LA CERAMICA INVETRIATA TARDO-ANTICA E MEDIOEVALE NEL NORD ITALIA

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1 LA CERAMICA INVETRIATA TARDO-ANTICA E MEDIOEVALE NEL NORD ITALIA 1. Premessa Un quadro di sintesi, con particolare riferimento al nord Italia, è stato già tracciato nel 1981 da Hugo Blake (pp ) a seguito di un Seminario di Studi tenuto nello stesso anno a Como (Ceramica invetriata). I dati emersi in quella circostanza, uniti alla tendenza, in quel periodo, a retrodatare il ritrovamento più famoso del genere, quello del Lacus Iuturnae nel Foro romano (WHITEHOUSE 1980, pp ), sembravano circoscrivere il fenomeno delle ceramiche invetriate in monocottura (o a vetrina pesante = CVP) alla tarda età romana o, al massimo, al primo altomedioevo. Un analisi più approfondita, non solo dei contesti romani e del centro Italia, ma anche, di nuovo, del nord della penisola, indica una situazione certamente più variegata di quanto sembrava delinearsi qualche anno fa: più variegata sul versante delle soluzioni locali (e questo in sintonia con una già accertata varietà di centri di produzione) ma anche su quello della scansione temporale. Nonostante lo sforzo prodotto una sintesi organica e conclusiva resta ancora lontana da venire: alcune regioni centrali nell'economia del problema (ad es. il Veneto) sono rimaste estranee al censimento e non per volontà dei curatori del progetto, altre aree hanno prodotto una documentazione interessante ma ancora priva di sicuri ancoraggi cronologici (ad es. Emilia Romagna). Una campionatura a tappeto, comunque, delle attestazioni nelle principali aree del nord Italia ci consente di indicare alcuni punti fermi e di avanzare delle nuove proposte interpretative in relazione all'evoluzione del fenomeno in queste zone. 2. Le invetriate tardoantiche e il gruppo di Sarsina Come è noto uno iato cronologico sembra separare le produzione invetriate con decorazione a matrice, prima importate dai centri dell'asia Minore, poi prodotte localmente (MACCABRUNI 1981, p. 20; LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, p. 108) da quelle tardo imperiali, il cui inizio viene collocato tra III e IV secolo. [23] Così non è ancora possibile cogliere appieno quale relazione intercorra, se esiste, tra queste prime produzioni invetriate della penisola e la CVP di tarda età romana, se non il cambiamento tecnico (MACCABRUNI 1981, p. 22), essendo le ultime prodotte in monocottura in ambiente riducente (MANNONI 1981, p. 91). Tra le prime CVP devono essere segnalati alcuni recipienti con decorazioni plastiche a rilievo, che trovano corrispettivi in una produzione romana di IV-V secolo (RICCI in questo volume, di contro alle ipotesi di MAZZUCATO 1972, pp ). Questa produzione, che si caratterizza per l impiego di grandi forme aperte (lanx, coppe, etc.), è documentata con un alto numero di esemplari a Sarsina (Fo) e, in minor misura, in altri siti della Romagna (GELICHI- MAIOLI in questo volume), Marche (GELICHI 1981, p. 100, nota 4), Lombardia (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, pp ) e Liguria (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO, in questo volume, tav. 1, n. 5). Analisi condotte su frammenti di Sarsina (analisi 165: impasto metamorfico-sedimentario, gruppo 11; analisi 166: impasti generici, gruppo 15) e su un esemplare da Milano (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, p. 109 e , tav. XLI, f. 1 e tav. XLIX, f. 1), non escludono la possibilità di una produzione padana. Anche l'ipotesi che almeno il gruppo rinvenuto a Sarsina sia di fabbricazione locale (da sempre dato per certo grazie all'alto numero di esemplari provenienti da quel sito, che non trova al momento eguali in regione, ma che potrebbe anche essere la conseguenza delle particolari condizioni di conservazione dei contesti archeologici di provenienza), non viene contraddetta dai risultati di laboratorio.

2 Risultano evidenti l origine colta e le ascendenze culturali di questi recipienti, che vanno ricercate nelle coeve produzioni in metallo nobile, come l argento (LUSUARDI SIENA- SANNAZARO 1991, p. 109), come pure la stretta relazione che intercorre, almeno per gli esemplari sarsinati, con le produzioni di Terra Sigillata Chiara Locale (TSCL), con la quale condividono spesso le stesse forme. La cronologia di queste ceramiche sembra collocarsi tra III e IV secolo. Quelle sarsinati sono almeno posteriori alla fine del II secolo, poichè assenti nella necropoli di Pian di Bezzo, le cui ultime sepolture datano appunto a quel periodo. Tuttavia non si può escludere la possibilità che la produzione, almeno in certe zone, sia continuata fino al V secolo, come è stato proposto per l'esemplare di Milano e quelli di Roma. [24] 3. Altre invetriate di I-V secolo Il resto della produzione di IV-V secolo è caratterizzata sia da forme diffuse capillarmente a scala interregionale sia da alcune produzioni commercializzate a livello locale.[25] Tra le prime sono da annoverare anzitutto i mortaria, talora con listello sotto l orlo variamente sagomato, provvisti di versatoio, invetriati internamente e con fondo a grattugia, che ne qualifica la funzione (BLAKE 1981, p. 38; LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, p. 107). Sono il tipo più diffuso in Italia settentrionale e a nord delle Alpi (ARTHUR-WILLIAMS 1981, tipo 1; ROTH RUBI 1981), Classe (MAIOLI 1983, p. 115, nn e GELICHI MAIOLI, in questo volume), Brescia, via Alberto Mario (BROGIOLO 1988, tav. XIV,2) e S. Giulia (BROGIOLO, in questo volume, tipi Ib-d), Milano metropolitana (LUSUARDI SIENA- SANNAZARO 1991, gruppo 5, tavv. XLII-XLIV); sembrano uscire di produzione entro il V secolo: mancano infatti nei contesti di VI secolo di Monte Barro (BROGIOLO 1991, pp.79-83), Brescia e Milano (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, p.116). Per lo stato frammentario della conservazione non sono talora distinguibili delle ciotole, anche se queste ultime sono tuttavia di dimensioni minori e provviste di tesa orizzontale (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, tav. XLVI, 1-5,8-15; GARERI CANIATI 1981, p.83). Caratteristico del Varesotto, ed in particolare di Castelseprio, è un tipo di mortaio ad orlo rientrante e boccuccio versatoio cilindrico impostato sotto 1 orlo (LUSUARDI SIENA- SANNAZARO 1981, tav. 4.12). Un secondo gruppo di invetriate, diffuso in aree subregionali, è costituito dalle olpai e dalle olle, attestate soprattutto, anche se non esclusivamente, in corredi funerari (BLAKE 1981, p.24; MACCABRUNI 1990, p.367), particolarmente nel Comasco (NOBILE 1981), nel Canton Ticino (SIMONETT 1971) e nella Lombardia orientale (ad es. Vobarno: SIMONI 1971, p.25; Canneto sull Oglio: PASSI PITCHER 1990, p.281). Le forme non si discostano, pure con numerose varianti, da quelle della ceramica comune (MACCABRUNI 1990, p. 367), della quale mantengono le stesse caratteristiche di buon impasto e manifattura. Un terzo gruppo, omogeneo e apparentemente isolato nel panorama dell'invetriata dell Italia settentrionale, è quello proveniente dalla fornace di Carlino (BERTACCHI 1976). Le forme rappresentate (brocche ovoidi, vasetti da una a tre anse, lucerne su piedistallo) hanno stringenti analogie soprattutto con 1 area pannonica (ARTHUR WILLIAMS 1981, p.498; BERTACCHI 1990, p. 215), anche se non mancano possibili confronti con materiali padani, in particolare per le brocche ovoidi (esemplare da Lecco: MACCABRUNI 1990, p. 369, c), per la lucerna su alto piede (frammento da Brescia, via Alberto Mario: BROGIOLO 1988, tav. 6) e, più genericamente, per i vasetti ansati (con forme da Brescia S. Giulia: BROGIOLO 1981, p. 62, 28 e da Varese: MACCABRUNI 1990, p. 369, p). [25]

3 4. Le invetriate tipo Classe e le ceramiche con applicazioni a squame Un gruppo a sé stante nel panorama delle invetriate di epoca tardoantica è rappresentato da una serie di ceramiche, di forma diversa ma caratterizzate da elementi applicati a scaglie di pigna o a squame. Il nucleo più omogeneo è stato rinvenuto a Classe (Ra) e datato al VI secolo (MAIOLI 1981, p. 69, tav. II, 3-9; GELICHI-MAIOLI, in questo volume). I frammenti provenienti da questo sito sembrano appartenere ad un unica forma, il cui esemplare completo è rappresentato da un boccaletto proveniente da una sepoltura del territorio comacchiese (necropoli di S. Maria in Pado Vetere:PATITUCCI UGGERI 1970, p. 82, fig. 12 e fig. 17b). La circoscritta distribuzione di questa tipologia nella Romagna (al momento attestata solo a Ravenna e Comacchio), la presenza di probabili scarti di fornace a Classe (MAIOLI in GELICHI-MAIOLI, in questo volume) e le analisi mineralogiche, non contraddicono l ipotesi di una produzione da collocarsi nel territorio ravennate. Nel resto del nord Italia vasi con decorazioni a scaglie, di cui è evidente la derivazione da prototipi romani sia a pareti sottili che invetriati (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, p. 120), si sono rinvenuti in Liguria (VARALDOLAVAGNA, in questo volume) e in Lombardia, dove è particolarmente significativo il gruppo di recente scavato in piazza Duomo a Milano (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, pp ), per il quale si propone una datazione a partire dagli inizi del V secolo. L'uso di applicare sull'esterno di forme chiuse elementi a rilievo, quali scaglie, pasticche e pinoli, si ritrova anche su ceramiche di tipologia diversa e cronologicamente più tarde (vd. infra). Anche se resta da chiarire il rapporto tra queste ceramiche invetriate di V-VI secolo e le CVP simili altomedievali, si può fin da ora rimarcare, oltre che una diversa forma dei recipienti, anche una differenza nella realizzazione degli elementi applicati, disposti irregolarmente e più corsivi nelle produzioni tardive (vd. infra). In base alle attuali conoscenze, dunque, sembra da escludere l'ipotesi di una filiazione o di un rapporto evolutivo tra questi due gruppi. [26] 5. Le lucerne invetriate Tra i tipi funzionali di epoca tardoantica rivestiti da vetrina vanno poi segnalate le lucerne, di cui si conoscono diverse forme. Un primo gruppo può essere identificato con le lucerne provviste di stelo, serbatoio chiuso e beccuccio arrotondato o leggermente appuntito: il gruppo più cospicuo è quello proveniente da Carlino, dove è datato al IV-V secolo (vd. supra), ma si conoscono anche esemplari da Brescia, via A. Mario (BROGIOLO 1988, tav. XV, 6) e da Fano (ps) (vecchi ritrovamenti: GELICHI 1981, p. 98, tavv. 1-2). Un secondo gruppo, forse quantitativamente più rilevante, è costituito da esemplari simili ai precedenti ma senza stelo e serbatoio chiuso: si conoscono esemplari da Classe (GELICHI- MAIOLI, in questo volume) e da vari siti lombardi. Un terzo gruppo è infine rappresentato dalle lucerne c.d. a ciabatta, di cui si conosce un esemplare in Liguria, da S. Antonino di Perti, nel Finalese, la cui analisi sembra indicare trattarsi di un prodotto di importazione dall area centro italiana o egea (MURIALDO, in questo volume). 6. Le invetriate di VI secolo A partire dall età gota vi è un notevole incremento della diffusione dell invetriata nei contesti insediativi della Padania centro-occidentale, con una grande varietà di nuove forme, nettamente superiore a quella del periodo precedente sia nel servizio da mensa che nei contenitori di vivande. Denominatore comune di questa produzione è l impasto più grossolano, generalmente con

4 rifiniture meno accurate e cotture in atmosfera variabile, mentre l invetriatura è spesso irregolare, sparsa o gocciolata. Tale maggior varietà pure imputabile alla frammentazione del mercato e ad una conseguente minore specializzazione, con ateliers che producevano contemporaneamente partite di grezze e invetriate nel medesimo forno (lo si deduce dalle gocciolature sulle grezze e dal fatto che queste hanno talora la stessa forma delle invetriate). Le invetriate, come prodotto di maggior pregio, erano poi destinate soprattutto alla commercializzazione in ambito urbano e nei grossi castra rurali, dai quali provengono i ritrovamenti più consistenti. La concentrazione dei ritrovamenti di invetriata nella pianura padana centro-occidentale può essere spiegata con un restringimento dei flussi commerciali di lungo percorso che, al contrario, fino almeno al VII secolo, seguitano ad interessare le zone costiere.[27] La produzione invetriata sembra infatti proporsi come sostitutiva delle sigillate, che divengono assai rare anche nei mercati urbani di città quali Brescia e Milano (MASSA 1990; ROFFIA1990) ma anche della comune depurata, che scompare quasi completamente dai mercati interni. Al contrario, nelle aree costiere, dove le importazioni di prodotti di pregio continuano, le invetriate di VI secolo sono, per quanto ne sappiamo, assenti o assai rare. Tra le forme più attestate: le ciotole mortaio (a Brescia, via Alberto Mario: BROGIOLO 1988, tav. XIV,1,3 e S. Giulia: LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, gruppo 6, tav. XLV,1-6; a Monte Barro: BROGIOLO 1991, tav. XLVIII; a Belmonte: PANTÒ, in questo volume; a Ticineto: GARERI CANIATI 1981, tav. 1, 5); i piatti ad orlo diritto con sezione rettangolare, derivati dalla Terra Sigillata Chiara D, forma H61 (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, gruppo 20, tav. XLVII,3-9) o della Terra Sigillata Late Roman C, forma H3E-F (attestati a Brescia, via Alberto Mario: BROGIOLO 1988, tav. XIV,4; Monte Barro: BROGIOLO 1991, gruppo 20, tav. XLIX,3-6; a Milano Metropolitana: LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, gruppo 20, tav. XLVII,6-9); gli scodelloni biconici con anse tricostolate, impostate sotto l orlo e sulla linea di massima espansione (documentati a Brescia, Via Alberto Mario: BROGIOLO 1988, tav. XV,5 e S. Giulia: BROGIOLO, in questo volume, tipo VI); le grandi olle biansate, di forma ovoide-biconica con anse tricostolate, talora ornate con una decorazione ondulata sulla spalla (presente a Brescia, S. Giulia: LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, gruppo 23, tav. XLVIII,1; Belmonte: PANTÒ, in questo volume); le olle di piccole dimensioni con una grande varietà formale, provenienti da contesti di età gota (Brescia, via Alberto Mario: BROGIOLO in questo volume; Milano Metropolitana: LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, gruppo 10, tav. XLV,19-25; Monte Barro:BROGIOLO 1991, tav. LII; Acqui Terme: FILIPPI, in questo volume) o più estesa cronologia (Castelseprio: LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1981, tav. 8, 5-7; Belmonte: PANTÒ, in questo volume; Torre Bairo: CERRATO, in questo volume). Un problema aperto rimane quello della continuità delle invetriate nella prima età longobarda (ex VI-in VII). Nella sequenza stratigrafica di Brescia S. Giulia e Milano Metropolitana (LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, p. 109), gli strati di questo periodo ne contengono ancora un buon numero, ma non sono state riconosciute, sino ad ora, forme nuove e vi è il ragionevole dubbio che possano essere residue. In questo quadro di conoscenze ancora lacunoso, del tutto eccezionali appaiono le borracce stampigliate di Testona e di Biella (VON HESSEN 1968, tav. 4, 36, 39; PANTÒ, in questo volume; BLAKE 1981, pp , per una discussione del tipo), che non trovano per ora confronti nei contesti di scavo. [28]

5 7. Dopo il VI secolo: le invetriate altomedioevali I1 quadro della CVP posteriore al VI secolo nelle regioni del nord Italia risulta al momento lacunoso ma, nel contempo, non privo di attestazioni, per quanto spesso di non precisa collocazione cronologica. Il maggior numero di presenza si localizza, al momento, nella Romania, dove sono stati rinvenuti alcuni esemplari integri di CVP o di ceramica a vetrina sparsa, purtroppo da vecchi recuperi o da contesti non ben databili. Un primo gruppo, che abbiamo definito tipo S. Alberto, da una via di Ravenna dove sono stati scoperti due esemplari (GELICHI-MATOLI, in questo volume) presenta una forma (il boccale con versatoio tubolare sulla spalla) che si trova anche su ceramiche a vetrina sparsa scoperte a Vecchiazzano, nel Forlivese. La diversità tra i due gruppi, simili peraltro anche sul versante della tecnica di lavorazione, consiste nel tipo di rivestimento vetroso, unitario e coprente nel primo, a macchie nel secondo. CVP "tipo S. Alberto" o ceramica a vetrina sparsa tipo Vecchiazzano è diffusa in molti siti della Romagna e a Ferrara, nello scavo di Corso Porta Reno, che conferma una cronologia, per ambedue i gruppi, posteriore al VII secolo. Ancora in Romagna sono presenti recipienti in CVP decorati con pasticche applicate, simili a quelle che compaiono nel Forum ware. Anche le brocche con beccuccio-versatoio tubolare o a cannone sono presenti nella produzione di CVP romana ma le analisi mineralogiche condotte su alcuni campioni romagnoli escludono l'ipotesi di una importazione dall'area centroitaliana e non contraddicono la possibilità di una provenienza locale. L'impossibilità di inserire in una sequenza cronologica, anche relativa, i ritrovamenti romagnoli, non conferma l'ipotesi, peraltro suggestiva, di una scansione tipologica analoga a quella riscontrata nella CVP di produzione romana: ipotesi che tuttavia resta particolarmente convincente, sia per la comunque accertata presenza di frammenti che sembrano ripercorrere tutti gli stadi evolutivi della CVP romana, sia per la distribuzione topografica di tali ritrovamenti. Riteniamo che la presenza di CVP altomedievale, e poi di ceramica a vetrina sparsa, nell'area dell'ex Esarcato e della Pentapoli (GELICHI 1981, p. 99), nonché in zone a contatto diretto o mediato, sia con l'area centro italiana (si pensi agli stretti rapporti politico-istituzionali tra Ravenna e lo Stato della Chiesa) sia con il modo bizantino, costituisca un elemento che rafforza l'ipotesi di un collegamento nella trasmissione di tecniche e tipi funzionali tra ambiti istituzionalmente e culturalmente contigui. [29] Tale stretta interrelazione, che non uscirebbe che rafforzata da eventuali esiti analoghi riscontrabili nell'area lagunare veneta (finora non campionata), trova una indiretta conferma nella non accertata diffusione della CVP e ceramica a vetrina sparsa in tutta la restante area padana, dove i ritrovamenti posteriori al VI secolo sono estremamente modesti nel numero o esclusivamente circoscritti alla diffusione delle c.d. fusaiole invetriate, la cui circolazione potrebbe essere legata a commerci di media distanza, meglio spiegabili qualora si volessero interpretare tali fusaiole come vaghi di collana e quindi prodotti di abbigliamento personale. L'impossibilità al momento di circoscrivere il trend cronologico in un arco di tempo ben definito costituisce un ulteriore elemento di difficoltà nella comprensione del fenomeno sul versante produttivo. La non elevata quantità di manufatti che si rinvengono anche nei contesti romagnoli potrebbe spiegarsi sia con una produzione abbastanza circoscritta nel tempo che ad intermittenza (qualora volessimo allargare ad alcuni secoli l'arco cronologico) ma anche con una produzione selezionata e, in quanto tale, quantitativamente modesta. I1 fatto che CVP prima, e ceramica a vetrina sparsa poi, rappresentino l'unico prodotto in ceramica d'uso da mensa nell'italia padana altomedievale, potrebbe interpretarsi anche come testimonianza di una specifica destinazione sociale, in parte confermata dalla tipologia dei siti di ritrovamento (tre urbani e sei rurali, di cui però ben quattro pertinenti ad edifici o complessi ecclesiali: pievi, monasteri ed episcopi). Tuttavia il circoscritto ambito di diffusione tradisce anche

6 meccanismi di distribuzione ancora legati ad un sistema economico di scambi prevalentemente a medio e corto raggio. Poichè questa ceramica non sembra trovare, al momento, un collegamento diretto con la CVP tardo romana, è evidente che il fenomeno debba essere letto come un processo di reintroduzione tecnologia di esperienze artigianali attraverso scambi di informazioni o, ancora meglio, l'arrivo di vasai, dall'area centro italiana o dal mondo bizantino. Per concludere, il fenomeno della CVP, e della ceramica a vetrina sparsa, nell'altomedioevo padano, sembra configurarsi come il risultato di un'attività, forse anche temporanea e saltuaria, che si sviluppa per un mercato di scarsa e selezionata recettività o non è da escludersi su specifica commissione. GIAN PIETRO BROGIOLO - SAURO GELICHI(*) (*) L articolo è frutto di un lavoro conune dei due autori: tuttavia a G.P. Brogiolo si devono in particolare i parr. 1, 3, 6 e a S. Gelichi i parr. 2, 4, 5, e 7. Bibliografia P. ARTHUR, D. WILLIAMS, 1981, Pannonische Glasierte Keramik : an Assessment, in Roman Pottery Research in Britain and North-West Europe (BAR Inter. Ser. 123), Oxford, II, pp L. BERTACCHI, 1976, La ceramica invetriata di Carlino, Aquileia Nostra, 47, coll L. BERTACCHI, 1990, La ceramica di Carlino, in Milano, pp H. BLAKE, 1981, Ceramica paleo-italiana, Faenza, LXVII, pp G. P. BROGIOLO, 1981, Materiali invetriati del bresciano, in Ceramica invetriata, pp G. P. BROGIOLO,1988, Invetriata tardoantica-altomedioevale, in Lo scavo di via A. Mario, in G. PANAZZA, G. P. BROGIOLO, Ricerche su Brescia altomedioevale, Brescia, pp G. P. BROGIOLO, 1991, La ceramica invetriata, in Archeologia a Monte Barro. I. Il grande edificio e le torri (a cura di G. P. Brogiolo - L. Castelletti), Lecco, pp Ceramica invetriata = AA.VV., La ceramica invetriata tardoromana e alto medievale, Atti del Convegno (Como 14 marzo 1981), Como E. GARERI CANIATI, 1981, Ceramiche invetriate da Villaro di Ticineto (Alessandria), in Ceramica invetriata, pp S. GELICHI, 1981, Ceramica invetriata anteriore al Mille. Il gruppo fanese, in Ceramica invetriata pp O. VON HESSEN, 1968, Die langolhardische Keramik aus Italien, Wiesbaden. S. LUSUARDI SIENA, M. SANNAZARO, 1981, Ceramica invetriata di Castelseprio, in Ceramica invetriata, pp S. LUSUARDI STENA, M. SANNAZARO, 1991, Ceramica invetriata, in Scavi MM I Reperti (a cura di D. Caporusso), Milano, pp C. MACCABRUNI, 1981, Tipologia della ceramica invetriata di età romana nell'area del Ticino. Considerazioni preliminari, in Ceramica invetriata, pp C. MACCABRUNI, 1990, Ceramica invetriata, in Milano, pp

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