abbastanza soldi per pagarla": questo NON significa, di per sé, che io davvero comprerò casa! La filosofia positiva, invece, riconosce il reale nella sua positività, cioè nel suo essere stato posto da un atto libero che, in quanto tale, non è mai deducibile dalla pura ragione. Il punto è questo: entrambi i percorsi devono essere seguiti, ma la pretesa hegeliana di dedurre il reale, ciò che di fatto esiste, dalla ragione, cioè dalle sue condizioni di possibilità, è sbagliato. Spiegare in termini perfettamente razionali il reale, come Hegel cerca di fare, non basta infatti a giustificarne l esistenza. Anche se tutto fosse perfettamente spiegato, almeno una cosa resterebbe inspiegata e inspiegabile, che il reale, il mondo, effettivamente c è! Insomma: non basta che una cosa sia razionalmente possibile affinché quella cosa esista! Se il reale, semplicemente, si dà, c è, allora esso non si può dedurre a priori tramite principi razionali e condizioni di possibilità: esso può soltanto essere spiegato, a posteriori, seguendo il dipanarsi del suo sviluppo. 6

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