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Transcript:

Assemblea 100autori 18 giugno 2013 Relazione di apertura Il quadro che abbiamo davanti non è chiaro, è confuso, sfuocato, e ci fa paura per questo. Il quadro è fatto di sensazioni umorali, che ci dicono che troppi di noi non lavorano da troppo tempo. E che troppo pochi si dividono una torta che è sempre più piccola, sempre più di un solo sapore, sempre più invecchiata. Il quadro macroeconomico ci dice di film italiani che tengono, di incassi che a volte salgono e a volte scendono, di contributi pubblici che hanno raggiunto il minimo storico, coperti in parte da tax credit che avanza. Ma ci dicono soprattutto di una monocultura che si è imposta, di un unico modello di audiovisivo, quello ritenuto rassicurante, per un pubblico tranquillo, che si è imposto su questo mercato, e che sta spazzando via tutte le altre voci. Il quadro è fatto di schermi che diventano neri, e di pc, tablet e smartphone che si illuminano con le nostre opere senza che noi possiamo goderne tutti i vantaggi. Il quadro è di un futuro che forse per la prima volta non pensiamo di poter padroneggiare. Il quadro ci mostra per la prima volta la caduta del rapporto di intermediazione tra politica e mondo del lavoro. Per la prima volta, a mia memoria, non so chi si potrebbe occupare dei problemi del nostro comparto, in un parlamento in cui io personalmente non mi vedo rappresentato da nessuno. E che non fa da filtro fra le mie esigenze ed il governo del paese. Che non mi ascolta. E qui comincia la sfida della volontà. E l esperienza di questi ultimi giorni ci dà una mano. La battaglia sull eccezione culturale, per adesso parzialmente vinta grazie al veto francese, ci mostra i pericoli e i punti di forza. I pericoli: il nostro Governo non sa e non vuole sapere. A fronte di un ministro della cultura che, a differenza di molti suoi predecessori, si schiera apertamente per la difesa della cultura il resto del Governo, composto da quelli che, per dirla con il Presidente Napolitano, «hanno i cordoni della borsa», preferisce difendere prosciutti e vestiti alla moda. Pensando che siano la stessa cosa. Allora è chiaro che se si parla di «cultura come petrolio di questo paese», quando lo si dice, si fa demagogia, non si dice la verità. Petrolio nel senso di ricchezza, di fonte energetica e non di inquinamento dell ambiente, del corpo e dell anima. E demagogia, reticenza. Non viene detto che le politiche culturali continuano a non esserci, che lo sviluppo si pensa possa venire ancora dalla meccanica pesante, in crisi in tutto il mondo sviluppato. Dobbiamo ricominciare ad alfabetizzare la

classe dirigente, dopo venti anni di effetti positivi di eccezione culturale, che ha fatto nascere e crescere l industria audiovisiva europea. E dovremo farlo, per tentare di spezzare definitivamente l equazione cinema uguale assistenza, audiovisivo uguale industria debole e superflua. Ma ci sono delle indicazioni che dobbiamo prendere come guida per il nostro lavoro futuro. Per prima cosa abbiamo rimesso in campo gli autori, in Italia come in tutta Europa. La nostra voce si è fatta sentire, forte e chiara, insieme a quella dei produttori e della industria dell audiovisivo. Per la prima volta in Italia, Rai e Mediaset erano con noi a difendere quello spazio che è anche il loro, e che fino ad oggi hanno svenduto ad un presunto mercato che non si è mai autoregolato. Abbiamo rimesso in piedi la nostra rete nazionale ed internazionale di comunicazione, abbiamo richiamato al dovere di difendere tutta la categoria quei registi che potrebbero fare a meno di cercare difese, e che invece si sono spesi per tutti e hanno dato forza alla protesta. Abbiamo fatto riscoprire in Italia che si può essere famosi e maestri incontrastati come Costa Gavras, e continuare a fare politica per il bene di tutti. Abbiamo capito che le politiche dell audiovisivo si fanno più in Europa che in Italia, e che quel territorio lo dobbiamo presidiare con intelligenza, appoggiandoci alle nostre associazioni europee, FERA in primo luogo, ma cercando convergenze con le altre, che fino ad oggi facevano da sole. Questa esperienza ha ricreato un network europeo che soltanto la crisi riesce a mettere in piedi, e che sta oggi a noi mantenere vivo. Abbiamo, possiamo dirlo con orgoglio, spinto alla internazionalizzazione anche i settori dell industria italiana che più ne sono fuori. Questo ha portato ad un altro rinascimento europeo, grazie anche al lavoro intelligente e generoso di chi, come Daniele Luchetti, si è lasciato coinvolgere e ha preso in mano la bandiera dei diritti dell Europa a esprimere le proprie linee culturali. Mentre stava cominciando il mix del suo film! Grazie, Daniele!!! Ma quello che viene fuori da questa battaglia, il suo distillato più prezioso, è il cambio di prospettiva che ci dobbiamo imporre. Partiamo da un dato di fatto e cerchiamo di prospettare le linee su cui dobbiamo confrontarci, tra di noi e con le altre associazioni. I film e la fiction, così come sono pensati e realizzati, ad oggi non sono più remunerativi. È caduto il valore centrale della sala e non è stato ancora sostituito da altri proventi. Le televisioni generaliste vivono la più grande crisi economica ed identitaria da quando il mezzo è stato inventato. E il buco che lasciano nel finanziamento dei film non è stato ripianato da nessun altro. La fiction subisce i tagli imposti dal calo della raccolta pubblicitaria, ma soprattutto da un modello organizzativo e produttivo che tiene ancora i due grandi broadcaster legati a strutture elefantiache che dissipano danaro e non

creano nuove occasioni di guadagno legate soprattutto ai nuovi canali di diffusione. La fiction non viene percepita dai broadcaster come investimento sul prodotto che genera ricavi, e rimane per lo più dentro i confini nazionali, aumentando il deficit con le importazioni di prodotti esteri, che sanno innovare e creare modelli non solo produttivi. Internet è un futuro che ancora ci risulta vago, se non oscuro. E in questa situazione i pochi produttori che riescono a produrre lo fanno pensando a come limitare le perdite, non a come trovare strade nuove. I centri decisionali, nel cinema come dovunque in questo paese, sono bloccati, vecchi, sclerotizzati, ancorati a vecchi modelli di business e a contenuti e stili narrativi in rapida obsolescenza. E non capiscono molto di quello che sta accadendo. È da qui che dobbiamo partire, anzi, ripartire, perché il modo per difendere chi oggi non lavora, per difendere il cinema che ci piace fare e vedere, il modo per ritornare creativi e legati al racconto della nostra società, è non lasciare nulla com è stato fino ad oggi. Non voglio risultare velleitario, ma penso che tutta la sfida che oggi abbiamo davanti si risolva in buona misura su di un tema che ai più, in un momento di crisi, può sembrare lontano: la riappropriazione dei nostri diritti. Intesa come diritto ad esprimerci, diritto a dire la nostra sulla scelta delle storie, diritto ad autoregolamentarci, diritto a esprimere politiche culturali e di sviluppo del settore. Ma soprattutto diritto d autore. Dobbiamo ricominciare e portare fino in fondo la battaglia per la piena riacquisizione dei diritti primari e secondari, e convincere i produttori che questa è anche la loro battaglia. Durante questi mesi ci siamo chiesti se e come ritornare, per esempio, ad un confronto con i vertici Rai, con Rai Fiction e Rai Cinema. Ma abbiamo temuto lo stanco rituale: incontro con i vertici, documenti pensati per costituire indicazioni per un cambio di rotta, ascolto attento e sorpreso da parte degli interlocutori, e poi, più o meno chiaramente, la risposta: «Sì, tutto bello, però lasciateci lavorare»! Fino ad oggi è andata così. E non so perché dovrebbe cambiare oggi, in assenza per di più di una classe dirigente che sappia cogliere il bisogno di innovazione. E allora ci siamo detti, all insediamento del nuovo direttivo, che dobbiamo trovare il grimaldello adatto a spezzare l autosufficienza dei broadcaster, che ad oggi sono quelli che detengono il potere, decisionale e produttivo. E ancora una volta ci siamo ricordati di Francesco Scardamaglia e della sua idea: cassaforte dei diritti.

Da lì dobbiamo ripartire. Riprenderci i diritti, e con questi ben protetti e ben custoditi, negoziare linee produttive oltre che nuovi compensi. È così che la battaglia dei pochi che oggi lavorano diventa battaglia per tutti. Se chi oggi deve sottostare alle imposizioni di chi ci dà lavoro si ribella e lotta per un diverso sistema ideativo e produttivo, allora il quadro cambia per tutti. Si allargano le basi produttive perché si rinegoziano i singoli diritti per le singole piattaforme. È Google che ci indica la strada, oggi però alle sue condizioni. Trattando dalla sua posizione dominante sul mercato internazionale, ci indica che la strada dello spacchettamento dei diritti e la loro valorizzazione uno per uno è la strada del futuro. I produttori stanno iniziando a capire che questo vuol dire ritorno ai guadagni diffusi, e non sottomissione al diktat di chi ti compra a sempre meno tutti i diritti per periodi di sfruttamento lunghissimo, e per di più non sa valorizzarli. Da qui, secondo me, ripartono tutti gli altri discorsi, che 100autori ha fatto da tempo e che deve adesso adeguare ai tempi. Siamo stati tra i primi a parlare di nuove forme distributive, tra i primi a chiedere linee editoriali diverse per diversi prodotti e diversi pubblici, a chiedere la riapertura del mercato delle tv e delle distribuzioni a documentari, animazione e nuovi formati per il web, tra i primi a chiedere un cambio nell esercizio, con la valorizzazione delle sale dei centro storici legata però alla programmazione di prodotto europeo. Siamo stati i primi a chiamare tutti gli altri autori ad una diversa gestione della Siae, all apertura di quell arbitrato con Rai e di quel contenzioso con Sky che altrimenti non ci sarebbe stato. Siamo stati e siamo in prima fila nella lotta alla pirateria, che oggi passa sì da un indispensabile regolamento di AGCOM, ma anche e soprattutto da una discussione e regolamentazione europea sui diritti transfrontalieri sul web. Ma per poter andare avanti dobbiamo necessariamente, se crediamo che la questione dei diritti sia quella decisiva, rafforzare l intesa con le altre componenti autoriali, per prima cosa, e poi con gli altri protagonisti del nostro mondo, produttori in testa. C è da fare una battaglia anche culturale, che abbiamo sempre fatto e che ci viene riconosciuta. Noi, che per il lavoro che facciamo siamo più aperti al futuro e alla progettualità di più ampio respiro, dobbiamo spingere tutti a ripensare i modi di finanziamento dell audiovisivo, dobbiamo far capire che il sostegno pubblico è indispensabile per il nostro settore, ma va declinato in forme diverse, che dobbiamo noi per primi suggerire e, se necessario, imporre, anche con accordi separati con i singoli soggetti produttivi, il doveroso reinvestimento nella produzione dei profitti di chi usa l audiovisivo per i propri legittimi affari. E che questi investimenti diventino idee editoriali, linee produttive nuove, aperture a mezzi di trasmissione e diffusione diversi, giustamente valorizzati, in modo tale da diventare remunerativi. È questo un modo per superare i vecchi discorsi, per esempio su selettività e/o automatismo del finanziamento pubblico,

per sgombrare il campo da commissioni selezionatrici che ci hanno sempre visto critici per la loro composizione ed autorevolezza. È un modo per raccogliere più finanziamenti, provenienti da più fonti, che generano racconti diversi e soddisfano pubblici diversi. La ritrovata sanità dell ecosistema dell audiovisivo e la sua sostenibilità passano dalla consapevolezza che dal famoso tunnel si esce soltanto se si decide, tutti insieme, di trasformare completamente il mondo in cui faticosamente viviamo. E che non ci piace più, così com è. Maurizio Sciarra