I REPERTI CERAMICI E VITREI L'indagine all'interno del palazzo e lungo il circuito del porticato esterno ha permesso il recupero di un'ingente quantità di reperti (ceramici, vitrei, numismatici, metallici (1), in maggior parte in buono stato di conservazione e comprendenti numerose forme ricostruibili. Il nucleo più significativo del materiale proviene naturalmente dalle fosse biologiche (l'80% circa per quanto riguarda la ceramica, il 90,95% circa per quanto riguarda i vetri e le monete), che hanno conservato il loro deposito sostanzialmente intatto, ad onta delle innumerevoli operazioni di restauro o di semplice manutenzione subite dal palazzo. Soprattutto negli ambienti interni, invece, il deposito stratigrafico compreso tra la pavimentazione attuale e le volte degli antichi pozzi, è risultato minimo, a causa di asportazioni e rifacimenti, e molto spesso inaffidabile, come mostra l'alta percentuale di reperti residui o, viceversa, infiltrati. Per quanto concerne più specificatamente il deposito delle fosse biologiche, occorre precisare che, pur se conservato nella sua globalità, presenta rimaneggiamenti all'interno, dovuti talvolta ad infiltrazioni da altre fosse, che hanno favorito il movimento del terreno incoerente, talvolta a ristrutturazioni delle volte, dei discendenti etc. Per questo motivo, in linea di massima e ad una prima sintetica lettura dei reperti, sarà difficile riuscire ad individuare associazioni affidabili tra i var i tipi di maioliche o di ingubbi ate e gr affite, o di vetri e quindi proporre datazioni nuove rispetto a quelle fino ad (1) Si tratta di circa 9000 frgg. ceramici e di circa 7000 frgg. vitrei. 104
oggi proposte negli studi più autorevoli. Soprattutto in questa prima esposizione, dunque, fatta mentre ancora non è completato il lavoro di studio del materiale, è a queste pubblicazioni che faremo riferimento, auspicando però nel contempo precisazioni e nuove acquisizioni della ricerca su questo vasto ed interessantissimo campionario di produzioni offerto dal Palazzo d'amorfo. Già fin da adesso possiamo indicare alcuni elementi di particolare interesse, identificati a livello di produzioni e di cultura materiale. Parlando di produzioni, infatti, occorre approfondire ciò che era già stato notato nel 1982 da Francovich (2) a riguardo della maiolica arcaica trovata e conservata in S. Giovanni ; si tratta di prodotti che risentono, sul piano tecnico e su quello più strettamente decorativo, delle due influenze, aretina e senese, lasciando presupporre una circolazione di manodopera, dal Senese verso il territorio aretino, forse con almeno un centro di produzione in S. Giovanni stessa o nelle aree limitrofe (cfr. il capitolo iniziale). Dopo l'istituzione del Vicariato in S. Giovanni (1408), con l'arrivo periodico dei rappresentanti delle maggiori famiglie fiorentine e dei loro seguiti, si assiste ad un interessante fenomeno che è insieme culturale ed economico. La maiolica quattrocentesca recuperata, non solo nel palazzo, ma anche in altri contesti del centro urbano, è tutta prodotta in area fiorentina (in prevalenza Montelupo). Ciò indica in prima analisi due realtà: 1) S. Giovanni riesce, a partire dalla seconda metà del XIV secolo, ma soprattutto con il Vicariato, a raggiungere finalmente una stabilità politica e militar e, che la rende mercato florido e aperto ai commerci. È chiaro come questa attività commerciale fosse in buona parte a favore della città madre, facendo di S. Giovanni un buon centro per lo smercio e la circolazione dei prodotti; 2) Per quanto riguarda la ceramica, però, questa breve analisi risulterebbe incompleta se non segnalasse accanto ovviamente al fatto che questa (2 ) FRA NCOV ICH, 19 82, p. 114 : «... u na prod uzione di maiolica arcaica di tipo senese (ma si esclude per il co lore della vetrina e il tipo di imp asto un a produzione importata da questo centro, mentre è molto probabile una produzione locale, forse limitata), co mu nq ue le fo rme ap erte, a nastro convesso e lo scodellone con motivi antropomorfi insieme al repertorio decorativo mostrano chiaramente uno stretto rapporto con la produzione senese (circolazione di manodopera?)». 105
diffusione di maioliche montelupine è una tendenza generale, riscontrabile anche in altre aree non solo toscane al contempo, anche dei mutamenti culturali e sociali nella piccola "terra nuova", colonizzata da semplici " terrazzani " solo un secolo prima. L'arrivo del vicario e delle abitudini domestiche della sua famiglia e della sua piccola corte, può aver fatto " presa " in una classe di benestanti che andava da poco formandosi nella cittadina, in virtù delle nuove spinte economiche. Ecco allora che anche qui la tavola imbandita e addobbata con serviti multicolori si pone come un bisogno nuovo di qualità ed apre le porte alle mercanzie montelupine, e a quelle più propriamente d'importazione (ceramica valenzana) (3). I recuperi in tutta l'area cittadina possono aiutare a precisare questo fenomeno, il cui studio va supportato con una conoscenza topografica (individuazione delle strutture abitative di maggiore importanza, delle sedi di collettività etc.) (4) ed economico-sociale della "terra nuova". Per i prodotti di minor pregio, la provenienza appare diversificata. I materiali da cucina e da dispensa, recuperati nel Palazzo ed in altri contesti urbani, appartengono, in ogni epoca, a produzioni artigianali locali, che risentono comunque, per quanto riguarda anforette e catini del XV secolo, di modelli e tradizioni senesi (cfr. infra, quanto detto sulla maiolica arcaica e sulla circolazione di manodopera). (3) Con questo non intendiamo definire i prodotti valenzani maturi del XV secolo come capi pregiati riservati ad una stretta oligarchia. La loro diffusione è inquadrata con precisione di termini socio-economici in FRANCOVICHÌ-GELICHI, 1984, p. 19: «È con la fine del XIV secolo, primi anni del XV, che l'importazione dei prodotti spagnoli in Toscana assume un'ampiezza mai raggiunta... E... in un quadro di rinnovamento dei trasporti, ma anche in un fertile terreno di recettività in quella fase di ripresa successiva alla grande crisi di metà secolo, che trova spazio un fenomeno come quello dell'importazione di ceramiche spagnole, ormai non più capi pregiati prodotti per una stretta oligarchia ma oggetti di largo consumo, che dovevano raggiungere sempre più ampie classi sociali.». (4) Anche se in modo purtroppo disorganico, è stato recentemente effettuato, in situazione d'emergenza, dall'ufficio Centro Storico e da alcuni volontari, un recupero nel cortile del Convento delle Agostiniane, non lontano dalla chiesa di S. Giovanni, dove è stata identificata una zona di butto. La quantità di maioliche, ingente, dalla seconda metà del XV secolo al XVIII, supporta le nostre ipotesi, mostrando l'alta qualità delle "doti" delle consorelle e dei loro servizi collettivi. 106
Lo stesso sembrerebbe potersi dire per i vetri, produzione tradizionalmente eseguita in S. Giovanni. Un problema a sé resta l'ingubbiata e graffita soprattutto del tipo a fondo ribassato, che nel XVI secolo, come mostra il suo netto prevalere tra i reperti recuperati nelle fosse biologiche del palazzo, doveva dominare, a livello di forme aperte, la mensa vicariale (5). Una prima sommaria analisi ne ha identificato almeno due tipi, distinguibili per diverse caratteristiche tecniche di produzione e per la diversità, leggera, a livello di forme. Un tipo ha l'esterno nudo e l'interno conservato in modo pessimo, con la scomparsa quasi totale di ingobbio e vetrina (6); il secondo ha esterno invetriato e interno resistente all'attacco delle terre acide dei pozzi neri e i suoi motivi decorativi sembrano avvicinarsi alle produzioni di area fiorentina, purtroppo poco studiate (7). All'interno dei prodotti ingubbiati e graffiti, a fondo ribassato e non, particolarmente significativo il nucleo di forme aperte riproducenti sul fondo stemmi appartenenti a varie famiglie ed eseguiti sia su ordinazione, sia senza specifica richiesta, come nel caso, probabilmente, degli stemmi medicei. Particolarmente ricca, infine, la restituzione di ceramica invetriata, soprattutto nei tipi più tardi, tra XVI e XVIII secolo, con decorazioni ad ingobbio giallino, comprendente tegami (da fuoco e non), mezzine, pentole e scaldini (8). Per quanto riguarda il vetro, si tratta per la quasi totalità dei frammenti di vetro soffiato, relativo prevalentemente ad oggetti da (5) Questa tendenza al prevalere delle ingubbiate sulle maioliche, nelle forme aperte, a partire sicuramente dal primo '500, è ormai nota ed evidenziata in vari contesti di scavo. Per la diffusione in particolare del "fondo ribassato", cfr. BERTI-TONGIORGI, 1982. (6) Lo studio di questo tipo di ceramiche e dei loro centri di produzione, non pisani, comincia ora ad accogliere nuovi ed importanti contributi. L'ultimo di questi, per es., riguarda ceramiche ingubbiate e graffite, anche a fondo ribassato, prodotte a Pomarance. Anche in questo caso, l'esterno delle forme è nudo. Cfr. COSCARELLA-DE MARCO-PASQUINELLI, 1987. (7) Si vedano gli esempi riportati in CORA, 1973, senza alcuna descrizione tecnica (impasti, vetrine, ingobbi) né precisazioni sulle località di provenienza. Per altri esempi vedi anche La Fortezza di S. Giovanni Battista in Firenze, 1979. (8) Un altro ingente nucleo di invetriate, tra Sette e Ottocento, proviene dallo scavo nell'ambiente di piano terra del Palazzaccio, per il quale si veda il capitolo dedicato all'archeologia urbana in S. Giovanni, in questo stesso volume. 107
mensa (bicchieri, calici, coppe, bottiglie). Ad una prima analisi, si tratta di produzioni di ottima qualità (tecnica e stilistica), incolore o verde-azzurro, con contenuti fenomeni di devetrificazione. Qui presentiamo alcune delle forme più significative, rimandando ad una fase più avanzata dello studio considerazioni più ampie sulla tipologia, la cronologia, la provenienza. Sottolineiamo però l'importanza di una ricerca archeologica e documentaria tesa a verificare la presenza in S. Giovanni e / o nel territorio limitrofo di un'attività vetraria in età bassomedievale, esistendo i presupposti a livello di materie prime ed una tradizione attestata sin dalla primissima età industriale. Ci auguriamo di poter completare quanto prima lo studio di questi interessantissimi reperti, di cui qui si presentano solo alcuni degli esempi restaurati, grazie alla disponibilità e alla sensibilità della dott.ssa Zamarchi Grassi, Ispettrice della Soprintendenza Archeologica per la Toscana e del Centro di Restauro della stessa Soprintendenza. Si tratta, come si può vedere dal catalogo, di materiale noto, ma nel nostro contesto presente con esempi di particolare completezza, che abbiamo stimato utile ed importante per un'illustrazione didattica delle potenzialità produttive e dei materiali d'uso tra il XV e il XVI secolo. 108