DOCUMENTO SULLE CURE PALLIATIVE E SULL'EUTANASIA Consulta di Bioetica Onlus



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DOCUMENTO SULLE CURE PALLIATIVE E SULL'EUTANASIA Consulta di Bioetica Onlus Documento approvato dal Consiglio direttivo del 15/5/00 La tradizione assegna alla medicina due compiti fondamentali: quello di sanare, cioè di guarire dalle malattie e di promuovere la salute, e quello di sedare dolorem, di ricercare cioè il sollievo del dolore e della sofferenza, compiti che un tempo erano per lo più ben compatibili fra loro, mentre oggi entrano non raramente in conflitto. Una delle cause, anzi probabilmente la prima, delle gravi difficoltà cui vanno oggi incontro i malati nelle fasi terminali della loro vita, è proprio lo straordinario sviluppo della medicina scientifica, orientata com è in modo del tutto prevalente alla malattia e alla sua cura, cioè al compito di sanare. In modo assolutamente schematico si può dire che il paradigma della medicina scientifica è basato sulla considerazione della malattia come processo biologico dotato di una propria autonoma realtà, in certo modo "indipendente" dal soggetto ammalato; essa si sforza di comprenderne la causa e i "meccanismi" in modo da porvi rimedio. Questo modo di pensare assume implicitamente che la malattia e la normalità siano definibili senza far ricorso a giudizi di valore e indipendentemente dal vissuto del malato. A questo approccio che si può ben definire riduzionistico siamo debitori degli enormi progressi compiuti dalla medicina moderna. Ben si comprende però come la considerazione prevalente o addirittura esclusiva data alla malattia possa far passare in secondo piano le esigenze e i bisogni del malato e come in alcune situazioni il tentativo di guarire, lungi dall arrecare vantaggio, possa divenire fonte di ulteriore, evitabile sofferenza. In particolare ciò vale nel caso dei soggetti affetti da malattie evolutive irreversibili con prognosi infausta il cui decorso non è più controllabile dalla terapia (i cosiddetti malati terminali). Per far fronte a questi "effetti secondari" della medicina scientifica si sono sviluppati, negli ultimi trent anni, alcuni grandi movimenti di pratica e di cultura improntati a diversi paradigmi. All interno del campo medico, anche se almeno inizialmente in ambienti estranei alla medicina accademica, è nato il movimento delle cure palliative. Secondo una delle definizioni più recenti (quella proposta nel 1999 dalla Commissione italiana ad hoc istituita dal Ministero della Sanità italiano), "le cure palliative sono la cura attiva, globale e multidisciplinare dei pazienti la cui malattia non risponde più ai trattamenti specifici e di cui la morte è diretta conseguenza. Il controllo del dolore, di altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e spirituali è di fondamentale importanza. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni aspetti delle cure palliative sono applicabili anche più precocemente nel decorso della malattia ". E importante sottolineare alcuni aspetti di questa definizione e in particolare il carattere attivo, globale e multidisciplinare delle cure. Parlare di attività significa che queste cure non si limitano ad astenersi da provvedimenti orientati alla guarigione, ma che affrontano decisamente tutti i disagi del paziente cercando un sollievo ad essi. Parlare di globalità significa che non vengono presi in considerazione solo i bisogni strettamente sanitari, ma anche quelli psicologici, sociali e spirituali, inevitabilmente grandi e profondi

nell imminenza della morte. Sottolineare la multidisciplinarità significa che sono coinvolti nelle cure palliative non solo diversi medici specialisti, ma soprattutto diverse figure professionali (medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali e spirituali..). E bene sottolineare anche un assoluta novità delle cure palliative: la scelta di perseguire la migliore qualità di vita come obiettivo prevalente od esclusivo implica, come è ovvio, il riconoscimento del ruolo centrale del malato nelle cure. Infatti il giudizio sulla qualità della vita non può in alcun modo essere dato "dall esterno", ma non può che fondarsi su quanto il malato sente e comunica. Ora questa centralità del malato e della sua soggettività è un fatto del tutto nuovo in medicina e comporta una ridefinizione dei ruoli tradizionali del medico e dell infermiere. Uno degli assunti espliciti del movimento delle cure palliative è che esse sono in grado di sollevare ogni tipo di dolore e di alleviare grandemente le sofferenze fisiche del malato, rendendo perciò superfluo il ricorso che peraltro il movimento esplicitamente condanna sul piano morale a misure controverse quali l eutanasia e il suicidio assistito. L assunto in realtà è duplice: da un lato si sostiene che le cure palliative sono in grado di alleviare qualsiasi dolore e sofferenza e pertanto vanificano, cioè rendono superflua, qualsiasi domanda di eutanasia da parte del malato, dall altro si condanna per ragioni morali qualsiasi violazione della "sacralità della vita umana". Non c è dubbio che questi assunti e in particolare il secondo sono in rapporto con il fatto che le cure palliative si sono sviluppate sotto un impulso benefico-caritatevole e in un ambiente culturale fervidamente cristiano. In realtà è oggi un dato empiricamente accertato che, come del resto era facile prevedere, vi sono situazioni di terminalità in cui le cure palliative non sono in grado di raggiungere il proprio obiettivo se non ricorrendo alla sedazione terminale, in pratica alla deliberata, e per forza di cose definitiva, soppressione della coscienza del malato. Accanto a questi dati incontrovertibili ve ne sono altri, sempre di ordine empirico, provenienti dai paesi come l Olanda e lo stato americano dell Oregon in cui l eutanasia e il suicidio assistito sono legalizzati o depenalizzati, che dimostrano come la domanda di eutanasia e di assistenza al suicidio emerge anche fra i malati che beneficiano di adeguati programmi di cure palliative. L esperienza dell Oregon mostra inoltre che la motivazione di fondo di molte richieste di suicidio assistito non è la sofferenza fisica, ma il disagio derivante dalla dipendenza degli altri e il desiderio del malato di mantenere fino all ultimo il controllo sul proprio stato. Come già detto, il movimento delle cure palliative è nato all interno del campo medico, sia pure inizialmente al di fuori della medicina accademica che ora sta lentamente (e faticosamente) cominciando ad integrarlo nel suo seno. Va detto che le cure palliative condividono l assunto, proprio della medicina scientifica, secondo cui nessun trattamento "classico" o palliativo è da ritenersi valido se non sottoposto a verifica empirica, cioè l accettazione del principio della cosiddetta evidence-based medicine. In netto contrasto con la medicina ufficiale è nato invece l altro grande e confuso movimento delle medicine cosiddette alternative o complementari, che sono accomunate per lo più dall approccio olistico al malato in questo non diversamente dalle cure palliative ma si basano su paradigmi non scientificamente verificabili. In questa sede non analizzeremo oltre questo movimento, la cui importanza ci sembra soprattutto quella di manifestare un disagio profondo della società nei riguardi del modello medico "ufficiale".

Contemporaneamente però, stavolta all esterno del campo medico, è sorto negli ultimi tre decenni un movimento di tutt altra natura, il movimento di rivendicazione dell autonomia del malato. Alla sua base non sta nulla di meno che lo sviluppo della democrazia liberale, con la sua tipica affermazione del diritto dell individuo a disporre di sé con il solo limite del danno ad altri. Questo diritto oggi non viene rivendicato, come in passato, unicamente nella sfera politica, ma anche nel campo delle decisioni più intime e personali come quelle riguardanti la salute. In che modo si manifesta questo movimento "autonomistico"? Nell ambito della riflessione filosofica, esso sta alla base dello sviluppo, a partire dall inizio degli anni 70, della nuova disciplina della bioetica. Chiaramente essa non può essere interamente ricondotta unicamente a questo movimento, ma non c è dubbio che esso ne è stato e ne è tuttora parte fondamentale. In parallelo il movimento ha guadagnato l ambito giuridico, attraverso il sempre più diffuso riconoscimento del diritto al rifiuto dei trattamenti proposti dal medico. In considerazione, poi, del fatto che in molte malattie in fase terminale l individuo può perdere la sua autonomia e perciò non essere più in grado di partecipare al processo decisionale, negli ultimi tre decenni il movimento ha ottenuto la messa a punto di speciali strumenti giuridici (le direttive anticipate) che consentono al (futuro) malato di dare disposizioni, generalmente di segno negativo, quanto ai trattamenti da applicare nelle fasi terminali. Questi sviluppi non hanno ancora avuto traduzione legislativa nel nostro paese, malgrado la proposta della Carta di Autodeterminazione (Biocard) della nostra Associazione. Il rifiuto dei trattamenti e la formulazione di direttive anticipate non esauriscono però la gamma di proposte del movimento per l autonomia del malato. Le rivendicazioni più forti e anche più problematiche avanzate dal movimento sono la legalizzazione o la depenalizzazione dell eutanasia volontaria e quella dell assistenza al suicidio. In effetti, se il principio di rispetto per l autonomia viene preso sul serio, vale a dire se si riconosce a questo principio una priorità rispetto agli altri, non vi sono ragioni di principio che si possano opporre a queste richieste, ma semmai solo ragioni di prudenza. Una volta analizzate, ovviamente in modo assai schematico, le "forze in campo", ci chiediamo se e come sia possibile far convergere questi grandi movimenti culturali in ordine all obiettivo di fondo che vogliamo raggiungere, quella della buona morte per tutti i cittadini. Con questo termine non vogliamo certo negare il carattere tragico di molte morti premature e improvvise, per le quali la medicina può poco o nulla e che sono uno dei tratti fondamentali inerenti alla condizione umana. Pensiamo invece al grande numero di morti che avvengono in seguito a malattie croniche, che richiedono un tempo spesso molto lungo e che giustificano il ricorso a terapie protratte e onerose, in grado di contrastare e di rallentare, ma non di risolvere la malattia di fondo. Queste morti sono per così dire "annunciate" molto tempo prima che avvengano ed espongono la persona a sofferenze fisiche e psicologiche. Per queste situazioni la medicina e la società debbono esplicitamente porsi l obiettivo non solo di contrastare il processo morboso, ma di far sì che al termine di esso il malato vada in contro alla morte più serena possibile. Purtroppo il perseguimento di questo obiettivo è reso difficile, tra l altro, dalle forti resistenze che si oppongono ad ogni franca, pubblica discussione sulla morte nella nostra società. Le resistenze riguardano sia il corpo sociale, che per ragioni psicologiche e culturali è restio ad affrontare questo tema, sia l impostazione stessa della medicina

scientifica, scarsamente memore della finitezza che contraddistingue la condizione umana. Nella pratica, non solo si tende ad evitare ogni serio discorso sulla morte sui mezzi di comunicazione (salvo abusarne nei casi clamorosi o comunque di interesse giornalistico), ma gli stessi operatori sanitari sono fortemente a disagio quando la morte dei loro malati si approssima. A loro parziale discolpa, va detto che essi non hanno avuto nel loro curriculum formativo alcun insegnamento riguardante la morte, il processo del morire, le dinamiche psicologiche del morente e dei suoi cari. Una delle condizioni per assicurare a tutti i cittadini una buona morte sarà la lotta contro queste resistenze, anche attraverso l introduzione, nella formazione di tutto il personale sanitario, di specifici insegnamenti delle scienze umane (psicologia, sociologia, antropologia ecc.) che affrontano il problema della morte. In base a quanto detto finora è evidente che lo sviluppo delle cure palliative in tutto il territorio nazionale è la prima condizione per raggiungere l obiettivo della buona morte, ma al tempo stesso che è esso è condizione certamente necessaria ma non sufficiente per raggiungere questo obiettivo.altre condizioni sono a nostro parere indispensabili per raggiungere l obiettivo: a. è necessario che fin d ora gli operatori sanitari imparino non solo a rispettare, ma a promuovere l autonomia decisionale del malato b. deve diffondersi un nuovo tipo di rapporto fra operatori sanitari e pazienti che sia tendenzialmente paritario e di cui sia parte integrante l informazione prudente ma completa e veritiera sulla situazione clinica c. deve essere riconosciuto il valore morale e giuridico delle volontà espresse in anticipo dalla persona, di regola per iscritto, nell eventualità che, nelle fasi avanzate di malattia, la persona stessa non sia più in grado di partecipare alle decisioni. Si tratta delle cosiddette direttive anticipate che già in altri paesi sono state legalmente riconosciute e che il recente Codice deontologico dell Ordine dei medici contempla esplicitamente, anche se in modo generico d. è necessario che i curanti usino una prudenza particolare nell indicazione alle misure di sostegno vitale nelle situazioni terminali. Dette misure non vanno intraprese, beninteso in fase terminale, se non per decisione informata del paziente stesso e, ove manchi la possibilità di questa decisione, dopo un attenta considerazione della qualità di vita che si prevede che ne risulti e. è necessario riconoscere il principio, sul quale concordano quasi tutti gli studiosi di bioetica, che nel contesto di cui parliamo non esiste differenza moralmente significativa fra interrompere e non avviare le misure di sostegno vitale f. è necessario infine che da parte delle autorità sanitarie sia prestata un attenta considerazione alla distribuzione delle risorse per i malati terminali fra le cure intese a controllare la malattia, tipicamente di alto costo e limitata efficacia, e le cure palliative, che hanno costi ridotti ed alta efficacia sulla qualità di vita Abbiamo volutamente lasciato per ultime le due proposte più controverse, l eutanasia volontaria e l assistenza al suicidio, sulle quali esiste un acceso dibattito nazionale e internazionale. Va sottolineato che per il momento dette pratiche sono esplicitamente vietate dalla legge italiana e va ribadito che il movimento internazionale per le cure palliative è fortemente avverso ad esse, non accettando che si possa offrire ai pazienti neppure in futuro queste possibilità nel contesto delle cure palliative. Noi riteniamo invece che la supposta inconciliabilità fra cure palliative ed eutanasia e/o suicidio assistito non abbia alcun fondamento empirico, come dimostrano i primi dati

relativi allo Stato dell Oregon, e che il fondamento morale di questa inconciliabilità non sia riferibile alla filosofia delle cure palliative in quanto tali, ma piuttosto al clima culturale entro il quale esse sono nate. Crediamo anzi che l integrazione fra i due approcci palliativo e autonomistico sia possibile e desiderabile. Questa integrazione introduce anzi, nelle cure palliative, l elemento di scelta da parte del malato che originariamente non ne faceva parte (tanto da far temere ad alcuni la possibilità di un "accanimento palliativo"), mentre arricchisce il movimento autonomistico di quella componente affettiva e di supporto di cui almeno nella sua descrizione schematica esso è privo. Al tempo stesso l integrazione garantisce che un eventuale scelta del malato a favore dell eutanasia non avvenga "per disperazione", cioè per sfuggire a sofferenze facilmente alleviabili attraverso un adeguata palliazione. A nostro parere è tempo che anche nel nostro paese si comincino a discutere le modalità di una modifica del codice penale, e in particolare degli articoli riguardanti l omicidio del consenziente e l aiuto al suicidio, al fine di permettere, in condizioni rigorosamente definite e con tutte le opportune garanzie, ivi compresa l obiezione di coscienza dei medici interpellati, l assistenza medica al suicidio e l eutanasia volontaria.