Cass. civ., sez. II, 14.03.08, n. 7048, Pres. Elefante, Rel. Mazziotti Di Celso



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Cass. civ., sez. II, 14.03.08, n. 7048, Pres. Elefante, Rel. Mazziotti Di Celso Se il "de cuius" ha posto in essere una vendita fittizia per dissimulare una donazione, l'erede può essere considerato terzo, ai fini della prova della simulazione e, quindi, beneficiare delle agevolazioni probatorie di cui all'art. 1417 c.c., quando ha proposto contestualmente all'azione di simulazione anche una espressa e concreta domanda di riduzione della donazione dissimulata. Agli effetti dell'art. 1417 c.c., l'illiceità del negozio dissimulato è configurabile solamente se il negozio persegua interessi che l'ordinamento reprime. Ne consegue che è soggetto alle limitazioni della prova per testi e per presunzioni il negozio dissimulato consistente nella donazione priva dei requisiti di forma, in quanto l'interesse perseguito dalle parti, cioè l'arricchimento di un soggetto per lo spirito di liberalità di un altro, non è contrario ai principi fondamentali dell'ordinamento. Agli effetti dell'art. 1417 c.c., l'illiceità del negozio dissimulato è configurabile solamente se il negozio persegua interessi che l'ordinamento reprime. Ne consegue che è soggetto alle limitazioni della prova per testi e per presunzioni il negozio dissimulato consistente nella donazione priva dei requisiti di forma, in quanto l'interesse perseguito dalle parti, cioè l'arricchimento di un soggetto per lo spirito di liberalità di un altro, non è contrario ai principi fondamentali dell'ordinamento. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO M.G. conveniva in giudizio M.D. deducendo che: il defunto M.F., padre di essa istante e nonno della convenuta, aveva venduto a quest'ultima un appartamento sito in (OMISSIS) con atto nel quale il prezzo, fissato in L. 90.000.000, si dichiarava già pagato in precedenza; tale atto di vendita era simulato essendo di fatto intervenuta tra le parti una donazione nulla perchè non effettuata con atto stipulato alla presenza di testimoni. L'attrice chiedeva quindi che il detto contratto di vendita fosse dichiarato simulato e che fosse dichiarata la nullità dell'atto di donazione dissimulato, per vizi di forma, con la condanna della convenuta alla restituzione del cespite alla massa ereditaria. M.D. si costituiva e contestava la fondatezza degli assunti dell'attrice. Con sentenza 8/6/2001 l'adito tribunale di Messina rigettava la domanda ritenendo inammissibile - in applicazione dei limiti della prova in materia di simulazione relativa dei contratti - la prova per testi chiesta dall'attrice non avendo questa, erede del venditore, nè agito in qualità di legittimario e per la tutela della propria quota di riserva, nè proposto domanda di integrazione di tale quota. Avverso la detta sentenza M.G. proponeva appello al quale resisteva M.D..

Con sentenza 23/9/2003 la corte di appello di Messina rigettava il gravame osservando: che secondo l'appellante nella specie non ricorrevano i limiti della prova della simulazione di cui all'art. 1417 c.c., e ciò perchè essa M.G. con l'atto di citazione non si era limitata a proporre domanda di simulazione dell'atto di vendita ma aveva chiesto anche la pronuncia di nullità del negozio dissimulato (donazione) per difetto di forma, con conseguente effetto di inserimento nel patrimonio ereditario del bene oggetto della vendita fittizia; che la detta tesi era infondata essendo evidente l'impedimento per l'adito giudice di esaminare la validità o meno dell'asserito atto di donazione - quale negozio dissimulato - a prescindere dalla chiesta preliminare ed assorbente pronuncia di simulazione dell'atto di vendita; che la prova dell'asserita simulazione incontrava i limiti previsti dalla legge non applicabili solo nell'ipotesi (non ricorrente nella specie) dell'erede agente in qualità di legittimario e per la tutela della propria quota di riserva (cioè per la tutela di un diritto suo proprio) sempre a condizione della contestuale proposizione della domanda di integrazione della quota stessa; che la prova testimoniale "inter partes", come pure la prova attraverso il ricorso a presunzioni semplici, sarebbe stata ammissibile, per il combinato disposto degli artt. 1417 e 2725 c.c., solo se intesa a dimostrare la perdita incolpevole della eventuale controdichiarazione attestante l'esistenza dell'asserito contratto di donazione dissimulato. La cassazione della sentenza della corte di appello di Messina è stata chiesta da M.G. con ricorso affidato ad un solo motivo illustrato da memoria. M.D. ha resistito con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con l'unico articolato motivo di ricorso M.G. denuncia violazione degli artt. 1417, 1343, 1344, 1345, 2721, 2724, 2725, 2729 c.c., nonchè vizi di motivazione, sostenendo che la corte di appello ha errato nell'affermare: a) che la prova della simulazione è nel caso in esame soggetta ai limiti di cui all'art. 2724 c.c., n. 3, e art. 2725 c.c.; b) che ai limiti di prova si sottrae solo l'erede che agisce nella veste di legittimario con richiesta di reintegra della quota di riserva; c) che la prova per testi è preclusa "inter partes" con l'unica eccezione del caso descritto dall'art. 2724 c.c., n. 3. Ad avviso della ricorrente la proposizione di entrambe le dette domande è necessaria - come affermato nella giurisprudenza di legittimità (sentenza 2836/1997) - solo nel caso in cui non sia posta in dubbio la validità del negozio dissimulato mentre nel caso in cui l'atto di donazione dissimulato sia nullo, per difetto di forma, alla domanda di simulazione non deve aggiungersi quella di riduzione perchè il bene alienato, in conseguenza delle statuizioni di simulazione e di nullità, ritorna a far parte della massa ereditaria non essendo da questa mai uscito. Pertanto, al fine di non soggiacere ai limiti di prova, non è indispensabile che il legittimario promuova, oltre all'azione di simulazione, anche

quella di reintegra nella quota di riserva lesa in quanto la declaratoria di simulazione del negozio apparente e la declaratoria di nullità del negozio dissimulato producono la stessa conseguenza in termini di prova dovendosi negare l'applicazione dei limiti probatori della simulazione essendo la formulazione congiunta delle istanze di simulazione e di nullità volta a far riapparire nel patrimonio del de cuius il bene oggetto della liberalità. Alla corte di appello è poi sfuggito che l'art. 1417 c.c., esonera dai limiti di prova non solo il terzo estraneo alla convenzione, ma anche la parte quando la domanda (come nel caso in esame) sia diretta a far valere l'illiceità del negozio dissimulato. Tra le norme di ordine pubblico vanno inserite anche quelle relative "alla forma costituita" ed "ai diritti di successione legittima e necessaria". Ne consegue che la violazione delle norme dettate in tema di successione legittima attuata mediante una maliziosa preordinazione, rende illecito il negozio perchè sorretto da causa illecita ed utilizzato in frode alla legge oltre che mosso da motivo illecito. Il motivo è infondato: la sentenza impugnata è corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto. In relazione alla prima censura - concernente la questione relativa alla delimitazione del regime probatorio della simulazione fatta valere dall'erede o dal legittimario - la tesi sostenuta dalla ricorrente si pone in netto ed insanabile contrasto con i seguenti principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità che questa Corte ribadisce e fa propri: - ai fini della prova della simulazione di una vendita posta in essere dal "de cuius" per dissimulare una donazione, l'erede legittimo può ritenersi terzo rispetto agli atti impugnati, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova della simulazione, solo quando, contestualmente alla azione volta alla dichiarazione di simulazione, proponga anche una espressa domanda di riduzione della donazione dissimulata, facendo valere la sua qualità di legittimario e fondandosi sulla specifica premessa che l'atto dissimulato comporti una lesione del suo diritto personale alla integrità della quota di riserva spettantegli, in quanto solo in questo caso egli si pone come terzo nei confronti della simulazione (sentenza 30/7/2002 n. 11286); - con riferimento ad asserita vendita fittizia posta in essere dal de cuius per dissimulare una donazione, l'erede può essere considerato terzo ai fini della prova della simulazione - e dunque beneficiare delle agevolazioni probatorie ex art. 1417 c.c., - quando ha proposto contestualmente all'azione di simulazione anche un'espressa e concreta domanda di riduzione della donazione dissimulata (sentenza 26/4/2007 n. 9956); - la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi al medesimo succeduti a titolo universale, ed allo scopo di far ricomprendere l'immobile

tra i beni facenti parte dell'asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge (art. 1417 c.c.) per la prova della simulazione tra le parti, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del "de cuius", non possono legittimamente dirsi "terzi" rispetto al negozio; deve pertanto escludersi a tal fine la prova per testimoni, per presunzioni ed a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte. Nessuna limitazione probatoria incontra, per converso, l'erede che agisca in qualità di legittimario, per la tutela, cioè, di un diritto suo proprio, a condizione che egli abbia contestualmente a proporre domanda di integrazione della quota (sentenza 24/3/2006 n. 6632); - l'erede che agisca per la nullità del contratto di compravendita stipulato dal "de cuius" perchè dissimulante una donazione e per la ricostruzione del patrimonio ereditario e la conseguente divisione dello stesso, senza anche far valere, rispetto alla donazione impugnata, la lesione del suo diritto di legittimario, non propone, nemmeno per implicito, una domanda di riduzione della donazione per lesione di legittima, azione che trova la sua "causa petendi" nella deduzione della qualità di legittimario e nella asserzione che la disposizione impugnata lede la quota di riserva; ne consegue che egli non può considerarsi terzo rispetto al negozio di cessione e che soggiace, pertanto, ai limiti di prova della simulazione stabiliti dalla legge nei confronti dei contraenti (sentenza 12/6/2007 n. 13706); - l'azione di divisione e quella di riduzione sono nettamente distinte ed autonome, atteso che la seconda tende, indipendentemente dalla divisione dell'asse ereditario, al soddisfacimento dei diritti dei legittimari nei limiti in cui siano lesi dalle disposizioni testamentarie, con la conseguenza che non può ritenersi implicitamente proposta con la domanda di divisione, la quale presuppone il già avvenuto recupero alla comunione ereditaria dei beni che ad essa siano stati eventualmente sottratti dal testatore con un atto che abbia violato la riserva per legge in favore dei legittimari (sentenza 23/1/2007 n. 1408); - se il "de cuius" aveva posto in essere una vendita fittizia per dissimulare una donazione, l'erede può essere considerato terzo ai fini della prova della simulazione - e dunque beneficiare delle agevolazioni probatorie ex art. 1417 c.c., - quando ha proposto contestualmente all'azione di simulazione anche un'espressa e concreta domanda di riduzione della donazione dissimulata (sentenza 26/4/2007 n. 9956);

La statuizione impugnata - nel negare alla ricorrente l'esonero dalle limitazioni probatorie in tema di simulazione - è conforme ai suddetti principi costantemente affermati nella giurisprudenza di legittimità. Per quanto poi riguarda il richiamo operato in ricorso, a sostegno della tesi ivi sviluppata, alla pronuncia di questa Corte n. 2836/1997 è sufficiente far espresso e puntuale riferimento a quanto al riguardo osservato nella successiva sentenza n. 11286/2002 (sopra citata e concernente una fattispecie analoga a quella in esame) con la quale è stato ineccepibilmente precisato: a) che la precedente decisione non era stata ben massimata ed era comunque relativa ad una controversia caratterizzata dalla formale proposizione - sia pur in via subordinata rispetto a quella principale di simulazione e di nullità - di una domanda di riduzione per cui correttamente erano stati ritenuti i-napplicabili "i limiti alla prova della simulazione proprio sulla considerazione che la principale fosse stata proposta allo specifico fine del recupero della sua quota di riserva"; b) che la simultanea proposizione - come nel caso in esame - delle azioni di simulazione e nullità, in quanto volte "nel loro complesso" a far riapparire nel patrimonio del de cuius il bene oggetto della liberalità, non "può di per sè sola portare ad escludere l'applicabilità dei limiti probatori della simulazione nel giudizio svolgentesi tra le parti del negozio assunto come simulato" e ciò sia perchè in tale giudizio l'unico vizio deducibile onde beneficiare dell'esonero dai detti limiti è l'illiceità e non la nullità del negozio dissimulato, sia perchè la questione di nullità del negozio dissimulato per un vizio ad esso proprio può logicamente essere esaminata "solo ove sia già intervenuto l'accertamento della simulazione del negozio apparente e della consequenziale sussistenza di quello dissimulato, onde le domande di simulazione e di nullità non possono essere considerate "nel loro complesso" e la decisione sulla simulazione non può essere influenzata, neppure in relazione all'ammissibilità o meno di determinati mezzi istruttori, dalla considerazione che il negozio dissimulato possa poi, con successivo ed autonomo capo di decisione, essere riconosciuto invalido, così determinandosi la riacquisizione del bene al patrimonio ereditario ed indirettamente giovando al legittimario eventualmente leso nella quota di riserva". Dalle riportate corrette e coerenti considerazioni emerge con immediatezza - atteso che la ricorrente M.G. non ha proposto alcuna azione di riduzione - non solo l'esattezza della motivazione posta a base della decisione impugnata (sopra riportata nella parte narrativa che precede) con la quale è stata disattesa la richiesta di prova orale e di ricorso alle presunzioni, ma anche l'inconsistenza della seconda censura mossa con l'unico motivo di ricorso con la quale la M.G. deduce che l'art. 1417 c.c., esonera dai limiti di prova, oltre al terzo estraneo alla convenzione, anche la parte nell'ipotesi

di proposizione di domanda volta a far valere l'illiceità del negozio dissimulato. Tra le norme di ordine pubblico, ad avviso della ricorrente, vanno inserite anche quelle relative "alla forma costituita" ed "ai diritti di successione legittima e necessaria" per cui la violazione di dette norme rende illecito il negozio. In proposito va peraltro aggiunto che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (nè è stato dedotto in ricorso) che M.G. abbia dedotto nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado o nell'atto di appello l'illiceità della donazione per "violazione delle norme dettate in tema di successione legittima" essendosi limitata a sostenere la nullità di tale donazione per vizio di forma. Al riguardo va comunque evidenziato che, come questa Corte ha avuto modo di affermare, agli effetti dell'art. 1417 c.c., l'illiceità del negozio dissimulato è configurabile solamente se il negozio persegua interessi che l'ordinamento reprime per cui è soggetto alle limitazioni della prova per testi e per presunzioni il negozio dissimulato consistente nella donazione priva dei requisiti di forma, in quanto l'interesse perseguito dalle parti, cioè l'arricchimento di un soggetto per lo spirito di liberalità di un altro, non è contrario ai principi fondamentali dell'ordinamento (sentenze 11/2/2000 n. 1535; 20/7/1980 n. 444861). Del pari nella giurisprudenza di legittimità si è precisato che l'illiceità del negozio dissimulato agli effetti dell'art. 1417 c.c., non è configurabile nel caso di attività negoziale preordinata alla violazione delle norme relative all'intangibilità della legittima in quanto non rientranti tra le norme imperative inderogabili, la contrarietà alle quali rende illecito il contratto (sentenza 29/10/1994 n. 8942). Il ricorso deve pertanto essere rigettato in quanto del tutto infondato con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 100,00, oltre Euro 2.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2008. Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2008