Caratteri generali di metrica



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Caratteri generali di metrica metrica insieme delle regole e delle convenzioni che, in una tradizione letteraria, presiedono alla strutturazione formale del prodotto poetico, fornendo agli autori una serie di modelli sui quali costruire, con margini talora anche ampi di libertà e di variazione, i singoli componimenti e le loro parti. versificazione concreta messa in opera delle norme metriche nella costruzione di versi e strofe. ritmo il prodotto della successione e della disposizione regolata, su basi fonico-musicali e non solamente logicosintattiche, di arsi e di tesi, vale a dire di sillabe o posizioni toniche e di sillabe o posizioni atone. funzione poetica adozione di tecniche metriche (verso, rima, strofe ) in un testo di carattere non letterario. La metrica italiana è una metrica qualitativa, o sillabico-accentativa, mentre la metrica greco-latina era una metrica quantitativa in cui le sillabe erano distinte in base alla loro quantità (brevi, lunghe o ancipiti) e disposte in unità metriche dette piedi. In italiano, come in tutte le lingue romanze, la distinzione riguarda le sillabe toniche, o accentate, dalle sillabe atone. Il tipo e il nome del verso italiano sono determinati dal numero delle sillabe. La sillaba metrica, in quanto elemento costitutivo del verso, può differire dalla sillaba grammaticale così come l accento metrico, che concorre alla formazione del ritmo, può non coincidere con l accento grammaticale. Figure metriche sinalefe fenomeno per cui due vocali consecutive, l una in fine di parola e l altra all inizio della parola successiva, vengono comprese in una sola sillaba metrica; se tra le due parole è compreso un monosillabo vocalico (es. congiunzione e o o), è ugualmente possibile effettuare la sinalefe che coinvolgerà così tre vocali; nella lettura le vocali interessate dalla sinalefe si pronunciano contratte, ossia senza soluzione di continuità. A volte le vocali in una sola sillaba metrica possono essere anche quattro, in caso di dittongo. esta selva selvaggia e aspra e forte (Inf. I, v. 5) Colla qual Roma et suoi erranti correggi (Petrarca, RVF LIII, v. 5) dialefe figura metrica per mezzo della quale si collocano in due sillabe metriche distinte la vocale finale di una parola e quella iniziale della parola seguente; frequente nell area toscana e nella poesia del Quattrocento. esta selva selvaggia e aspra e forte (Inf. I, v. 5) Nella poesia antica di area toscana, fino al Quattrocento compreso, la dialefe si verifica per lo più quando, delle due vocali, almeno la prima è tonica (sono sentiti come tonici i monosillabi): e poi ch ebber li visi a me eretti (Inf. XXXII, v. 45) La dialefe tra due vocali entrambe atone o quella tra due vocali di cui la prima sia atona e la seconda tonica è detta dialefe d eccezione: Qual verso Acheronte non si cala (Purg. II, v. 105) Antichissime ombre, e brancolando (Foscolo, Sep. v. 281) sineresi fenomeno per il quale si includono in una sola sillaba metrica due o più vocali consecutive di una stessa parola, che nella sillabazione consueta appartengono invece a due distinte sillabe grammaticali; si trova spesso nei gruppi vocalici aia, -aio, -oia, -ioia, -iaio e simili. Farinata e l Tegghiaio, che fuor sì degni (Inf. VI, v. 79) dieresi fenomeno per il quale si collocano in due diverse sillabe metriche, separandole, due vocali contigue che la normale sillabazione comprende in un unica sillaba grammaticale; è spesso segnalata con due puntini sopra la prima delle due vocali interessate dal fenomeno. Così vid ïo già temer li fanti (Inf. XXI, v. 94) 1

Fenomeni fonetici In linea generale, la dieresi è considerata illecita nei seguenti casi: - con i dittonghi ascendenti ie, uo qualora provengano dalle vocali latine e, o brevi (cuore da cor) o dal dittongo ae (siepe da saepe); - se la i è semiconsonante (jod) risalente a l latina (piano da planum), a rj latina (gennaio da Ianuarium), a j latina che produca in italiano la geminazione della consonante precedente (rabbia da rabiem); - se la u è semiconsonante (uau) risalente a u semiconsonante latina (uguale da aequalem), a u vocale latina (tacqui da tacui), a w germanica (guerra, guanto): - se la i è semplice segno diacritico (cielo, foglia, giusto ). elisione caduta della vocale finale di una parola seguita da parola che inizia per vocale (tant era tanto era); aferesi caduta della vocale iniziale di una parola (rancia arancia); sincope caduta di una vocale all interno di parola (spirto spirito); con la sincope viene evitata l ipermetria; apocope caduta della vocale o dell intera sillaba finale di una parola (ciel cielo; pie piede); è stata utilizzata nella lirica sette-ottocentesca per ottenere versi tronchi con il troncamento di parole piane; prostesi aggiunta di una vocale o di una sillaba a inizio di parola (istesso stesso); epentesi aggiunta di una vocale o di una sillaba all interno di parola (fantasimi fantasmi); è utilizzata per rendere sdrucciole parole piane; epitesi o paragòge, aggiunta di una vocale o di una sillaba in fine di parola tronca (fue fu). Nella metrica italiana il computo delle sillabe del verso s intende, per convenzione, eseguito sul verso piano, cioè terminante con parola piana (sillaba tonica + sillaba atona), in quanto in italiano le parole piane sono quantitativamente prevalenti (in francese l uscita normale delle parole è tronca e il computo delle sillabe si effettua sul verso tronco). Se piano, endecasillabo sarà un verso che misura undici sillabe con accento sulla decima sillaba; se l ultima parola del verso sarà sdrucciola (sillaba tonica + due sillabe atone), poiché l accento resta sulla decima sillaba, il verso endecasillabo avrà dodici sillabe (A egregie cose il forte animo accèdono Foscolo, Sepolcri v. 151). Se il verso terminerà con una parola tronca, l endecasillabo sarà di sole dieci sillabe (E come albero in nave si levò Inf. XXXI v. 145). Ciò che distingue i versi italiani non è il numero delle sillabe ma la posizione dell ultimo accento. Ogni verso è contraddistinto da un numero definito di posizioni; successiva all ultima caratterizzata dall accento ritmico può esserci un numero di sillabe variabile da zero a tre. Oltre all accento fisso, sempre collocato sulla penultima sillaba della variante piana di ciascun verso, i versi italiani presentano alcuni accenti interni, in numero variabile e generalmente mobili, cioè su sillabe non obbligatoriamente determinate. Da questi accenti scaturisce il ritmo caratteristico di ciascun verso. Per esigenze di ritmo e di rima si ha a volte: sistole spostamento del normale accento della parola all indietro; diastole spostamento del normale accento della parola in avanti. Gli accenti ritmici non coincidono necessariamente con tutti gli accenti grammaticali delle parole comprese nel verso, anche se corrispondono, nella maggior parte dei casi agli accenti sintagmatici. Per distinguerlo dall accento grammaticale, l accento metrico viene spesso definito ictus o arsi (in opposizione a tesi, termine utilizzato per i tempi deboli, non accentati del verso). In presenza di rime frante, l obbligo di accentare metricamente alcune sillabe può anche determinare una radicale alterazione nella disposizione regolare, cioè 2

grammaticale, degli accenti. L ictus può cadere, e spesso cade, su parole vuote come pronomi, aggettivi possessivi, articoli, congiunzioni o preposizioni. versi ad accentazione mobile versi che ammettono una maggiore mobilità e libertà degli accenti interni; (es. settenari ed endecasillabi) versi ad accentazione fissa versi che presentano un numero limitato di combinazioni e di varianti per gli accenti che danno origine a versi sostanzialmente differenti e reciprocamente incompatibili (es. ottonario giambico e trocaico, decasillabo anapestico o trocaico). Da ricordare che: 1. i versi italiani possono presentare due ictus consecutivi, cioè due sillabe consecutive fornite di accento ritmico; 2. tra un ictus e l altro, precedente o successivo, e prima dell ictus iniziale, possono trovarsi anche più di due posizioni atone, cioè prive di ictus. Caratteristica della poesia è la segmentazione ritmica, cioè la divisione del testo in porzioni dette versi la cui struttura è determinata da fattori ritmico-musicali e non logico-sintattici. In poesia non è obbligatorio che fine di verso coincida con fine di frase o di una sua parte. Il discorso metrico si organizza secondo leggi proprie, diverse da quelle che regolano il discorso logico, e periodo metrico e periodo logico possono non coincidere con il primo che può andare oltre il verso successivo. Tale artificio prende il nome di enjambement, raro nella poesia delle origini destinata al canto o alla recitazione e trasmessa oralmente, ma molto presente nella successiva poesia italiana soprattutto a partire dal XVI secolo. Si considera metricamente significativo l enjambement che separa due parti del discorso connesse sul piano logico (ad esempio sostantivo-aggettivo; soggetto-verbo; verbo-complemento oggetto). Non tutti gli enjambements hanno la stessa intensità. rejet lett. rigetto, è definita la porzione di periodo o di sintagma che, oltrepassando la misura del verso, viene a collocarsi all inizio del verso successivo; enjambement intestrofico si verifica quando la separazione riguarda elementi appartenenti a due periodi strofici distinti (ultimo verso di una strofe e primo della strofe successiva). La rima e le sue funzioni Si definisce rima dal latino rithmus quella figura di omoteleuto («similiter desinens», secondo la terminologia dei teorici medioevali) per cui due o più parole risultano foneticamente identiche dall ultima vocale tonica alla fine. Sono in rima: soggiorno-intorno pericolo-cunicolo città-pietà. Per sineddoche la parola rime è passata a indicare gli stessi componimenti poetici in lingua volgare (cfr. Petrarca). Per convenzione è ammessa fin dalla poesia delle origini la rima tra due varianti aperta e chiusa di una medesima vocale (béne balène) e quella tra la s sorda e sonora (cosa rosa), mentre è evitata la rima tra la z sorda e sonora (olezza carezza), pur se praticata a volte in Dante. Oltre alla rima semplice, la metrica italiana prevede l impiego di un gran numero di rime speciali : derivativa se collega due voci etimologicamente connesse (es. strugge: distrugge; la rima derivativa è per sua natura anche ricca); equivoca se concerne parole identiche foneticamente ma diverse grammaticalmente e/o semanticamente: ad esempio conte (sostantivo maschile): conte (participio passato arcaico: note, conosciute ). Se l'identità fonetica si ottiene giustapponendo elementi distinti graficamente e grammaticalmente (es. chiama: chi ama), la rima si dice equivoca contraffatta; facile rima resa agevole dalla facilità di esecuzione ( e quindi solitamente evitata, in quanto segno di trascuratezza formale): si identifica in genere con la rima desinenziale ( tra parole di uguale desinenza: udire:partire) e con la rima suffissale (tra parole dotate di uguale suffisso: lietamente: aspramente); franta o spezzata o composta se la terminazione in rima risulta distribuita in due o più parole distinte (es. in Dante: chiome: oh me!). grammaticale quando due o più coppie di rime sono grammaticalmente connesse; ad esempio le coppie sembra: rimembra e sembrava: rimembrava; 3

identica se le parole in rima sono uguali sia nel suono che nel significato; imperfetta se l'omoteleuto non è perfetto, ma esclude alcuni fonemi. Forme di rima imperfetta si possono considerare l'assonanza e la consonanza; ipèrmetra se una delle parole in rima presenta, dopo la terminazione in omoteleuto, una sillaba eccedente: esempio in Montale: gréto: sgrétola. Tale rima interessa per lo più una parola piana e una sdrucciola; la seconda, sopprimendone l'ultima sillaba, rimarrebbe perfettamente con la prima; parola rima quando all'identità delle terminazioni si sostituisce l'identità dell'intera parola, com'è prescritto in alcune forme metriche (in particolare nella sestina lirica); per l'occhio quando interessa parole che risultano in omoteleuto, appunto, per l'occhio, ma non per l'orecchio, a causa della diversa posizione dell'accento (partìre: màrtire): è detta anche rima semiatona; rara o cara o difficile ad esempio le dantesche rime aspre e chiocce di Inf. XXXII, 1 (es abbo:gabbo; Osterlicchi: Tambernicchi: cricchi, ecc.); ricca se interessa, oltre ai fonemi obbligatori (quelli cioè compresi tra l'ultimo accento e la fine della parola), anche uno o più fonemi precedenti l'ultimo accento (esempio in Dante partìro:martìro); spezzata per tmesi quando la parola in rima è in realtà la prima parte di una parola in tmesi, ossia spezzata tra la fine di un verso e l'inizio del successivo: cfr. Par. XXIV, vv. 16-18: così quelle carole differente-/mente danzando della sua ricchezza/mi facieno stimar, veloci e lente. L identità delle terminazioni finali può non essere assoluta ma si può avere: assonanza se c è identità dell ultima vocale tonica ma diversità parziale o totale dei fonemi successivi; consonanza quando sono diverse le ultime vocali toniche ma uguali i fonemi tassativamente per le consonanti successivi (sparviere-gire); rima imperfetta se l identità delle terminazioni è quasi assoluta (solitario-aria). Le rime si organizzano secondo strutture fisse e ricorrenti, le più frequenti delle quali sono: rima baciata: se i versi sono strutturati a coppie di rime uguali: AA BB CC ; rima alterna: schema ABAB; rima incatenata: schemi ABA BCB CDC...; ABbC CDdE EFfG e simili; rima rinterzata: quando a un endecasillabo segue un verso breve con la medesima rima Aa, Bb, Cc. Per il verso lungo, in generale l endecasillabo, viene utilizzata la maiuscola, per il verso breve la minuscola con in basso a destra della lettera un numero a indicarne la misura sillabica. monorimi versi, almeno tre, caratterizzati dalla medesima rima, detta rima continuata; rima interna quella che interessa due parole all interno del verso; rima al mezzo quella che si instaura tra una parola posta in fine di verso e una collocata alla fine del primo emistichio del verso successivo. Le funzioni della rima nella poesia occidentale romanza sono molteplici: funzione musicale o eufonica effetto sonoro prodotto dal ritorno delle medesime terminazioni; prevalente dal XVI secolo solo in alcuni generi; funzione strutturante la rima svolge un ruolo essenziale nel determinare l architettura di quasi tutti i metri italiani; funzione semantica rapporto tra parole appartenenti ad ambiti semantici diversi, con una sorta di tensione tra l affinità fonetica e la differenza di significato, soprattutto nella rima equivoca. I versi italiani vengono distinti in: versi imparisillabi versi con un numero dispari di sillabe metriche; versi parisillabi versi con un numero pari di sillabe metriche. 4

versi con ritmo ascendente in cui il primo accento cade dopo una o più sillabe atone iniziali; versi con ritmo discendente con la prima sillaba tonica seguita da una o più sillabe atone. in genere limitatamente ai soli versi imparisillabi: verso intero endecasillabo; verso rotto di misura inferiore all endecasillabo, in genere settenario o quinario. Nel fare riferimento al ritmo di un verso si adotta l interpretazione qualitativa, ossia accentuativa, dei piedi stessi ma per questi ultimi ci si riferisce a quelli della tradizione antica (giambo, trocheo, dattilo, anapesto). Origine dell endecasillabo deriva direttamente dal decasillabo epico francese, verso caratterizzato in origine dalla cesura fissa dopo la quarta sillaba e dalla rigida divisione in due emistichi autonomi; il decasillabo epico francese fu sottoposto, nella lirica provenzale del XII secolo, a profonde trasformazioni (impiego di cesure in sedi variabili e abolizione dell autonomia degli emistichi) che lo avvicinarono all elasticità strutturale tipica dell endecasillabo italiano. verso ipometro di misura inferiore rispetto a quella che dovrebbe assumere; verso ipermetro di misura superiore rispetto a quella che dovrebbe assumere. L ipometria e l ipermetria sono valutabili solo in rapporto a un più ampio contesto metrico, con il conseguente crearsi di un fenomeno di anisosillabismo. Per le sillabe mancanti o eccedenti si parla di: anacrusi quando sillabe in più sono collocate a inizio di verso; catalessi a proposito di versi ipometri mancanti di una o più sillabe nella parte finale. Se l ultimo piede ha solo due delle tre sillabe si parla di catalessi in disyllabam, se uno di catalessi in syllabam. verso libero se il verso non è riconducibile in nessun modo a un verso di misura tradizionale. Versi imparisillabi (caratterizzati da un ampio margine di libertà nella disposizione degli accenti interni) endecasillabo è il verso più utilizzato nella tradizione poetica; pur avendo assunto nel corso dei secoli le più diverse conformazioni ritmiche, si presenta in genere in tre versioni fondamentali caratterizzate dalle seguenti strutture accentative: 1. accenti di 6 a e di 10 a Nel mezzo del cammin di nostra vita (Inf. I, v. 1) 2. accenti di 4 a, 8 a e 10 a Mi ritrovai per una selva oscura (Inf. I, v. 2) 3. accenti di 4 a, di 7 a e di 10 a Rota descende, ma non me n accorgo (Inf. XVII, v. 116); per il suo ritmo peculiare viene detto endesillabo dattilico altre combinazioni possibili sono: 1. accenti di 2 a, di 7 a e di 10 a 2. accenti di 2 a, di 4 a, di 7 a e di 10 a 3. accenti di 2 a, di 6 a, di 7 a e di 10 a È detto a maiore se, cadendo il primo ictus principale sulla sesta sillaba, il verso presenta come primo emistichio un settenario (accenti di 6 a e di 10 a ); a minore se il suo primo emistichio è un quinario, ossia se il primo ictus principale cade sulla quarta sillaba (con accenti di 4 a, 8 a e 10 a e con accenti di 5

4 a, 7 a e 10 a ). Quando si hanno due forti ictus di 4 a e di 6 a, non è possibile stabilire se l endecasillabo è a maiore o a minore; si parla di endecasillabo ancipite. La cesura, ossia la pausa metrica tra due emistichi del verso, è individuabile soltanto nei regolari endecasillabi a minore e a maiore, oltre a quelli con accenti di 6 a 7 a, in cui si può compiere con facilità la divisione in quinari e settenari. settenario può avere, prima dell ultimo accento che cade sulla sesta sillaba, uno o due accenti interni la cui posizione è molto libera; Chi la chiamò con fede (Petrarca, RVF CCCLXVI) quinario può avere, oltre all accento sulla quarta sillaba, un accento interno o sulla prima o sulla seconda sillaba; mentre ne calici/ il vin scintilla (Carducci, A Satana, vv. 5-6) trisillabo il più breve tra i versi italiani canonici; novenario è l unico tra i versi imparisillabi a poter essere compreso tra i versi ad accenti fissi; presenta tre varianti principali con schema accentuativo rigido: 1. novenario dattilico, o novenario propriamente detto, con accenti di 2 a, 5 a e 8 a Il giorno fu pieno di lampi (Pascoli, La mia sera, v. 1) 2. novenario giambico con accenti di 4 a e 8 a Allor dirò la donna mia (Dante, Per una ghirlandetta, v. 13) 3. novenario trocaico, o anapestico, con accenti di 3 a, 5 a e 8 a Sono apparse in mezzo ai viburni (Pascoli, Il gelsomino notturno, v. 3) Versi parisillabi (caratterizzati da accenti fissi, con poche varianti dalla struttura ritmica rigida e perciò considerati, a partire da Dante, inadatti alla più alta poesia lirica) decasillabo ne sono attestate due varianti: 1. decasillabo anapestico (più frequente) con accenti di 3 a, 6 a e 9 a Soffermati sull arida sponda (Marzo 1821, v. 1) 2. decasillabo trocaico con accenti principali di 3 a, 7 a e 9 a nella poesia delle origini ottonario ne sono attestate due varianti: 1. ottonario trocaico (canonico) con accenti di 1 a, 3 a, 5 a e 7 a Questo monte gira intorno (Poliziano, Orfeo, v. 321) 2. ottonario dattilico con accenti principali di 1 a, 4 a e 7 a Voci dal borgo alle croci (Pascoli, L or di notte, v. 13) senario molto meno usato, ha due accenti fissi di 2 a e 5 a Sul chiuso quaderno (Zanella, Sopra una conchiglia fossile nel mio studio, v. 1) quadrisillabo molto meno usato, ha generalmente un solo accento principale di 3 a più uno secondario su una delle due sillabe precedenti Su le carte (Carducci, RN Alla rima, v. 2) Caratteri particolari hanno i versi doppi che, pur se attestati fin dal XIII secolo, occupano un posto di secondaria importanza nella tradizione poetica. Si tratta di versi costituiti da due emistichi di identica misura, tra i quali non è ammessa la sinalefe. I due emistichi come nei versi latini detti asinàrteti sono metricamente indipendenti e separati da una cesura fissa e obbligatoria. Il primo emistichio può essere anche tronco o sdrucciolo, senza che ciò pregiudichi la struttura ritmica del verso. I più importanti sono il doppio quinario (Grazie, arridetemi, riso soltanto Foscolo, Il piacere, v. 1) e il doppio settenario (Le donne ti disiano pulzell e maritate Cielo d Alcamo, Contrasto, v. 2, detto anche alessandrino o martelliano); molto meno usati sono il doppio senario o dodecasillabo (Dagli atri muscosi, dai fòri cadenti Manzoni, Adelchi, coro I, v. 1), il doppio ottonario (Quando cadono le foglie, quando emigrano gli augelli Carducci, GE La sacra di Enrico V, v. 1) e il 6

doppio novenario (Si schiude alla breve romanza di mille promesse la vita - Gozzano, VR L amica di nonna Speranza, v. 46). metro nell accezione ristretta, schema metrico di un componimento; in questo senso il sonetto, la canzone e l ottava sono altrettanti metri, cioè corrispondono a strutture formali precise ed esattamente definite all interno della nostra tradizione poetica. metri strofici prevedono l organizzazione del componimento in periodi metrici rigidamente strutturati, detti appunto strofe (il singolare può essere strofa o, alla greca, strofe); di norma le strofe si ripetono più volte, identiche nella struttura, anche se non mancano forme monostrofiche. A determinare la struttura della strofa è la disposizione dei versi e, insieme con essa, quella delle rime; a eccezione dei metri barbari, non esistono nella metrica italiana metri strofici che non siano rimati. Tra le forme strofiche, dette anche per la loro rigorosa strutturazione forme chiuse, si annoverano il sonetto, la canzone, la sestina, la terza rima, l ottava, il madrigale e la ballata antichi. Con termini grecizzanti, si parla di strofe tetrastiche o tetrastici, di strofe pentastiche, di esastiche, di eptastiche a seconda del numero di versi che compongono la strofe. Distico e tristico o terzetto (da non confondere con terzina che designa una precisa forma metrica) si definiscono, rispettivamente, periodi metrici costituiti da due e da tre versi. metri astrofici presentano una struttura elastica e libera e non prevedono una disposizione fissa di versi e di rime né segmenti metrici rigidi e uguali. Rientrano tra le forme astrofiche, dette anche aperte per la loro libera conformazione, l endecasillabo sciolto, la sequenza di endecasillabi e settenari tipica della favola pastorale, la ballata e il madrigale cinquecenteschi, la canzone libera leopardiana e il verso libero. lassa metro astrofico in cui i versi o sono monorimi (lassa rimata) o sono collegati dalla medesima assonanza (lassa assonanzata); derivata dalla poesia epica francese medievale, tale forma caratterizza certi testi della poesia italiana delle origini ed è stata recuperata da Carducci, Pascoli e D Annunzio. Si definiscono lasse gruppi variamente estesi di versi della stessa misura. prosimetri testi misti di parte in prosa e di parti in poesia (Vita Nuova e Convivio di Dante); polimetri componimenti in cui si alternano metri vari e diversi (Egloga I del Sannazaro). forme isometriche o omometriche tutte quelle forme nelle quali compare uno e un solo tipo di verso, come la terzina, la sestina, l ottava, il sonetto nella sua variante più comune, in generale tutti metri di soli endecasillabi; forme anisometriche o eterometriche forme in cui sono impiegati versi di varia misura, come avviene nella canzone, nella ballata e nel madrigale, che possono tuttavia essere anche isometriche. I fenomeni metrici, così come quelli stilistici, retorici e fonetici, sono in qualche misura dei veri e propri significanti, cioè sono essi stessi portatori di significato non meno importanti ai fini della piena comprensione del testo, di quelli affidati agli strumenti del discorso logico. Spesso il dato metrico si presenta semanticamente neutro, cioè il suo significato non si configura come del tutto autonomo e autosufficiente ma dipende strettamente dal significato logico del passo o dell intero componimento. Ai fenomeni metrici è demandata talora l espressione e la rappresentazione formale di significati precisi, incaricati di affiancare, integrare, correggere o contraddire quelli trasmessi dal contenuto della poesia. La rima instaura tra le parole rapporti fonici e strutturali che si rivelano talvolta anche produttori di senso. Il verso e l enjambement sono da considerarsi significanti metrici adatti a sottolineare le più diverse sfumature di significato. Anche la carica semantica dei metri è in molti casi evidente e viene sottolineata dagli stessi poeti (come terzina dantesca con le sue implicazioni numerologiche e trinitarie). Da F. Bausi M. Martelli, La metrica italiana. Teoria e storia, casa editrice Le Lettere, Firenze 1993 7