Tra i fattori strutturali dell economia e del sistema industriale italiano spiccano due caratteristiche: la prevalenza di imprese di piccole e medie dimensioni nelle quali si notano la contemporanea presenza di un imprenditore, spesso fondatore, e l assenza di un adeguata struttura manageriale, e la dipendenza dai mercati esteri sia come fonte di approvvigionamento delle materie prime sia come mercati di sbocco della produzione nazionale. Questi due elementi strutturali dell economia italiana sono sempre stati considerati tra i principali vettori dello sviluppo economico del nostro Paese; hanno sostenuto i periodi gloriosi della rinascita economica degli anni 50 e del boom economico del decennio successivo, e hanno consentito un freno alle ricorrenti crisi degli anni successivi e anche delle difficoltà attuali. Benché raramente sostenute dalle politiche economiche governative, il sistema delle piccole e medie imprese italiane ha dimostrato una grande vitalità e ha saputo rigenerarsi in modo continuo anche in presenza delle rivoluzionarie innovazioni tecnologiche che hanno visto la luce negli ultimi venti trent anni. La stessa vitalità ha dimostrato l orientamento all internazionalizzazione delle imprese, soprattutto delle piccole e medie imprese. Ricerca continua di nuovi mercati, nuove proposte tecniche, soluzioni commerciali originali e d avanguardia hanno permesso a molte imprese di trovare nei mercati esteri la fonte principale, spesso prioritaria, del fatturato e dei profitti, consentendo, tra l altro, al sistema industriale italiano (e all intero Paese) di acquisire una credibilità e una reputazione sul piano internazionale che le altre componenti del Sistema Italia non erano (e ancor oggi non sono) riuscite ad ottenere. Per certi versi si può quindi affermare che, se l Italia è riconosciuta come una potenza industriale a livello mondiale, molto lo si deve agli sforzi e ai risultati ottenuti dalle piccole e medie imprese nei mercati internazionali. La definizione di piccola-media impresa non è unanimemente condivisa, almeno da un punto di vista quantitativo. Molto dipende dalle esigenze definitorie, collegabili agli aspetti di politica industriale, di sostegno e/o di facilitazione fiscale, di politica del lavoro, e così via. A queste differenziazioni si aggiungono le disparità che dipendono dal settore in cui operano le imprese. In alcuni settori due o trecento dipendenti (per assumere nel numero dei dipendenti uno dei tanti criteri atti alla definizione delle dimensioni) possono rappresentare dimensioni d impresa importanti, mentre in altri set-
XII Prefazione tori lo stesso numero di dipendenti qualifica l impresa come una piccola se non addirittura una micro impresa. Anche se l espressione piccola-media evoca in modo naturale un riferimento di tipo quantitativo (sia esso basato sul numero di dipendenti, sul fatturato, sul valore aggiunto, ecc.) è probabilmente in una dimensione qualitativa che si possono cogliere le caratteristiche strutturali e comportamentali delle imprese di minori dimensioni. Da questo punto di vista gli elementi per certi versi più significativi sono riconducibili alla presenza di un imprenditore (o di un limitato gruppo dirigente) artefice di tutte le decisione d impresa e, soprattutto, dall assenza di una struttura e di una mentalità di tipo manageriale; assenza che, naturalmente, porta con sé la mancanza di conoscenze e di strumenti di analisi e di decisione strutturati. Tale mancanza è d altra parte spesso compensata da una notevole dose di creatività, d intuito e di coraggio imprenditoriale, che nelle situazioni di successo rappresenta l elemento vincente di queste imprese che, anche in virtù delle limitate dimensioni, dimostrano grandi capacità di adattamento e di flessibilità, particolarmente indispensabili nei mercati fortemente concorrenziali ed instabili. Tornando brevemente alla dimensione quantitativa della definizione di impresa di piccole e medie dimensioni, è bene rilevare che la maggior parte dei ricercatori di economia d imprese individua in 500 il numero di dipendenti al di sotto dei quali l impresa può verosimilmente definirsi di minori dimensioni. Ma in Italia, nella maggior parte dei casi, quando si parla di un impresa di 500 dipendenti non si evoca un impresa né di medie né, tantomeno, piccole. Piuttosto viene alla mente un impresa medio grande se non proprio grande. Al di là dell inutile gioco semantico quantitativo (piccole, medio piccole, medio, medio grande, ecc.), quanto vorrei mettere in luce è che le piccole imprese italiane sono più piccole di quelle di altri Paesi. Questo differenziale dimensionale delle piccole imprese italiane rispetto a quelle di altri Paesi non rappresenterebbe, in realtà, un grave problema, se non nel fatto che, se si riflette in termini di parità di fattori in grado di determinare il successo concorrenziale, se ne può dedurre che le piccole imprese del nostro Paese portano ad una situazione di ulteriore potenziale debolezza rispetto alle loro concorrenti internazionali. Se a queste condizioni si aggiunge il fatto che, generalmente parlando, le imprese italiane risultano mediamente meno attrezzate in termini di sistemi e di strumenti gestionali e manageriali rispetto ai loro competitors stranieri (in particolare anglosassoni), se ne deduce che la loro capacità di competere nei mercati internazionali dovrebbe essere limitata. La storia economica di molte imprese italiane orientate ai mercati internazionali, invece, dimostra il contrario. Pur partendo da una condizione di debolezza strutturale e pur non essendo supportate da un efficiente (si pensi ai divari nel sistema delle infrastrutture, alle ancora presenti lentezze burocratiche, alla farraginosità dell impianto legislativo e fiscale, ecc.) moltissime imprese, in particolare di minori dimensioni, sono riuscite ad ottenere successi straordinari nei mercati mondiali.
XIII Vi è allora da domandarsi quali siano le forze implicite sulle quali le nostre imprese sono riuscite a far leva e se questi fattori di successo possono essere in grado di sostenere un ulteriore e continuo sviluppo. Per cercare di dare una risposta a questi interrogativi è opportuno analizzare brevemente la nature dei settori e dei mercati nei quali il made in Italy si è più fortemente radicato con successo. Tradizionalmente le imprese italiane, indipendentemente dalle loro dimensioni, hanno avuto (ed hanno) successo in tutti quei settori nei quali estro e creatività rappresentano condizioni indispensabili per una efficace capacità concorrenziale. Sono i tipici settori in cui l Italia da tempo primeggia: la moda, il design, una parte dell arredamento, l occhialeria, alcune specialità alimentari, la cantieristica di lusso, e così via. Molti di questi settori sono caratterizzati da una struttura industriale di tipo frammentato che, con le dovute eccezioni, privilegia la presenza di imprese di limitate dimensioni. In molti di questi settori vi è inoltre una notevole coincidenza positiva tra le esigenze di immagine implicite e trasferite ai prodotti (in modo particolare le associazioni mentali richiamate riguardano la creatività, il gusto, l eleganza, l estro, ecc.) e lo stereotipo, in questo caso positivo, che è accreditato all Italia e a tutto ciò che da questo Paese proviene. In questo modo si è venuta a creare una eccellente sinergia tra le indubbie capacità delle imprese e l immagine del Paese. Anche per questo motivo i prodotti italiani riescono a primeggiare sui mercati internazionali e alcune delle imprese operanti in questi settori sono riuscite a raggiungere e a mantenere nel tempo posizioni di leadership a livello mondiale. Ma vi sono anche altri settori nei quali le piccole e medie imprese italiane riescono ad ottenere notevoli successi di mercato. Si tratta, tra gli altri, di alcuni comparti della componentistica (spesso collegati al settore automobilistico), della meccanica di precisione, delle macchine utensili, ecc. In questi settori estro e creatività possono giocare un ruolo positivo (ma in genere solo nella fase dell intuizione e dell invenzione di nuove soluzioni) ma ad essi non si può accreditare un ruolo positivo dominante. Né, tantomeno, gioca a favore l immagine del Paese. I clienti di questi settori (quasi sempre altre imprese trattandosi di situazioni di scambio del tipo business to business) seguono processi d acquisto di tipo professionale che poco spazio concedono alle componenti di immagine non radicate e riscontrabili nella quotidianità dei processi di scambio. Ciò che richiedono questi clienti imprese cono affidabilità, metodo, continuità relazionale, rispetto dei tempi, ecc. Tutti fattori che, a torto o a ragione, non rientrano nel carnet del made in Italy. Eppure le nostre imprese hanno ugualmente successo. E la ragione prevalente è riscontrabile nel fatto che le loro ridotte dimensioni, l assenza di strutture e di procedure burocratiche, un serto possibilismo tipicamente mediterraneo (riassumibile nell espres sione perché no ) consentono loro di essere molto pronte a comprendere e a soddisfare le esigenze dei loro clienti. Quel fattore strutturale tipico della piccola dimensione, la flessibilità, diviene adattabilità, cura continuativa del cliente, capacità di for-
XIV Prefazione nire risposte efficaci ai problemi del cliente. Tutti elementi che nei business markets, non importa se nazionali o internazionali, sono fortemente apprezzati e che determinano l instaurarsi di un rapporto di reciproca fiducia, così importante nella relazione tra impresa acquirente e impresa venditrice. Ecco allora che il binomio piccole imprese e mercati internazionali risulta chiaro. Possono avere successo quelle imprese che posseggono nei loro geni quei fattori strutturali delle piccole dimensione e che costituiscono un indubitabile patrimonio fortemente apprezzato dai mercati e dai clienti. Rimane un ultimo interrogativo. Sono sufficienti i fattori di successo ora rammentati per garantire uno sviluppo positivo alle nostre imprese di minori dimensioni? Presumibilmente sono necessari, in molti casi indispensabili, ma sempre meno sufficienti. Lo sviluppo della concorrenza internazionale si nuove come una sorta di tenaglia. Da un lato le imprese appartenenti ai paesi tradizionalmente concorrenti (quelli maggiormente industrializzati, ma anche i Paesi recentemente entrati a far parte dell Unione Europea) da tempo hanno compreso ed iniziato ad imitare i modelli imprenditoriali italiani tipici delle piccole imprese, inserendoli però in molti casi strutture di sistema paese più efficienti e progredite del nostro. D altro lato sono ormai del tutto emerse forze concorrenziali estremamente dinamiche, meno vincolate di quelle tradizionali e che possono godere di fattori di successo a noi preclusi, quali il basso costo del lavoro. L esempio ormai consolidatosi è quello dello sviluppo industriale cinese. E la Cina non è un esempio solitario: ad esso vanno aggiunte l India e molti dei Paesi del subcontinente indiano, così come alcuni Paesi dell America Latina. E contro questa concorrenza non c è protezionismo che possa essere di ragionevole aiuto nel medio periodo. Servono piuttosto due ordini di intervento: uno a livello macro e strutturale, l altro a livello di comportamenti e politiche delle imprese. Il primo intervento riguarda l ormai inderogabile necessità che il Paese si doti di un sistema infrastrutturale almeno degno di un Paese moderno: dai trasporti al credito, dalla fiscalità alle capacità diplomatiche in campo economico, ecc. Si tratta di interventi di responsabilità dello Stato sui quali il sistema delle imprese poco può fare se non chiederli con fermezza e con continuità. A livello d impresa, anche singola, la riflessione svolta finora spinge a suggerire che i fattori che ad oggi hanno determinato il successo delle imprese devono essere arricchiti e completati da un insieme di conoscenze, di strumenti e di tecniche che sono ormai patrimonio consolidato dell economia d azienda e d impresa. Tra questi, una posizione di rilievo spetta la marketing e più in generale alla capacità di analisi, di comprensione e di gestione dei mercati. D altra parte si sta parlando di imprese che operano sui mercati internazionali ed è naturale pensare che proprio le conoscenze di come ci si possa relazionare con il mercato debbano assumere un rilievo particolare. Con un ultimo punto di riflessione: spesso il marketing internazionale pare essere più adatto alle imprese di maggiori dimensioni, più dotato in termini di strutture e di capacità di investimento. Nel caso delle imprese italiane lo sforzo che deve essere
XV è quello di riconoscere la peculiarità del nostro sistema industriale e di costruire un marketing internazionale adatto alle imprese di dimensioni minori. *** Elena Cedrola, in questo libro, affronta dunque un tema di grande attualità e di non semplice svolgimento. E lo affronta bene, con la serietà di metodo che deve caratterizzare l operato del ricercatore. Non vi è spazio, nelle pagine che seguono, ai suggerimenti a volte un po gratuiti e alle tecniche di moda e per questo effimere, che capita di incontrare in certa letteratura di management. Vi è, piuttosto, la ricerca di un equilibrio tra rigore metodologico e utilità applicativa. Il che rende la lettura e lo studio di questo libro utile sia allo studioso sia all imprenditore e al manager. Renato Fiocca Straordinario di Marketing e Direttore di Centrimark (Centro di Ricerche di Marketing) Università Cattolica - Milano