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Mondo La strada della globalizzazione Con fusioni e acquisizioni i Paesi emergenti cambiano il volto della finanza mondiale Non ci sono solo i Bric. Oltre a BRASILE, INDIA e CINA che mostrano performance che cancellano la crisi, alla ribalta internazionale si affacciano nuovi Paesi, dal MESSICO alla TURCHIA passando per VIETNAM e INDONESIA. Per conquistare avamposti commerciali e marchi di prestigio. Mentre l AFRICA si delinea come prossima frontiera dello sviluppo di Ugo Bertone Le nuove economie alla dell conquista Occidente 16 OUTLOOK OUTLOOK 17

Jim O Neill, chief economist di Goldman Sachs, è l inventore dell acronimo «Bric» (Brasile, Russia, India, Cina) che riunisce i principali Paesi emergenti: sua l intuizione quasi dieci anni fa che il futuro dell economia avrebbe viaggiato in quella direzione Vietnam (sopra) e Turchia (pagina a fianco) sono alcune tra le realtà economiche mondiali maggiormente in crescita Proviamo a mettere le lancette dell'orologio indietro di dieci anni, alla vigilia dell'anno Duemila. Ve la ricordate l'ansia per il Millennium Bug, ovvero il rischio che i computer potessero andare in tilt perché non era stato previsto il salto nel nuovo secolo? Viene quasi da sorridere a ripensare a quell'allarme virtuale di un'epoca che, due lustri dopo, ci appare davvero remota. «All'inizio del nuovo millennio», ricorda Niall Ferguson, brillante storico dell'economia docente ad Harvard, «il New York Stock Exchange era al centro di un vasto network economico americano sia nello spirito che, in larga misura, nella proprietà». Solo i più incontentabili sottolineavano i potenziali talloni d'achille del potere Usa: la fragilità delle dot.com, vetrina della new economy, e la crescita esponenziale dell'indebitamento delle famiglie cui, però, faceva da contraltare l'ottima congiuntura della finanza pubblica americana. Soprattutto, sembrava che il capitalismo avesse trovato una sorta di formula magica: il denaro a buon mercato, negli States, consentiva alle famiglie di sostenere sia i mutui per gli investimenti nell'immobiliare sia un alto livello di consumi di merci sempre più convenienti, grazie alle fabbriche cinesi e ai servizi in outsourcing, gestiti dalle software house indiane. Questo quadretto, si sa, è andato velocemente in crisi. Meno di venti mesi dopo il San Silvestro del 2000 in Times Square, i cieli di New York sono stati squarciati dall'attentato alle Torri Gemelle. In quel momento, a Londra Jim O'Neill, chief economist di Goldman Sachs (una delle più grandi e affermate banche d'affari del mondo), era collegato in audio-conferenza con i suoi collaboratori a- mericani, riuniti in un ufficio delle Twin Towers. «All'improvviso», ricorda, «ci fu un vuoto nelle comunicazioni. Intanto, dalla tv apprendevamo in presa diretta che cosa stava capitando ai nostri colleghi in America». Secondo il suo racconto, fu in quel momento che O'Neill, inglese, figlio di un postino, tifoso del Manchester United (di cui è stato direttore finanziario prima dell'arrivo della famiglia Glazer), ebbe l'intuizione del decennio: il futuro sarebbe appartenuto ai Paesi emergenti, anzi ai Bric (Brasile, Russia, India e Cina). «L'11 settembre», continua, «mi ha fatto capire che, per quanto la globalizzazione dell'economia fosse ormai un fenomeno irreversibile, non avrebbe potuto funzionare come una semplice "americanizzazione" del mondo. La crescita del capitalismo poteva avere successo solo se avesse adottato usi e culture locali». Difficile trovare una profezia più centrata e redditizia nella storia dell'economia. Nel corso di questi anni sono nati centinaia di fondi di investimento, azionari e obbligazionari, concentrati su un cocktail di prodotti finanziari di Paesi all'apparenza totalmente dissimili sotto il profilo politico, economico e storico. Un patchwork a prima vista privo di senso, ma che ha addirittura portato a un vertice politico tra i quattro nuovi «grandi». Eppure, ironia della storia, Jim O'Neill fino a quel momento aveva % crescita globale 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Economie a confronto 2001-2010 2011-2020 Cina Russia India Brasile BRIC G3 (Usa, Giappone, Europa) Fonte: Gs Global Ecs Research mila miliardi di $ 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Il contributo alla crescita economica G7 BRIC N-11 Altri Paesi industrializzati Fonte: Gs Global Ecs Research 2000 2010 2020 Altri Paesi emergenti dalla sua un solo viaggio nei Paesi Bric, un weekend a Shanghai. Alla fine del 2010, il mondo sembra cambiato dalle fondamenta. La Cina è ormai la seconda economia del pianeta,hasorpassatoprimalagermania(nel2007)e poi il Giappone, a metà di quest'anno. La crescita dell'india si aggira sull'8 per cento abbondante, poco al di sopra di quella brasiliana. La stessa Russia, che in assenza di riforme continua a dipendere quasi esclusivamente dall'andamento di metalli e petrolio, può contare su un Prodotto interno lordo che cresce del 4 per cento annuo, ben oltre le performance Usa, nonostante gli stimoligovernativichecercanodidrogare l'economia. E ancora, tra Pechino e Shanghai hanno sede quattro delle dieci banche più ca- FUSIONI E ACQUISIZIONI (M&A) NEI PRIMI SEI MESI DEL 2010 L Occidente ha realizzato 758 acquisizioni (+9%) verso i Bric I Paesi emergenti hanno effettuato 253 operazioni nell area Ocse (+25%) Prime in classifica le multinazionali indiane con 50 fusioni e acquisizioni, seconde quelle cinesi (47) Finanza Il valzer delle valute Udaya Kumar è un giovane grafico indiano che, a meno di trent anni, si è guadagnato un posto di prima fila nella terra del miracolo economico. Infatti, ha vinto il concorso per la rappresentazione grafica della rupia indiana, moneta che presto potrebbe affiancare al pari del renmimbi cinese e del real brasiliano le grandi valute dell Occidente: una «R» maiuscola senza la riga verticale, ma con due tratti orizzontali che stanno a indicare l eguaglianza, valore caro alla democrazia di New Dehli. Un simbolo che vale la pena imparare a riconoscere al più presto, a giudicare dal tasso di espansione degli scambi in valute emergenti di questi anni. Nel 2007, per limitarci alla rupia, gli scambi internazionali in valuta indiana ammontavano all equivalente di 17 miliardi di dollari: a metà 2010 la cifra era salita a 36 miliardi, pari allo 0,9 per cento degli scambi internazionali. Ancora più impetuosa la crescita del rand sudafricano, cresciuto di tre volte. O del realbrasiliano,chedai5miliardididollaridel2007èschizzatofinoa quota 27 miliardi. La vera sfida, però, si gioca sul renmimbi cinese, passato da 9 a 31 miliardi di dollari in tre anni. Una performance di rilievo, ma inadeguata a rappresentare la forza della seconda economia del pianeta che, per giunta, detiene nei suoi forzieri riserve per 2.425 miliardi di dollari, per due terzi investite nella valuta Usa, artificialmente sostenuta dai tesorieri di Pechino per favorire le esportazioni del made in China. 18 OUTLOOK OUTLOOK 19

Next Eleven (N-11) sono gli undici Paesi (Bangladesh, Egitto, Iran, Turchia, Indonesia, Messico, Corea del Sud, Nigeria, Pakistan, Vietnam e Filippine) che secondo Goldman Sachs, una delle più affermate banche d affari del mondo, hanno un tale potenziale da candidarsi a essere primi protagonisti dell economia del XXI secolo Edilizia e agricoltura sono i principali settori produttivi del Bangladesh (foto sopra) ma cresce anche il manifatturiero pitalizzate del pianeta; il gruppo manifatturiero con più dipendenti nel Regno Unito è Tata, il colosso automobilistico di Mumbai che controlla Rover, Jaguar e le acciaierie Corus. Intanto, nelle acque dell'atlantico che fronteggiano Santos, la brasiliana Petrobras sta avviando la più straordinaria sfida negli oceani: 224 miliardi di dollari di investimenti per trasformare il Brasile in una delle maggiori potenze petrolifere, grazie alle piattaforme che per- foreranno la roccia sette chilometri sotto il livello delle acque. Per questo ci vorrà, prima della fine dell'anno, un aumento di capitale di 25 miliardi di dollari. Più di quanto Gm spera di raccogliere a Wall Street (16 miliardi) e in linea con l'ipo di 22 miliardi diagricultural Bank, la banca rurale della Cina che conta 360 milioni di clienti nelle campagne del Paese asiatico. Gli esempi concreti possono continuare all'infinito. E le statistiche contribuiscono a chiarire ulteriormente la situazione: forse la più eloquente proviene dallo studio di Kpmg, una delle principali società di business advisory, sull'attività di merger and acquisition (M&A) nella prima metà del 2010. Da questa analisi si scopre che le società attive nei Paesi emergenti hanno effettuato in questi sei mesi 243 operazioni di acquisto nell'area Ocse, il 25 per cento in più dell'anno precedente. In testa alla classifica, a sorpresa, sono le multinazionali indiane (50 operazioni) seguite dalla Cina (47). È la conferma che gli «emerging market» sono ormai protagonisti attivi della sfida economica a 360 gradi, impegnati a conquistare avamposti commerciali, tecnologie, veri e propri hub produttivi e, più ancora, marchi di prestigio in giro per il pianeta. Dopo la fase delle imitazioni (anzi, diciamolo, della contraffazione nuda e cruda) si passa a quella dello shopping o delle alleanze. Anche se un confine preciso tra le varie strategie spesso non esiste, come ben sanno i tedeschi, i primi a battere con metodo e grande profitto le strade del made in China, senza però abbassare la guardia. Aconferma, basti il lungo reportage del settimanale tedesco «Der Spiegel» in cui si lancia l'allarme all'industria dell'auto: i cinesi, grazie all'ingresso nei board locali delle aziende a maggioranza tedesca, hanno carpito i segreti dell'industria dell'energia solare teutonica di cui sono ora i primi concorrenti. Guai se La novità Il salto di qualità delle acquisizioni Dallo scorso settembre i 12.000 Burger King sparsi in tutto il mondo battono bandiera brasiliana: il controllo della concorrente di Mc Donald's, infatti, è passato a una società di private equity, Capital 3 G, controllata da imprenditori brasiliani. Gli stessi che nel 2006 avevano conquistato, grazie a Inbev (la più grande società belga produttrice di birra), il controllo di Anheuser Busch, multinazionale statunitense, creando il primo gruppo mondiale di bevande alcoliche e analcoliche. Sempre nel settembre scorso i giornali di tutto il mondo davano notizia dell'assenso del governo di Pechino a Sinochem, colosso chimico, perché intervenisse per contrastare l Opa dell'anno, 40 miliardi di dollari offerti da Bhp Billiton, multinazionale mineraria anglo-australiana, per il controllo della canadese Potash, il primo produttore al mondo di potassa, materia prima essenziale per i fertilizzanti. Pechino non ha esitato a scendere in campo come «cavaliere bianco» a favore della preda, per evitare il rischio di dovere dipendere da un fornitore, Bhp, che potrebbe manovrare i prezzi. E quasi contemporaneamente, Mahindra, che contende a Tata il primato sul mercato automobilistico indiano, ha messo a segno l acquisto della coreana Ssangyong. Sono tre esempi di un trend che, complice il diverso tasso di crescita tra Paesi emergenti e area Ocse, ha preso velocità nel corso del 2010, anche se il panorama mondiale registra ancora la prevalenza della finanza dell Ovest che, nella prima parte del 2010, ha realizzato 758 acquisizioni (+9 per cento) verso i Bric. UMANA S.p.A. Aut.Min.Lav.Prot. n.1181-sg del 13/12/04 Direzione Generale e Sede Legale: Via Colombara, 113 - Marghera - VENEZIA - Tel. 041/2587311 - Fax 041/2587411 - info@umana.it 20 OUTLOOK

È in Africa la prossima frontiera dello sviluppo: certamente l Egitto e il Sudafrica, ma più ancora la Nigeria, che per possesso di materie prime e dimensione demografica ha le carte in regola per fare da traino all intero continente, superando prima del 2050 Italia e Corea del Sud nella classifica del Pil Nonostante l instabilità politica e sociale, la Nigeria (foto sopra) ha grandi potenzialità di crescita grazie soprattutto alla disponibilità di materie prime la cosa si ripetesse con Volkswagen. O, perché no, con l'ingresso dei cinesi in un azienda come Alfa Romeo. Ma l'aggressività dell'economia d'oriente non vale solo per il manufacturing o per la finanza; anche nel mondo del terziario e dei servizi, compresi quelli del tempo libero, il primato dell'occidente è a rischio. Così come il palazzo di vetro del Nasdaq in Times Square fu l'immagine simbolo del Duemila, con il capodanno all'insegna della finanza e della new economy, la cover del decennio che verrà potrebbe essere l'immenso complesso di Marina Bay Sands, le tre torri di 55 piani che dal 2011 ospiteranno il casinò di Singapore che, tra sale congressi, teatri, parchi acquatici e molto altro, dedicherà alle sale da gioco (più di 600 tavoli e 1.500 slot machine) solo il 3 per cento della sua estensione, oltre un ettaro di superficie e una lunghezza superiore all'altezza della torre Eiffel. Secondo le previsioni dei tecnocrati della città-stato, che nel corso del 2010 ha registrato una crescita dell'industria manifatturiera nell'ordine del 29 per cento, dovrebbe ripagarsi in soli cinque anni grazie a un giro d'affari di un miliardo di dollari ogni dodici mesi. Ma il valore simbolico di Marina Bay sta nelle «barriere invisibili» ma efficaci che la nomenclatura confuciana dell'isola ha già alzato per impedire che gli abitanti di Singapore frequentino le sale da gioco. Insomma, lo Stato non abdica alla sua funzione di guida morale, per il bene dei cittadini: il boom asiatico, almeno per ora, intende fare a meno della democrazia occidentale. Come ha sempre voluto Lee Kuan Yew, classe 1923, il capostipite della dinastia che governa attraverso i fondi sovrani l'economia del Paese. Sono i princìpi del padre della patria, primo ministro dal 1959 al 1990 e poi nominato ministro mentore. Lo stesso che nel '66, quando l'isola tropicale era poco più di una base logistica per le truppe americane sulla strada del Vietnam e per quelle inglesi che fronteggiavano la guerriglia comunista a nord (Malesia) e a sud (Indonesia), spiegò all'allora segretario della Difesa degli Stati Uniti Robert McNamara che «i rossi si combattono con la cazzuola del muratore, non con i mitra». Oppure chissà. Come è già successo dieci anni fa, la storia giocherà, magari in tempi brevi, un brutto scherzo a chi cerca di prevederne gli sviluppi. Guai a limitarsi a proiettare nel futuro gli enormi progressi conseguiti nel recente passato dai Bric o dagli N-11, i Paesi che, dal Messico alla Turchia passando per il Sudafrica, il Vietnam o l'indonesia, già si propongono come i candidati a prendere il posto dei Bric. Per almeno due ragioni. Intanto perché 2010 RITORNA OTTOBRE ROSA Cultura, economia, sport, spettacolo: insieme per la prevenzione del tumore al seno LA FORZA DEI BRIC L economia di India e Brasile è cresciuta nel 2010 dell 8% circa e la Russia, pur con l assillo dei problemi interni, ha visto crescere il suo Pil del 4% La Cina è ormai la seconda economia mondiale e tra Pechino e Shanghai hanno sede 4 delle 10 banche più capitalizzate del pianeta. Tata, il colosso automobilistico indiano con sede a Mumbai, è il gruppo manifatturiero con più dipendenti nel Regno Unito www.ausl.mo.it 22 OUTLOOK Campagna di sensibilizzazione con la collaborazione di cce.com

COSTRUIRE CON PASSIONE DAL 1933 Realizzazioni, ristrutturazioni e costruzioni di rilievo per Modena e provincia: su questo l azienda ha costruito la sua storia, che è anche la storia della città. Serietà e professionalità hanno accompagnato la Mario Neri attraverso gli anni, permettendole di crescere e di trasformarsi in una società in grado di operare in più settori e su tutto il territorio nazionale. Mario Neri S.p.A. Viale Indipendenza 12/14-41100 Modena Tel +39 059 281.600 - Fax +39 059 281.862 www.marioneri.it Mondo questi Paesi dovranno confrontarsi con le turbolenze, politiche e sociali, che seguono lo sviluppo. Infatti, in Cina già cresce la protesta operaia, fattore di cui il congresso del Partito comunista nel 2012 dovrà tenere conto, mentre non meno pericolose sono le ten-sioni etniche che percorrono la democrazia indiana. Più ancora, non è facile prevedere che la crescita degli «emergenti» possa proseguire senza subire i contraccolpi negativi della crisi delle economie dell'occidente. Come osserva Nouriel Roubini, l'economista che ha anticipato la grande crisi, «queste economie non sono autosufficienti, ma legate alle economie avanzate da ampi rapporti finanziari e commerciali, perciò non possono sganciarsi completamente dai problemi di questi ultimi: una ripresa anemica degli Stati Uniti penalizzerà inevitabilmente i mercato emergenti più dinamici». In sintesi, le sorti dei Paesi emergenti e di quelli industrializzati si avviano a essere sempre più legate assieme. Anzi, a essere più integrate che concorrenti, a meno che le tentazioni protezionistiche non giochino un brutto scherzo allo sviluppo. Speriamo, al proposito, che funzioni ancora la profezia di O'Neill: la marcia della globalizzazione è troppo sicura per essere interrotta a metà strada. Ma va adattata alle culture locali, senza pretese di supremazia da parte di nessuno. Del resto, nel frattempo lo stesso O'Neill si è portato avanti: la prossima frontiera dello sviluppo, anzi la prossima occasione dei mercati finanziari, sta in Africa. In Egitto e nel Sudafrica, che pure vive la tentazione di una svolta autoritaria di fronte all'ondata di scioperi del dopo mondiali di calcio. Più ancora in Nigeria, enorme serbatoiodimaterieprime,conlecarteinregola, anche per le dimensioni della popolazione, per fare da traino al continente nero e superare, nella classifica del Pil, Italia e Corea del Sud prima del 2050. Prendiamo la notizia con l'atteggiamento zen dei nipponici: Tokyo ha subìto il sorpasso di Pechino ma i giapponesi, pure in crisi, godono di un reddito dieci volte superiore a quello dei cinesi, nel frattempo divenuti i migliori clienti del made in Japan. Magari fosse questa la sorte degli italiani del 2050.