Filiera Carne 1. Le tendenze generali del comparto



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Filiera Carne 1. Le tendenze generali del comparto Nel panorama agroalimentare italiano il comparto zootecnico da carne riveste un ruolo centrale rappresentando il 65% del valore della produzione ai prezzi di base dell insieme degli allevamenti, il 23% del comparto primario e poco meno del 25% del valore totale dell industria agroalimentare (ISMEA 2004). La fase produttiva e distributiva della filiera impegna un numero considerevole di operatori. I dati indicano, infatti, circa 676 mila aziende d allevamento, 3 mila impianti di macellazione, 4 mila stabilimenti di lavorazione delle carni, 13 mila punti vendita della distribuzione moderna e circa 40 mila macellerie. Il quadro regionale indica, negli ultimi dieci anni, una riduzione del patrimonio zootecnico che ha interessato tutte i comparti della filiera sia in termini di capi allevati, sia per numero di aziende. In particolare si è registrata una diminuzione delle aziende con allevamenti zootecnici pari al 28% rispetto al 1990. Nel 2004, inoltre, il comparto carni con circa 372,3 Mil. di assorbe il 14,5% del valore della produzione agricola regionale ai prezzi di base (ISTAT). Le motivazioni di tale riduzione vanno ricercate nelle dinamiche socio economiche verificatesi nel settore zootecnico regionale, nella situazione congiunturale regionale e nazionale, e nelle varie crisi ed epidemie che hanno notevolmente condizionato le dinamiche mercantili. Tali situazioni, pur essendo settoriali, carne bovina piuttosto che latte bovino, sono differenti solo in merito a dinamiche e cause, mentre sempre comuni sono gli effetti poiché si ha sempre una riduzione del margine economico delle aziende e maggiori difficoltà alla produzione. In alcuni casi, tuttavia, il condizionamento è stato tanto notevole da rendere necessario policy di intervento straordinario, verso il tentativo di risolvere o attutire gli impatti e gli effetti altrimenti catastrofici, come nel caso del comparto bovino da carne con la crisi BSE, il settore ovino con la blue tongue o l influenza aviaria per l avicolo. Continuando, differenziazioni sostanziali sono rinvenibili nelle dinamiche tra i diversi comparti della filiera della produzione e commercializzazione delle carni. L allevamento bovino da carne Laziale, ad esempio, con circa 267.000 capi si colloca al settimo posto nella graduatoria nazionale (circa 4% della composizione del patrimonio bovino totale) distaccato dalle realtà più rappresentative del nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna) ma subito a ridosso dell Italia Insulare nel caso di Sicilia e Sardegna. (ISMEA 2002).

Il comparto suinicolo, di pari passo, si presenta sicuramente meno importante di quello bovino ma assolutamente non trascurabile per il volume di prodotto fresco e trasformato commercializzato in regione. È opportuno sottolineare che gran parte della carne utilizzata nella filiera industriale dei prodotti suinicoli viene prodotta e macellata fuori dai circuiti regionali in funzione della competitività dei costi d acquisto maggiore se raffrontata a quella locale. In definitiva, una diversificazione delle opportunità di riqualificazione e valorizzazione della zootecnia da carne regionale sembrerebbe auspicabile. In linea con le tendenze di molte aree centro meridionali italiane, il comparto regionale conferma il paradosso secondo cui nonostante un ritmo del consumo delle carni ancora sufficiente a garantire in parte sostenibilità nel reddito del comparto, gli allevatori trovano serie difficoltà nella commercializzazione degli animali allevati o nel recuperare quote di valore aggiunto lungo le fasi a valle della catena produttiva. 2. Il contesto generale Secondo le rilevazioni ISTAT (Valore aggiunto ai prezzi di base per regione) nel 2004 la zootecnia ha occupato una quota percentuale pari al 26% della produzione agricola laziale valutata ai prezzi di base. In tale conteso, la PLV di carne, pur passando dai 367,7 milioni di Euro del 1997, ai 372,1 del periodo 1998/2000, per attestarsi intorno ai 380,4 milioni di euro nel 2003, risulta di fatto stabilmente ferma al 4% come incidenza relativa sulla PLV nazionale, quale segno di una contrazione del settore che affonda le sue radici nelle difficoltà che si registrano a livello nazionale. Durante il corso dell ultimo intervallo intercensuario si è assistito ad una ristrutturazione del comparto che trova ragione sia nella riduzione della dimensione degli allevamenti in termini di capi allevati, ad eccezione della voce bufalini che fa registrare un incremento percentuale superiore ai cento punti, che nella riduzione del numero di aziende (-28%). In merito a quest ultimo dato si deve sottolineare come il decremento nel numero di allevamenti regionali si sia mantenuto leggermente al di sotto dei valori nazionali (-35,2%). In base ai dati dell ultimo censimento ISTAT, nel Lazio si contano 68.721 aziende agricole con allevamenti (il 32% delle aziende agricole regionali include un allevamento zootecnico). Il dato medio regionale nasconde una situazione abbastanza eterogenea a livello di singole province. A Frosinone e a Rieti gli allevamenti incidono maggiormente sul tessuto produttivo provinciale, in queste due province, infatti, il 60% ed il 43% delle aziende agricole alleva almeno una specie di bestiame. Diversa la situazione in provincia di Roma e Viterbo, dove la numerosità degli allevamenti rispetto al totale aziende agricole appare molto più ridotta. A Latina, infine, il peso relativo delle aziende zootecniche sul totale provinciale è del 17%.

Se si guarda alle rilevazioni ISTAT relative alla numerosità degli allevamenti per specie di bestiame, il dato che maggiormente colpisce è l elevata presenza, in provincia di Frosinone, di quasi tutte le categorie produttive con la conseguente mancanza di specializzazione territoriale. Benché tale aspetto rappresenti spesso un vantaggio in situazioni congiunturali avverse, impedendo che l intero comparto produttivo entri in crisi, la stessa costituisce un punto di debolezza, in quanto diventa più difficile organizzare ed aggregare l offerta e, quindi, rafforzare la posizione degli allevatori nei confronti degli operatori dei segmenti a valle della fase produttiva e perseguire obiettivi comuni. Si noti inoltre come nella provincia di Frosinone sia particolarmente sostenuta l incidenza di aziende con allevamenti di suini e di avicoli che, a fronte di 46.148 allevamenti censiti occupano una quota percentuale vicino al 74% del totale provinciale. In definitiva alla data del V Censimento generale dell agricoltura nella Regione Lazio: - gli allevamenti con bovini sono 10.872, di cui il 43% geograficamente localizzati nella provincia di Frosinone, anche se il primato per il numero di capi appartiene alla provincia di Roma che con 74.384 bovini detiene una quota vicina al 31% della distribuzione regionale.; - le aziende con allevamenti ovini assommano a 13.037 con una consistenza pari 636.499 capi, di cui il 45,3% (288.618) localizzato nella provincia di Viterbo, seguita da Roma che con 155.618 capi censiti, incide per il 24,4% sulla consistenza regionale. - gli allevamenti con caprini ammontano a 3.442 con 38.849 capi in totale. È Frosinone a detenere la leadership sia per il numero di aziende (2.122) che in ordine alla consistenza di capi (35,3% del totale); - le aziende che allevano suini sono 18.881 con 89.206 capi (pari a 4,7 capi/azienda contro i 44 registrati a livello nazionale). Gli allevamenti regionali orientati all ingrasso interessano il 97% circa del totale censito per questa voce, contro il 93% su scala nazionale. L allevamento risulta diffuso in tutta la Regione, con forte incidenza nella provincia di Frosinone (65,6% del totale regionale). - le aziende con allevamenti avicoli, infine, sono 58.907, di cui 40.735 con allevamenti di pollo da carne.

Tab.1: Aziende con allevamenti e relativi capi di bestiame (2000 e var % 1990-2000) Aziende con allevamenti Bovini Bufalini Suini Ovini Caprini Equini Avicoli Frosinone 4.666 362 12.402 7.399 2.122 1.653 33.746 Latina 1.491 261 671 464 372 321 4.383 Rieti 1.968 5 2.991 2.057 333 1.285 7.855 Roma 1.793 15 1.472 1.561 402 1.849 7.446 Viterbo 954 4 1.345 1.556 213 888 5.747 Lazio 10.872 647 18.881 13.037 3.442 5.996 59.177 Var % 1990-2000 -55,1-16,5-52,6-39,6-46,6-32,9-29 Italia 171.853 2.246 195.325 96.939 48.561 48.661 521.539 Var % 1990-2000 -46 5,2-45,3-40,6-46,8-32,6-36,9 Capi di bestiame Bovini Bufalini Suini Ovini Caprini Equini Avicoli Frosinone 41.729 11.389 31.808 78.867 13.696 4.359 1.087.034 Latina 54.261 20.679 13.116 28.442 9.413 1.859 248.644 Rieti 31.791 500 8.341 84.954 4.858 4.799 210.046 Roma 74.384 715 13.526 155.618 6.382 8.129 390.687 Viterbo 37.292 235 22.415 288.618 4.500 3.649 1.386.280 Lazio 239.457 33.518 89.206 636.499 38.849 22.795 3.322.691 Var % 1990-2000 -26,8 123,3-50,7-28,1-25,4-25,5-15,5 Italia 6.046.506 181.951 8.614.016 6.808.900 923.402 184.731 171.343.324 Var % 1990-2000 -21,2 112,6 2,5-22,1-26,7-18,1-1,2 Fonte: ISTAT- IV-V Censimento agricoltura Ad ulteriore approfondimento del quadro strutturale delineato si possono prendere ad analisi le rilevazioni statistiche divulgate dalle ASL Regionali che, in data 31/08/2005 attribuiscono alle aziende da carne un peso relativo del 37,73% sulla zootecnia totale regionale. Gli allevamenti ad orientamento misto, secondo tali dati, occupano il 53,17% del campione regionale, ben al di sotto del dato relativo nazionale (13%). L incidenza delle aziende zootecniche da latte sul patrimonio complessivo laziale, infine, si attesta sui 6,9 punti percentuali (29,61% su scala nazionale). Tab.2: Consistenza allevamenti al 31/08/2005 TIPOLOGIA DI ALLEVAMENTO Frosinone Latina Rieti Roma Viterbo Lazio Italia Allevamenti aperto con almeno un capo: 100 100 100,01 100 100 100 100 Da carne 13,59 18,37 74,03 63 58,79 37,73 54,61 Da latte 2,56 6,2 12 11 9,72 6,85 29,61 Misti 81,56 74,32 11,02 23 30,25 53,17 13,01 Senza tipologia produttiva 2,29 1,11 2,96 3 1,24 2,25 2,77 Fonte: Aziende Sanitarie Locali In merito alla forma di conduzione aziendale, i dati censuari diffusi dall ISTAT indicano nel 2000 la forte diffusione della conduzione diretta del coltivatore che, con un peso sul totale censito compreso tra il 97% e 99%, incide su tutte le voci produttive ad eccezione dei bufalini dove fa segnare l 88,9% del totale (11,2% conduzione con salariati). Nell ambito delle aziende con

allevamenti condotte direttamente dall agricoltore, la manodopera familiare trova ampia diffusione all interno di tutte le tipologie (bovini 93,3%, suini 96%, avicoli 99%, ovini 95%) a testimonianza di una struttura produttiva di piccole dimensioni caratterizzata da scarso grado di specializzazione, elevata disarticolazione ed evidenti carenze organizzative. Tab.3: Aziende con allevamenti per specie di bestiame, forma di conduzione (2000) Aziende con allevamenti Bovini Bufalini Ovini Caprini Suini Avicoli Equini Conduzione diretta del coltivatore 10.654 575 12.928 3.413 18.754 58.566 5.821 Con solo manodopera familiare 9.945 525 12.225 3.202 17.988 58.018 5.340 Con manodopera famliare prevalente 586 35 623 188 701 2.255 362 Con manodopera extra-famliare prevalente 123 15 80 23 65 293 119 Conduzione con salariati 217 72 103 28 119 326 170 Altre forma di conduzione 1 6 1 8 15 5 Totale 10.872 647 13.037 3.442 18.881 59.177 5.996 Fonte: ISTAT La produzione di carne regionale valutata ai prezzi di base nel 2004 si attesta intorno ai 372,4 Mil. di euro con un crescita relativa rispetto all anno 2000 di appena 1,3 punti percentuali (ISTAT). Un analisi più approfondita conferma la tendenza di tenuta del valore della produzione. I dati indicano infatti che mediamente nel quadriennio 2001-.2004 la produzione di carne regionale ha registrato un valore vicino ai 373,1 mil. di euro con un incremento percentuale rispetto al periodo 1997-2000 di appena 0,57 punti, in disarmonia con i dati fatti segnare su scala nazionale che indicano una ripresa del 8,94 nello stesso intervallo temporale Come accennato in precedenza, inoltre, stabile l incidenza della Plv regionale sul totale nazionale (intorno al 4%) durante entrambe i quadrienni.

Tab.4: Valore della produzione carni. Medie 1997-2000; 2001-2004, var% Carne (Valori in 000 di euro correnti) Media 1997-2000 Media 2001-2004 Variazione % Contributo (%) regionale al comparto, media 1997-2000 Contributo (%) regionale al comparto, media 2001-2004 Lazio 371.019,15 373.159,48 0,57 4,36 4,03 Italia 8.507.380 9.268.286,28 8,94 100 100 Fonte: ISTAT Valore aggiunto ai prezzi di base dell agricoltura per regione Nel 2004, secondo le rilevazioni diffuse dall ISTAT (Valore aggiunto ai prezzi di base dell agricoltura per regione), la quantità di carne prodotta nel Lazio (bovini, suini e pollami) ammonta a circa 1.350 migliaia di quintali, con un incidenza sul totale Italia di 2,74 punti percentuali. Prendendo come riferimento temporale l intervallo 1997-2004, i dati indicano che, a fronte di un passaggio dai 1.396 migliaia di quintali prodotti nel quadriennio 1997-2001 a poco oltre i 1.350 del periodo 2001-2004, la produzione dei volumi di carne regionale segna un -3,26% discostandosi di circa 6 punti percentuali dai valori nazionali che nello stesso intervallo temporale fanno registrare un +3%. Disaggregano il dato a livello di singole voci produttive, è interessante osservare come la contrazione richiamata a livello generale sia esclusivamente imputabile alla voce bovini che nel passaggio tra i due quadrienni studiati perde circa 10,20 punti percentuali (-15,4% a livello nazionale). In controtendenza, rispetto a tale dato, la carne di pollame (+0,98%) e soprattutto la voce suini che, a fronte di una crescita delle quantità prodotte vicina ai tremila quintali, fa segnare nello stesso periodo un incremento relativo del 9%, confermando il forte peso produttivo all interno della zootecnia da carne regionale. Tab.5: Produzione di carne. Medie 1997-2000; 2001-2004, var% (quantità in migliaia di quintali) Carne (quantità migliaia di quintali) Carni bovine Carni suine Media 1997-2000 Media 2001-2004 Variazione % Contributo (%) regionale al comparto, media 1997-2000 Contributo (%) regionale al comparto, media 2001-2004 Lazio 772,50 693,50-10,22 4,76 4,34 Italia 16.245 15.994,00-15,40 100 100 Lazio 341,75 372,5 9,00 2,00 2,00 Italia 17064,75 18600,75 9,00 100 100 Lazio 281,75 284,5 0,98 2,00 2,00 Pollame Italia 14065,00 14227,00 1,15 100 100,00 Lazio 1.396,00 1.350,50-3,26 2,95 2,77 Italia 47.375,00 48.821,75 3,05 100 100 Fonte: ISTAT

I dati relativi alla macellazione, pur rappresentando solo una stima delle quantità prodotte, consentono di approfondire l analisi valutativa sul peso delle diverse voci produttive all interno del comparto. In tal senso possono essere presi come riferimento le rilevazioni dell ISMEA relative alle campagne 2001 e 2002. Tali rilevazioni, possono essere lette come una stima per eccesso delle quantità vendibili di carne. Il peso morto, infatti, è comprensivo della percentuale di grasso contenuto nella carcassa degli animali, percentuale che non va inclusa nelle quantità vendibili. In termini quantitativi, la produzione più importante è quella di carni suine (48.045 tonnellate nel 2002), con un incidenza percentuale sul totale macellato del 54,5%. Seguono le carni bovine e bufaline. Rispetto al totale nazionale, le quantità macellate nel Lazio, che secondo le valutazioni ISMEA fanno registrare globalmente 88.218 tonnellate nel 2002 (3,12% sul totale nazionale) assumono un peso significativo solo riguardo agli ovicaprini (15,3%), la cui provenienza sembra principalmente riferibile alla provincia di Viterbo. Particolarmente elevato, invece, appare il peso del capoluogo per la macellazione di carni suine ed equine. I dati relativi alla macellazione di bovini (e bufalini) indicano l'esistenza di un maggiore equilibrio in termini di quantità macellate tra le diverse province laziali, a dispetto delle differenze interprovinciali in termini di struttura degli allevamenti e consistenza del bestiame. Tab.6: la ripartizione regionale delle macellazioni (2001-2002, var %) CARNE Peso morto (t) Numero di capi Variazione % 2001 2002 2001 2002 Variazione % Bovini Lazio 27.328 28.144 3,0% 105.316 109.597 4,1% Italia 1.131.963 1.132.764 0,1% 4.253.722 4.332.237 1,8% Suini Lazio 47.762 48.045 0,6% 384.524 390.993 1,7% Italia 1.516.858 1.536.713 1,3% 13.153.134 13.266.784 0,9% Ovicaprini Lazio 10.910 9.636-11,7% 1.117.380 1.011.766-9,5% Italia 66.142 62.858-5,0% 7.169.740 6.934.933-3,3% Equini Lazio 2.962 2.393-19,2% 12.491 10.336-17,3% Italia 62.872 45.655-27,4% 278.282 199.090-28,5% Totale Lazio 88.962 88.218-0,8% 1.619.711 1.522.692-6,0% Italia 2.777.835 2.777.990 0,01% 24.854.878 24.733.044-0,5% Fonte: elaborazioni ISMEA su dati ISTAT In base all ultimo censimento ISTAT (2001), nel Lazio si registrano 144 imprese di produzione, lavorazione e conservazione di carne e prodotti a base di carne (3,8% del totale nazionale), con un incidenza sul totale regionale industrie alimentari e delle bevande di circa 3,9 punti percentuali. Gli addetti sono invece 2.612 (4,52% del totale nazionale). Durante l intervallo temporale compreso tra gli ultimi due censimenti ISTAT, le imprese laziali appartenenti al settore decrescono ad un ritmo relativo di circa 4,6 punti percentuali. Variazione negativa anche sul fonte

del numero di addetti che nello stesso arco temporale perdono circa 2,3 punti percentuali. Il 74% delle imprese di produzione, lavorazione e conservazione di carne e prodotti derivati, impiega inoltre meno di 9 addetti, anche se, proprio in questo comparto, si individuano imprese che si collocano tra le prime posizioni per numero di dipendenti e fatturato. Ciononostante, si deve sottolineare la debolezza del tessuto cooperativo; tra le forme giuridiche delle imprese ad oggetto prevalgono infatti le società di capitali (41%) mentre le cooperative rappresentano appena il 6%, con insufficienti livelli di capitalizzazione, un numero ridotto di soci per cooperativa e bassi livelli di fatturato. Tab.7: struttura della trasformazione: imprese, addetti, addetti/impresa. Produzione, lavorazione e conservazione di carne e di prodotti a base di carne Lazio Italia 1991 2001 Var. % 1991 2001 Var. % Imprese (n.) 151 144-4,60% 3.758 3.672-2,29% Addetti (n.) 3.380 2.612-22,72% 56.081 57.769 3,01% Addetti/impresa (n.) 22,38 18,14-18,96% 14,92 15,73 5,42% Imprese (n.) 3.323 3.679 10,71% 61.903 66.936 8,13% Industrie alimentari Addetti (n.) 24.172 26.462 9,47% 466.146 446.785-4,15% e delle bevande Addetti/impresa (n.) 7,27 7,19-1,12% 7,53 6,67-11,36% Fonte: elaborazioni ISMEA su dati ISTAT Sul fronte degli scambi con l estero, la bilancia commerciale regionale si presenta strutturalmente deficitaria, in quanto nel 2002 le esportazioni in valore, considerando la voce carni refrigerate escluso volatili e conigli, si attestano appena al 3% delle importazioni. Le spedizioni di carni refrigerate, pur facendo segnare un trend crescente durante il quinquennio 1998-2002, a fronte di un passaggio da circa 7,5 Mil di euro a poco oltre gli 8,3 Milioni, non sono riuscite minimamente a controbilanciare gli arrivi, come attesta il deficit nel saldo valutativo al 2002 (-252 milioni di euro). Le importazioni in valore di carni bovine/bufaline sono diminuite nell arco temporale considerato, facendo registrare un decremento vicino al 36%. Decrescono anche gli arrivi di carni ovicaprine (-19%) e suine (-3,58%). Situazione opposta in merito alla voce prodotti a base di carne anche conservata. I dati ISMEA, infatti indicano un saldo valutativo in attivo nel 2002 (34,8 Milioni di euro) in seguito ad un forte flusso regionale di tali prodotti verso i mercati esteri valutato intorno ai 44,6 Milioni di euro.

Dal 1998 al 2002, infine, le importazioni in volume di volatili e conigli sono quasi triplicate (+289%) a fronte di una diminuzione del loro valore unitario (per tonnellata) del 40%. Tab. 8: Commercio estero regionale di carni (valori in 000 euro - annate 1998, 2000, 2002) 1998 2000 2002 Tendenza 1998-2002 Import. Esport. Saldo Import. Esport. Saldo Import. Esport. Saldo Import. Esport. Saldo carni bovine e bufaline 11.486,12 n.d n.d 29.019,87 n.d. n.d. 7.377,64 n.d. n.d. - n.d. n.d. carni suine 7.139,84 0 n.d. 7.447,79 - n.d. 6.884,02 o n.d. - n.d. n.d. carni ovicaprine 52.224,43 0 n.d. 40.818,99 1.598,71-39.220,28 42.213,11 129,94-42.083,17 - n.d. n.d. carni refrigerate escluso volatili e conigli 282.748,27 7.470,70-275.277,57 297.608,31 9.118,70-288.489,61 260.120,29 8.130,92-251.989,37 - + + prodotti a base di carni anche conservata 9.095,54 40.006,15 30.910,61 8.912,14 40.465,97 31.553,83 9.872,77 44.620,70 34.747,93 + + + Fonte: Elaborazioni ISMEA su dati ISTAT Per quanto attiene ai canali di acquisto, infine, a livello regionale, nel comparto di carne e derivati si rileva, al pari di quanto accade su scala nazionale, una concentrazione leggermente marcata rispetto ad altri comparti. Infatti, secondo i dati diffusi da ISMEA (Rapporto sui consumi alimentari in Italia) nel 2004 i canali tradizionali, e in dettaglio le macellerie, rivestono ancora un ruolo di primo ordine, a fronte di un contributo del 25% dei volumi e del 27% dei valori complessivi. Tale quota, tuttavia, è andata assottigliandosi durante il corso dell ultimo quinquennio, come confermano le rilevazioni sulle vendite che fanno registrare mediamente un calo di 7,5 punti percentuali all interno di questa tipologia di canale distributivo. Attraverso la distribuzione moderna transita attualmente il 70% del venduto valutato sia in valore che in volume. 3. Le produzioni di qualità Il Vitellone bianco dell Appennino centrale IGP L'area geografica di produzione della carne di "Vitellone Bianco dell'appennino Centrale" e' rappresentata dal territorio delle province collocate lungo la dorsale appenninica del Centro - Italia. Più precisamente la zona di produzione nel Lazio e' rappresentata dai territori delle province di Frosinone, Rieti, Viterbo.

La carne di Vitellone Bianco dell'appennino Centrale, ad oggi commercializzata per il 52% dalla GDO e per il 48% in negozi specializzati, e' prodotta da bovini, maschi e femmine, di pura razza Chianina, Marchigiana, Romagnola, di età compresa tra i 12 e i 24 mesi. Dalla nascita allo svezzamento, e' consentito l'uso dei seguenti sistemi di allevamento: pascolo, stabulazione libera, stabulazione fissa. Nelle fasi successive allo svezzamento e fino alla macellazione, i soggetti devono essere allevati esclusivamente a stabulazione libera o a posta fissa. I vitelli devono essere allattati naturalmente dalle madri fino al momento dello svezzamento. Successivamente la base alimentare e' rappresentata da foraggi freschi e/o conservati provenienti da prati naturali, artificiali e coltivazioni erbacee tipiche della zona geografica indicata; in aggiunta, e' permesso l'uso di mangimi concentrati semplici o composti e l'addizione con integratori minerali e vitaminici. La razione deve comunque essere calcolata in modo da assicurare livelli nutritivi alti o medio alti (maggiori di 0.8 U.F./Kg di S.S.) ed una quota proteica compresa tra il 13% ed il 18% in funzione dello stadio di sviluppo dell'animale. Nei quattro mesi che precedono la macellazione e' vietato alimentare il bestiame con foraggi insilati e sottoprodotti dell'industria. La macellazione deve avvenire in mattatoi idonei, situati all'interno della zona di produzione; al fine di evitare l'instaurarsi di fenomeni di stress nell'animale, particolare cura va prestata al trasporto ed alla sosta prima della macellazione evitando l'utilizzo di mezzi cruenti per il carico e lo scarico degli automezzi e la promiscuità, sia nel viaggio che nella sosta, di animali provenienti da allevamenti diversi. La refrigerazione delle carcasse deve essere effettuata in modo tale da evitare il fenomeno della contrattura da freddo. I parametri qualitativi medi della carne di Vitellone Bianco dell'appennino Centrale devono essere: - ph fra 5.2 e 5.8 - estratto etereo (sul t.q.) inferiore al 3% - ceneri (sul t.q.) inferiore al 2% - proteine (sul t.q.) maggiore del 20% - colesterolo inferiore a 50 mg/100 g - rapp. ac. grass. ins./sat maggiore di 1,0 - calo a fresco minore del 3% - calo alla cottura minore del 35% - grado di durezza (crudo) minore di 3.5 Kg/cmq - grado di durezza (cotto) minore di 2.5 Kg/cmq

- colore (luce diur. 2667K L superiore a 30 C superiore a 20 H compreso fra 2.5 e 4.5. Altre produzioni Sempre in merito alle produzioni zootecniche di qualità rientranti nella categoria carne bovina, si segnala la recente richiesta di riconoscimento del Vitellone della Maremma DOP. La razza Maremmana è discendente della razza grigia della steppa o Podolica. Tale razza, rustica e frugale ha contraddistinto per secoli le zone paludose della Maremma e si dimostra particolarmente adatta all'allevamento allo stato brado in ambienti marginali. Le caratteristiche organolettiche della carne prodotta (sanguigna e dura rispetto alle altri carni), la contrazione dei capi (la maremmana rientra tra le razze a rischio di estinzione), la minore resa al banco dei capi di razza maremmana rispetto ad altre più produttive, più una serie di problematiche connesse al ciclo produttivo (crescita, ingrasso e lavorazione) ne hanno comunque condizionato l affermazione sul mercato nel corso degli anni a favore di altre tipologie di prodotto (carni bovine francesi o altre carni italiane) Sono stati i recenti impulsi dettati dall introduzione della zootecnia biologica, uniti alle caratteristiche morfologiche dei capi, idonee ad ambienti caldi ed ostili, ad aver suscitato nuovi interessi intorno al bovino Maremmano. Proseguendo lungo tale ragionamento, è stato il recente riconoscimento di qualità superiore da parte del consumatore nei confronti di produzioni agroalimentari che, oltre a tecniche produttive più rispettose dell ambiente e a materie prime qualitativamente eccellenti, si identificano in requisiti specifici di naturalità e salubrità trasferiti al prodotto dal territorio di origine, a rafforzare il ruolo dell allevamento estensivo da carne nello sviluppo dell attività primaria all interno dei confini regionali. Sicuramente meno importante di quella bovina ma non trascurabile per il volume di prodotto fresco e trasformato commercializzato in regione è la carne di suino. Il comparto risulta infatti particolarmente attivo nella riconversione di molte aree regionali in cui si punta alla produzione tradizionale ed ecocompatibile. Si pensi in tal senso all espansione nazionale dei prodotti suinicoli derivati da capi allevati allo stato brado, alla ristorazione agrituristica ed al prodotto biologico. Inoltre come testimoniano alcune recenti opportunità (si pensi al modello proponibile nel comprensorio Aurunci/Ausoni in funzione della Salsiccia di Monte San Biagio DOP in istruttoria presso il MIPAF), il comparto può costituire un interessante fonte di reddito per aziende promiscue vegetale - zootecnico. Continuando si segnalano, tra i prodotti a base di carne la cui qualità risulta attestata da un disciplinare di produzione rispondente agli standard comunitari, i Salamini Italiani

alla cacciatora DOP che, a fronte di un ampio areale di produzione, trovano diffusione anche tra i confini regionali. Si tratta di salumi di piccole dimensioni, prodotti con carne di suini, asciutti e compatti, caratterizzati da un colore rosso rubino, nei quali i granelli di lardo sono distribuiti in maniera uniforme. La materia prima è costituita principalmente da carni magre derivanti dalla muscolatura striata delle carcasse di suino, grasso suino duro, sale, pepe a pezzi o macinato e aglio. In altri comparti, infine, l eccessiva concentrazione determina crescenti difficoltà ad affrontare percorsi di qualificazione, come ad esempio il caso del biologico nel settore ovicaprino in cui il Lazio, pur a fronte di numeri importanti a livello nazionale, non riesce ad etichettare la sua produzione per le diffuse difficoltà dei mattatoi al raggiungimento della conformità regolamentare. 4. Sbocchi di mercato L analisi sin qui condotta ha posto l accento su una filiera carni caratterizzata da un lato da forti debolezze strutturali e organizzative dall altro dalla presenza di alcune produzioni rispondenti a standard qualitativi sanciti in sede comunitaria su cui poter innescare processi di sviluppo territoriale. Come è noto, negli anni recenti il mercato delle carni ha subito gravi tensioni a seguito delle emergenze sanitarie che hanno investito gli allevamenti ed allontanato i consumatori, determinando un crollo dei consumi e dei prezzi che ha innescato una profonda crisi settoriale. Crisi che ha generato un complesso processo di riorganizzazione della filiera sotto l azione delle modificazioni legislative e delle preferenze dei consumatori che spingono verso assetti che assicurino la migliore identificabilità delle caratteristiche delle carni e la completa tracciabilità della sua provenienza. Le preoccupazioni nei confronti della sicurezza alimentare, connesse alle esigenze di arrivare ad una agricoltura sostenibile dal punto di vista ambientale e di tutelare il benessere degli animali, hanno quindi generato un atteggiamento nei confronti del comparto zootecnico nello specifico e di quello primario in generale, di forte attenzione da parte del cittadino-consumatore. Alcune tipologie produttive (si pensi al Vitellone Bianco dell Appennino Centrale ma anche all allevamento brado della razza Maremmana) diffuse sul territorio godono allora di un punto di forza determinante che non è stato colto ancora in tutte le sue potenzialità, identificabile proprio nella loro natura tipica, in quanto, soprattutto dopo le crisi legate alla sicurezza alimentare, la domanda di carne proveniente da tale tipo di allevamenti è sensibilmente cresciuta. Continuando, l assetto organizzativo e strutturale della filiera presenta spesso un carattere eterogeneo, risultato proprio dell ampio processo di trasformazione richiamato, rafforzatosi negli

ultimi anni, sotto la spinta di cambiamenti normativi e per effetto di fenomeni destabilizzanti degli equilibri di mercato (si pensi alla crisi BSE). Tuttavia, è principalmente per gli elementi di debolezza che contraddistinguono anche i segmenti della trasformazione e della commercializzazione delle carni, oltre che la fase produttiva, a caratterizzarsi il comparto delle carni laziale. Nel complesso, la filiera carni laziale si caratterizza per una ridotta capacità di sviluppare forme di integrazione tra i vari segmenti e, quindi, di perseguire obiettivi comuni. Ciò ha effetti negativi soprattutto sulla possibilità di promuovere politiche della qualità, intesa in senso sia di tipicità che di raggiungimento di elevati standard qualitativi tramite l applicazione di sistemi di certificazione, che coinvolgano tutti gli operatori di filiera e su cui il Lazio potrebbe costituire un valido vantaggio competitivo. Benché i produttori regionali possano contare su un ampio bacino di domanda, rappresentato soprattutto dal capoluogo regionale, per la collocazione dei propri prodotti, in questi ultimi anni gli stessi si stanno confrontando con una tendenza alla riduzione dei consumi di carne e di altri prodotti della macellazione. Tale tendenza potrebbe essere contrastata attraverso adeguate politiche di promozione che diffondano presso i consumatori la conoscenza delle diverse produzioni regionali. Come più volte richiamato durante il corso dell analisi, le tendenze dei consumi alimentari dei prodotti a base di carne evidenziano una crescente attenzione alla qualità/sicurezza. Si segnala infatti, una maggiore domanda per prodotti di qualità superiore, attribuibile sia al concetto intrinseco di qualità - tipo di agricoltura (biologica, integrata, etc.), tipo di allevamento (a terra, in gabbie, etc.), sicurezza alimentare - sia estrinseco, come l aspetto esteriore (confezionamento, taglio, etc.) e la gamma di appartenenza. In definitiva l attuale domanda di carne sembra essere orientata verso: prodotti freschi di elevata qualità, soprattutto tra i consumatori di fascia medio-giovane esiste un forte attenzione per la naturalità dell alimentazione connessa a valenze salutistiche, destinata a rafforzarsi nel lungo periodo. salumi stagionati di elevata tipicità che, pur nel rispetto della tradizione alimentare nazionale, si adattano a stili di consumo moderni, in conseguenza della destrutturazione dei pasti che determina un crescente peso dei pasti veloci nella dieta; prodotti innovativi (terza, quarta e quinta gamma), sia per il contenuto di servizio, sia per la composizione merceologica.

A questo proposito, è utile richiamare la presenza di razze autoctone pregiate, quali la Maremmana, nel caso dei bovini, e la Sopravissana, in quello degli ovini, e il fatto che alcune produzioni laziali a base di carne sono suscettibili di valorizzazione attraverso il riconoscimento di DOP o IGP (ad es. vitellone bianco dell Appennino). Il perseguimento di obiettivi comuni, inoltre, implicando una riorganizzazione dei rapporti tra i diversi segmenti della filiera, porterebbe a una razionalizzazione degli scambi tra la fase produttiva e quella relativa alla trasformazione, in particolare. La presenza di un numero troppo elevato di intermediari a questo livello, infatti, spesso si traduce in una erosione del margine di profitto a scapito soprattutto degli allevatori. 5. Analisi SWOT PUNTI DI FORZA PRODUZIONE: Tendenza verso un aumento delle dimensioni medie degli allevamenti soprattutto avicunicoli; Presenza di produzioni tipiche di salumi suscettibili di valorizzazione tramite il riconoscimento di un marchio DOP o IGP; Presenza della razza maremmana e dell abbacchio romano suscettibili di valorizzazione tramite il riconoscimento dei marchi Dop e Igp; Crescita del peso economico del comparto suinicolo regionale; Buona immagine di genuinità ed integrità del territorio rurale; L allevamento del suino pesante orientato alla filiera dei prodotti tipici; L adattabilità dell allevamento ovicaprino al pieno utilizzo nelle aree marginali (conservazione ambientale); Il ruolo strategico dell allevamento per l attivazione di importanti processi produttivi, in conseguenza della stretta interdipendenza con i settori a monte (industria mangimistica e lattiero casearia) e a valle (macellazione e trasformazione); Presenza di aree vocate alla produzione; Buona immagine del prodotto presso il PUNTI DI DEBOLEZZA PRODUZIONE: Ridotta partecipazione alla formazione della PLV nazionale; Dimensione media degli allevamenti (bovini, bufalini, ovini) inferiore alla media nazionale; Basso grado di specializzazione degli allevamenti; Diffusa senilizzazione della dimensione familiare; Debolezza del tessuto cooperativo; Scarsa capacità di sviluppare forme di integrazione verticale tra i vari segmenti della filiera; Forte ricorso ad intermediari per gli scambi tra la fase agricola e quella della trasformazione; Scarsa uniformità di obiettivi tra i diversi attori della filiera; le difficoltà di contenimento dei costi di allevamento in conseguenza dei vincoli imposti sempre più restrittivi, in tema di benessere degli animali, di smaltimento e di alimentazione animale, di inquinamento ambientale; basso grado di specializzazione degli allevamenti; la forte concorrenza esercitata da alcuni

consumatore locale ed estero; Potenzialità di differenziazione della produzione; L importanza del comparto avicolo nell economia zootecnica del paese, sia in termini di produzione sia di capacità occupazionale offerta; Il prezzo contenuto e lo sviluppo di preparati precotti e pre-porzionati per le carni avicole, ne incentivano l utilizzo nella ristorazione collettiva e sociale; TRASFORMAZIONE e COMMERCIALIZZAZIONE il riconoscimento qualitativo per alcuni prodotti tipici, attraverso l assegnazione dei marchi Dop e Igp, con forte capacità di penetrazione sia nel mercato interno, sia in quello estero; gli stili di consumo, che assegnano alla carne un ruolo importante, legato agli aspetti nutrizionali, alla facilità di preparazione e alla versatilità d uso (soprattutto per i prodotti pronti o elaborati a base di carne); la graduale crescita del ruolo svolto dalla distribuzione moderna, in conseguenza della connotazione di fattore chiave che il prodotto (unbranded) assume ai fini della fidelizzazione del cliente; la qualità delle produzioni si è riempita di nuovi contenuti, infatti accanto agli aspetti intrinseci dei prodotti, basati sulle loro proprietà igienico-sanitarie e nutrizionali, si sono aggiunte caratteristiche legate alle modalità di produzione, quali la ecocompatibilità e l applicazione di tecnologie rispettose del benessere degli animali; catena del valore caratterizzata per una forte rilevanza della fase agricola, delle imprese artigianali di macellazione e lavorazione e di quelle del commercio internazionale; disponibilità di alimenti a condizioni competitive che deriva dalla vicinanza ad abbondanti produzioni cerealicole e importanti produttori dell Ue, presso cui vengono acquistati animali vivi e carni; massiccio ricorso alla manodopera familiare e al part-time; le carenze strutturali delle aziende di allevamento unitamente alle ridotte dimensioni aziendali ed all elevata età media dei conduttori (difficoltà di ricambio generazionale); l assenza di un coordinamento verticale, soprattutto nella filiera bovina ed ovicaprina; problemi ambientali per emissione di sostanze inquinanti presenti nei rifiuti organici; elevati costi del mangime che comportano prezzi non sempre remunerativi per i prodotti di elevata qualità; TRASFORMAZIONE e COMMERCIALIZZAZIONE: il numero eccessivo di macelli, soprattutto di capacità limitata e pubblici, caratterizzati prevalentemente da dimensioni ridotte, inadeguatezza degli standard igienico sanitari, lontananza dai circuiti distributivi moderni, assenza di servizi di stoccaggio e di tipo finanziario; l aumento dei costi di lavorazione e la contemporanea diminuzione dei ricavi, in conseguenza dello smaltimento obbligatorio di alcuni sottoprodotti di origine animale (farine per alimentazione); debolezza del tessuto cooperativo problemi logistici connessi all esistenza di canali commerciali di tipo lungo a causa della presenza di un elevato numero di grossisti e di intermediari; carenza di offerta di prodotti di terza, quarta e quinta gamma; scarsa uniformità di obiettivi tra i diversi attori della filiera; alta incidenza dei costi diretti sul costo totale di produzione dovuti soprattutto al forte esborso dei ristalli e conseguente rigidità della capacità gestionale; necessità di apportare interventi di adattamento parziale e totale dei modelli di

foraggere e dalla presenza dell industria mangimistica; presenza di un industria mangimistica specializzata proprio per l allevamento da carne che gioca un ruolo importante nel contenimento delle spese, nella valutazione dell idoneità delle materie prime impiegate nella razione degli animali in allevamento e nell assistenza tecnico-economica delle imprese; elevata qualità della materia prima lavorata dalle imprese di macellazione grazie ai buoni rapporti che le imprese artigianali di macellazione intrattengono con i fornitori. OPPORTUNITA Presenza di un grande bacino di domanda rappresentato dal capoluogo della regione; Possibilità di attivare sinergie profittevoli tra il comparto e il turismo sfruttando l immagine del territorio; Opportunità derivanti dalla crescita della domanda orientata verso prodotti agroalimentari qualitativamente riconosciuti; Opportunità derivanti dallo sviluppo di percorsi di distrettualizzazione; Opportunità derivanti dal riutilizzo di reflui zootecnici per la produzione di agroenergia (biogas); In seguito alla crisi della BSE si è riscontrato un crescente interesse dei consumatori per la sicurezza alimentare e la qualità della carne è proprio per questo motivo che il consumatore italiano si sta rientrando verso carni certificate prodotte nel nostro Paese; allevamento e conseguente difficoltà di gestione dei redditi in seguito a normative ambientali e di benessere degli animali sempre più restrittive in particolare per quanto attiene allo smaltimento dei reflui zootecnici e gli spazi minimi per capo allevato; scarsa diffusione dell allevamento estensivo specie in relazione ai nuovi indirizzi della politica comunitaria e alla percezione del consumatore; attività di macellazione svolta da imprese di dimensione medio-piccola al di sotto dei valori produttivi necessari al raggiungimento di più elevati livelli di efficienza economica, che però attuano un elevato grado di utilizzazione della capacità produttiva degli impianti; gamma produttiva limitata alla prima e seconda lavorazione e canali di vendita poco diversificati; difficoltà di definizione dei rapporti con la distribuzione moderna soprattutto per quanto riguarda gli aspetti della qualità e della logistica. RISCHI Riduzione del numero di aziende; Crescita ed insostenibilità dei costi di allevamento in Conseguenza di vincoli imposti sempre più restrittivi; Aumento della dipendenza dall estero per l approvvigionamento di animali e carni; Incapacità di soddisfare la crescente richiesta di qualità proveniente dai consumatori; Aumento dell insostenibilità ambientale legata allo smaltimento di reflui organici; scarsa disponibilità di terra e suo elevato costo, che hanno determinato lo sviluppo in senso intensivo degli allevamenti italiani (bovini e suini); aumento degli scarti di lavorazione derivanti da un minore consumo del quinto quarto e le conseguenti difficoltà di smaltimento;

A livello internazionale ripresa del comparto dovuta ad un aumento della domanda trainata dai paesi del sud-est asiatico; Nuove possibilità possono profilarsi per le produzioni di nicchia dove le imprese puntano su strategie di diversificazione basate sull allevamento di razze autoctone e/o su metodi di produzione biologica o sistemi percepiti dal consumatore come naturali; La distribuzione moderna (DM) può rappresentare un importante opportunità dato che è diventata l anello determinante dell intera filiera; ciò richiede però la fornitura di prodotti sicuri sotto il profilo igienico-sanitario con elevato contenuto di servizio in condizioni logistiche di elevata efficienza accompagnate da prezzi competitivi. elevata stagionalità dell attività di macellazione in alcuni comparti (ovicaprini); minaccia rappresentata da prodotti succedanei della carne; Cambiamento della politica comunitaria verso l esterno che subordina il futuro dell allevamento all andamento del mercato a seguito della soppressione di meccanismi di sostegno diretto; Gli accordi WTO hanno favorito l espansione delle esportazioni brasiliane verso paesi medio-orientali e la Russia dando vita ad un effetto di sostituzione delle esportazioni comunitarie sovvenzionate che si sono progressivamente ridotte. 6. Azioni chiave Per il sistema carne laziale l obiettivo fondamentale è quello di salvaguardare il sistema produttivo, sia per gli aspetti economico-produttivi che paesaggistico-ambientale, attraverso la valorizzazione del prodotto. Per il perseguimento di tale obiettivo, le possibili azioni chiave da avviare sono: Azioni rivolte alla concentrazione dell offerta allo scopo di limitare la frammentazione produttiva e di gestire strategicamente l offerta aggregata valorizzandola attraverso investimenti rivolti alla differenziazione produttiva (allo scopo di espandere le quote di mercato dei prodotti a maggiore valore aggiunto come disossati, porzionati, elaborati di alta gamma), allo sviluppo di nuovi sbocchi commerciali e al consolidamento di quelli esistenti (mercato Romano). Impiego di strumenti volti a favorire progetti di integrazione verticale (dall allevamento alla distribuzione) verso la razionalizzazione e l ammodernamento dell industria di trasformazione (investimenti atti a favorire l aumento della capacità di sezionamento e di frigoconservazione, progetti per la creazione di mattatoi attrezzati per una chiusura definitiva delle filiere qualificate come l IGP ed il biologico, incentivi all adozione di tecniche e tecnologie

innovative) la concentrazione commerciale, lo sviluppo della vendita diretta in azienda e l inserimento dei circuiti della ristorazione e dell ospitalità nella fase distributiva. Promuovere e valorizzare le peculiarità degli allevamenti locali, specie in zone collinari e di montagna, dove si possono utilizzare consistenti risorse foraggiere, (recupero di razze autoctone adatte al pascolo e caratterizzate da elevato grado di sostenibilità ambientale, il rilancio della linea vacca-vitello anche per la produzione di ristalli, sostegno per le razze marginali, quale patrimonio genetico, con strumenti ad hoc volti alla limitazione dei fenomeni di estinzione, investimenti rivolti a sviluppare produzioni locali nel rispetto dei massimali previsti dalla normativa comunitaria ove presenti) Investimenti volti a migliorare il posizionamento dei prodotti di qualità nel mercato interno ed esterno (progetti collettivi e/o distrettuali aventi ad oggetto produzioni regionali caratterizzate da particolare qualità, peculiarità produttive, storiche, culturali, paesaggistiche e ambientali del territorio da cui traggono origine; marchi regionali in grado di valorizzare specifiche produzioni locali - vitellone da carne laziale - rispetto a quelle di provenienza estera; miglioramento genetico delle razze allevate finalizzato al miglioramento della qualità del prodotto) che sappiano anche incoraggiare forme di etichettatura nell ambito della sicurezza alimentare e della tutela del consumatore. Azioni rivolte a migliorare il benessere degli animali, il sistema di difesa igienico sanitaria e di tracciabilità e rintracciabilità dei bovini da carne ed investimenti rivolti a ridurre l impatto ambientale (salvaguardia dai rischi di inquinamento idrico particolarmente elevati nelle aree vulnerabili e con elevato carico bestiame - Direttiva Nitrati-, promozione di sistemi per il corretto smaltimento o riutilizzazione dei reflui zootecnici). Formazione indirizzata soprattutto ai giovani per favorire un ricambio generazionale professionalmente qualificato. Attivazione di servizi di consulenza e di assistenza tecnica che supporti gli allevatori nell ottimizzazione dei processi produttivi compresi quelli della trasformazione e commercializzazione, nei percorsi gestionali e nelle iniziative settoriali di innovazione tecnica-organizzativa. Riduzione dei costi di sistema attraverso una semplificazione burocratica sul fronte dell intervento pubblico, interventi su tariffe e costo dei servizi, razionalizzazione del sistema dei servizi nell ambito delle filiere.

Indicatori di sintesi della filiera ortofrutticola (annate varie) Indicatore Unità di misura Valore Zootecnia Aziende con allevamenti ( ISTAT, 2000) Capi allevati (ISTAT, 2003) Bovini e bufalini di cui: vacche da latte Ovini Caprini Equini Suini Conigli Avicoli (polli da carne) N Trasformazione PLV di carne (ISTAT, 2004 Valore aggiunto ai prezzi di base dell agricoltura per regione ). Produzione di carne (ISTAT, 2004 Valore aggiunto ai prezzi di base dell agricoltura per regione ) di cui: bovine suine pollame Imprese (ISTAT,2001) Addetti (ISTAT,2001) 000 di.000 q.li.000 q.li.000 q.li.000 q.li 68.721 296.185 90.827 680.863 15.617 8.633 31.154 146.305 5.854.712 372.375 1.350 676 392 282 144 2.612 Scambi con l estero Carni refrigerate escluso volatili e conigli Importazioni (ISTAT, 2002) 000 di 260.129,29 Esportazioni (ISTAT, 2002) 000 di 8.130,92 Saldo (ISTAT, 2002) 000 di -251.989,37 Prodotti a base di carne anche conservata Importazioni (ISTAT, 2002) 000 di 9.872,77 Esportazioni (ISTAT, 2002) 000 di 44.620,70 Saldo (ISTAT, 2002) 000 di 34.747,93