CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N DEL 25 SETTEMBRE 2013

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N 44/2013 9 Dicembre 2013 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. E ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO INTIMATO ALLA LAVORATRICE CHE SUBORDINA L ASSEGNAZIONE DI NUOVI COMPITI ALLA RICHIESTA PER ISCRITTO. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 21922 DEL 25 SETTEMBRE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 21922 del 25 settembre 2013, ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad una lavoratrice che aveva subordinato lo svolgimento di nuove mansioni ad una specifica richiesta formulata per iscritto. Nella fattispecie de qua, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato ad una lavoratrice sul fatto che le nuove attività richieste esulavano dalle abituali mansioni di impiegata addetta al marketing; in questa prospettiva, la Corte territoriale aveva ritenuto giustificata l istanza della lavoratrice affinché l'assegnazione di tali compiti venisse formulata per iscritto, sia in ragione della particolare complessità tecnica del lavoro, sia in ragione di eventuali responsabilità in caso di errori nell'esecuzione. 1

Il Giudice di Appello aveva ritenuto altresì ingiustificata la sanzione espulsiva configurando la condotta come una lieve insubordinazione alla quale il contratto collettivo connetteva l'adozione di sole sanzioni conservative. Non dello stesso avviso la società soccombente che ha proposto ricorso per la cassazione della decisione, sostenendo che il rifiuto di eseguire la prestazione da parte del lavoratore è sempre illegittimo e deducendo, altresì, la illegittimità anche della richiesta di formalizzazione per iscritto dell'ordine di servizio. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso proposto, ha evidenziato che, nel caso di specie, non si è in presenza di un rifiuto tout court di eseguire la prestazione ma, solo della richiesta di ordine scritto di assegnazione dei nuovi compiti. Il Giudice di merito aveva ritenuto giustificata tale pretesa valorizzando, tra le altre, la circostanza delle possibili responsabilità e, quindi, conseguenze negative per la lavoratrice, in caso di errore nella esecuzione di compiti che aveva accertato essere estranei non solo alle mansioni di impiegata amministrativa ma, alla formazione professionale della dipendente. Nello specifico, hanno concluso gli Ermellini, tenuto conto del fatto che le nuove mansioni, non rientrando nel bagaglio professionale della lavoratrice, la esponevano a possibili errori nella esecuzione dei nuovi compiti, la valutazione del Giudice di Appello, che ha affermato la legittimità della richiesta di formalizzazione per iscritto, appare rispondente a criteri di logicità e congruità. IL LAVORATORE PUO ESERCITARE LA FACOLTA DI CHIEDERE AL DATORE L INDENNITA SOSTITUTIVA EX ART. 18, COMMA 3, L. 300/70 SOLO DOPO L EMANAZIONE DELLA SENTENZA CHE ORDINA LA REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 21452 DEL 25 SETTEMBRE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 21452 del 19 settembre 2013, ha statuito che l opzione per le 15 mensilità, sostitutive della reintegrazione, ex art. 18, comma 3, Legge 300/70, deve necessariamente essere esercitata solo dopo l'emanazione della sentenza che dichiara l'illegittimità del licenziamento e ordina la reintegrazione, a nulla rilevando che nelle more del giudizio, aderendo all'invito del datore, il lavoratore abbia già ripreso il servizio. Nella fattispecie in commento, la Corte d'appello di Roma aveva accolto il ricorso di Ferrovie dello Stato S.p.a. avverso la sentenza del Giudice del lavoro della stessa città, stabilendo che non poteva essere riconosciuto il diritto di un lavoratore, illegittimamente 2

licenziato, all'indennità di cui alla Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, in quanto l'opzione ivi prevista si presuppone necessariamente in difetto di prestazione; l opzione, pertanto, non è più esercitabile quando il lavoratore abbia già ripreso il servizio, manifestando quindi una volontà incompatibile con la rinunzia alla prosecuzione del rapporto. Avverso questa sentenza, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione esponendo che, nel caso di specie, il datore non aveva disposto alcuna reintegra ma aveva solo consentito che la prestazione riprendesse di fatto ed in termini di precarietà e temporaneità, il che contrasta con il dettato dell art. 18, che pone l'alternativa tra la reintegra (come disposta in un provvedimento giudiziale di accertamento dell'illegittimità del licenziamento) e l'indennità e non anche tra questa e la ripresa di fatto della prestazione. Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore ed ha evidenziato che la Corte d'appello ha correttamente delineato la natura giuridica dell'istituto dell'opzione in termini di obbligazione alternativa, che vede il lavoratore nella posizione di creditore; tuttavia, non ha correttamente determinato il momento in cui l'obbligazione nasce. L'obbligazione in questione è conseguenza dell'accertamento con sentenza dell'illegittimità del licenziamento, di modo che, prima della sentenza stessa non sussiste per il lavoratore alcuna facoltà di scelta e, conseguentemente, alcuna possibilità di esercizio dell'opzione. L'emanazione dell'ordine di reintegra, contenuto nella sentenza che dichiara l'illegittimità del licenziamento, costituisce, quindi, condizione essenziale per la nascita del diritto di opzione. IL LAVORATORE NON DEVE SEMPLICEMENTE METTERE A DISPOSIZIONE DEL DATORE DI LAVORO LE PROPRIE ENERGIE LAVORATIVE ESSENDO TENUTO A RENDERLE EFFETTIVAMENTE FRUIBILI. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 22076 DEL 26 SETTEMBRE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 22076 del 26 settembre 2013, ha statuito che il lavoratore non deve semplicemente mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative ma, ex adverso, deve renderne possibile l utilizzo effettivo e proficuo delle stesse. Nel caso de quo, un dipendente di Trenitalia Spa, dopo essere giunto in ritardo sul luogo di lavoro, rifiutava anche di aiutare la propria collega nell emissione manuale di biglietti 3

ferroviari resasi necessaria a seguito del malfunzionamento del sistema di vendita automatico. Inoltre, lo stesso abbandonava il posto di lavoro per recarsi al bar intimando alla collega, in modo esagitato, di non emettere i titoli di viaggio manualmente. Al termine del procedimento disciplinare ex art. 7 L. 300/70, l azienda irrogava la sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per 5 giorni. Il lavoratore ricorreva ai Giudici. Orbene gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum dei gradi di merito, hanno sottolineato come l'obbligo di collaborazione è insito nel dovere di diligenza ex art. 2104 c.c.. In virtù di tale dovere, non è sufficiente che il lavoratore metta semplicemente a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative ma, è necessario ed indispensabile che il suo comportamento sia tale da rendere possibile l'uso effettivo e proficuo delle stesse. Pertanto, atteso che, nel caso in commento il lavoratore non solo aveva disertato il lavoro ma, aveva anche minacciato la collega di non emettere biglietti manuali, i Giudici dell'organo di nomofilachia hanno confermato la legittimità della sospensione disciplinare irrogata. IN CASO DI ACCERTAMENTO INDUTTIVO, BASATO SUGLI STUDI DI SETTORE, L UFFICIO NON E OBBLIGATO A PRENDERE IN CONSIDERAZIONE TUTTI I DATI STANDARD PER L ATTIVITA. E SUFFICIENTE IL RIFERIMENTO AD ALCUNI DI ESSI PURCHE EVIDENTEMENTE INCONGRUENTI. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 24273 DEL 28 OTTOBRE 2013 La Corte di Cassazione - Sezione Tributaria -, sentenza n 24273 del 28 ottobre 2013, ha statuito l importante principio in base al quale in materia di accertamento induttivo dei redditi, l Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento sia sull esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell attività svolta, sia sugli studi di settore; in tale ultimo caso, l ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale del comparto merceologico, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente. 4

IL FATTO Ad un azienda, esercente l attività di tavola calda, veniva notificato avviso d accertamento ai sensi dell art. 39 del D.P.R. 600/73 in quanto il reddito dichiarato si discostava di molto dalle risultanze degli studi di settore. In entrambi i gradi di giudizio di merito, l azienda risultava soccombente in quanto secondo i Giudici, in fase di contraddittorio, il contribuente aveva formulato eccezioni generiche, tant è che il ricarico dei vari componenti del paniere di riferimento era rimasto ridotto rispetto alla media ponderata del settore, a fronte di una contabilità non del tutto attendibile. Pertanto, la ricostruzione dei ricavi operata dall ufficio era del tutto corretta. Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, richiamando un orientamento giurisprudenziale consolidato, hanno (ri)affermato che, in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una grave incongruenza, espressamente prevista dall articolo 62-sexies del Dl 331/1993, ai fini dell avvio della procedura finalizzata all accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, alla luce dell articolo 53 della Costituzione, dall articolo 10, comma 1, legge 146/1998. Tale ultima disposizione pur non richiamando esplicitamente l articolo 62-sexies citato non prevede espressamente il requisito della gravità dello scostamento e, nel caso concreto, comunque il notevole divario rispetto a quanto indicato risultava per tabulas. Pertanto, i Giudici nomofilattici, nell avallare il comportamento dell ufficio fiscale, hanno riconosciuto pienamente la validità di una ricostruzione reddituale ex articolo 39 del Dpr 600/1973 che tragga la propria ragionevolezza dallo scostamento dei dati del contribuente rispetto ad alcuni elementi ritenuti sintomatici per l attività svolta, statuendo che, lo strumento standardizzato (id: studi di settore) può essere utilizzato anche solo parzialmente per cui l ufficio non è obbligato a prendere in considerazione tutti i dati emergenti dagli studi di settore ma, basta il riferimento solo ad alcuni di essi, a condizione che siano particolarmente e oggettivamente significativi. 5

IL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO NON COMPORTA AUTOMATICAMENTE IL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO NELLA MISURA DI CUI ALL ART. 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 22398 DELL 1 OTTOBRE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 22398 dell 1 ottobre 2013, ha statuito che, la liquidazione del danno conseguente l'illegittimo licenziamento deve avvenire ai sensi dell'art. 1218 c.c., disciplinante l'inadempimento contrattuale del debitore, in quanto non può ritenersi che l'art. 18 della L. 300/70 abbia introdotto, nel nostro ordinamento giuridico, differenti elementi distintivi. Nel caso in commento, una lavoratrice veniva licenziata a seguito della propria condotta negligente che, seppur non particolarmente grave, causava l'adozione del provvedimento disciplinare espulsivo da parte del datore di lavoro. I Giudici di prime cure determinavano, in entrambi i gradi di giudizio, il risarcimento del danno nella misura minima di cinque mensilità oltre alla reintegrazione. La lavoratrice ricorreva in Cassazione onde vedersi riconoscere tutte le mensilità medio tempore maturate. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, nel confermare il deliberato di merito, hanno sottolineato come, al fine di correttamente quantificare il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori non ha introdotto elementi distintivi, dovendosi pertanto ricorrere all'art. 1218 c.c. disciplinante l'inadempimento del debitore con particolare riferimento alla esimente (del risarcimento) in caso provi che l inadempimento non deriva da causa allo stesso imputabile. Pertanto, atteso che, nel caso de quo, la sanzione espulsiva era apparsa sproporzionata ma non connotata da dolo o colpa del datore, i Giudici del Palazzaccio hanno confermato la condanna del datore di lavoro al pagamento di sole 5 mensilità di retribuzione (id: misura minima). Ad maiora 6

IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 7