LA DIAGNOSI DI MALATTIA CELIACA



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LA DIAGNOSI DI MALATTIA CELIACA U. VOLTA INTRODUZIONE Negli ultimi decenni i brillanti risultati raggiunti dalle ricerche sulla malattia celiaca hanno portato a radicali cambiamenti nella storia naturale di questa malattia. La celiachia è andata incontro a una vera e propria metamorfosi, balzando al centro dell attenzione del mondo scientifico e dei media per il continuo incremento delle diagnosi, che non sono più limitate alla prima infanzia, ma vengono effettuate sempre più spesso anche in età adulta e perfino geriatrica. Nonostante questi innegabili progressi, si può affermare con assoluta certezza che lo sviluppo della conoscenza in questo campo della medicina è in continua evoluzione grazie a sempre nuove acquisizioni nell ambito dei fattori ambientali, biochimici, immunologici, genetici, diagnostici e terapeutici. La malattia celiaca è un enteropatia che necessita per manifestarsi di una predisposizione genetica ben definita (rappresentata dalla positività per gli antigeni di istocompatibilità DQ2 e/o DQ8), ha come principale organo bersaglio l intestino tenue, principalmente nel suo tratto prossimale, e può essere definita come un intolleranza alimentare permanente al glutine contenuto in certe componenti proteiche presenti in alcuni cereali (1). È generalmente accettato che le prolamine e le glutenine ad alto peso molecolare contenute nel frumento, segale, orzo, farro e kamut svolgano un azione tossica nei confronti della mucosa dell intestino tenue dei celiaci, mentre più incerto è il ruolo svolto dall avena, anch essa esclusa dalla dieta per celiaci nel nostro Paese (ma non nei Paesi nord-europei), soprattutto per la frequente contaminazione da parte di altre farine, ma anche per una sua potenziale tossicità in celiaci ipersensibili al glutine (2, 3). Un ruolo di primo piano nell azione tossica è certamente svolto dalle gliadine, le quali sono costituite da singole catene polipeptidiche, di peso molecolare compreso fra 30 e 90 kilodalton. Mediante elettroforesi su gel di amido le gliadine possono essere separate in quattro frazioni (α, β, γ e ω), dotate secondo questo ordine di tossicità decrescente. L isolamento dei cloni di DNA complementare per la gliadina ha permesso di sequenziare e determinare i 266 aminoacidi costituenti l A-gliadina, una sottofrazione tossica dell α-gliadina (4). Più recentemente sono stati identificati i peptidi che attraverso vari meccanismi svolgono un ruolo importante nel determinismo delle lesioni intestinali (5). La suscettibilità genetica all enteropatia da glutine è confermata dalla elevata familiarità della malattia, presente in percentuale variabile dal 4 al 10% nei familiari di I grado di celiaci, e dalla stretta associazione con gli antigeni del sistema di istocompatibilità (HLA), presenti nel braccio corto del cromosoma 6 (6). Oltre il 90% dei pazienti con celiachia sono HLA-DQ2 positivi o presentano positività per metà eterodimero (DQA1*0501, DQB1*0201), mentre quasi tutti i celiaci DQ2 negativi (circa il 10%) sono HLA-DQ8 positivi. Il test genetico non può peraltro essere considerato un test diagnostico di celiachia, dal momento che anche il 20-30% della popolazione generale sana è DQ2-DQ8 positiva (7). EPIDEMIOLOGIA L epidemiologia della malattia celiaca è stata completamente ridisegnata negli ultimi decenni. Nel passato la celiachia è stata a lungo considerata una patologia rarissima, praticamente limitata al nord-europa e ad esclusivo coinvolgimento dell età pediatrica. Grazie a studi di screening compiuti su campioni di popolazione generale oggi siamo in grado di affermare con assoluta certezza che la celiachia è una patologia molto frequente con una prevalenza di un caso ogni 100 individui e con una distribuzione praticamente ubiquitaria nel mondo, dall Europa all America, dall Oceania all Asia e all Africa (Tabella 1) (8-15). Nei profughi Saharawi, complici anche l elevato consumo di cous-cous, ricco di glutine, e una genetica favorevole (presenza dell HLA-DQ2 in più del 30% della popolazione), è stata documentata una prevalenza di celiachia pari al 5% (16). Le uniche parti del mondo in cui la celiachia sembra ancora una realtà sconosciuta sono la Cina, il Giappone, la Malesia, le Filippine e l Indonesia, aree ove notoriamente il consumo di cereali con glutine è molto scarso. Peraltro, anche in queste aree, a seguito del cambiamento delle abitudini alimentari legate alla globalizzazione, la celiachia ha incominciato a fare la sua comparsa con le prime diagnosi ed è probabile che nel giro di pochi anni anche questi territori scopriranno il fenomeno celiachia (17). Nonostante il notevole incremento diagnostico registrato negli ultimi tempi, la celiachia è ancora ampiamente sottodiagnosticata: per fare un esempio in Italia vi sono al momento circa 85.000 diagnosi a fronte delle 550.000 attese. Lo Stato italiano si è reso conto che la celia-

chia è un fenomeno di massa e ha posto rimedio all errore di includerla fra le malattie rare, decretando il suo passaggio fra le patologie croniche in base alla Legge quadro 123 del 2005. Una delle principali finalità di questa legge è quella di migliorare la formazione della classe medica in tema di celiachia e di incrementare il numero e la precocità delle diagnosi al fine di prevenire le complicanze collegate al mancato riconoscimento o al riscontro tardivo dell intolleranza al glutine. PATOGENESI Il trigger scatenante la comparsa della celiachia, come già sottolineato, è il glutine, che peraltro non è in grado di innescare la celiachia senza la già menzionata predisposizione genetica, la quale pertanto ricopre un ruolo di primo piano nel determinismo della malattia (18). Alcuni fattori ambientali possono svolgere un ruolo importante nello scatenamento della celiachia, a cominciare dalle infezioni virali (fra cui quella da rotavirus di recentissima identificazione come possibile causa di celiachia), batteriche e parassitarie (19, 20). Spesso una sindrome celiaca si manifesta ad esempio solo dopo che il paziente ha contratto una infezione intestinale batterica o parassitaria a seguito di un viaggio all estero. Ma la malattia celiaca può esplodere in tutte le sue più classiche manifestazioni a seguito di uno stress particolarmente intenso o anche dopo una gravidanza trascorsa in modo del tutto regolare e con un parto eutocico. Ma quali sono i meccanismi attraverso i quali si instaura il danno della mucosa intestinale? La svolta per comprendere i meccanismi fisiopatologici della celiachia si è avuta nel 1997 grazie a un interessante studio italo-tedesco che ha consentito di identificare nella transglutaminasi tissutale (ttg), un enzima citoplasmatico ubiquitario dell organismo umano, il principale autoantigene che ricopre un ruolo di primo piano nella risposta immunologica di tipo adattativo (21). La ttg è presente non solo nell intestino tenue, ma anche in numerosi altri organi e apparati, quali cute, tiroide, pancreas, fegato, articolazioni, sistema nervoso e sistema riproduttivo (22). Ciò fa sì che il processo immunologico, una volta innescato, possa propagarsi al di fuori dell intestino tenue, facendo assumere alla celiachia le sembianze di una malattia sistemica. Due infatti sono i meccanismi immunologici attraverso i quali si realizza il danno intestinale tipico della celiachia: la risposta innata o nativa (ttg-indipendente) e la risposta adattativa (ttg-dipendente) (23, 24). La risposta innata si basa su una tossicità diretta della gliadina, e in particolare del peptide 31-43, in grado di stimolare la sintesi di IL-15 (una citochina che svolge un ruolo centrale nell attivazione T cellulare), di indurre l espressione di molecole di stress sugli enterociti e di attivare i linfociti intraepiteliali nella mucosa intestinale. L insieme di queste reazioni porta alla morte diretta dell enterocita ed è considerato uno dei meccanismi determinanti l atrofia dei villi. L azione diretta del peptide di gliadina sugli enterociti può anche aumentare la permeabilità intestinale attraverso il rilascio della zonulina con conseguente disassemblamento delle tight junctions (giunzioni serrate) (25). L altra via responsabile del danno di mucosa è quella dell immunità adattativa che attraverso l azione del peptide 33-mer porta all attivazione T-linfocitaria mediata dalla ttg. Il peptide, resistente alla degradazione da parte dei succhi gastrici e pancreatici, e delle proteasi del brush border, dopo aver superato la barriera intestinale per via paracellulare grazie al disassemblamento delle giunzioni serrate, favorito dall over-expression di zonulina, subisce il processo di deamidazione da parte della ttg (con trasformazione di una molecola di glutammina in acido glutammico) e viene presentato dai macrofagi ai linfociti T CD4+ con conseguente sintesi di citochine in grado di portare avanti il danno intestinale. Parallelamente si ha la stimolazione dei linfociti B con conseguente sintesi anticorpale. Le principali citochine coinvolte nel determinismo della lesione intestinale sono l IL-15 che svolge un ruolo chiave nel generare il danno epiteliale e nel guidare la proliferazione delle cripte, nonché nel modulare l infiltrazione linfocitaria intraepiteliale, ma anche TNF-alfa, IFN-gamma e IL-2 hanno un effetto citotossico diretto sulle cellule epiteliali, inoltre IL-6 differenzia i B linfociti così favorendo la sintesi anticorpale. Una citochina che ha invece un ruolo regolatorio per la mucosa intestinale è l IL-10 che attraverso la stimolazione dei linfociti T regolatori (T-reg) controlla la risposta immune alla flora batterica non patogena e agli antigeni dietetici. PRESENTAZIONE CLINICA La celiachia colpisce più frequentemente il sesso femminile con un rapporto femmine/maschi di 2:1 (26). Come già sottolineato, può esordire a qualsiasi età della vita, dalla prima infanzia all età geriatrica, con due picchi di insorgenza: poco dopo lo svezzamento con glutine entro i primi 2 anni di età e verso la seconda-terza decade di vita. La pre-

sentazione clinica della malattia celiaca può essere ingannevole, dal momento che i sintomi variano notevolmente da paziente a paziente e ciò fa sì che la diagnosi rappresenti spesso una vera e propria sfida per l internista e il gastroenterologo. La sintomatologia con cui la malattia celiaca può presentarsi è così variabile che tale condizione morbosa è stata paragonata per queste sue caratteristiche sia a un camaleonte che a un grande imitatore (27, 28). In base comunque alla presentazione clinica vengono distinte varie forme di celiachia (Tabella 2). Nella forma classica è presente la tipica sindrome da malassorbimento con diarrea, perdita di peso e marcata astenia. Sebbene questo esordio sia sempre meno frequente ai nostri giorni (presente in meno del 30% dei casi) grazie a una diagnosi sempre più precoce, alcuni pazienti possono ancora giungere alla nostra osservazione con una cachessia devastante, atrofia muscolare, severa ipoalbuminemia e turbe elettrolitiche e metaboliche, fra le quali rimane tipica la severa ipocalcemia con crisi tetaniche (29). Nella forma atipica le manifestazioni gastrointestinali, se presenti, si caratterizzano per una marcata stipsi, presente in un terzo circa dei celiaci all esordio, o per un alvo alterno (compatibile con una condizione di colon irritabile) o per turbe dispeptiche con nausea e talvolta vomito, o spesso possono lasciare il posto a manifestazioni extraintestinali, di cui la più frequente espressione sono una anemia microcitica sideropenica per mancato assorbimento di ferro (riscontrabile fino al 40% dei casi) o più raramente una anemia macrocitica per carenza di acido folico e più raramente di vitamina B12, una sindrome emorragica da mancato assorbimento di vitamina K, alterazioni del metabolismo osseo (presenti in circa il 70% dei pazienti alla diagnosi) sotto forma di osteopenia o più raramente di osteoporosi per malassorbimento di calcio e vitamina D, iposomia (particolarmente importante nelle forme pediatriche), alterazioni dello smalto dentale, stomatite aftosa (presente nel 25% dei celiaci a dieta libera), rialzo delle transaminasi (ritrovate nel 40-50% dei celiaci non trattati ed espressione della cosiddetta epatite celiaca legata in gran parte all arrivo di antigeni alimentari e batterici al fegato per l alterato assorbimento intestinale), ansia e depressione. Nel quadro clinico di presentazione possono essere incluse anche le alterazioni della sfera riproduttiva, caratterizzate da menarca tardivo, amenorrea, aborti ricorrenti, parti prematuri, menopausa precoce, alterazioni del numero e della motilità degli spermatozoi (tutte alterazioni reversibili con dieta aglutinata) (Tabella 3) (30-40). La malattia celiaca può associarsi a diverse patologie autoimmuni e idiopatiche, fra cui la dermatite erpetiforme (definita anche la celiachia della cute per la presenza di un costante interessamento della mucosa intestinale), il diabete mellito autoimmune, la tiroidite di Hashimoto, il deficit selettivo di IgA, l alopecia areata, il morbo di Addison, le malattie del connettivo (in particolar modo la sindrome di Sjögren), le malattie cromosomiche (sindrome di Down, sindrome di Turner, sindrome di Williams), le malattie neurologiche (neuropatia periferica, epilessia con o senza calcificazioni occipitali, atassia cerebellare), la patologia autoimmune epatica (cirrosi biliare primitiva, epatite autoimmune, colangite sclerosante primitiva) e la cardiomiopatia dilatativa idiopatica (Tabella 4) (41-57). Circa il 15% dei celiaci presenta allergie IgE-mediate verso inalanti o allergeni alimentari, ma tale dato non si discosta dalla prevalenza di manifestazioni allergiche nella popolazione generale. Peraltro, nella celiachia è stata riportata un aumentata prevalenza di allergia alle graminacee (58). Controversa rimane l associazione fra celiachia e malattie infiammatorie croniche intestinali, anche se dati recenti indicano un rischio significativo (10 volte maggiore rispetto alla popolazione di controllo) di sviluppare il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa per i celiaci (59). L importanza di diagnosticare una celiachia associata a queste patologie associate è duplice, dal momento che la dieta aglutinata è in grado non solo di risolvere le manifestazioni e prevenire le complicanze della celiachia, ma anche talvolta di migliorare i sintomi della patologia concomitante. La forma silente o asintomatica comprende pazienti che non presentano alcun sintomo o condizione associata alla celiachia. Esempio classico di questa forma sono i casi identificati in seguito a screening anticorpale nei familiari di celiaci e nell ambito degli screening su popolazione generale (60, 61). La forma potenziale è una condizione di sempre più frequente osservazione in cui il paziente viene identificato prima che si realizzi l atrofia della mucosa intestinale, con una lesione istologica di tipo infiltrativo (semplice aumento dei linfociti intraepiteliali), ma risulta essere positivo per i marcatori anticorpali di celiachia (62). Peraltro, non sempre i pazienti con forma potenziale sono asintomatici, ma spesso presentano una sintomatologia rilevante, come ad esempio atassia cerebellare e sindrome dell aborto ricorrente, che è suscettibile di risoluzione con la dieta se instaurata precocemente. Nella storia naturale della forma potenziale, lasciata spesso a dieta libera soprattutto se asintomatica, è spesso possibile osservare nel tempo la comparsa di una chiara atrofia dei villi intestinali, con un quadro di lesione intestinale tipica per celiachia, generalmente associata allo sviluppo di sintomi più o meno evidenti. Questi casi vengono classificati sotto la definizione di forma latente (63).

DIAGNOSI I due punti cardine per la diagnosi di celiachia sono l esame istologico della biopsia duodenale, che rimane il gold standard diagnostico, e gli anticorpi sierici, che negli anni hanno acquisito una rilevanza sempre maggiore. Nonostante i grandissimi progressi compiuti dalla sierologia nessun test anticorpale al momento presenta una sensibilità e una specificità del 100% per la celiachia e ciò fa sì che la biopsia intestinale rimanga indispensabile per un corretto inquadramneto diagnostico dell enteropatia da glutine. Altri due elementi utili, anche se non indispensabili ai fini della diagnosi, sono gli esami bioumorali di routine ed i test di permeabilità intestinale, i quali possono far nascere il primo sospetto di malattia celiaca. Esami bioumorali L importanza degli esami ematochimici di routine è invece limitata, ma proprio perché si tratta di test di prima istanza e di facile esecuzione possono essere il primo indizio per sospettare l esistenza di questa patologia (Tabella 5) (64). Bassi livelli sierici di emoglobina, albumina, calcio, potassio, magnesio e fosforo sono di più frequente riscontro nei celiaci con malassorbimento franco rispetto a quelli con malattia subclinica. Una iposideremia più o meno marcata con elevati valori di transferrina insatura e ipoferritinemia può essere un altra spia per pensare a una possibile celiachia; alla stessa stregua possono essere considerati una bassa folatemia e valori sierici ridotti di vitamina B12. L anemia è, in genere, da carenza di ferro, con bassi valori di sideremia e ferritinemia. Meno frequentemente l anemia del paziente celiaco è macrocitica per malassorbimento di folati nel digiuno superiore, mentre i livelli sierici di vitamina B 12 sono raramente ridotti (fatta eccezione per le forme associate a gastrite atrofica su base autoimmune con positività per anticorpi anti-fattore intrinseco e anticorpi anti-cellule parietali gastriche). Anche se non si tratta di reperti frequenti, è possibile osservare la presenza di leucopenia e piastrinopenia, possibile espressione di presenza di anticorpi anti-leucociti e anti-piastrine nell ambito di patologia autoimmune associata alla celiachia (65). L ipocolesterolemia, anche se di riscontro sempre più raro visto il calo dei quadri clinici con severo malassorbimento, può associarsi a ipotrigliceridemia se le lesioni intestinali sono severe ed estese fino al digiuno distale (66). Nei pazienti con deficit di assorbimento di vitamina K si ritrovano bassi valori di tempo di protrombina. Elevati livelli di fosfatasi alcalina (isoenzima osseo) possono essere trovati nei celiaci con osteopenia severa. Un rialzo delle transaminasi di origine sconosciuta (così classificata dopo avere escluso un eziologia virale, autoimmune, tossica) è una possibile spia di celiachia. Significativa a tal proposito è la normalizzazione degli enzimi epatici dopo la dieta aglutinata (67). In una discreta percentuale di celiaci adulti sono presenti, nello striscio periferico, alterazioni della membrana dei globuli rossi (pitted cells e corpi di Howell-Jolly), espressione di disfunzione o atrofia splenica (68). Un altra possibile spia dell iposplenismo, osservato esclusivamente nelle forme di celiachia diagnosticate in età adulta, è il riscontro di una marcata piastrinosi e di assenza della milza (o di una milza di piccole dimensioni) all ecografia addominale. Il riscontro di una condizione di iposplenismo deve sempre far ipotizzare una diagnosi di celiachia, così come è stato ampiamente documentato che l iposplenismo nei soggetti celiaci predispone alla comparsa di patologia autoimmune e di complicanze quali la malattia celiaca refrattaria, la digiunoileite ulcerativa e il linfoma (69). Fra i test di laboratorio che esplorano la funzionalità intestinale possiamo citare oramai più che altro per ragioni storiche che per una sua reale utilità il test dello xilosio, ancora eseguito in molti laboratori mediante la determinazione della xilosemia dopo sommnistrazione di xilosio per os (70). Bassi valori di xilosemia possono svelare la presenza di una malattia celiaca, essendo espressione del mancato assorbimento dello xilosio a livello intestinale. La sensibilità di questo test per la malattia celiaca oscilla fra il 60 e il 90% a seconda delle varie casistiche, ma la specificità rimane comunque bassa (intorno al 70%) con falsi positivi soprattutto in pazienti con ritardato svuotamento gastrico, morbo di Crohn, contaminazione batterica del tenue e in presenza di concomitante trattamento con farmaci che interferiscono con l assorbimento dello xilosio (acido acetilsalicilico, neomicina, penicillina, indometacina). Altro test il cui interesse rimane più che altro di natura storica è quello che si basa sulla determinazione della diaminossidasi sierica (DAO), enzima presente nei villi intestinali dei mammiferi (64). A seguito della infusione di eparina ev, in individui sani si osserva un significativo rialzo della DAO, mentre nei soggetti con danno severo della mucosa intestinale, tali valori rimangono bassi. Pur essendo dotato di una elevata sensibilità (85-90%), il test mostra una bassissima specificità risultando alterato in tutte le condizioni di riduzione della massa enterocitaria (morbo di Crohn, malattia di Whipple, linfoma intestinale, resezione del tenue). La determinazione quantitativa dei grassi fecali dopo raccolta delle feci per 3 giorni è essenzialmente espressione di steatorrea e ha perso gran parte della sua validità per la diagnosi di celiachia, in quanto non

consente di identificare il sempre più ampio gruppo di celiaci che non presentano malassorbimento e steatorrea, poiché portatori di lesioni localizzate al duodeno e al tratto prossimale del digiuno. Anche l impiego dei breath test con trioleina e acido palmitico marcati con 13 C si è dimostrato di scarsissima utilità, perché non in grado di discriminare fra steatorrea da malassorbimento intestinale e insufficienza pancreatica esocrina (64). Test di permeabilità intestinale L integrità della mucosa intestinale può essere valutata in modo non invasivo con la misurazione del rapporto di escrezione urinaria di due sostanze-test somministrate per via orale, che differiscono fra loro per un diverso indice di permeabilità (71). Anche se per l esecuzione di questi test possono essere utilizzate varie sostanze, fra cui diversi polimeri di glicole polietilenico ed EDTA marcato con 51 Cr, il test più tilizzato è quello che impiega un disaccaride (lattulosio o cellobiosio) e un monosaccaride (mannitolo o L-ramnoso). I pazienti con danno diffuso della mucosa intestinale sono paradossalmente più permeabili alle molecole più grandi, come il lattulosoio o il cellobiosio, rispetto a quelle degli zuccheri più piccoli, come il mannitolo o L-ramnoso, comportandosi in maniera diametralmente opposta ai soggetti sani. Peraltro, accanto a una sensibilità per la celiachia del 90% circa, questi test mostrano una bassissima specificità, valutabile intorno a poco più del 50%, con risultati anormali anche nel morbo di Crohn, nelle infezioni intestinali, nell eczema atopico, nell allergia alimentare e in corso di terapia con FANS. La negatività dei test di permeabilità consente quindi di escludere con ragionevole certezza la diagnosi di malattia celiaca (valore predittivo negativo 95%), ma un test positivo non può certo indirizzarci con sicurezza verso la diagnosi di celiachia (valore predittivo positivo 33%). Test sierologici L impiego dei test sierologici ha segnato una svolta decisiva nella diagnostica della malattia celiaca, consentendo di identificare i cosiddetti gruppi di pazienti a rischio per questa condizione e di incrementare in maniera significativa il numero delle diagnosi in confronto al periodo pre-anticorpale. Il ruolo degli autoanticorpi correlati alla celiachia non è quello di sostituirsi alla biopsia intestinale, che rimane il gold standard diagnostico, ma piuttosto quello di identificare i soggetti con sospetta celiachia da confermare con l indagine istologica (72). I marker sierici correlati alla celiachia comprendono un ampio spettro di autoanticorpi, alcuni dei quali rappresentano oramai il passato della diagnostica sierologica, includendo test con poche indicazioni sul piano pratico fra cui gli anticorpi antireticolina R1 (R1-ARA) e gli anticorpi antigliadina (AGA), altri rappresentano il presente della diagnostica sierologica con test altamente predittivi e ampiamente validati fra cui gli anticorpi antiendomisio (EmA) e antitransglutaminasi tissutale (anti-ttg) e altri ancora rappresentano il futuro della diagnostica sierologica della celiachia con nuovi marcatori, quali gli anticorpi diretti verso i peptidi deamidati di gliadina (DGP-AGA), un test che ha già dato risultati molto promettenti, tanto da far presagire un suo prossimo impiego nella diagnostica di routine della celiachia (Tabella 6). Gli anticorpi correlati alla celiachia appartengono alla classe IgA e IgG, ma solamente gli anticorpi di classe IgA possono essere generalmente considerati marker altamente sensibili e specifici per l intolleranza al glutine. L impiego dei marker di classe IgG è spesso fuorviante a causa dell elevata percentuale di falsi postivi e il loro uso dovrebbe essere limitato ai pazienti con deficit di IgA, condizione strettamente associata alla celiachia, nell ambito della quale il riscontro di marcatori anticorpali di classe IgG è altamente suggestivo per malattia celiaca. Partiamo dall analisi di quei marker che oramai rappresentano il passato della diagnostica sierologica, cioè gli R1- ARA e gli AGA. Negli ultimi anni questi due test hanno perso gran parte del loro valore diagnostico, ma possono ancora essere utili in alcune circostanze e in alcuni sottogruppi di pazienti. Gli R 1 -ARA di classe IgA vengono ricercati in immunofluorescenza (IFL) indiretta utilizzando come substrato sezioni criostatiche di fegato, stomaco e rene di ratto; essi meritano soltanto un piccolo cenno dal momento che, pur mostrando una specificità del 100% per la celiachia, sono positivi soltanto nella metà circa dei pazienti celiaci non trattati (73). Ciò nonostante, proprio in virtù della loro specificità assoluta per la celiachia, il loro riscontro casuale durante la ricerca per autoanticorpi non organo-specifici (test di primo livello per le patologie autoimmuni) consente di identificare casi inaspettati di celiachia. Gli AGA di classe IgA vengono ricercati sia in IFL indiretta che in ELISA, mostrando una sensibilità per la celiachia del 73% insieme a una specificità dell 87% (74, 75). Falsi positivi vengono infatti ritrovati in pazienti con altre malattie gastrointestinali e in soggetti normali. La loro importanza per la diagnostica della celiachia è marcatamen-

te diminuita dopo l introduzione nell uso di routine di EmA e anti-ttg. Peraltro, dal momento che la risposta immunologica verso la gliadina precede quella verso l endomisio e la transglutaminasi, gli AGA sono ancora il test più utile per lo screening della celiachia nella prima infanzia (bambini di età <2 anni), come recentemente dimostrato da un gruppo di ricercatori scandinavi, che hanno osservato una sensibilità degli AGA IgA pari al 97% nei confronti di una sensibilità dell 83% per gli EmA e per gli anti-ttg Ig 4 nei celiaci diagnosticati entro i primi due anni di età (76). Il presente della sierologia per celiachia è rappresentato dagli EmA e dagli anti-ttg, due test altamente predittivi e ampiamente validati. Gli EmA IgA vengono ricercati in IFL indiretta su terzo inferiore di esofago di primate o su substrati di cordone ombelicale umano (77, 78). È generalmente accettato che gli EmA siano il test anticorpale con la più elevata accuratezza diagnostica per la celiachia. La loro sensibilità per la celiachia varia a seconda dei vari lavori pubblicati in letteratura sull argomento dal 94 al 100% con una specificità quasi sempre assoluta. Rarissimi falsi positivi sono stati descritti in parenti di primo grado di celiaci e in pazienti con diabete mellito autoimmune. La maggior parte dei ricercatori è concorde nel ritenere che sia più corretto classificare come celiaci potenziali piuttosto che come falsi positivi i rari casi EmA-positivi con mucosa intestinale normale (incluso anche il numero dei linfociti intraepiteliali). Il pattern degli EmA, caratterizzato dalla colorazione delle fibre endomisiali che circondano le fibre muscolari lisce sull esofago di scimmia o sul cordone ombelicale, può essere mascherato dalla concomitante positività per anticorpi anti-muscolo liscio (ASMA), richiedendo per la sua identificazione la ripetizione del test a una più alta diluizione sierica. Limiti diagnostici degli EmA sono l elevato numero di falsi negativi nei bambini al di sotto dei due anni di età e la elevata variabilità inter-observer dovuta all interpretazione del test con una bassa riproducibilità ed errori di lettura dell esame in molti laboratori. Gli EmA sono generalmente considerati il gold standard sierologico della celiachia nei laboratori di riferimento con una riproducibilità perfino più elevata rispetto agli anti-ttg, come dimostrato nello studio multicentrico coordinato da Martin Stern (79), mentre risultati deludenti per questo test vengono in genere dai laboratori periferici senza specifica esperienza per la lettura dei test in IFL. Nel 1997 la transglutaminasi tissutale (ttg), un enzima intracitoplasmatico a distribuzione ubiquitaria nell organismo umano, liberato in corso di apoptosi, è stata identificata mediante studi in immunoblotting come il predominante se non l unico antigene verso cui sono diretti gli anticorpi antiendomisio (21). Esperimenti di adsorbimento hanno confermato che gli anticorpi antiendomisio e antitransglutaminasi condividono lo stesso antigene bersaglio: infatti il pattern degli EmA scompariva dopo adsorbimento overnight con transglutaminasi tissutale di un siero EmA-positivo. La scoperta dell autoantigene della malattia celiaca ha consentito di mettere a punto vari kit commerciali ELISA per la determinazione degli anticorpi anti-ttg IgA, utilizzando come antigene la transglutaminasi tissutale ricombinante umana, che deve essere assolutamente preferita alla ttg da fegato di cavia per la sua più elevata specificità (80-82). La sensibilità degli anti-ttg di classe IgA è più elevata di quella degli EmA raggiungendo il valore medio del 97%, mentre la specificità è sicuramente inferiore (specificità media degli anti-ttg 91%). I falsi positivi per gli anti-ttg di solito presentano bassi valori di attività anticorpale (inferiori a 2 volte il cut-off). La riproducibilità degli anti-ttg è indubbiamente assai elevata in tutti i laboratori, non solo in quelli di riferimento, grazie alla assai semplice e ben standardizzata tecnica ELISA. In aggiunta alla metodica ELISA, è stato messo a punto un test radioimmunologico per la ricerca degli anti-ttg, ma, anche se tale metodo consente di ottenere ottimi risultati, il suo impiego deve essere scoraggiato perché disponibile solo in pochi laboratori di ricerca. Utilizzando la transglutaminasi tissutale umana ricombinante come antigene gli anti-ttg di classe IgA sono stati ritrovati nel 95% di oltre 2000 pazienti con celiachia con il riscontro di falsi positivi solo nel 6% di oltre 3800 controlli (83). Nella nostra esperienza gli anti-ttg IgA sono positivi nel 98% dei celiaci non trattati, ma essi sono anche ritrovati in almeno il 10% dei controlli non celiaci (giardiasi, IBD, malattie autoimmuni) (72). Una transitoria positività per antittg IgA, non associata a danno della mucosa duodenale, è stata osservata in pazienti con diabete autoimmune all esordio con successiva scomparsa degli anticorpi entro 6 mesi dal loro ritrovamento (84). Il confronto fra EmA e antittg mostra chiaramente che, sebbene il primo test sia più specifico, il secondo dovrebbe essere preferito come test di prima scelta per lo screening della celiachia a causa della sua elevata riproducibilità e di una più facile disponibilità di substrato, nonché per una maggiore semplicità e diffusione della tecnica per determinare l anticorpo. Recentemente sono stati pubblicati alcuni lavori che hanno ipotizzato che gli anti-ttg IgA possano comparire a livello della mucosa intestinale quando ancora l intestino tenue non è stato danneggiato e non sono presenti anticorpi antittg a livello circolante. In questi pazienti gli anticorpi presenti a livello della mucosa intestinale potrebbero essere la spia di un cambiamento più o meno rapido da una mucosa normale a una mucosa piatta e predire quindi una futura celiachia. Questi anticorpi, ritrovati a livello intestinale prima della comparsa della celiachia, sarebbero espressione di una condizione di gluten-sensitivity, caratterizzata spesso da sintomi extraintestinali (85).

La determinazione di anticorpi antiendomisio in un sistema di coltura d organo è stata proposta recentemente come test diagnostico per la malattia celiaca. Si è visto infatti che frammenti di biopsie intestinali erano in grado di produrre EmA in un sistema di coltura d organo con o senza l aggiunta di un peptide attivatore. Questa metodologia necessita ancora di essere validata, in particolare suscitano perplessità i bassi titoli di EmA ritrovati nel sovranatante delle colture di biopsie intestinali e il riscontro di falsi positivi e negativi con questa metodica. L indicazione per la quale questa metodica è stata proposta è quella di verificare la diagnosi in pazienti posti a dieta aglutinata nel sospetto di malattia celiaca senza eseguire la biopsia duodenale (86). In Italia come in molti altri Paesi europei c è ora la disponibilità di un test rapido eseguito su goccia di sangue per la ricerca degli anticorpi antitransglutaminasi. Questo test è basato sulla tecnica di immunoprecipitazione e mostra una sensibilità e una specificità medie per la celiachia intorno al 90% (87, 88). Ciò nonostante, la maggior parte dei ricercatori è concorde nel ritenere che il giusto impiego di questo test sia quello di dare una risposta preliminare circa la possibile esistenza di una celiachia, ma che, in considerazione della migliore performance garantita dai test tradizionali, questo test dovrebbe essere sempre controllato con i test tradizionali in caso sia di sua positività che di sua negatività, soprattutto se presenti sintomi compatibili con la diagnosi di celiachia. La diagnostica sierologica della celiachia si è arricchita recentemente di un nuovo interessante marcatore, rappresentato dai DGP-AGA (89-95). Come è noto, dal punto di vista patogenetico, la deamidazione dei peptidi di gliadina da parte della ttg, consistente nella sostituzione di una molecola di glutammina con una di acido glutammico, rende più immunogenici e verosimilmente più specifici i peptidi di gliadina così modificati rispetto ai peptidi nativi. I linfociti T specifici per la gliadina riconoscono più attivamente i peptidi deamidati, così potenziando la stimolazione dei linfociti B con il risultato di una sintesi specifica anticorpale diretta verso questi peptidi così modificati. Diversi lavori pubblicati recentemente hanno riportato una sensibilità media di questi anticorpi per la celiachia dell 84% sia per la classe IgA che per quella IgG, e, dato ancora più interessante, una specificità media quanto mai elevata per la classe IgG (circa 99%). Il confronto fra questo nuovo anticorpo e i test tradizionali ha mostrato che i DGP-AGA hanno un accuratezza diagnostica marcatamente più elevata di quella dei tradizionali AGA; inoltre, sebbene i DGP-AGA mostrino una sensibilità chiaramente inferiore rispetto agli EmA e agli anti-ttg, la loro specificità, in particolare per la sottoclasse IgG, risulta essere molto elevata, assai vicina a quella assoluta degli EmA, ma soprattutto significativamente più elevata rispetto a quella degli anti-ttg (99 vs 91%). Può essere prospettata pertanto una futura strategia anticorpale basata sulla determinazione combinata di anti-ttg IgA e DGP-AGA di classe IgG. In questo modo i DGP-AGA IgG consentirebbero non solo di confermare la specificità degli anti-ttg (10% circa di falsi positivi), ma anche di identificare la presenza di celiachia nei pazienti con deficit di IgA. Inoltre, i DGP-AGA di classe IgG si sono rivelati un eccellente marcatore anticorpale per identificare i celiaci al di sotto dei due anni di età, ove, come è noto, la sensibilità degli anti-ttg IgA è particolarmente bassa e ove attualmente il test più efficace è rappresentato dagli AGA IgA (96). La strategia anticorpale basata sulla ricerca combinata di anti-ttg IgA e DGP-AGA di classe IgG consentirebbe di ridurre il numero dei test necessari per lo screening sierologico di celiachia, eliminando in un sol colpo la necessità per EmA IgA, antittg IgG ed AGA IgA. Un altro test di recente identificazione può essere utile nella diagnostica sierologica della celiachia. Si tratta degli anticorpi antiactina di classe IgA, descritti nel siero di pazienti con malattia celiaca non trattata (97, 98). Questi anticorpi, ricercati in IFL indiretta su cellule intestinali di ratto o su fibroblasti umani o su cellule HEp2 come substrati, riconoscono l actina filamentosa o polimerizzata, cioè l F-actina, che offre un più elevato numero di potenziali epitopi rispetto all actina non polimerizzata (G-actina). La metodica ELISA può anche essere utilizzata per la loro ricerca, ma in questo caso subentrano problemi tecnici legati all instabilità della F-actina nei pozzetti della piastra per la metodica immunoenzimatica (99). Mediante l IFL indiretta gli anticorpi antiactina sono positivi nel 50% circa dei celiaci con severo danno della mucosa intestinale (atrofia parziale e subtotale dei villi), ma in meno del 10% dei pazienti con celiachia a lesioni minime della mucosa intestinale (97). Pertanto, la positività del test raggiuge soltanto il 30% dei pazienti celiaci, considerati nel loro insieme, indipendentemente dalla severità del danno istologico. Altro dato interessante riguardante questi anticorpi è la loro assoluta specificità per la celiachia con assenza di falsi positivi nei controlli, in particolare in soggetti con severo danno dell intestino non glutine-dipendente. In uno studio multicentrico la percentuale di positività per anticorpi antiactina nei celiaci con danno severo della mucosa intestinale raggiungeva quasi il 90%, ma ancora una volta il test si confermava scarsamente sensibile nei celiaci con lesione infiltrativa e atrofia lieve dei villi (98). La sensibilità media degli anticorpi antiactina indipendentemente dalla severità delle lesioni intestinali aumenta utilizzando la metodica ELISA invece della IFL, ma a scapito della specificità con un 40% circa di falsi positivi (99). Sebbene gli anticorpi antiactina non possano sostituirsi in nessun modo agli EmA e agli anti-ttg come test di screening per la celiachia a causa della loro assai bassa sensibilità (mediamente <50%), il riscontro di anticorpi antiactina

IgA in soggetti che non possono essere sottoposti a EGDS per una severa controindicazione (cardiopatia ischemica severa, gravi coagulopatie, insufficienza respiratoria, morbo di Parkinson, ecc.) può essere considerato un ulteriore elemento a supporto della esistenza di un severo danno dei villi intestinali compatibile con una condizione di malattia celiaca. I marker sierologici di classe IgA sono anche di grande utilità per monitorare la risposta alla dieta aglutinata. Una stretta compliance alla dieta senza glutine nei pazienti celiaci porta alla scomparsa o al significativo calo degli anticorpi entro 12 mesi (18-24 mesi se il titolo anticorpale è molto elevato) unitamente alla ricrescita dei villi intestinali. In tal senso gli anti-ttg di classe IgA devono essere considerati al momento come il test migliore per il follow-up della celiachia, mentre gli AGA possono essere maggiormente utili nella prima infanzia (al di sotto dei 2 anni di età) (76, 100). Per quanto riguarda il follow-up particolarmente utili si sono dimostrati in studi preliminari i DGP-AGA di classe IgG, i quali si negativizzano nei celiaci a dieta aglutinata stretta di pari passo con la normalizzazione della mucosa intestinale (95). Un altro marker non ancora entrato nell uso di routine, ma con risultati estremamente interessanti per monitorare la risposta alla dieta aglutinata è rappresentato dagli anticorpi antiactina di classe IgA, dal momento che essi tendono a scomparire nel siero dei celiaci dopo dieta aglutinata stretta di pari passo con la ricrescita dei villi intestinali (97). Dopo la standardizzazione e l introduzione nell uso di routine sia i DGP-AGA IgG che gli anti-actina di classe IgA potrebbero migliorare ulteriormente i già buoni risultati ottenuti con gli anti-ttg e AGA nel monitoraggio della compliance alla dieta. Per quanto riguarda i marker di classe IgG, esclusi i DGP-AGA che, come già detto, si sono rivelati un test estremamente specifico per la celiachia, questi anticorpi sono di limitata utilità a causa dell elevato numero di falsi positivi non solo in pazienti con altre patologie intestinali e autoimmuni, ma anche in controlli sani (la loro specificità oscilla fra il 60 e l 80%). In generale, comunque, tutti i marker di classe IgG (AGA, EmA, anti-ttg, DGP-AGA) sono utili per identificare la celiachia associata a deficit di IgA (101). Fa eccezione l anticorpo anti-actina di classe IgG, marker di epatite autoimmune, che pertanto non può essere utilizzato per identificare i celiaci nell ambito dei soggetti portatori di deficit di IgA. In conclusione, quali anticorpi devono essere utilizzati nello screening della celiachia? Fermo restando che è importante anche in termini di rapporto costo-beneficio evitare l esecuzione di test ripetitivi e che siano il doppione di altri esami, gli anti-ttg IgA rappresentano il test di prima scelta non solo per la loro più elevata sensibilità, ma anche soprattutto per la loro più elevata riproducibilità in tutti i laboratori. Gli EmA IgA dovrebbero essere impiegati come test di conferma nei casi positivi per anti-ttg, data la loro elevata specificità, soprattutto per evidenziare false positività degli anti-ttg. Gli AGA IgA dovrebbero essere ricercati solo nei bambini sotto i due anni di età, perché la loro ricerca è inutile e talvolta fuorviante nei bambini più grandi e negli adulti. L indicazione alla determinazione degli anti-ttg IgG deve essere rivolta esclusivamente ai pazienti con deficit di IgA. È importante sottolineare che i DGP-AGA sembrano un mezzo promettente per lo screening anticorpale della celiachia, ma essi sono ancora in attesa di conferme in grandi serie di pazienti. Quali anticorpi dovrebbero essere impiegati per il follow-up della celiachia? Gli anti-ttg IgA sono ancora il test più valido per verificare se il paziente segue bene la dieta e pertanto si presume che abbia avuto una normalizzazione della mucosa intestinale. Gli AGA IgA confermano di essere il test più utile nei pazienti molto giovani (sotto i due anni di età) e gli anti-ttg IgG devono essere utilizzati per il monitoraggio della risposta alla dieta aglutinata nei soggetti con deficit di IgA. I DGP-AGA di classe IgG e gli antiactina IgA potrebbero rivelarsi test di grande utilità in un prossimo futuro. Biopsia duodenale Principale e insostituibile presidio diagnostico per la malattia celiaca è la valutazione morfologica della biopsia duodenale che ancora oggi, nonostante tutti i tentativi di ridurne il ruolo e l efficacia, ne rappresenta il gold standard (102). Il patologo viene pertanto ad assumere una funzione rilevante per confermare o meno il sospetto clinico e laboratoristico di celiachia. La diagnosi istopatologica, tuttavia, è solo un momento del processo che porta alla definitiva diagnosi di celiachia, diagnosi che deve comunque essere posta in modo definitivo solo dal gastroenterologo pediatra o dell adulto sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione. In questi ultimi anni sono cambiati radicalmente i criteri istologici sui quali si basava la diagnosi di celiachia. In un non lontano passato soltanto le lesioni caratterizzate da atrofia totale o parziale severa dei villi intestinali erano sinonimo di celiachia. Oggi lo spettro delle alterazioni della mucosa intestinale compatibili con una diagnosi di celiachia si è amplia-

to enormemente con l inclusione dei quadri di atrofia lieve dei villi e con le lesioni infiltrative isolate, caratterizzate da un isolato aumento dei linfociti intraepiteliali (103, 104). La biopsia va sempre eseguita nella seconda e terza porzione duodenale, in quanto il bulbo e il duodeno prossimale possono essere fonte di erronee valutazioni; si consigliano almeno quattro biopsie, due per ognuno dei settori sopra citati. Fino a pochi anni fa nei bambini al di sotto dei due anni la biopsia veniva eseguita mediante l impiego della capsula di Crosby-Watson per via perorale. Oggi, tuttavia, ci si indirizza verso l esame endoscopico a qualsiasi età, esame che offre il vantaggio di una maggiore rapidità, di essere meglio tollerato e di poter eseguire prelievi multipli a livello della mucosa duodenale. Presupposto fondamentale per una corretta valutazione morfologica è l orientamento dei prelievi bioptici, utilizzando filtri millipore di acetato di cellulosa. È sufficiente una normale colorazione in ematossilina-eosina ed eventualmente una colorazione all acido periodico reattivo di Schiff (PAS) per valutare tutti gli elementi morfologici necessari (una o due sezioni a parte saranno destinate alla tipizzazione immunoistochimica con colorazione per CD3 per una più corretta definizione del numero dei linfociti intraepiteliali) (105). Dal punto di vista della microscopia ottica la mucosa intestinale normale presenta le seguenti caratteristiche: 1) villi di aspetto digitiforme con rapporto tra l altezza dei villi e quella delle cripte sempre a favore del villo (3/1 o più); 2) numero dei linfociti intraepiteliali in condizioni di normalità non superiore a 25 linfociti per 100 cellule epiteliali. È da ritenersi superato e non più valido il rapporto 40 linfociti per 100 cellule epiteliali; 3) le cripte hanno fondamentalmente il compito di svolgere una funzione rigenerativa per cui è possibile riscontrarvi delle mitosi; in genere il range normale è di una mitosi per cripta. Accanto alle cellule epiteliali vi sono cellule endocrine, goblet cells e cellule di Paneth, che però non hanno alcun valore per quanto attiene la diagnostica della malattia celiaca; 4) a livello della lamina propria normalmente si riscontrano plasmacellule, eosinofili, istiociti, mast cells e linfociti. I neutrofili sono generalmente assenti, fatta eccezione per i casi di duodenite attiva con eventuale metaplasia gastrica strettamente correlata all infezione da Helicobacter pylori. Le plasmacellule sono la componente cellulare più numerosa, così come i linfociti, talora presenti sotto forma di aggregati linfoidi, e gli eosinofili il cui valore non deve mai essere superiore a 60 per 10 campi di visione esaminati. Le lesioni della mucosa intestinale compatibili con una diagnosi di malattia celiaca vengono distinte in sei stadi secondo la classificazione di Marsh, modificata da Oberhuber, che viene attualmente utilizzata in pratica in tutti i centri di riferimento per la diagnosi di celiachia (Tabella 7) (103). Le lesioni di tipo 1 e di tipo 2, caratterizzate da aumento dei linfociti intraepiteliali senza o con iperplasia delle cripte in presenza di normale rapporto villi/cripte e villi di normale morfologia, sono compatibili ma non specifiche per malattia celiaca. Soltanto il 10% circa di queste lesioni intestinali minime è espressione di un danno intestinale glutine-dipendente nell ambito di una celiachia potenziale, mentre nel restante 90% dei casi le alterazioni della mucosa intestinale sono riconducibili ad altre cause, fra cui allergie alimentari (in particolare intolleranza alle proteine del latte vaccino), morbo di Crohn, colite linfocitica, infezioni intestinali di tipo batterico e parassitario, quali ad esempio la giardiasi, immunodeficienza comune variabile, patologie autoimmuni (tiroidite autoimmune, LES, diabete mellito autoimmune), contaminazione batterica dell intestino, trattamento con FANS e infezione da Helicobacter pylori (Tabella 8) (105-108). Fattori predittivi per una condizione di celiachia potenziale in questi casi sono l incremento della quota di linfociti gamma/delta ricercati in immunoistochimica su biopsie intestinali congelate (fino al 20-30% in condizioni di danno intestinale glutine-dipendente versus il 2-3% in assenza di danno correlato al glutine) e l incremento del numero di linfociti intraepiteliali all apice dei villi (109). Negli ultimi anni stiamo assistendo al preoccupante fenomeno di un elevato numero di diagnosi di celiachia, formulate in modo improprio sulla base di queste lesioni minime senza il loro inquadramento nel contesto dei fattori predittivi (clinici, anticorpali e genetici) per identificarne la glutine-dipendenza (108). Identificare quel 10% di pazienti in cui le lesioni intestinali minime possono predire lo sviluppo di una celiachia è estremamente importante perché consente di circoscrivere il monitoraggio a questo sottogruppo, evitando inutili controlli ed esami nella stragrande maggioranza degli altri pazienti. La lesione tipica della celiachia è rappresentata dall atrofia dei villi con alterazione del rapporto villi/cripte (<3:1 fino a raggiungere 1:1) e incremento dei linfociti intraepiteliali. Questa lesione, definita come tipo 3 nella classificazione di Marsh-Oberhuber, viene a sua volta suddivisa a seconda della severità dell atrofia in tre stadi: atrofia lieve (3a), parziale (3b) e subtotale (3c). Vi è anche una lesione atrofica di tipo 4 (atrofia totale), di assai raro riscontro, caratterizzata, oltre che dall assenza completa dei villi, anche dal mancato incremento dei linfociti intraepiteliali. Tale lesione è espressione dell evoluzione della celiachia verso le sue complicanze (celiachia refrattaria, digiunoileite ulcerativa e linfoma) (103). Nel tentativo di semplificare il lavoro degli anatomopatologi e facilitare il rapporto tra patologi e clinici è stata proposta recentemente da Corazza e Villanacci una nuova versione della classificazione istologica che riduce il numero degli stadi da 6 a 3; in particolare le lesioni che caratte-

rizzano la malattia celiaca sono state divise in due categorie: non-atrofica (grado A) e atrofica (grado B); il grado B a sua volta è stato ulteriormente suddiviso in B1 in cui il rapporto villo/cripta è inferiore a 3:1, con villi ancora individuabili, e B2 in cui i villi non sono più individuabili. La lesione di grado A, caratterizzata dall incremento patologico del numero dei linfociti intraepiteliali, meglio riconosciuto dall impiego di tecniche immunoistochimiche (colorazione per i CD3), con o senza iperplasia delle cripte, comprende al suo interno le lesioni tipo 1 e tipo 2 secondo la classificazione di Marsh-Oberhuber, la lesione di grado B1 raggruppa al suo interno le lesioni 3a e 3b, mentre il grado B2 in pratica corrisponde alla 3c. La lesione di tipo 4 di rarissima osservazione è stata del tutto eliminata nella nuova classificazione (Tabella 9) (104). Rilevante è la tipizzazione immunoistochimica delle popolazioni linfocitarie presenti nella mucosa duodenale. Anche se in parte già accennato è bene ribadire che per una maggiore attendibilità la conta dei linfociti intraepiteliali deve sempre prevedere l effettuazione di tipizzazione immunoistochimica con il CD3 monoclonale. Importante è anche la valutazione con il CD8, particolarmente utile nei casi di soggetti anziani in cui non è raro il riscontro di forme refrattarie non responder alla dieta, con possibile evoluzione in linfoma, in cui l espressione del CD8 può essere negativa rispetto alla norma. Un atrofia dei villi intestinali che entra in diagnostica differenziale soprattutto con la celiachia dell adulto è presente in alcune condizioni patologiche di raro riscontro, fra cui l enteropatia autoimmune, il morbo di Whipple, la gastroenterite eosinofila, la immunodeficienza comune variabile, la giardiasi, la linfangectasia intestinale e il danno enterico da FANS. Ruolo della genetica La tipizzazione degli antigeni di istocompatibilità (HLA) nella celiachia è un test genetico di suscettibilità che valuta la maggiore o minore predisposizione di un individuo a sviluppare la celiachia, dal momento che le molecole HLA a rischio non sono da sole sufficienti a determinare la malattia, che compare soltanto in seguito all esposizione a fattori ambientali scatenanti. La determinazione dell HLA trova indicazione in caso di dubbio diagnostico (ad es. discrepanza fra sierologia e biopsia) e nei familiari di 1 grado degli affetti (genitori, figli e fratelli) per decidere in questo secondo caso se continuare il follow-up anticorpale in caso di sierologia negativa, in base a linee guida nazionali ed internazionali (110, 111). La presenza dell HLA-DQ2 (eterodimero completo o del solo allele DQB1*02) o dell HLA- DQ8 determina un aumento del rischio di celiachia circa 50 volte superiore rispetto alla popolazione generale, mentre l assenza di tutti i predetti fattori rende del tutto improbabile lo sviluppo della malattia. DQ2 e DQ8 sono glicoproteine che si trovano sulla superficie di cellule del sistema immunitario formate da due catene diverse, alfa e beta, e perciò dette eterodimeri. Le catene alfa e beta sono codificate dai geni DQA1 e DQB1. Gli alleli DQA1*05 e DQB1*02 codificano per l eterodimero DQ2 e gli alleli DQA1*03 e DQB1*0302 per l eterodimero DQ8. Dei celiaci approssimativamente l 81% è DQ2 positivo (DQA1*05 e DQB1*02), il 10% è DQ8, il 6% è DQB1*02-positivo, ma DQA1*05-negativo, presentando soltanto la metà beta della molecola DQ2 a rischio. Da notare che circa il 25-30% dei DQ2 positivi è DQB1*02 omozigote, condizione che conferisce un maggior rischio di sviluppare la celiachia. Per la determinazione del DQ2 è quindi necessario testare sia il DQA1*05 che il DQB1*02, dal momento che la presenza di entrambi gli alleli porta a un rischio molto più elevato della positività per il solo allele DQB1*02. Al contrario, la determinazione del DQ8 non obbligatoriamente deve prevedere la tipizzazione del gene DQA1, poiché in pratica tutti i casi DQB1*0302-positivi sono DQA1*03-positivi, ma non viceversa. La presenza del DQB1*02/*02 omozigote determina il rischio più elevato di celiachia e sembra predire l insorgenza di forme più gravi con complicanze tipo la malattia celiaca refrattaria e il linfoma. Tale assetto genetico è ritrovato nel 30% circa dei celiaci e nel 10% dei controlli DQ2 positivi. Dei celiaci DQ2 positivi sul territorio italiano, approssimativamente il 65% è DRB1*03 (DR3), il 30% è eterozigote DRB1*11-12/*07 (DR5/7) e soltanto il 5% ha altri alleli DRB1. I casi che hanno solo la catena beta del dimero DQ2 sono quasi sempre DRB1*07 (DR7). Gli alleli DRB1 non modificano i rischi di malattia che dipendono esclusivamente dai loci DQ, ma la loro determinazione può essere di aiuto come convalida dei risultati. Riassumendo la tipizzazione HLA deve comprendere: a) gli alleli DQA1*05, DQB1*02 e DQB1*0302. Per i primi due basta prendere in considerazione le prime due cifre in quanto tutti gli alleli del gruppo (DQA1*0501 e DQA1* 0505 o DQB1*0201, e DQB1*0202) sono ugualmente a rischio; per il DQB1*0302 tutte quattro le cifre devono essere determinate perché ad es. le varianti DQB1*0301 e DQB1*0303 non portano a un aumentato rischio di celiachia; b) controlli negativi e positivi. Per maggiore completezza la tipizzazione dovrebbe anche prendere in considerazione gli alleli DQA1*03 e DRB1 *03, *04, *07, *11, *12. Infine, dato di estrema importanza in considerazione della predittività di elevato rischio, dovrebbe essere sempre prevista la determinazione dello stato DQB1*02 omozigote.

Altre metodiche utilizzabili per la diagnosi di celiachia Alcune tecniche strumentali si sono recentemente dimostrate utili nella diagnostica della celiachia. La loro importanza non è paragonabile a quella della biopsia duodenale e della sierologia, ma possono trovare applicazione per identificare casi di celiachia, a volte non sospettabili sul piano clinico, da confermare con gli accertamenti tradizionali. Marker endoscopici. In corso di esofagogastroduodenoscopia (EGDS) eseguita per altri motivi (quali sindrome dispeptica, ulcera peptica, reflusso gastroesofageo, ecc.) è possibile osservare alcune alterazioni macroscopiche della mucosa duodenale, che si sono rivelate altamente predittive per celiachia. I pattern macroscopici più suggestivi di celiachia a livello della seconda e terza porzione duodenale sono rappresentati dall assenza delle pliche di Kerckring, dallo scalloping (dentellatura della mucosa duodenale), dal pattern a mosaico e ad acciottolato; in presenza di questi rilievi macroscopici, l endoscopista deve sempre procedere all esecuzione di biopsia duodenale, anche se non espressamente richiesto prima dell esame, nel fondato sospetto di malattia celiaca (112). Ecografia. I principali reperti ultrasonografici che possono far nascere il sospetto di una malattia celiaca sono l aumento del volume della colecisti a digiuno, l incremento volumetrico dei linfonodi mesenterici, il riscontro di anse intestinali dilatate e di spessore aumentato con elevato contenuto di liquido, e la presenza di liquido libero nella cavità addominale. La concomitante presenza di tutti questi segni ecografici aumenta notevolmente la probabilità di una diagnosi di celiachia (113). Tecnica a immersione con magnificazione endoscopica. Questa tecnica, basata sulla rapida introduzione, in corso di EGDS, di acqua nel lume duodenale dopo rimozione dell aria per suzione, consente di visualizzare i villi intestinali attraverso la magnificazione endoscopica. In pazienti con EmA o anti-ttg questa metodica ha dimostrato un elevato potere predittivo per la diagnosi di celiachia, consentendo di identificare la totalità dei pazienti con atrofia dei villi. Il vantaggio di questo approccio è rappresentato dal risparmio dei costi relativi all esecuzione della biopsia duodenale, ma ancora una volta va sottolineato che solo la biopsia duodenale, facilmente eseguibile nel corso dello stesso esame endoscopico necessario per la tecnica a immersione, può dare la certezza diagnostica (114). Videocapsula. L indicazione all esecuzione di questo esame non è tanto la diagnosi, ma piuttosto lo studio delle complicanze della celiachia (linfoma, malattia celiaca refrattaria, digiunoileite ulcerativa). Peraltro, nei pazienti che non possono essere sottoposti a EGDS o che rifiutano l esame, la capsula endoscopica è in grado di riconoscere con elevata probabilità la presenza di atrofia dei villi in una discreta percentuale di casi. Nell ambito della caratterizzazione dei pazienti già diagnosticati tale esame può fornire informazioni sulla estensione delle lesioni dell intestino tenue. L esclusione della diagnosi di celiachia non può basarsi peraltro sulla assenza di atrofia dei villi alla videocapsula, ma richiede sempre l esecuzione di una biopsia duodenale (115). PROTOCOLLO DIAGNOSTICO Le seguenti linee-guida per la diagnosi e il monitoraggio della malatia celiaca, elaborate dal Comitato Scientifico Nazionale dell Associazione Italiana Celiachia (CSN-AIC) e successivamente validate da una commissione di esperti della materia e di membri del Ministero della Salute, sono state pubblicate in data 7 febbraio 2008 sul Suppl. della Gazzetta Ufficiale dello Stato italiano (116). È possibile individuare tre diversi percorsi diagnostici a seconda che ci si ritrovi di fronte a un forte sospetto clinico di celiachia (malassorbimento franco, caratterizzato da significativo calo ponderale, diarrea e astenia severa), a pazienti con bassa probabilità di celiachia (casi mono-paucisintomatici) o a familiari di 1 e 2 grado di celiaci (117). Forte sospetto clinico di celiachia (sindrome da malassorbimento) (Figura 1). Dopo avere eseguito il dosaggio delle IgA totali sieriche si procede di pari passo con l esecuzione della biopsia intestinale e con il dosaggio degli anticorpi anti-ttg di classe IgA (se il dosaggio delle IgA totali sieriche risulta nella norma ) o di classe IgG (se è presente deficit di IgA, definito come concentrazione totale di IgA <5 mg/dl). Gli EmA possono essere utilizzati come test di conferma nei casi positivi per anti-ttg. Nei soggetti di età <2 anni, come già illustrato, si esegue, oltre la ricerca degli anti-ttg, anche quella degli AGA IgA o IgG (in caso di deficit di IgA):

Se vi è concordanza fra sierologia (positività degli anti-ttg) e biopsia duodenale (atrofia dei villi intestinali, lesione tipo 3) la diagnosi è sicuramente di celiachia. Se la sierologia è positiva e la biopsia normale, si procede alla determinazione dell HLA: 1) in caso di positività per DQ2 o DQ8, si consiglia monitoraggio anticorpale con eventuale ripetizione della biopsia duodenale a distanza di tempo; 2) in caso di negatività per DQ2 e DQ8, gli anti-ttg sono verosimilmente da considerarsi falsi positivi, e la diagnosi di celiachia è da escludersi con certezza quasi assoluta, anche se è noto dalla letteratura che rari casi di intolleranza al glutine non presentano l aplotipo DQ2, DQ8. Se la sierologia è negativa e la biopsia positiva, la prima cosa da fare è escludere nei limiti del possibile altre cause di atrofia della mucosa intestinale, dopodiché si procede alla ricerca dell HLA: 1) in caso di positività per DQ2 o DQ8, la diagnosi è di celiachia da confermarsi con un iter diagnostico basato sul controllo bioptico dopo dieta aglutinata, che dovrà mostrare, a conferma della diagnosi, la ricrescita dei villi e la normalizzazione della mucosa intestinale; 2) in caso di negatività per DQ2 e DQ8, la diagnosi di celiachia è da escludersi quasi completamente, fermo restando che una piccola parte di celiaci non condivide, come già sottolineato, l aplotipo classico. In caso di riscontro di lesioni intestinali minime (lesione tipo 1-2) e di positività per anti-ttg, con presenza di HLA- DQ2 o DQ8, la diagnosi è di celiachia potenziale e la decisione di trattare il paziente con dieta aglutinata o no andrà valutata sulla base dei sintomi presentati. Rischio basso-moderato di celiachia (casi mono-paucisintomatici) (Figura 2). Davanti a un paziente con bassamoderata probabilità di celiachia (casi mono-paucisintomatici), si esegue la ricerca degli anti-ttg IgA (se non vi è deficit di IgA) o IgG (in caso di deficit IgA), associata alla ricerca degli AGA nei bambini di età <2 anni. Gli EmA possono essere utilizzati come test di conferma nei casi con positività per anti-ttg: Se la sierologia è negativa, si esclude la diagnosi di celiachia almeno al momento (è noto infatti che la malattia celiaca può manifestarsi in qualsiasi momento della vita a seguito di eventi scatenanti quali stress, infezioni, gravidanza). Se la sierologia è positiva, si procede alla biopsia duodenale: 1) in caso di istologia positiva (lesione tipo 3) la diagnosi è di celiachia; 2) in caso di istologia negativa o tipo 1-2, determinazione dell HLA: a) se DQ2 o DQ8 sono positivi, monitoraggio e ripetizione biopsia; b) se DQ2 o DQ8 sono negativi, anti-ttg da considerarsi verosimilmente falsi positivi. Familiari di 1 grado (Figura 3). Nei familiari di 1 grado di celiaci si esegue la ricerca degli anti-tg IgA (se non vi è deficit di IgA) o IgG (in caso di deficit di IgA), associata alla ricerca degli AGA nei bambini di età <2 anni. Gli EmA possono essere utilizzati come test di conferma nei casi con positività per anti-ttg: Se la sierologia è negativa, dato che i familiari hanno una elevata predisposizione alla malattia, è consigliabile, soprattutto nei familiari in età pediatrica, eseguire la ricerca degli HLA: 1) in caso di aplotipo compatibile (DQ2 o DQ8), è opportuno effettuare periodici controlli degli anti ttg (ogni due anni); 2) in caso di aplotipo non compatibile (assenza di DQ2 e DQ8), vi è basso rischio di malattia e non indicazione a monitoraggio anticorpale. Dato l elevato costo dei test genetici, in considerazione che l eventuale presenza del DQ2 o DQ8 è solo una indicazione al monitoraggio anticorpale, nell adulto è consigliabile per motivi economici soprassedere all esecuzione del test ed eseguire direttamente monitoraggio con anti-ttg ogni due anni. Se la sierologia è positiva, si procede alla biopsia duodenale: 1) in caso di istologia positiva (lesione tipo 3) diagnosi di celiachia; 2) in caso di istologia negativa o tipo 1-2, determinazione HLA: a) se DQ2 o DQ8 sono positivi con istologia normale, monitoraggio e ripetizione biopsia; se DQ2 o DQ8 sono positivi con lesione istologica tipo 1-2, decidere caso per caso, in base al quadro clinico e ai sintomi, se iniziare dieta aglutinata o se effettuare semplice monitoraggio; b) se DQ2 e DQ8 negativi, anti-ttg da considerarsi verosimilmente falsi positivi ed eventualmente da controllare a distanza di tempo.

L iter diagnostico corretto per giungere alla diagnosi di malattia celiaca prevede sempre, ove possibile, l esecuzione della biopsia intestinale. Esistono peraltro alcune condizioni particolari in cui non è possibile sottoporre il paziente a indagini invasive, ragion per cui non si riesce a effettuare la biopsia intestinale. Un esempio di tale evenienza è rappresentato da pazienti con severa malnutrizione, con severi deficit coagulativi, con grave cardiopatia o insufficienza respiratoria in ossigenoterapia continua, con morbo di Parkinson o altra patologia neurologica fortemente invalidante, con sindrome di Down (che di per sé non rappresenta una controindicazione, ma che in alcuni casi porta a un rifiuto dei familiari all esecuzione di indagini invasive), o da donne in stato di gravidanza (in cui peraltro l iter diagnostico può essere completato dopo il parto con un challenge con glutine seguito dall accertamento bioptico) o da altre situazioni cliniche che vanno valutate caso per caso. In queste circostanze si può giungere a una diagnosi di malattia celiaca solo sulla base dei criteri sierologici e clinici, ma la diagnosi dovrebbe essere sempre validata da un centro di riferimento accreditato dal Ministero della Salute o dalle Regioni sulla base di una documentata esperienza nel settore. Un protocollo valido per la diagnosi di celiachia deve basarsi su pochi test essenziali, essere applicabile su tutto il territorio nazionale ed essere in grado di identificare il maggior numero di celiaci riducendo al minimo le mancate diagnosi e soprattutto le diagnosi sbagliate. Come già sottolineato, la celiachia è una intolleranza alimentare cronica e permanente e, una volta posta la diagnosi, il soggetto celiaco dovrà seguire una dieta aglutinata stretta con molti sacrifici e rinunce per tutta la vita. Per questo è importante garantire ai pazienti la certezza della diagnosi. Infatti, se da un lato la celiachia è sicuramente una patologia al momento largamente sottodiagnosticata con un numero di pazienti identificati di gran lunga inferiore rispetto a quello atteso, dall altro non si può non sottolineare come sia in grande espansione il fenomeno delle diagnosi sbagliate con pazienti erroneamente diagnosticati come celiaci, per esempio sulla base della positività per marcatori anticorpali aspecifici (anticorpi di classe IgG in assenza di deficit di IgA) o del solo aplotipo genetico compatibile con celiachia (HLA-DQ2/ DQ8). Scopo precipuo di questo algoritmo diagnostico è quello di favorire l incremento delle diagnosi e soprattutto la diagnosi precoce. Non è più ammissibile con le possibilità diagnostiche attuali accettare che vi siano celiaci identificati solo dopo anni e anni di lunghe sofferenze con storie cliniche di severa anemia, osteoporosi, aborti ripetuti, ipertransaminasemia e altri sintomi eclatanti, quando un pronto riconoscimento della loro condizione avrebbe loro consentito di trascorrere una vita completamente diversa e senz altro migliore. Queste diagnosi tardive inoltre si associano al rischio di sviluppare quadri di patologia autoimmune e idiopatica a carico di vari apparati e organi (fegato, sistema nervoso, cuore, tessuto connettivo, cute, ecc.) e complicanze rappresentate da severe alterazioni della parete intestinale (digiuno-ileite ulcerativa e sprue collagenosica), da scarsa o assente risposta alla dieta (celiachia refrattaria) e da insorgenza di neoplasie, in particolare linfoma non Hodgkin a livello intestinale e varie forme di eteroplasia epiteliale prevalentemente a carico dell apparato gastroenterico. Dal momento che una dieta aglutinata instaurata precocemente pone il celiaco al sicuro dalla gran parte di queste problematiche, è evidente l importanza non solo di incrementare il trend diagnostico, ma di giungere rapidamente alla diagnosi prima che questa intolleranza abbia determinato alterazioni non più correggibili con la dieta. FOLLOW-UP DELLA MALATTIA CELIACA Fino a pochi anni fa non esistevano regole precise per il monitoraggio della celiachia. Alcuni centri (soprattutto quelli pediatrici) eseguivano controlli molto ravvicinati (anche ogni 3-6 mesi) che talvolta creavano disagio e problemi psicologici ai pazienti e alle loro famiglie, altri (soprattutto gli ambulatori per la celiachia dell adulto) non effettuavano alcun follow-up. L indicazione a eseguire periodici controlli nei pazienti celiaci viene dalla letteratura che sottolinea la possibilità di insorgenza di patologie associate e di complicanze neoplastiche e non, soprattutto nei soggetti che non rispettano correttamente la dieta o sono stati diagnosticati in età avanzata (117-119). Il protocollo del follow-up della malattia celiaca, pubblicato sul supplemento della GU dello Stato italiano in data 7 febbraio 2008, ha fatto chiarezza sulla necessità di predisporre controlli periodici per seguire il celiaco dopo la diagnosi (116). Scopi principali del follow-up sono: a) la verifica di una stretta aderenza alla dieta aglutinata, che tenga conto anche delle introduzioni involontarie di glutine per scarsa o errata informazione del paziente sulle misure dietetiche; b) l identificazione di patologie autoimmuni associate, in modo particolare la tiroidite autoimmune di Hashimoto sia in forma clinica che subclinica (con positività isolata per anticorpi antitiroidei, presenti fino al 25% dei celiaci) (120);

c) lo sviluppo di alterazioni metaboliche (dislipidemia, iperglicemia, steatoepatite non alcolica), in particolare nei soggetti che aumentano significativamente di peso con la dieta senza glutine in relazione sia al miglioramento della funzione assorbente intestinale che al ricco contenuto lipidico dei prodotti dietoterapeutici (121); d) la diagnosi precoce dell insorgenza di complicanze neoplastiche (linfoma, carcinomi gastrointestinali, ecc.) e non (malattia celiaca refrattaria, digiunoileite ulcerativa, sprue collagenosica), in particolare negli adulti diagnosticati dopo i 50 anni con ricaduta positiva sulle prospettive prognostiche grazie a un rapido trattamento chirurgico e di terapia medica (117-119). Per quanto riguarda il timing del monitoraggio si suggerisce di eseguire un primo controllo a 6 mesi dalla diagnosi e successivamente ogni 1-2 anni presso un centro specialistico per la malattia. In tale occasione tutti i celiaci dovranno sottoporsi a visita medica con un accurata intervista dietetica e ad esami bioumorali (emocromo e ferritina). Per il monitoraggio anticorpale della compliance alla dieta aglutinata si consiglia la determinazione degli anticorpi anti-ttg di classe IgA (di classe IgG nei soggetti con deficit selettivo di IgA), mentre per verificare lo sviluppo di distiroidismo è indicata la determinazione del TSH e degli anticorpi anti-tiroidei (anti-perossidasi e anti-tireoglobulina). Nei soggetti che alla visita medica programmata presentano un marcato aumento ponderale è indicata la determinazione di esami bioumorali nell ambito metabolico (colesterolo, HDL, trigliceridi, glicemia). Si suggerisce di eseguire anche la determinazione delle transaminasi in quanto il celiaco a dieta aglutinata può sviluppare una steatoepatite non alcolica. Le cause di tali alterazioni vanno soprattutto ricercate, come già detto, nella migliorata funzione assorbente intestinale dopo dieta e nella stessa dieta aglutinata, sbilanciata in senso iperlipidico (121). Inoltre, nei casi in cui è già stata accertata alla diagnosi o si sospetta l insorgenza di patologia autoimmune associata alla celiachia è opportuna la ricerca degli autoanticorpi organo e non organo- specifici (anticorpi anti-insula pancreatica ICA, anti- acido glutammico-decarbossilasi GAD, anti surrene, anti-cellule parietali gastriche, autoanticorpi non organo-specifici, anti-antigeni nucleari estraibili ENA, ecc.). È noto che il rischio di patologia autoimmune associata aumenta in rapporto al numero di anni trascorsi dal celiaco a dieta libera (122). Fra gli esami strumentali del follow-up della celiachia un posto di primo piano spetta alla biopsia duodenale in corso di EGDS. Pur non essendo più tale esame indispensabile per la conferma diagnostica dal momento che anche per l adulto, così come già stabilito da tempo per il bambino, il miglioramento clinico e la negativizzazione degli anticorpi sono criteri più che sufficienti per confermare la diagnosi, l indicazione al controllo istologico andrà posta in tutti quei casi in cui rimangono incertezze sulla compliance alla dieta o sulla risposta alla sottrazione del glutine dalla dieta (123, 124). Pertanto, il timing e la necessità del controllo bioptico andranno decisi in funzione del singolo caso, tenendo presente che nel dubbio è sempre meglio procedere a tale accertamento. La densitometria ossea, se patologica alla diagnosi, va programmata ogni 18 mesi. È nota la maggior rilevanza di tale problema negli adulti, anche se sono riportati casi di severa osteopenia e osteoporosi anche in età pediatrica, ove in genere la dieta aglutinata porta a significativi miglioramenti entro il primo anno di esclusione del glutine dalla dieta (125). L ecografia addominale e tiroidea andranno eseguite solo se clinicamente opportuno, così come, limitatamente agli adulti, sono indicate, in caso di sospetta complicanza neoplastica (in particolare linfoma intestinale) o non neoplastica (digiunoileite ulcerativa, sprue collagenosica, malattia celiaca refrattaria), indagini strumentali vecchie e nuove fra cui l Rx-clisma (o pasto frazionato) del tenue, l enteroscopia, la videocapsula, la tomografia assiale computerizzata ad alta risoluzione (115, 126-128). Per quanto riguarda le consulenze specialistiche, non bisogna esitare a ricorrervi se subentrano problemi clinici rilevanti. Infatti, anche se è ampiamente documentato che oltre l 80% dei celiaci non presenterà altri problemi al di fuori dell interessamento intestinale, i restanti casi possono lamentare problematiche neurologiche, psichiatriche, reumatologiche, odontostomatologiche, cardiologiche e immunologiche, che andranno inquadrate con le relative consulenze da parte di esperti di questi settori. I criteri che hanno ispirato il protocollo per il follow-up sono stati la semplicità e l inclusione degli esami strettamente necessari al fine di contenere anche la spesa sanitaria, senza peraltro venire meno alla esigenza di un attento monitoraggio della celiachia. In conclusione, questo protocollo ribadisce la necessità di eseguire un follow-up della malattia celiaca, suggerendone la tempistica e le modalità e fornendo ai celiaci quelle indicazioni da tempo richieste al fine di poter affrontare con maggiore serenità il dopo diagnosi.

COMPLICANZE DELLA CELIACHIA Le complicanze rappresentano il vero spauracchio per i celiaci e allora è bene subito dare la giusta entità del fenomeno per tranquillizzare chi è affetto da questa intolleranza alimentare. Si tratta di una evenienza fortunatamente non frequente che interessa complessivamente non più del 5% dei celiaci (129). È bene anche sottolineare subito che esistono valide possibilità terapeutiche per la cura della maggior parte delle complicanze della celiachia. Altro punto di importanza fondamentale è che, come per la diagnosi di celiachia, anche per quella delle sue complicanze, ci deve essere la certezza assoluta che questa diagnosi è stata posta in modo corretto sulla base di criteri diagnostici solidi e non in modo arbitrario e senza fondamento, come spesso purtroppo avviene creando inutili ansie e preoccupazioni ai pazienti (130). Le complicanze della celiachia colpiscono quasi esclusivamente celiaci diagnosticati in età adulta e con grave ritardo diagnostico, in genere dopo i 50-60 anni. In pratica questo è un argomento che nell ambito della storia naturale della celiachia non interessa minimamente i pediatri dal momento che nella celiachia in età pediatrica non si osserva alcun tipo di complicanza. Ne deriva che quanto più è precoce la diagnosi di celiachia e quanto prima è iniziata la dieta aglutinata, tanto più il soggetto è protetto dall insorgenza di complicanze (119). Le complicanze si dividono in due gruppi: quelle rappresentate dallo sviluppo di neoplasie, tumori che colpiscono poco più del 2% dei celiaci in età avanzata, sotto forma di linfoma intestinale a cellule T, ma anche di altre sedi e più raramente di linfoma a cellule B, di adenocarcinomi dell intestino tenue e di altre sedi del tubo digerente fra cui il colon e l esofago, e di carcinoma della tiroide, e quello delle complicanze non neoplastiche, fra cui un posto di primo piano spetta alla celiachia refrattaria, alla digiunoileite ulcerativa e alla sprue collagenosica, che nel loro insieme vengono ritrovate in circa il 3% dei celiaci. Nella celiachia dell adulto è stata descritta da tempo la possibile presenza di una ipofunzione della milza in grado di predisporre il celiaco al rischio di complicanze. La condizione di iposplenismo viene diagnosticata nella celiachia in base al ritrovamento di alterazioni della membrana dei globuli rossi al microscopio a contrasto di fase, le cosiddette pitted red cells e al riscontro di una milza di dimensioni marcatamente ridotte all ecografia addominale, con o senza calcificazioni spleniche. Fino all 80% dei celiaci con complicanze presentano iposplenismo in confronto al 19% dei pazienti con celiachia non complicata. L iposplenismo si associa anche allo sviluppo di patologia autoimmune associata alla celiachia. La presenza di iposplenismo predispone il celiaco, oltre allo sviluppo delle complicanze già menzionate, anche alla comparsa di infezioni da Streptococcus pneumoniae a causa di un deficit dei linfociti B di memoria responsabili per la sintesi delle IgM, che svolgono un ruolo protettivo nei confronti delle infezioni da batteri endo-capsulati (69). Il normale funzionamento delle cellule B di memoria richiede infatti una normale attività splenica. Negli ultimi anni lo sviluppo continuo della ricerca scientifica nel campo della celiachia ha portato a nuove acquisizioni anche in tema di complicanze. Oggi infatti sappiamo che la malattia celiaca refrattaria e la digiunoileite ulcerativa altro non sono che stadi prelinfomatosi, per cui la loro comparsa predispone in molti casi al linfoma intestinale. Per celiachia refrattaria si intende una celiachia che non risponde né sul piano istologico né sul piano clinico alla dieta aglutinata (129, 130). Questa mancata risposta alla dieta senza glutine può essere presente fin dall inizio con il soggetto che dopo la diagnosi non mostra alcun miglioramento a seguito della dieta, oppure instaurarsi in un secondo momento (anche a distanza di anni) dopo una soddisfacente risposta alla dieta sul piano clinico. La celiachia refrattaria si manifesta in un piccolo sottogruppo di celiaci ed è in pratica inesistente in età pediatrica, manifestandosi in genere dopo i 50 anni, e più frequentemente nei casi diagnosticati con grave ritardo rispetto alla comparsa dei sintomi di celiachia; può comparire in base alle varie casistiche nel 2-4% dei celiaci con frequenza più elevata nel nord-europa rispetto all area mediterranea. È una condizione che spesso viene erroneamente sospettata creando una sovrastima del fenomeno e ingiustificati allarmismi nei pazienti (130). Fra i possibili errori diagnostici che debbono essere sempre presi in considerazione prima di fare diagnosi di celiachia refrattaria vi è la mancata compliance alla dieta: se la dieta non è rispettata rigorosamente, la celiachia non può migliorare né sul piano clinico, né tanto meno istologico. Non bisogna neanche dimenticare che ci può essere stata una errata diagnosi di celiachia ab initio perché esistono altre cause di atrofia dei villi intestinali non glutine-dipendenti e naturalmente in questi casi la dieta aglutinata non porterà ad alcun miglioramento Fra le possibili mucose piatte non riferibili a celiachia ricordiamo: la sindrome da contaminazione batterica dell intestino tenue, la giardiasi, l amiloidosi, la gastroenterite eosinofila, l immunodeficienza comune variabile, la linfangectasia intestinale e l enteropatia autoimmune. Quando deve nascere il sospetto di celiachia refrattaria? I sintomi, che devono mettere in allarme, sono la comparsa di severa diarrea (ma talvolta anche di stipsi ostinata), dolori addominali, nausea, stanchezza marcata e perdita di peso. Sul piano laboratoristico i segnali sono rappresentati da una persistente carenza di ferro, bassi valori di acido folico e vit. B12, ipocalcemia, piastrinosi, ipoalbuminemia. Le alterazioni istologiche che devono far sospettare una condizione di celiachia refrattaria si basano sul riscontro di una persistente e severa atrofia dei villi con aumento dei linfociti intraepiteliali dopo almeno un anno di dieta aglutinata stretta. La diagnosi di malattia celiaca refrattaria non

deve mai essere presa in considerazione prima che sia trascorso almeno un anno di dieta aglutinata stretta, periodo minimo necessario per il realizzarsi della risposta alla sottrazione del glutine sia sul piano clinico che istologico. La conferma diagnostica avviene grazie alle indagini immunoistochimiche con caratterizzazione dei linfociti intraepiteliali sulle sezioni di biopsie intestinali utilizzando anticorpi diretti contro i CD3, CD8, CD4, CD30 e CD103, e con la determinazione del recettore per le cellule T su DNA estratto da biopsie intestinali mediante PCR. Esistono due varianti di malattia celiaca refrattaria: il tipo 1, caratterizzato da una popolazione policlonale di linfociti intraepiteliali con immunofenotipo normale (CD3+, CD8+), questa forma si caratterizza per una prognosi migliore e una buona risposta alla terapia con steroidi associati ad immunosoppressori (azatioprina), con un basso rischio di evoluzione in digiunoileite ulcerativa e linfoma intestinale; il tipo 2 presenta invece una popolazione monoclonale di linfociti intraepiteliali con aberrante immunofenotipo (CD3+ CD8-), non risponde alla terapia con steroidi e azatioprina che ne può accelerare anzi l evoluzione in linfoma, richiede un approccio terapeutico più aggressivo basato sul trapianto di midollo, su analoghi delle purine (cladribina) e sull impiego di anti-il 15 (131). Vi è in questa forma una prognosi decisamente peggiore con elevato rischio di evoluzione in digiunoileite ulcerativa e in linfoma intestinale. Dati recenti della letteratura hanno sottolineato il dato di una sovrastima delle diagnosi di celiachia refrattaria, spesso poste sulla base di criteri del tutto insufficienti in soggetti che non seguivano bene la dieta o avevano semplicemente una risposta più lenta del normale alla dieta senza glutine. Alcune caratteristiche genetiche possono svelare una tendenza al rischio di sviluppare celiachia refrattaria, in particolare oltre alla presenza su entrambi i cromosomi 6 dell HLA-DQ2 (omozigosi per HLA-DQ2) anche la coesistente alterazione del gene per la miosina (MYO9B) sul cromosoma 19 sembra essere un elemento a favore del possibile sviluppo di celiachia refrattaria (131). Il 35% delle celiachie refrattarie di tipo 1 e circa il 50% di quelle di tipo 2 sono refrattarie alla dieta ab initio. Nei rimanenti casi la mancata risposta alla dieta si instaura dopo un periodo medio di 10 anni e 7 anni e mezzo rispettivamente nella forma di tipo 1 e in quella di tipo 2. A differenza di quanto ritenuto in passato, e cioè che gli anticorpi antiendomisio e antitransglutaminasi, positivi al momento della diagnosi di celiachia, devono sempre essere negativi in una condizione di refrattarietà alla dieta, fino a un 30% dei soggetti con celiachia refrattaria può conservare positività per tali anticorpi, anche se generalmente a basso titolo. Il numero medio dei linfociti intraepiteliali è più elevato nella malattia celiaca refrattaria tipo 1 che nel tipo 2 (91,5 vs 66,9) (132). È stato recentemente definito uno score clinico-laboratoristico-istologico per definire la prognosi dei celiaci con malattia celiaca refrattaria. In questo score prognostico viene attribuito un punto a ognuna delle seguenti variabili alla diagnosi di celiachia refrattaria: albumina <3,2 g/l, Hb <11 g/dl, età >65 anni, presenza di clone di linfociti T aberranti (CD3+ CD8-), atrofia subtotale di villi (tipo 3c, secondo la classificazione di Marsh-Oberhuber). Con punteggio da 0 a 2 si ha una sopravvivenza sovrapponibile a quella della celiachia non refrattaria, con punteggio 3 sopravvivenza lievemente ridotta, punteggio 4-5 prognosi severa (133). Quali sono i principali esami da seguire per una corretta diagnosi di malattia celiaca refrattaria? Sicuramente è necessaria la ripetizione della biopsia intestinale in corso di EGDS, con caratterizzazione immunoistochimica e studio del recettore per le cellule T mediante PCR (Polymerase Chain Reaction); per documentare l eventuale presenza di digiunoileite ulcerativa o l evoluzione in linfoma sono utili anche la push-enteroscopy, la videocapsula, la TC addominale ad alta risoluzione e la PET. La prognosi della malattia celiaca refrattaria tipo 1 con le attuali terapie a base di cortisone e azatioprina è molto buona (94% di sopravvivenza a 5 anni), mentre la forma di tipo 2 ha decisamente una evoluzione peggiore con elevato rischio di progressione a linfoma e necessita di terapie aggressive quali cladribina, anti- TNF alfa, anti-il 15 e ricorso anche al trapianto autologo di midollo osseo. Altra complicanza non neoplastica della celiachia è la digiunoileite ulcerativa, la cui insorgenza è rarissima nella celiachia non complicata, mentre in genere compare in una condizione di celiachia refrattaria (134). L età media per tale diagnosi è 50 anni, con sintomi che ricalcano quelli della celiachia refrattaria come diarrea, calo ponderale, dolori addominali, deficit nutrizionali, febbricola e clubbing ungueale. La digiuno-ileite ulcerativa si caratterizza per ulcerazioni della mucosa intestinale che tendono a complicarsi a loro volta con emorragie, perforazione e ostruzione intestinale. La terapia prevede gli stessi presidi della celiachia refrattaria, ma talvolta con necessità di intervento chirurgico in seguito a stenosi e a perforazioni intestinali. Come si giunge alla diagnosi di digiunoileite ulcerativa? Metodiche importanti per la diagnosi sono il pasto frazionato del tenue (che mostra dilatazione delle anse, stenosi e ulcere), la tomografia assiale computerizzata ad alta risoluzione, l enteroscopia, che consente anche biopsie sulle ulcere prossimali del digiuno, e soprattutto la videocapsula che mostra ulcerazioni multiple a livello del digiuno e dell ileo. Sul piano istologico osserviamo la presenza di ulcere estese a tutto lo spessore della mucosa, infiammazione cronica con fibrosi e ipertrofia muscolare che concorre alla formazione delle stenosi, metaplasia gastrica e linfociti intraepiteliali con immunofenotipo quasi sempre identico alla celiachia refrattaria tipo 2 (CD3+ CD8-).

La sprue collagenosica è un altra rara complicanza della celiachia, caratterizzata dalla deposizione di una banda di collagene sotto l epitelio intestinale con mancata risposta alla dieta. Il decorso di questa complicanza è progressivo, ma talvolta si ha una buona risposta al cortisone (134). Certamente, il pericolo maggiore per il celiaco è rappresentato dalle complicanze neoplastiche e fra queste la più temibile è il linfoma intestinale a cellule T; si tratta di un linfoma non Hodgkin che insorge con elevata frequenza nelle forme di celiachia refrattaria (più frequentemente di tipo 2) e di digiunoileite ulcerativa (131, 135, 136). Il picco dell età di insorgenza è intorno alla settima decade di vita con età media a 55 anni, rarissimo prima dei 40 anni; la diagnosi di celiachia è in genere tardiva e precede l insorgenza del linfoma con un intervallo da 5 a 20 anni (media 15 anni). In sporadici casi si può avere la presentazione simultanea di linfoma e celiachia. Il rapporto F/M è praticamente quasi identico 1,3/1, e, considerato che la celiachia è molto più frequente nelle donne, per il linfoma tale differenza si annulla completamente. Quali sono i sintomi? Anche qui mancano sintomi specifici, ma importanti sono la diarrea severa, il calo ponderale, dolori addominali intensi con possibilità di perforazione intestinale e quadri di addome acuto; possono osservarsi masse viscerali ulcerate e talvolta masse palpabili a sviluppo verso l esterno. Quali sono i segni laboratoristici che possono far nascere il sospetto? Bassi valori di emoglobina, ferro, albumina, elevati valori di VES, IgA, lisozima sierico. Fra gli esami strumentali sono importanti il pasto frazionato del tenue, l enteroscopia, la videocapsula e la tomografia assiale computerizzata ad alta risoluzione. Sono stati descritti due tipi istologici di linfoma intestinale, il tipo I caratterizzato sul piano immunoistochimico da aspetti simili a quelli della malattia celiaca refrattaria di tipo 2 con linfociti CD3+ CD8- e cellule anaplastiche ed il tipo II con caratteristiche immunoistochimiche più simili alla malattia celiaca refrattaria di tipo 1 con linfociti CD3+ CD8+, nel quale, nella mucosa non ancora interessata dal linfoma, si apprezzano aspetti di celiachia con marcato aumento dei linfociti (131). La terapia del linfoma prevede la possibilità di trattamento chirurgico, radioterapico e chemioterapico a seconda della stadiazione del linfoma. Quando il linfoma è limitato all intestino, il trattamento chirurgico del segmento affetto combinato con radio e chemioterapia depone per una prognosi discreta a 5 anni. Sfortunatamente, il linfoma è spesso diffuso in sede extraintestinale e la prognosi in questi casi è infausta anche a breve termine. Altre neoplasie che possono complicare la celiachia sono i linfomi non Hodgkin a cellule B e altri linfomi T a sede non intestinale, gli adenocarcinomi dell intestino tenue (rischio fino a10 volte maggiore che nella popolazione non celiaca), i carcinomi dell esofago, dell orofaringe, del colon e della tiroide (135, 136). In tema di complicanze è fondamentale ribadire che la diagnosi precoce di celiachia è determinante perché può nella stragrande maggioranza dei casi azzerare il rischio della loro comparsa. Nei casi di celiachia diagnosticati con grave ritardo e dopo i 50-55 anni è necessario un attento follow-up con controlli presso un centro specialistico almeno una volta all anno. La stretta sorveglianza dei celiaci a rischio di complicanze consente di fare una diagnosi precoce delle eventuali complicanze e di impostare la corretta terapia che spesso consente di avere una prognosi molto favorevole, come nel caso della malattia celiaca refrattaria di tipo 1, ma anche nel caso di neoplasie, quali gli adenocarcinomi del digiuno. Un ultima annotazione: prima di attribuire a un celiaco una complicanza verificare attentamente che ci siano tutti gli elementi per diagnosticarla, mi riferisco in particolare alla diagnosi di celiachia refrattaria spesso diagnosticata troppo precipitosamente in soggetti che non presentano alcuna refrattarietà. CONCLUSIONI La diagnosi di malattia celiaca rimane una vera e propria sfida per il clinico dal momento che i sintomi di presentazione di questa condizione variano da paziente a paziente. Non esiste in poche parole uno stereotipo classico che fa balzare immediatamente alla mente la celiachia. Proprio per questo motivo, per cercare di far emergere l iceberg ancora sommerso dei pazienti celiaci che devono essere ancora diagnosticati (a metà del 2009 in Italia sono ancora più di 400.000), è fondamentale pensare alla celiachia davanti agli innumerevoli sintomi che possono ricondurre a questa condizione, pur sapendo che si tratta di sintomi compatibili, ma non specifici per l intolleranza al glutine. Una volta che si è accesa la lampadina per una possibile diagnosi, i mezzi oggi a nostra disposizione, a cominciare da una sierologia sempre più sensibile e specifica, ci consentiranno di selezionare quei pazienti che dovremo sottoporre alla biopsia intestinale per la conferma diagnostica. È chiaro che, anche in presenza di una sierologia negativa, ma di un forte sospetto clinico, quale ad esempio una condizione di severo malassorbimento, non ci dovremo fermare, ma dovremo comunque eseguire l esame endoscopico con la biopsia duodenale, perché, come è noto, un 2% dei pazienti celiaci è negativo per ogni tipo di anticorpo correlato alla celiachia. Negli ultimi anni poi è in crescente aumento il numero dei pazienti in cui è difficile stabilire con certezza assoluta il confine fra sensibilità al glutine e una vera e propria celiachia con discor-

danza fra sierologia e istologia, casi in cui spesso anche la genetica non è dirimente. Questi casi vanno tutti affidati ai centri di riferimento per la diagnosi di malattia celiaca, dove gli esperti cercheranno di inquadrarli nel modo migliore possibile alla luce del continuo evolversi delle conoscenze in questo settore. Uno dei punti cruciali che ancora non è stato risolto è l atteggiamento da tenere nei confronti di quei pazienti in cui si giunge alla diagnosi di celiachia potenziale con lesione infiltrativa della mucosa intestinale (senza alterazione del rapporto villi/cripte e con normale morfologia dei villi) e con sierologia positiva altamente predittiva per enteropatia da glutine (presenza di anticorpi antiendomisio). Pur non essendoci regole scritte e linee-guida ben definite per rispondere a questo importante quesito, l atteggiamento giusto da tenere è senz altro quello di mettere a dieta aglutinata i casi di celiachia potenziale sintomatica (identificabili in base al riscontro di anemia, osteopenia/osteoporosi, alterazioni della sfera ginecologica, ipertransaminasemia criptogenetica, iposomia, sintomi gastrointestinali significativi stipsi ostinata con episodi subocclusivi, scariche diarroiche frequenti, patologie extraintestinali criptogenetiche glutine-dipendenti atassia cerebellare, cardiomiopatia dilatativa idiopatica, cirrosi epatica criptogenetica, ecc.) e di lasciare a dieta libera i casi in cui la celiachia potenziale è assolutamente priva di sintomi. Quest ultima condizione, assai frequente fra i casi diagnosticati nell ambito degli screening su popolazione generale aperta e nei familiari di primo grado, deve essere attentamente monitorata con frequenti controlli della sierologia (ogni 3-6 mesi) e, non appena il titolo dei marcatori anticorpali aumenta significativamente bisogna immediatamente procedere all esecuzione di una nuova biopsia duodenale, che nella stragrande maggioranza dei casi documenterà la comparsa di atrofia dei villi intestinali, per la quale verrà prontamente instaurata la dieta senza glutine. Una volta che il celiaco è stato diagnosticato, non deve essere abbandonato a se stesso, ma è necessario programmargli un accurato follow-up con un primo controllo a 6 mesi dalla diagnosi ed i successivi ogni 12-18 mesi. L utilità del follow-up è oramai stata chiaramente validata in quanto attraverso questi controlli sistematici è possibile verificare la compliance del paziente con la dieta aglutinata, verificare la possibile comparsa di alterazioni metaboliche secondarie all atteso aumento del peso corporeo per il migliorato assorbimento e per una dieta spesso sbilanciata per un eccesso di carboidrati e lipidi, riscontrare rapidamente la comparsa di manifestazioni autoimmuni associate, quale la tiroidite autoimmune di Hashimoto (il cui manifestarsi non è prevenuto dalla dieta senza glutine) e soprattutto diagnosticare tempestivamente le complicanze neoplastiche e non neoplastiche della celiachia, il cui trattamento in fase precoce con le opportune terapie spesso consente di ottenere buoni risultati in termini di sopravvivenza e di miglioramento della qualità di vita. In definitiva, la celiachia è senz altro un modello di malattia affascinante, in cui fattori ambientali e autoimmuni si mescolano assieme per causarne la comparsa, e per la quale rimane fondamentale l impegno della classe medica per una diagnosi il più precoce possibile, l unica strada per decretarne una evoluzione del tutto favorevole e per prevenire con certezza quasi assoluta lo sviluppo di complicanze. Bibliografia 1. Di Sabatino A., Corazza G.R.: Coeliac disease. Lancet, 373, 1480-1493, 2009. 2. Kinsey L., Burden S.T., Bannerman E.: A dietary survey to determine if patients with coeliac disease are meeting current healthy eating guidelines and how thier diet compares to that of the British general population. Eur. J. Clin. Nutr., 62, 1333-1342, 2008. 3. Janatuinen E.K., Pikkarainen P.H., Kemppainen T.A., et al.: A comparison of diets with and without oats in adults with coeliac disease. N. Engl. J. Med., 333, 1033-1037, 1995. 4. 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