Ceramica a vetrina pesante degli scavi del castello di Montella (AV)



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Ceramica a vetrina pesante degli scavi del castello di Montella (AV) Gli scavi condotti dal Dipartimento di Discipline Storiche dell'università di Napoli Federico II nel castello del Monte di Montella (Avellino) e nell'annessa area murata e terrazzata che accoglie a valle anche la chiesa e il convento di S. Maria del Monte o della Neve (ROTILI 1989) hanno portato alla luce fino a tutto il 1990 numerosi frammenti di ceramica a vetrina pesante ed un vasetto integro. Questi esemplari si aggiungono ai pochi ma significativi rinvenuti negli scavi dei castelli di Ariano Irpino (ROTILI 1988) e di Rocca S. Felice, sempre nell'avellinese, ove gli interventi archeologici sono tuttora in corso. Nel seminario sulla ceramica invetriata sono stati presentati il vasetto integro e quattro frammenti rinvenuti rispettivamente nell'ambiente G del castello, ubicato nel punto più alto del Monte di Montella, e nelle rasole 1, 3 e 4, tra le più vicine al nucleo fortificato delle ampie terrazze che articolano la zona e che un documento del XVIII secolo indica per l'appunto con questo termine. Attraversata da due acquedotti che si intersecano nella rasola 8 proseguendo con un unico canale, interrotto presso la chiesa di S. Maria del Monte, l'area è umanizzata sin dal primo Medioevo, cui risalgono le numerose strutture messe in luce nelle rasole del settore nord-orientale e orientale, percorse dalla lunga strada di accesso al castello. Vanno annoverate tra queste le cisterne per la raccolta dell'acqua piovana, i resti di case ed una fossa a sezione trapezoidale in muratura per la conservazione del frumento e di altri prodotti agricoli, correlate ad una recinzione altomedievale costituita da uno spesso muro a sacco entro cortine di pietre sbozzate e semilavorate sul quale fonda la recinzione di epoca svevo-angioina più volte rimaneggiata. Anche la calcara ricavata nel banco di roccia opportunamente modellato, rinvenuta nella rasola 8 al di sotto del riempimento di XII-XIII secolo in cui sono costruite le due condotte idriche che proprio su questa struttura per la produzione si intersecano, documenta la frequentazione altomedievale del Monte e appare in fase con le murature rinvenute in analoga situazione nella rasola 1, cioè al di sotto del riempimento nel quale venne costruita una simile condotta idrica. Quella che attraversa la rasola 1, vera e propria area di servizio del castello, proseguendo in direzione delle terrazze meridionali, è una delle condotte dell'impianto che porta a valle l'acqua del serbatoio posto sul lato sud-orientale della fortificazione e che scende con altro ramo alla rasola 3, ove si congiunge all'acquedotto proveniente dal monte Sassosano, retrostante il complesso monumentale a ovest. [517] Lo studio della stratigrafia e dei materiali restituiti dai riempimenti sta chiarendo che questi vennero realizzati entro il XIII secolo, dopo la costruzione del mastio e di altre fortificazioni, in rapporto al riassetto dell'area che fu destinata all'uso regio come residenza di caccia e luogo di svaghi un uso durato almeno fino al 1364 quando è ricordato un soggiorno di Filippo II principe di Taranto così come è reso noto dall'atto del 23 dicembre 1293 con il quale Carlo II d'angiò escludeva dalla concessione delle terre del defunto conte di Acerra al figlio Filippo fra gli altri il castello di Montella, trattenuto dal sovrano pro nostris solaciis anche in virtù del bosco e del parco che lo circondavano (ROTILI 1989, pp. 67-68). Ma le indagini stanno altresì evidenziando che l'abbandono dei livelli di frequentazione altomedievali, per lo più in fase, ed il loro interro in rapporto al diverso uso del sito o di sue parti risalgono al X-XI secolo. Tra i materiali che qualificano come altomedievali le strutture anteriori alla costruzione del castello e al razionale terrazzamento del Monte in funzione dell'organizzazione del parco, e che ne indicano la distruzione e il successivo interro entro il X-XI secolo, vi è anche la ceramica a vetrina pesante rinvenuta sempre in associazione con acroma, acroma da fuoco e dipinta. Il vasetto con invetriatura esterna pesante (Tav. I, 1 e Fig. 1), di colore verde marrone (valore Munsell 2,5Y 4/4 olive brown), molto brillante nei punti meglio conservati, con impasto rossiccio chiaro (valore Munsell 2,5 YR 6/6 light red), rinvenuto in associazione con una statuetta

riferibile all'età longobarda e con altro materiale ceramico frammentario anteriore al Mille, contribuisce a definire come altomedievale il riempimento dell'ambiente G del castello, posto nell'angolo nord-orientale e delimitato da muri stratificati, uno dei quali è identificabile come parte della recinzione altomedievale riconosciuta in molti punti del settore nord-orientale e nella rasola 1. L'ambiente era già distrutto e interrato quando la murazione di epoca svevo-angioina del castello venne edificata su quanto rimaneva della cinta più antica, impiegata un tempo anche come appoggio di muri di ambienti, secondo quanto verificato nelle rasole del settore nord-orientale. Il pezzo, caratterizzato da una decorazione plastica con trecce alternate a pinoli posti l'uno sull'altro, con corpo ovoide, bocca larga, bordo leggermente ingrossato, sezione spessa e fondo piano a disco appena accennato, può essere datato per la giacitura in strato e non solo per le caratteristiche tipologiche e i possibili riscontri. Si può proporre un confronto per la decorazione con la brocca dal Lacus Iuturnae, gruppo Ae (MAZZUCATO 1972, p. 16 fig. 15). Il pezzo è stato tirato a mano, con applicazione delle decorazioni plastiche. Lo spesso rivestimento vetroso, complessivamente deteriorato e mancante all'interno, è stato applicato per immersione. [518]

[519] L'impasto, con rari inclusi di calcite e mica, è poco depurato. Il vasetto può essere datato all' VIII-IX secolo. All'interno sono stati trovati frammenti di guscio d'uovo, circostanza che potrebbe indicare la provenienza del pezzo da una sepoltura, prima del suo definitivo interro nell'ambiente G. Anche per il contesto stratigrafico di rinvenimento, l'oggetto montellese ripropone il problema della datazione e della continuità dell'invetriata di tradizione romana, la cui produzione, consolidata nel IV-V secolo, nel Mezzogiorno appare sostanzialmente ininterrotta grazie alla persistenza di apparati e centri produttivi seppur degradati (ARTHUR-WHITEHOUSE 1982, pp. 39-40; FRANCOVICH 1983, p. 280; ARTHUR 1986, p. 546) e per effetto della mediazione mediterranea e di apporti nord-africani (MANNONI 1975, p. 172) cui potrebbero collegarsi, in particolare, alcune produzioni campane.

Sembrerebbero documentare una continuità di produzione fra Tardo Antico e Alto Medioevo, accertata almeno fino al X secolo (PAROLI 1985, pp. 208-209; PAROLI 1986, pp. 516 520), i due frammenti di ansa e di parete (Tav. I, 2-3; Figg. 2-3) provenienti rispettivamente dalle UUSS 21 e 25 del Settore I 86/89, un'ampia area di scavo nella rasola 1 in cui sono state individuate le strutture di recinzione 8004 e 8070, anteriori ai muri di cinta basso-medievali. La US 21, terreno scuro misto a pietre di medie dimensioni contenente anche ceramica acroma e dipinta, copriva il muro 8004 e il battuto 23, e mentre costituiva, da quota -3,22 a -4,13, l'interro altomedievale di precedenti livelli di frequentazione, corrispondenti anche al battuto 29, era in fase con lo strato 13, preparazione del piano pavimentale 216 che rappresenta uno dei livelli d'uso della rasola 1 prima del terrazzamento di XII-XIII secolo e della sua coeva recinzione. Il frammento di ansa con attacco orizzontale leggermente sormontante la bocca del vaso (n. analisi 135) può essere collocato fra IX e X secolo, cui potrebbe risalire il contesto di provenienza attualmente allo studio. L'invetriatura è molto spessa, granulosa, di colore marrone-rossiccio (valore Munsell 5R 3/2 dusky red), applicata mediante immersione del vaso. Analoga invetriatura, spessa, granulosa, di colore marrone-beige (valore Munsell 2,5YR darle reddish brown) ed impasto quasi uguale, molto duro, mediogrossolano con dimensione degli inclusi tra mm 0,65 e 0,30, di colore grigio (valore Munsell 7,5YR 4/5 darle gray per il primo pezzo; 7,5YR 5/0 gray per il secondo), presenta il frammento di parete relativo ad una forma chiusa con tre incisioni a crudo e tracce di vetrina all'interno (analisi n. 136). Questo pezzo proviene dalla US 25, strato di terreno con buona quantità di ceramica dipinta, sigillato a quota -4,18 dal pavimento 23 a sua volta coperto da 24, che è uno strato d'incendio e di abbandono di 23 sul quale si è avuto l'interro formato dalla US 21. [520]

Per la diversa quota della US 25 da -4,25 a -4,41 anteriore all'ambiente cui si riferisce il pavimento 23, coperto come il pavimento 29, posto a quota ancora più bassa e coperto da 25 dal muro 8004, e delimitato da un muro precedente, riconoscibile nella fondazione di 8004, il frammento si riferisce ad un interro sensibilmente più antico di 21. Pur tuttavia i due oggetti, provenienti da UUSS cronologicamente distanti, sono vicini almeno dal punto di vista tecnologico, a riprova della continuità di produzione e uso dell'invetriata di tradizione tardoromana. [521] La qualità degli impasti, vulcanico-sedimentari, medio grossolani, con componenti tipici delle aree poste in prossimità delle vulcaniti campano-laziali suggerisce l'esistenza di una produzione locale o sub-regionale che appare snodarsi nel lungo periodo, fra la prima parte dell'età longobarda e la sua conclusione. A questo risultato sembra portare anche l'esame del contesto di rinvenimento del fondo apodo, con attacco di parete obliquo, pertinente ad una forma chiusa (Tav. I, 4; Fig. 4; n. analisi 137). Il pezzo, con incisioni a punta eseguite a crudo, in forma di onde irregolari, presenta un'invetriatura spessa e granulosa giallo-verdognola (valore Munsell 2,5Y 5/6 light olive brown); all'interno è una sagomatura di vetrina, l'impasto è duro, medio-grossolano con dimensione degli inclusi tra 0,65 e 0,30 (valore Munsell 7,5YR6) gray (analisi m. 137). È stato rinvenuto nel riempimento US33 della cisterna USM80, scavata nella rasola 4, nella quale, dopo l'abbandono delle strutture abitative esistenti, venne impiantata la necropoli. L'US 33 è lo strato riversato per primo nella struttura, reimpiegata per scopo funerario prima della costruzione della strada di

accesso al castello, che la sigillò in parte. Per le sue caratteristiche formali e decorative e per l'associazione in strato con invetriata al piombo di XI-XII secolo, il pezzo individua una produzione riferibile all'ultima fase della vetrina pesante fra X e XI secolo (PAROLI 1986, p. 520). Dalla rasola 3, soprastante l'area della necropoli, proviene un altro frammento con invetriatura pesante di colore verde-oliva (valore Munsell 5Y 4/4 olive), con impasto mediogrossolano (valore Munsell 2,5Y 3/0 very dark gray) e con decorazione a petali disposti su una fascia verticale, una di quelle che decoravano il pezzo intero (Tav. I, 5; Fig. 5; l'oggetto, esaminato al binoculare, è stato assimilato al frammento di parete cui si riferisce l'analisi 136). L'US66 di provenienza copriva la roccia e la fondazione a facciavista del muro di recinzione altomedievale a sacco, che è posato su quella. Poiché fondazione e riempimento 66 sono in fase, il riferimento ad epoca altomedievale della ceramica e della struttura viene confermato dalla datazione del pezzo, che può essere assegnato al VI-VII secolo e che potrebbe rappresentare un'importazione dai territori bizantini della Campania. Le analisi mineralogico-petrografiche eseguite sui frammenti in sezione sottile (nn. 135 137) e in un caso al solo binoculare hanno evidenziato che gli impasti medio-grossolani, di tipo vulcanico-sedimentario (gruppo 5) contengono calcari, trachite, sanidino, selce, quarzo, augite, abbondanti miche fini e che sono compatibili con una produzione locale o sub-regionale in quanto presentano, come già ricordato, elementi tipici delle aree poste in prossimità delle vulcaniti campanolaziali. La modesta qualità dei contenitori esaminati, risultante dagli esami di laboratorio questi hanno indicato, fra l'altro, che la cottura è avvenuta in ambiente riducente o parzialmente riducente conferma altresì la loro collocazione in pieno Alto Medioevo, cui riportano le sequenze stratigrafiche rilevate. [522] Ma, a differenza dei dati tecnici, queste indicano articolazioni temporali tali da consentire di prospettare che produzione e consumo dell'invetriata di tradizione tardoantica ebbero luogo nel Mezzogiorno senza apprezzabili soluzioni di continuità. MARCELLO ROTILI P. ARTHUR, 1986, Appunti sulla circolazione della ceramica medievale a Napoli, in La ceramica medievale nel Mediterraneo occidentale, Atti del III Congresso internazionale, (Siena- Faenza 8-13 ottobre 1984 1), Firenze, pp. 545-554. P. ARTHUR,D. WHITEHOUSE, 1982, La ceramica dell'italia meridionale: produzione e mercato tra V e X secolo, Archeologia Medievale, IX, pp. 39-46. R. FRANCOVICH, 1983, Continuità nella produzione della ceramica invetriata fra epoca romana e Medioevo, in XXX Corso di cultura sull'arte ravennate e bizantina, Seminario giustinianeo, Ravenna, pp. 273-283. T. MANNONI, 1975, La ceramica medievale a Genova e nella Liguria, Genova-Bordighera. O. MAZZUCATO, 1972, La ceramica a vetrina pesante, Roma. L. PAROLI 1985, Ceramica a vetrina pesante (Forum Ware), ceramica a vetrina pesante a macchia (Sparse glazed), in Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 3. Il giardino del Conservatorio di S. Caterina della Rosa, a cura di D. Manacorda, Firenze, pp. 206 224. L. PAROLI, 1986, in D. MANACORDA, L. PAROLI, A. MOUNARI, M. RICCI, D. ROMEI La ceramica medievale di Roma nella stratigrafia della Crypta Balbi, in La ceramica medievale nel Mediterraneo occidentale, cit., pp. 511-544. M. ROTILI, 1988, Ricerche archeologiche nel castello di Ariano Irpino. Primo bilancio, Ariano Irpino.

M. ROTILI, 1989, Ricerche archeologiche nel "Castello del Monte" di Mantella. Primo bilancio, in Restauri a Montella. Il complesso conventuale del Monte, Avellino, pp. 59-69. M.R. SALVATORE, 1982, La ceramica altomedievale dell'italia meridionale: stato e prospettive della ricerca, Archeologia Medievale, IX, pp. 47-66.[523]