L antica collaborazione tra scienziati e critici d arte e problemi di identificazione dei materiali Simona Rinaldi



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1 L antica collaborazione tra scienziati e critici d arte e problemi di identificazione dei materiali Simona Rinaldi È doveroso in primo luogo rivolgere un cordiale ringraziamento a Claudio D Amico, Paolo Matthiae e Claudio Zambianchi che hanno reso possibile la partecipazione a questa importante occasione di confronto su un tema di grande rilevanza scientifica e storica. Direi in primo luogo storica, non per denunciare subito un ambito di appartenenza o per differenziare dei saperi e delle conoscenze che a mio avviso è assolutamente necessario che si integrino e si confrontino, ma per affermare che anche la Scienza ha una sua Storia e per rimarcare il debito di riconoscenza che abbiamo contratto nei confronti degli illustri scienziati che sin dalla fine del Settecento hanno fornito in Italia il loro contributo al fianco di eruditi e conoscitori d arte. Come ci hanno insegnato gli studi sulla storia della diagnostica condotti pionieristicamente da Paolo Bensi al cui contributo si rimanda, l ausilio delle indagini scientifiche è in Italia testimoniato in date precocissime e persino precedenti alle ricerche pubblicate in Francia 1 ed in Inghilterra 2, come dimostrano le analisi condotte nel 1791 da Giuseppe Branchi, professore di chimica all Università di Pisa, e gli esperimenti effettuati a partire dal 1794 da Giovanni Fabbroni sulla pittura a encausto e poi sulla conservazione delle stampe antiche. Per il tema odierno il riferimento all encausto settecentesco risulta particolarmente pertinente, poiché è con tale tecnica che il famoso pittore boemo Anton Raphael Mengs si prese gioco degli studi eruditi dell epoca e del massimo studioso dell antico quale era Winckelmann, eseguendo un falso dipinto murale antico raffigurante Giove bacia Ganimede, oggi conservato alla Galleria Nazionale d Arte Moderna di Palazzo Barberini a Roma 3. Un altro encausto (ma dipinto su lastra di ardesia) per lunghissimo tempo ritenuto un pregevole esemplare di pittura antica è la Musa di Cortona, solo negli anni 50 del Novecento definitivamente riconosciuto come falso 4. La lunga durata di tali attribuzioni derivava anche dall esclusivo riferimento degli studi sulle tecniche antiche alle fonti scritte coeve, laddove le ricerche attuali - 1 J. A. C. Chaptal, Sur quelques couleurs trouvées à Pompeia, in «Ann. Phys. Chim.» 70, 1809, pp. 22-31 e La Chimie appliquee aux Arts, ed. it. La chimica applicata alle arti, Milano 1820. 2 H. Davy, Some Experiments and Observations on the Colours used in Painting by Ancients, in «Philosophical Transaction», CV, 1815, pp. 97-124. 3 Il Settecento a Roma, cat. mostra a c. di A. Lo Bianco A. Negro, Milano, Silvana, 2005, p. 241, n. 139: Il dipinto venne reso noto nell autunno 1760 dal cavaliere Diel de Marsilly che riferì di averlo rinvenuto in una grotta a lui solo nota nei pressi di Bolsena. Winckelmann, entusiasmatosi per la scoperta volle riprodurlo nella prima edizione della sua celeberrima Storia delle Arti del disegno presso gli antichi (1764) e pur eliminandone l immagine nella seconda edizione, non venne probabilmente mai a sapere la verità, confessata da Mengs alla sorella nel letto di morte. Il dipinto continuò a lungo ad essere ritenuto autentico - come testimonia persino Goethe nel suo Viaggio in Italia e nel 1811 passò nella collezione Albani, per poi essere messo all asta nel 1895 al Monte di Pietà di Roma come «copia anonima del XVI sec.», ed entrare presumibilmente nella Galleria Corsini dove venne recuperato e riconosciuto negli anni 50. 4 M. Cagiano de Azevedo, La Polimnia di Cortona e Marcello Venuti, in «Storia dell Arte», 38-40, 1980, pp. 389-92. Sul falso in ambito archeologico si rimanda per l estesa bibliografia a L. Vlad Borrelli, Restauro archeologico. Storia e materiali, Viella, Roma 2003, pp. 323-42.

2 ormai specialistiche nel settore dei materiali e delle tecniche - dimostrano con evidenza la necessità di unire allo studio delle fonti scritte l indagine sullo stratificarsi dei materiali nella struttura fisicochimica dell opera. Se fino a vent anni fa potevamo ritenere che la sola identificazione dei materiali caratterizzanti la tavolozza dell artista fosse sufficiente a fornire un contributo scientifico per accertare (insieme alle più consuete indagini storico-critiche) la paternità di un dipinto 5, oggi siamo consapevoli che questa impostazione risentiva di una eccessiva semplificazione, e ciò grazie proprio all accresciuta quantità di dati provenienti dalle indagini scientifiche condotte con sempre maggiore sistematicità. Appare dunque necessario fare un passo avanti sia da parte scientifica che dal lato delle ricognizioni storiografiche per fornire un apporto più articolato: dal versante scientifico le ricerche sono infatti progredite moltissimo nell ambito delle indagini non distruttive che riducono notevolmente la richiesta di campioni da analizzare chimicamente (e dunque da distruggere) e consentono al contempo una applicazione sistematica e ad ampio raggio, impraticabile mediante le indagini chimiche. Tuttavia è necessario sollecitare una maggiore attenzione all identificazione dei materiali organici (come è il caso di leganti, vernici, lacche, velature) che rappresentano ancora un enorme rebus e costituiscono però almeno la metà dei componenti delle opere d arte. Sul versante storiografico, specificamente tecnico, le ricerche si sono evolute dalla mera ricognizione sui singoli materiali (come veniva condotta già alla metà dell Ottocento da Eastlake e dalla Merrifield rintracciando le ricette dei colori in antichi trattati e manoscritti) in indagini sulla tecnica esecutiva, ovvero sulle modalità d impiego dei materiali, tenendo conto poi che dall antichità classica fino alla fine del XVIII secolo i pigmenti pittorici sono praticamente sempre gli stessi, mentre è solo a partire dall inizio dell Ottocento che vengono prodotti materiali sintetici assai ben identificabili chimicamente nella letteratura manualistica, ma nella pratica concreta degli artisti risultano in realtà assai poco indagati. È viceversa l indagine diretta sui manufatti a dover guidare la ricerca storica e scientifica piuttosto che la ricognizione nella letteratura coeva, considerando anche la finalità primaria di tali indagini, rivolte alla conservazione delle opere e non delle testimonianze manualistiche. Mantenendo sempre presente tale obiettivo, va poi ricordato che i manufatti oggi sottoposti a indagini scientifiche pervengono con una storia dei restauri che nel corso dei secoli ha contemplato sia la sovrapposizione che la sostituzione dei materiali originali con materiali di restauro. Un esempio significativo a questo proposito viene offerto dall identificazione dell ossido di cobalto nell azzurro del cielo della Loggia di Psiche di Raffaello nel corso del restauro condotto da 5 Cfr. G. Correale, Identificazione di un Caravaggio, Italsiel, Roma 1989.

3 Tito Venturini Papari negli anni 1930 6, e poiché il cobalto è un elemento chimico identificato da Brandt nel 1735, si ritenne che quel pigmento fosse equivalente al blu di cobalto messo in commercio da Thénard nel 1804 7, quando in realtà gli artisti impiegavano l ossido di cobalto per dipingere sin dall inizio del 400 (come testimonia la Cappella Brancacci eseguita da Masaccio e Masolino), servendosi del vetro blu macinato conosciuto con il nome di smaltino. La conseguenza drammatica fu che il colore venne rimosso poiché riconosciuto come moderno: La falsa colorazione è senza dubbio posteriore al tempo di Maratti, come è risultato dall esame chimico della materia adoperata. Il restauro è principalmente consistito nel togliere il colore cobalto, sovrapposto da un ignoto pittore dei primi dell Ottocento, al primitivo fondo celeste chiaro sul quale Raffaello aveva disegnato la sua immortale figurazione 8. Furono così abrasi violentemente tutti i campi azzurri, giungendo alla preparazione a smaltino dell affresco, lasciando talvolta addirittura «a vista in numerose zone lo scialbo bianco sottostante, quando non addirittura l intonaco pozzolanico» 9. Nei primi decenni del Novecento il confine tra restauro e falsificazione era assai sottile, se pensiamo che spesso i falsari più abili come Icilio Federico Joni erano impegnati anche come restauratori, e potevano così servirsi di supporti antichi sui quali condurre le proprie contraffazioni per renderle maggiormente convincenti. Esempi di falsi eseguiti su tavole antiche talmente deteriorate da essere irrecuperabili, vengono forniti da alcune realizzazioni di Umberto Giunti, titolare della cattedra di Ornato all Istituto di Belle Arti di Siena dal 1923, grazie proprio all intercessione di Icilio Federico Joni che per tre anni fu soprintendente dell Istituto. Di Giunti Joni apprezzava «le eminenti qualità artistiche, la versatilità del di lui ingegno nell esercizio delle arti belle» 10. Dopo una fase giovanile in cui eseguì prevalentemente pitture murali in stile genericamente quattrocentesco (assumendo la fisionomia del Falsario in calcinaccio secondo la definizione coniata da Zeri), Giunti divenne uno specialista nella realizzazione di falsi Botticelli, il più famoso dei quali fu la Madonna del velo oggi al Courtauld Institute Gallery di Londra, ma venduto come autentico nel 1930 al visconte Lee di Fareham dall avvocato milanese Luigi Albrighi 11. Alcune fotografie provenienti dall ex archivio di Giunti dimostrano come il pittore abbia tratto il modello dalla Vergine della Pala di S. Barnaba ingrandendo il particolare, e stampandolo invertito. 6 R. Varoli, Raffaello. La Loggia di Amore e Psiche alla Farnesina, Silvana, Milano 2002, pp. 176, 424, 431. 7 S. Rinaldi et alt., La fabbrica dei colori. Pigmenti e coloranti nella pittura e nella tintoria, Lithos, Roma 1986, p. 369. 8 «Annuario dell Accademia d Italia», 1929-30, vol. II, p. 440. 9 R. Varoli, op. cit., p. 177. 10 G. Mazzoni, Falsi d autore. Icilio Federico Joni e la cultura del falso tra Otto e Novecento, Protagon, Siena 2004, p. 183; G. Mazzoni, Quadri antichi del Novecento, Neri Pozza, Vicenza 2001, p. 164. Agli studi di Mazzoni si rimanda anche per tutta la bibliografia sui falsi in ambito storico-artistico, troppo estesa per essere qui citata. 11 C.Villers, La Madonna botticelliana del visconte Lee di Fareham, in G. Mazzoni, op. cit. 2004, pp. 47-58, in part. 47.

4 L impiego di un repertorio di modelli tratti da fotografie e più volte riutilizzati per l esecuzione di dipinti diversi, è ben testimoniato da due Madonne eseguite da Giunti che hanno in comune le figure principali della composizione: una Madonna con Bambino e un angelo in collezione privata fiorentina (cm 59 x 42; con cornice cm 112 x 77) e la Vergine con Bambino del Convento di S. Agnese a Montepulciano (cm 63 x 41,8). Le indagini non distruttive condotte sul primo dipinto hanno potuto accertare l impiego di: bianco di zinco, blu di cobalto, ocra gialla, oltremare artificiale e indaco 12. Ragionando solo in termini di tavolozza, i materiali risultano per metà antichi e per metà moderni, rendendo teoricamente plausibile anche l ipotesi che potesse trattarsi di un originale quattrocentesco fortemente ridipinto, considerando che negli anni 1920 Giunti «era sempre più frequentemente richiesto quale restauratore di vecchi dipinti, vale a dire il più delle volte quale vero e proprio ripristinatore di vecchie tavole assai più che consunte» 13. Confrontando i dati ricavati dalle indagini chimiche condotte su tre campioni prelevati dal secondo dipinto e messe cortesemente a disposizione da Elena Pinzauti che ne ha curato il restauro 14, apprendiamo che : - il cielo è dipinto con blu di cobalto e bianco di zinco su una preparazione a base di carbonato di calcio (presumibilmente creta bianca) e colla; - gli alberi e i cipressi sul cielo sono eseguiti con verde di cromo idrato; - il manto della Vergine in un punto particolarmente abraso risulta costituito da bianco di zinco, verde di cromo e lacca rossa - un prelievo accanto rivela tuttavia una stratigrafia complessa che comprende uno strato iniziale a base di gesso e colla con un residuo di lamina metallica in lega di rame, al di sopra dei quali si riscontra una stesura pittorica analoga a quella rinvenuta sul manto della Vergine. Appare evidente come Giunti abbia riutilizzato una tavola antica, in qualche zona ancora dotata della sua preparazione in gesso, mentre ha impiegato generalmente una creta bianca per la stesura degli strati preparatori. In realtà, la sicurezza che entrambi i dipinti siano falsi deriva da una più complessa indagine che richiede la comparazione tra le analisi scientifiche condotte anche su altri dipinti di Botticelli e la 12 A. Aldrovandi E. Buzzegoli A. Keller D. Kunzelman, Il falso d autore indagato con tecniche non invasive, in «OPD Restauro, 2005, n. 17, pp. 265-72. 13 G. Mazzoni, op. cit. 2004, p. 190. 14 Archivio del Laboratorio della Soprintendenza per il patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico per le province di Siena e Grosseto, alla quale vanno i più sentiti ringraziamenti, insieme alla gratitudine per la cordiale disponibilità manifestata dalla d.ssa Anna Maria Guiducci, direttrice della Pinacoteca Nazionale di Siena.

5 chiara differenziazione della tecnica esecutiva che in Giunti risulta simulata solo nell effetto visivo finale di superficie, non nella costruzione della struttura materiale del dipinto. I falsari infatti riproducono generalmente la tecnica esecutiva dei dipinti sulla base delle conoscenze tecniche note all epoca della loro realizzazione, e coerentemente con esse la pittura di Botticelli era universalmente ritenuta una tempera su tavola 15, tanto che Joni rammenta nelle sue Memorie alcuni suoi colleghi molto esperti nella pittura a tempera e «molto addentro nella tecnica degli antichi maestri» 16, così come descritta nel Libro dell Arte di Cennino Cennini, principale fonte trattatistica redatta alla fine del Trecento. I risultati delle indagini condotte su una serie cospicua di dipinti di Botticelli, dimostrano viceversa come la tecnica esecutiva dell artista fosse assai più complessa, e derivante da una stratificazione di materiali che solo in modo molto approssimativo possiamo definire come tempera su tavola 17. Infatti a partire dagli strati preparatori, si individuano generalmente due stesure sovrapposte, la prima porosa e di maggior spessore, ricoperta da una seconda stesura analogamente costituita da gesso e colla, ma di granulometria più sottile e di minor spessore, ma soprattutto contenente una piccola percentuale di sostanze grasse (presumibilmente oli) per ottenere una preparazione poco assorbente che facilita la stendibilità degli impasti pittorici e favorisce la formazione di una pellicola pittorica brillante, dalla superficie smaltata. Su tale preparazione Botticelli esegue il disegno a pennello, che all analisi infrarosso risulta differenziato a seconda dell effetto finale da ottenere con gli strati pittorici. Così nei volti maschili dai lineamenti marcati, il disegno è realizzato con tratti precisi e accurati accompagnati da una acquerellatura monocroma che nella fase pittorica contribuisce a costruire il modellato mediante ombreggiature più o meno marcate. Nel caso degli incarnati femminili o nei panneggi che dovevano rimanere maggiormente luminosi, il disegno è limitato al solo contorno, abolendo l acquerellatura, «per evitare qualsiasi diminuzione nella luminosità» 18 dei colori. La stesura degli strati pittorici è analogamente differenziata, ma soprattutto appare caratterizzata da imprimiture cromatiche localizzate (e variamente colorate in bianco, grigio, giallo) su cui vengono sistematicamente applicate velature trasparenti, ottenibili unicamente con l impiego di un 15 La tempera a uovo su tavola fornisce una pellicola pittorica generalmente opaca e compatta priva di spessore, essendo applicata su una preparazione di gesso e colla fortemente assorbente. Con tale tecnica non è possibile ottenere velature, poiché la vischiosità dell uovo fornisce agli impasti pittorici una estrema compattezza che copre le stesure sottostanti cui viene applicata. Per tali ragioni, le pennellate a tempera sono generalmente giustapposte e quando gli artisti volevano simulare effetti di trasparenza, diradavano i tratti per far emergere lo strato sottostante. 16 G. Mazzoni, op. cit. 2004, p. 74. 17 M. Ciatti, L Incoronazione della Vergine di Botticelli, Edifir, Firenze 1992. 18 Ibidem, p. 89.

6 legante altrettanto trasparente quale non può essere fornito dalla tempera a uovo, bensì dalla miscelazione dei pigmenti con un olio siccativo, come quello di lino o di noce. Si riscontra in sostanza una tecnica esecutiva dove la preparazione a base di gesso e colla vede una minima percentuale di olio; le successive imprimiture e i primi strati pittorici sono stesi a tempera d uovo e le velature di superficie sono eseguite a olio. La tavolozza non risulta di per se stessa particolarmente ricca di pigmenti, che sono sostanzialmente scelti tra i materiali maggiormente noti e impiegati da tutti gli artisti del Quattrocento, come è il caso di azzurrite, oltremare, verderame, malachite, lacca carminio e di garanza, cinabro, giallo di piombo e stagno, biacca. Ciò che viceversa caratterizza la pittura di Botticelli è una «grande varietà di gradazioni tonali che questo artista riesce ad ottenere ( ) dal colore iniziale della superficie su cui egli dipinge», a partire quindi dalle imprimiture differenziate cromaticamente, «la cui colorazione ( ) è in stretta relazione con il risultato finale» 19. L effetto finale di un dipinto botticelliano assume dunque una consistenza compatta e lucida come uno smalto, che Giunti riesce a imitare anche piuttosto bene, ma soltanto in superficie, non riproducendo in realtà quella particolare stratificazione di pigmenti applicati a corpo con legante a uovo, che costituiscono la base cromatica coprente per la successiva lavorazione a velature trasparenti. In conclusione, solo mediante l adozione di una metodologia in grado di integrare realmente le competenze scientifiche e storiografiche possiamo fornire un valido contributo di conoscenza sul versante tecnico-operativo delle opere d arte che, non dobbiamo dimenticarlo, rappresenta solo uno dei molteplici aspetti da indagare per giungere ad una attestazione di autenticità. SR <Paolo Bensi> 19 Ibidem, p. 99.