pediatra per amico Tablet e smartphone: l'ultima sfida educativa un bimestrale per i genitori scritto dai pediatri italiani



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un bimestrale per i genitori scritto dai pediatri italiani pediatra un bimestrale per i genitori scritto dai pediatri italiani pediatra Supplemento al n. 2/2015 di Un pediatra per amico, bimestrale per i genitori scritto e diffuso dai pediatri, anno XV n. 2 per amico Tablet e smartphone: l'ultima sfida educativa

La sfida educativa dei nostri giorni Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di scegliere il modo giusto di usarla Daniele Novara Pedagogista, Piacenza daniele.novara@cppp.it 2 Sull universo della tecnologia digitale ognuno ha la propria opinione: tablet, smartphone, e-reader, lettori di musica, lavagne interattive, navigatori satellitari, videogiochi, videoschermi, connessioni veloci si tratta di un mondo complesso, articolato, che evolve a velocità impressionante e, soprattutto, relativamente recente. Vent anni fa non esistevano i cellulari e Internet era riservata ai militari; oggi da uno smartphone puoi essere in relazione con chiunque in ogni parte del globo, e recuperare informazioni su qualsiasi cosa. Si tratta di una trasformazione epocale, di cui è difficile prevedere gli esiti e sulla quale è anche più difficile realizzare analisi accurate e approfon- dite. E così ognuno tende a sviluppare una propria opinione personale e a lasciarsi guidare dalla proposta più allettante, da chi grida più forte, da chi si propone meglio. QUALE STRATEGIA DI FRONTE AL DIGITALE? Chi scrive è un pedagogista e si occupa dei processi educativi legati all apprendimento. Da questo punto di vista allora, di fronte a un fenomeno dilagante che tocca estremamente da vicino bambini e ragazzi, e soprattutto interviene sui processi di apprendimento, la mia domanda è: quale strategia educativa, che si fondi su analisi e dati scien-

tifici e accurati e non su opinioni personali, occorre mettere in atto di fronte alla tecnologia digitale e a tutto ciò che ne è collegato? È chiaro che anch io ho una mia opinione sull argomento ma non è questo il punto. Non si tratta di demonizzare la tecnologia o di ignorarla: il navigatore è uno strumento molto utile e interessante; la tecnologia applicata all automobile è sempre più efficace e offre nuovi garanzie di sicurezza e rendimento. Ma, detto questo, il punto è: qual è l età in cui, anche la macchina più controllata e automatica, può essere guidata? Quali sono le esigenze e le capacità psicoevolutive di un bambino, di un preadolescente ecc., che consentono l accesso alla tecnologia senza il rischio di produrre danni o difficoltà di crescita e sviluppo? Perché questa è la vera questione educativa e, anche correndo il rischio di apparire arretrati agli occhi dei fautori dello sviluppo a ogni costo, chi si pone il problema della crescita dei bambini e dei ragazzi non può evitare di confrontarsi con l argomento. Nella mia esperienza di consulente pedagogico osservo come queste questioni assillano i genitori: Passa le sue giornate a digitare sul telefonino lo lascio fare?, Mi stressa perché tutti i suoi compagni hanno i videogiochi e lui no... diventerà un escluso?, Va male a scuola però è così bravo a smanettare sul computer!, Ha conosciuto un ragazzo in chat e vuole incontrarlo. Cosa devo fare?!?, Come posso proteggerla dai rischi della navigazione ora che ha in mano uno smartphone?, D altra parte ora va a scuola da sola, devo poterla contattare. Certo, non tutti gli adulti si pongono il problema. Ho osservato in pizzeria un padre e un figlio mangiare insieme immersi ciascuno nel proprio universo digitale (forse si parlavano via chat?!); ascolto madri che per stare un po tranquille, magari al computer, consegnano i figli a un tablet ( È l unico momento in cui sta un po fermo! ); scopro di bambini che si trovano il pomeriggio a giocare insieme con i videogiochi ( Così almeno non litigano! ). La tecnologia cattura la nostra attenzione e ci disconnette dalla realtà, consente una fuga da ciò che è problematico e complesso. QUANTO CI FA BENE QUESTO? Quanto è utile alla crescita dei nostri figli? Dobbiamo inoltre fare i conti con un evoluzione vorticosa degli strumenti che, senza lasciarci il tempo di individuare strategie educative efficaci sulle questioni che ci assillavano solo pochi anni fa (quanta Tv al giorno posso lasciargli guardare?) ci pone problematiche sempre nuove: avevamo appena finito di individuare il parental control più efficace per evitare che il nostro figlio undicenne navigasse in Internet senza controllo, che WhatsApp ha fatto capolino nelle nostre vite familiari spostando la questione dal personal computer al telefonino e sbaragliando filtri e controlli. ESSERCI O NON ESSERCI? Daniel Goleman nel suo libro Focus scrive: Nel 2006 nel lessico inglese è entrato il termine pizzled, una combinazione fra puzzled (perplesso) e pissed off (arrabbiato), per esprimere la sensazione provata quando la persona con cui ci si trova tira fuori il suo BlackBerry e inizia a parlare con qualcun altro. Qualche anno fa in una situazione del genere la gente si sentiva offesa e indignata. Oggi è diventata la norma. [ ] L incapacità di concentrarsi su chi sta parlando e di resistere alla tentazione di controllare le email o Facebook ci porta a ciò che il sociologo Erving Goffman, un osservatore esperto delle interazioni sociali, ha definito come un esser via, un gesto che comunica all altra persona che non siamo interessati a quello che sta accadendo qui e ora. D. Goleman, Focus. Come mantenersi concentrati nell era della distrazione, BUR Rizzoli, 2013, p. 13; 16-17. 3

GENERAZIONE SOCIAL Nel 2000 i genitori che limitavano l accesso alla rete ai figli fissando alcune regole per la navigazione erano l 89% mentre oggi sono il 67%, a fronte di un aumento esponenziale dei ragazzi (preadolescenti e adolescenti) che utilizzano internet tutti i giorni, passati dal 42% del 2008 all attuale 81%. Negli ultimi due anni si è poi assistito al boom dei social network e si è ormai conclusa la migrazione dal computer al telefonino: il 93% degli adolescenti intervistati (2107 studenti di terza media) dichiara di connettersi a internet dallo smartphone e fondamentalmente per utilizzare uno o più social. Ormai gli adolescenti, ma anche sempre più preadolescenti alla soglia delle scuole medie, attivano intense relazioni sociali, più o meno collegate alla vita reale, attraverso varie piattaforme digitali: il 75% del campione ha un profilo Facebook, sebbene ormai il social di Zuckerberg, solo un paio di anni fa meta agognata di molti, si sia trasformato in una sorta di vetrina rassicurante per quei genitori che credono di tenere sotto i controllo i figli grazie all amicizia, spesso imposta. Nel frattempo intanto i ragazzi si sono organizzati diversamente: l 81% degli adolescenti è sbarcato su WhatsApp, che non è solo uno strumento di messaggistica, ma può essere utilizzato come un potente social e presenta rischi da non sottovalutare (come l inserimento automatico in gruppi di chat, o la registrazione automatica, se non consapevolmente disattivata, delle immagini nella memoria del telefonino del ricevente: invii una tua foto a un paio di amici e questa in pochi minuti può essere girata a contatti imprevedibili); il 42% su Instagram, vetrina di immagini spesso ad alto tasso di esibizionismo; il 30% dei maschi e il 37% delle femmine è su ASK, in teoria un social pensato per condividere domande, ma in realtà uno spazio virtuale dove l accesso è facilissimo e l anonimato garantito, divenuto teatro di numerosi casi di cyberbullismo dagli esiti drammatici. Dati tratti da: Società Italiana di Pediatria (SIP), Generazione I like, sedicesima indagine nazionale sulle abitudini degli adolescenti italiani, 2014. 4

Falsi miti e falsi profeti Tanti amici su Facebook non fanno compagnia Ci sono alcune tematiche che influiscono pesantemente sull approccio dei genitori alla tecnologia digitale. Analizzo le più diffuse, per denunciare quelle prive di fondamento. LA TECNOLOGIA È FONTE DI APPRENDIMENTI SUPERIORI Questa convinzione serpeggia tra quei genitori che si rendono conto di essere ormai stati sorpassati dai figli nelle competenze digitali. Non era mai accaduto prima o comunque si trattava di casi particolari: siamo di fronte alle prime generazioni che sviluppano un sapere senza che gli sia consegnato loro da chi li ha preceduti. Insegnanti ai quali sono gli allievi che insegnano. Questo crea disorientamento nei genitori e la convinzione che tutta questa abilità comporti capacità conoscitive superiori o, se non altro, potenzialità di apprendimento significative. Ma non è così. Tutta l enfasi posta, anche a livello universitario, sui nativi digitali, cosa vuol dire? Dobbiamo auspicare che i neonati nascano digitali? Dobbiamo pensare che il nostro futuro può stare nelle mani di bambini che crescono appiccicati a videoschermi e che sanno programmare su una tastiera? Provate a esplorare le competenze di un nativo digitale bravissimo su tablet, videogiochi e quant altro, resterete delusi. Quale effettivo vantaggio si avrebbe dal punto di vista dell apprendimento? Pressoché nessuno. Diverse indagini dimostrano che se provate a chiedere a un ragazzo digitalmente abilissimo se intende dedicarsi professionalmente allo sviluppo della tecnologia informatica vi risponderà di no. Giocare un videogioco non vuol dire essere più portato a sviluppare capacità logico-deduttive necessarie alla programmazione, anzi il videogioco non è una forma di apprendimento ma è una forma di distrazione. IL DIGITALE, I SOCIAL, SONO STRUMENTI RELAZIONALI Non voglio che mio figlio si senta escluso. Questa è una paura ricorrente nei genitori, soprattutto in coloro che, durante la propria infanzia, hanno vissuto sulla propria pelle forme più o meno intense di esclusione da un gruppo o da una dinamica relazionale sociale. Il problema è che questa convinzione ci porta a sdoganare strumenti pericolosi, senza realizzare quanto effettivamente siano poco efficaci dal punto di vista dell acquisizione di competenze relazionali. Chi passa tanto tempo sui social e chi ha molti amici virtuali, spesso nella realtà è piuttosto solo e isolato. Certo il digitale può essere un opportunità di conoscenza del lontano, del diverso da noi, in particolare per soggetti timidi o con alcune difficoltà, ma è comunque sul fronte della realtà che si gioca davvero il piano della relazione. Fulvio Scaparro, noto psicoterapeuta milanese, afferma: Non dobbiamo dimenticare che i ragazzi, a 13 anni, sono solo all inizio della loro vita e, benché grandi esperti di tecnologia, sono ancora degli sprovveduti quanto a esperienza reale. Il punto è che hanno a disposizione strumenti po- Daniele Novara Pedagogista, Piacenza daniele.novara@cppp.it 5

tentissimi, attraverso i quali entrano in contatto con il mondo, ma con la modesta attrezzatura di vita di un tredicenne. Dietro la vetrina dei social possono far credere di essere ciò che non sono, possono compensare le fragilità con l aggressività, atteggiarsi, distinguersi: il rapporto con se stessi può essere falsato perché sono proiettati non sulla vita reale ma su un palcoscenico virtuale costituito da migliaia di sconosciuti. E, soprattutto, quella che poi fatica a svilupparsi è la capacità di affrontare le sfide della vita e il fallimento. In realtà più tempo passi nelle relazioni virtuali, meno impari a gestire le difficoltà normali e quotidiane delle relazioni reali: il compagno che fa sempre il prepotente, il gruppo che ti esclude, la migliore amica che ti dice una bugia. Si sviluppa una estrema suscettibilità e un incapacità ad accettare le contrarietà che può, più facilmente di quello che pensiamo, trasformarsi in violenza, nascosta dietro un apparente intensità di relazione virtuale. MIO FIGLIO DEVE AVERE TUTTO QUELLO CHE HANNO GLI ALTRI E magari anche un po di più. Molti genitori sono caduti in questa sorta di ricatto, anche affettivo, che in quest epoca di crisi economica rivela tutta la sua insensatezza. Deve avere tutto quello che hanno gli altri senza eventualmente porsi il problema se tutto quello che hanno gli altri abbia una sua legittimità educativa o sia piuttosto semplicemente il cavalcare un ondata consumistica di portata colossale. È una questione che molti genitori fanno fatica a gestire, magari ne hanno consapevolezza razionale, ma poi sul piano emotivo non sanno resistere. Forse varrebbe la pena focalizzarsi sui numeri: nel 2013 la Apple, solo una delle aziende leader nel settore, ha ricavato circa 38 miliardi di dollari dalle vendite in Europa. È un mercato con bilanci elevatissimi e di conseguenza con un marketing aggressivo: basti pensare che, nonostante appunto la crisi faccia registrare una diminuzione delle spese familiari su svariati fronti (anche per esempio quello alimentare), il business dei dispositivi connessi alla rete internet è in aumento, del 26% per gli smartphone e dell 86% per i tablet. E il target principale a cui si rivolgono le grandi aziende sono appunto i ragazzini. Per ora sono stati colonizzati tutti i preadolescenti, difficile alle medie trovare classi dove ci sia ancora qualcuno senza smartphone, ma il prossimo passo 6

sono i bambini tra gli 8 e i 10 anni, già bersaglio di strategie di marketing. Di fronte all aggressività del mercato, diventa difficile per i pedagogisti far sentire la propria voce: su alcuni settimanali molto diffusi non è possibile, per esempio, far pubblicare articoli controcorrente dato che ormai molta parte dell editoria vive di introiti pubblicitari ed è poco disposta a correre rischi di riduzione di investimenti da parte delle aziende coinvolte. In studio incontro tanti genitori che si sentono fuori luogo, addirittura aguzzini, se non comprano ai loro figli di 9 anni tutto l armamentario digitale di cui i coetanei dispongono, anche se è piuttosto caro e non prevede in nessun modo un controllo da parte dei genitori. L ESPERTO HA DETTO CHE VA BENE COSÌ C è sempre qualcuno che, con voce tonante e attraverso i media può dimostrare ai genitori che va bene così: anche questo è un effetto del marketing e della pubblicità. Peccato che solo il tempo possa effettivamente rendere conto degli effetti e degli esiti di ciò che sta accadendo. Ricordo che negli anni Settanta era estremamente difficile ascoltare voci contro il nucleare civile, pochi invasati antiprogressisti si opponevano alle centrali nucleari. Oggi, fatti e dati alla mano, forse è possibile essere più obiettivi, e comprendere che non tutte le informazioni sono fondate. Dovremmo aver imparato a riflettere un po di più e agire in modo consapevole. Sta di fatto che ci ritroviamo oggi con bambini sui 9 anni, quarta classe della scuola primaria, che dispongono di un dispositivo che non possiamo più neanche chiamare telefonico, tutt altro: possono accedere a internet, usare la posta elettronica, chattare su WhatsApp e disporre di un profilo Facebook. Cosa se ne fa un bambino di tutto questo? È davvero utile? A che cosa? Per avere WhatsApp devi avere internet e quindi in automatico puoi accedere a internet dallo smartphone, sul quale non è possibile mettere filtri come sul pc. Possiamo accettare che mentre nostro figlio utilizza un social per restare in contatto con i suoi gruppi di amici, abbia anche la possibilità di finire su un sito pornografico, di vedere esseri umani che sgozzano altri esseri umani, o di essere agganciato da qualche soggetto equivoco che fa proposte equivoche a chiunque gli capiti sottomano? L ILLUSIONE DEL CONTROLLO L ultima difficoltà dei genitori nel gestire l universo digitale nasce dalla convinzione che tutto questo universo sia comunque controllabile dagli adulti. Non è così. Anzitutto i ragazzi tendono a non utilizzare il cellulare come dispositivo telefonico ma prevalentemente per tutte le altre funzioni, sulle quali la possibilità di controllo dei genitori e davvero, molto scarsa. Spesso i figli non rispondono neanche al telefono! I dati dimostrano che le applicazioni che consentono l accesso a Internet (YouTube, Instagram, itunes o il nuovissimo Spotify, e i diversi social) sono le più utilizzate, seguite dai videogiochi e dalla navigazione. La fruizione della rete e delle sue potenzialità aumenta con l aumentare dell età e non sempre in modo corretto: un recentissimo dato, proprio su WhatsApp, ha messo in luce che, 7

UNA MAMMA CI HA SCRITTO Il problema del controllo poi genera situazioni paradossali: una mamma rifletteva sul gruppo di WhatsApp creato tra genitori della classe della propria figlia. Quando alla prima riunione di classe di mia figlia, mi è stato proposto di partecipare a un gruppo classe WhatsApp, tra sorrisi dei primi giorni, disorientamento fisiologico e grandi speranze, ho detto sì. Non sapevo a cosa sarei andata incontro. Dal momento in cui sono stati assegnati i primi semplici compiti, da quando sono comparse le prime annotazioni sul quaderno delle comunicazioni scuola-famiglia, il mostro verde WhatsApp ha cominciato a vivere di vita propria: 10, 15, 20 messaggi al giorno di genitori ossessionati dalle più svariate questioni: quale pagina, quale quaderno, quante righe, quale colore, quale A? Come se l indicazione sola dell insegnante, mediante gli strumenti didattici scelti e pertinenti non bastasse, e come se un bambino a 6 anni non fosse in grado di essere responsabile di qualcosa, neanche di una pagina di quaderno, di un dato da memorizzare, di una aspettativa, graduale ed adeguata della maestra, alla quale rispondere. almeno un gruppo su tre di ragazzini tra la quinta elementare e la seconda media, si è formato come gruppo che agisce contro qualcun altro. Da questo punto di vista anche la polizia postale, che pur presidia le scuole diffondendo informazioni durante incontri e conferenze, ha scarse possibilità di bloccare o limitare i danni. L idea di risolvere i problemi che la fruizione del digitale pone attraverso l informazione, la vicinanza e il controllo adulto si è rivelata inefficace. Tra le strategie più discutibili, decisamente equivoca e ambigua dal punto di vista educativo, annovero la convinzione che gli adulti debbano condividere la tecnologia con i figli. Sembra che, attraverso la loro vicinanza, i figli si possano da un lato sentire protetti, dall altro essere tutelati dai contenuti più osceni e più pericolosi. Ritengo che si tratti piuttosto di un esortazione consolatoria, ad uso di chi non vuole affrontare seriamente quello che sta succedendo e assumersi responsabilità educative. Le controindicazioni sono evidenti: una nasce dall osservazione banale che è impensabile che un adulto riesca a controllare, anche solo temporalmente, l accesso alla rete del figlio. Se consideriamo che un adolescente resta connesso mediamente due/tre ore al giorno ci rendiamo conto che nessun genitore può avere a disposizione tutto quel tempo. E poi c è un importante questione di merito: qual è il vantaggio di giocare assieme alla playstation, di stare assieme su Facebook, di caricare insieme immagini su Instagram? Nessuno, piuttosto c è uno svantaggio decisamente maggiore, perché così facendo si genera una sorta di equivalenza relazionale e l adulto rischia di perdere il proprio specifico ruolo educativo. Per educare serve distanza di posizionamento, non una relazione orizzontale, né tantomeno amicale. Mi capita di leggere, per motivi professionali, qualche scambio via chat tra una mamma e il figlio preadolescente o addirittura tra genitori e bambini. Certe volte è davvero difficile capire chi sia l adulto! Il linguaggio tecnologico stempera i ruoli creando una sorta di uniformità, di equivalenza verso il basso e sottraendo l autorità necessaria a svolgere il ruolo educativo. 8

C è un tempo per ogni cosa Affrontare la sfida digitale: ecco come, età per età Viviamo una società dell adolescentizzazione infinita e della cura infantile soffocante, e questo è un problema. Non tutto quello che il mercato propone è legittimo e utile alla crescita dei nostri figli. Dobbiamo recuperare la nostra capacità di discernere cosa occorre per far crescere bambini sani, responsabili, capaci di stare al mondo, affrontare la realtà e far emergere le loro risorse creative nelle difficoltà. C è un tempo per ogni cosa: questo è un principio pedagogico fondamentale. I passaggi della vita vanno rispettati ed ecco allora qualche indicazione operativa per affrontare le sfide che il digitale ci pone, età per età. Tra le tante indicazioni operative che sono state date ai genitori negli ultimi anni, supportate da diverse considerazioni di studiosi italiani, condivido pienamente quelle esposte recentemente dallo psichiatra e psicanalista Serge Tisseron (3, 6, 9, 12. Per convivere con il digitale in famiglia, in «Psicologia Contemporanea» - maggio-giugno 2014), ricercatore dell Università di Parigi, ed esperto di relazioni dei giovani e delle famiglie con Internet. DA 0 A 3 ANNI: VIDEOSCHERMI VIETATI L infanzia non ha bisogno di videoschermi, non ha bisogno di una realtà virtuale. Prima dei 3 anni un bambino necessita di sviluppare competenze interagendo con l ambiente attraverso esperienze sensoriali che utilizzino tutti e cinque i sensi. Solo questa interazione esperienziale consente di sviluppare e implementare le proprie risorse neuronali. È stato dimostrato che anche solo una televisione accesa nella stessa stanza dove un bambino piccolo sta giocando ne disturba l attività, impedendo di sviluppare quella capacità di concentrazione attentiva così importante per il suo futuro. Scrive Goleman: L attenzione - in tutte le sue varietà - rappresenta una risorsa mentale poco considerata e sottovalutata, ma che riveste un importanza enorme rispetto al modo in cui affrontiamo la vita. [ ] ci mette in connessione con il mondo, plasmando e definendo la nostra esperienza. L attenzione - scrivono i neuroscienziati Michael Posner e Mary Rothbart - ci fornisce quei meccanismi che stanno alla base della nostra consapevolezza del mondo e del controllo volontario dei pensieri e delle emozioni (D. Golemman, Focus, op. cit. p. 11 e 15). Il touch screen non è una vera esperienza sensoriale: c è una superficie liscia che attiva stimoli visivi. Punto. Molti studi documentano un rapporto diretto tra la durata dell esposizione agli schermi e le conseguenze sull attenzione di bambini e ragazzi. Un bambino piccolo che guarda un ora di Tv al giorno, è a rischio di sviluppare deficit di attenzione due volte superiore a chi non la guarda (A. Oliverio, Nativi digitali. Non lasciamoli soli con i Daniele Novara Pedagogista, Piacenza daniele.novara@cppp.it 9

media, in Vita e Pensiero, 2/2014). Occorre allora, soprattutto in questa fascia d età, che i genitori curino i propri comportamenti. Non può funzionare il farsi vedere assorbiti dalla televisione, da un computer o da un telefono cellulare, magari talmente distratti da non accorgersi neanche dei richiami dei figli. In quell età i bambini sono molto inclini all imitazione: se ci vedranno perennemente il telefonino in mano, ne vorranno uno. DA 3 A 6 ANNI: COMINCIA IL TEMPO DELLE REGOLE L infanzia è il tempo delle regole, che non sono imposizioni ma procedure educative per regolare il tempo e lo spazio comune. Mettiamo delle regole chiare, trasparenti, essenziali. È inutile sgridare i nostri figli perché passano le ore davanti ai videogiochi quando siamo noi ad averceli messi. Mettiamo la regola. La comunità scientifico-pedagogica internazionale su questo fronte è compatta: in questa fascia d età mezz ora di videoschermi al giorno è più che sufficiente, e l accesso a internet è vietato. Questa è una fase importante per sviluppare alcune capacità collegate all immaginazione o alla motricità fine, e per implementare le competenze relazionali e sociali. È ora che si può imparare a litigare bene con successo, anche dopo è possibile, certamente, ma man mano diventa più difficile. Occorre privilegiare le esperienze dirette, la manipolazione, l interazione relazionale. I bambini litigano? Certo! È quello il loro compito evolutivo. Devono imparare a stare insieme, ad accettare la frustrazione, a far emergere le risorse creative di cui normalmente in questa età così plastica sono incredibilmente dotati. Non lasciate che si anestetizzino davanti ai video schermi, permettere loro di stare all aria aperta, a contatto con la natura, di fare esperienze corporee e mentali nuove. Il loro futuro ne trarrà immenso vantaggio. DA 6 A 9 ANNI: ALLA SCOPERTA DEL MONDO A questo punto occorre cominciare a dare qualche spiegazione semplice ed essenziale su come utilizzare i videogiochi, la Tv, il digitale nei suoi accessi alla musica, ai video, alle foto. Occorre mettere regole precise, dare al bambino gli strumenti per cominciare a proteggersi da solo evitando però di cadere nell eccessivo discussionismo. Niente Internet, niente Tv in camera. E il telefonino? Si tratta di una tecnologia sviluppata per la comunicazione a distanza: tenendo conto che i bambini italiani sono i più iperprotetti d Europa, con un tasso di autonomia nel percorso scuola-casa soltanto dell 8%, risulta abbastanza incomprensibile la necessità di dotarli di un telefonino: non esiste una necessità specifica per questo. 10

Cerchiamo di conoscere gli interessi e i gusti dei nostri figli e di accompagnarli alla scoperta della creatività e delle potenzialità che la tecnologia potrebbe offrire: insegniamo loro a fare le foto ma anche il rispetto della propria e altrui immagine. È in questa fase che si sviluppa un corretto approccio allo studio scolastico: una delle questioni importanti in questo momento riguarda l enorme quantità di input tecnologico che si sta abbattendo sui nostri bambini e ragazzi. Qualche sedicente esperto crede di risolvere la questione utilizzando l argomento del multitasking che, più che offrire degli effettivi riscontri scientifici, appare piuttosto un ipotesi creata ad hoc (vedi box). DA 9 A 12 ANNI: SI SVILUPPA LA CAPACITÀ RELAZIONALE DEL GRUPPO E LA SPINTA VERSO L AUTONOMIA Fino a 9 anni niente internet. Perché i 9 anni? È quella l età in cui si smette di credere a Babbo Natale, in cui i bambini escono dal pensiero magico, e le loro capacità mentali cominciano a costruirsi in un senso più razionale ed elaborato. Ora possono, gradualmente, interagire con il mondo anche attraverso gli strumenti digitali. Nell età preadolescenziale e adolescenziale inizia un periodo della vita nel quale i ragazzi vogliono allontanarsi dalla famiglia per costruire qualcosa di loro, hanno bisogno del loro spazio. Vi chiederanno il telefonino, si confronteranno maggiormente con i coetanei in merito alle possibilità e agli strumenti tecnologici a disposizione. Da questo punto di vista il cellulare segna il passaggio a un età di maggiore autonomia, cominciano le prime richieste: mangiare la pizza con gli amici, andare da una parte all altra senza essere accompagnati, e il telefono è ciò che offre oggi la nostra società a garanzia di un minimo di protezione. In questo senso non c è assolutamente bisogno di avere un dispositivo smartphone. Restano poi alcune regole: il tempo da dedicare ai videoschermi; internet solo in casa; il pc in una zona della casa accessibile a chiunque; l inserimento di password e filtri di controllo parentale. Questa è una fase in cui deve subentrare un maggior intervento paterno nella definizione e anche, man mano, nella contrattazione delle regole educative. È al padre che tocca il compito di gestire la fase di allontanamento dall ambito famigliare, alla scoperta del mondo e delle relazioni con i coetanei. Occorre molta attenzione, poche discussioni inutili e mortificanti e l individuazione di regole sociali che coinvolgano tutta la famiglia: niente cellulare a tavola, il rispetto dell interlocutore, l attenzione all utilizzo e alla condivisione di immagini e video sui social. DA 12 ANNI: GESTIRE IL DISTACCO VERSO LA PIENA AUTONOMIA A questo punto si spera che alcune regole e attenzioni specifiche siano state interiorizzate, anche se non bisogna temere di metterne di nuove di fronte a situazioni o difficoltà impreviste che interferiscono con i processi educativi. Una di esempio: lo smartphone spento di notte. Sembra un ovvietà, ma la riduzione delle ore di sonno nei bambini e nei preadolescenti è ormai un dato di fatto allarmante, con pesanti ripercussioni sul rendimento scolastico. Tutte le neuroscienze danno indicazioni chiare sull importanza del sonno proprio per ridurre la mole di materiale che si accumula durante la giornata che rischia di intasare la vita di bambini e ragazzi: dormire è fondamentale. Ho conosciuto un ragazzino che sosteneva di avere 1.800 amici su facebook, con i quali interagiva perlopiù nelle ore notturne e che chiaramente andava malissimo a scuola. Alcuni comportamenti legati a un utilizzo compulsivo del digitale vanno regolati, pena il rischio di incorrere in problematiche anche più serie. Ne sono un esempio gli adolescenti giapponesi soprannominati hikikomori, emergenza sanitaria dell area asiatica, che sviluppano una grave forma di dipendenza dal digitale che li porta a isolarsi sempre più dal mondo reale per rinchiudersi in spazi virtuali. Perché il digitale dà dipendenza, non dimentichiamolo: occorre prestare attenzione ai segnali, che possono presentarsi anche in età infantile, e che rivelano una sorta di crisi di astinenza: il bambino che piange disperato se non guarda la Tv prima di andare a scuola, il preadolescente che può diven- 11

tare violento se gli si nega l accesso al videogioco. C è poi il tema delle interazioni sociali: preadolescenza e adolescenza sono età fondamentali per imparare a conoscersi e ad accettarsi, mettendo a frutto le proprie risorse e definendo il proprio Io in autonomia dalle figure di riferimento. Questo processo di individuazione ha bisogno di un interazione concreta e esperienziale con gli altri, mentre oggi i ragazzi e le ragazze tendono a essere sempre più sintonizzati sulle macchine e meno sulle persone e su se stessi di quanto sia successo in passato. È l interazione reale che plasma i nostri circuiti neuronali e arricchisce la nostra personalità. Digitare interagendo con uno schermo rende abili alla tastiera, ma spesso impedisce di acquisire quelle competenze di riconoscimento e lettura del non verbale e dell emotività che sono un elemento essenziale della comunicazione umana da cui non si può prescindere. Non possiamo lasciare in mano al marketing e alle tendenze dello sviluppo tecnologico la crescita dei nostri figli. Occorre assumere posizioni educative: meglio prendere una decisione sbagliata che non decidere nulla lasciando i figli orfani, nell ansia di dover decidere da soli questioni non adeguate alle loro capacità. Mamme e papà devono chiedersi e discutere tra loro sul progetto educativo che hanno in testa per i propri figlioli: che persone desiderano diventino. Lasciamo che i nostri figli facciano fatica e si guadagnino nella fiducia e nel rispetto la possibilità di accedere a strumenti potenti, certamente interessanti, ma non sempre adeguati. La loro è una fatica creativa che permette di incontrare negli altri sia i limiti necessari a crescere, sia quei processi mimetici che ci consentono di riconoscere nell alterità quello che noi stessi siamo. Un viaggio in una città straniera, un incontro reale con una persona diversa, una giornata passata nei boschi con gli amici, non sono lo stesso se sperimentati virtualmente. Non ha senso contrapporsi alla tecnologia digitale, ai cellulari e alle novità tecnologiche. Ha senso, ed è imprescindibile, offrire ai figli la sponda dei nostri orientamenti educativi, come genitori e come persone attente al futuro. MULTITASKING Con multitasking si intende la capacità, dei cosiddetti nativi digitali, di avere una predisposizione particolare alla realizzazione di più attività in contemporanea, comprese quelle tecnologiche. Studiano, ascoltano musica, chattano sullo smartphone, digitano alla tastiera. Dei piccoli geni. Eppure, anche su questo fronte, è stato scientificamente dimostrato che la contemporaneità non è affatto garanzia di qualità o efficienza. E il rendimento scolastico dei bambini e degli adolescenti italiani ne è la prova. I display digitali creano delle interferenze molto accentuate sulla capacità di concentrazione dei bambini che, attorno ai 7 anni è di circa 15 minuti. Ma questa capacità è come un muscolo, va allenata, e qualsiasi elemento di distrazione, in particolare in questa fase della vita, produce effetti molto pervasivi (A. Oliverio, Che cos è la neuro pedagogia, in Psicologia Contemporanea, gennaio/febbraio 2015). 12

Il guinzaglio elettronico Il controllo continuo ostacola la maturazione dei nostri figli Centinaia di millenni passati dalla nostra specie senza i telefonini: ma come avranno fatto i figli del passato a sfuggire alle mille insidie dell ambiente? Com è che non ci siamo estinti? Chi sa quanti milioni di bambini prima dell era dei telefonini si sono persi tornando da scuola, o quanti altri non hanno potuto avvertire i genitori del loro rapimento in diretta e quindi sono spariti per sempre! E domandiamoci anche quanti poveri adolescenti avranno dovuto scegliere la t-shirt da soli, senza poter consultare la mamma (sempre più sacro punto di riferimento) con un rapido WhatsApp con tanto di foto allegata. Per non parlare di quante febbri improvvise o mal di pancia catastrofici insorti in classe, in un recente passato incredibilmente privo di smartphone, sono dovuti finire con urgenza in ospedale per non aver potuto avvertire i genitori in tempo reale. Ma senza andare tanto indietro nel tempo, c è stato un momento in cui il progresso tecnologico aveva portato telefoni dovunque: erano in casa, dentro alle tante cabine telefoniche, nei bar, e anche nei corridoi delle scuole! Ma nessun genitore si sognava di dire ai propri figli di chiamare a ogni intervallo di lezione, da ogni pizzeria, da ogni discoteca o di rincorrere le varie postazioni telefoniche esterne con ossessiva regolarità, per segnalare la posizione esatta dove si trovavano. LO STRUMENTO CREA IL BISOGNO È il telefono tascabile, il cellulare, lo strumento che ha creato il bisogno, la spasmodica continua necessità di sapere dove si trova il figlio in tempo reale, con chi è, cosa fa, se sta bene, se è sereno, se è depresso, se ha mangiato quando torna! Un guinzaglio elettronico che crea l illusoria, magica possibilità di tenere, sempre e ovunque, sotto controllo i figli, sapendo dove sono, cosa fanno, quali pericoli incombono su di loro. Una sicurezza illusoria dovuta più al fatto di credere che se so dov è, allora controllo anche che non gli possa succedere nulla. Ma questo non è mai stato un bisogno della specie umana! Nel passato, in un ambiente che doveva essere ben più pericoloso sia dal punto di vista territoriale che sociale, dove i rischi erano altissimi e sicuramente più numerosi di oggi, i nostri cuccioli sono sopravvissuti. Oltre che a proteggerli con la nostra presenza (quanto potevamo esserci), gli insegnavamo la prudenza, l abilità, la creatività, la capacità di far da sé per quando non ci saremmo stati, facendo loro sperimentare l autonomia giorno dopo giorno, via via che crescevano. E oggi è davvero così cambiato e peggiorato l habitat umano da imporre un costante controllo sui nostri figli? Sono davvero così cresciute le occasioni di pericolo in cui possono incappare i nostri poveri, sprovveduti bambini e ragazzi, tanto cresciute da avere un costante bisogno di monitoraggio? Ovviamente no: questa necessità di tenere sotto controllo è solo frutto di un bisogno patologico di rassicurazione dei genitori che non sanno più gestire il loro ruolo. Credono che il meglio per i loro figli sia tenerli sempre stretti fra le loro braccia, incarcerati nelle mura di casa propria e quando questo non è possibile allora vengono avvolti e immobilizzati nella spirale delle onde elettromagnetiche di un telefono. Ma le strade non sono più pericolose di una volta, l infanzia non ha mai avuto tante leggi a sua tutela come oggi; le norme di sicurezza ambientale, di costruzione dei giocattoli, dei mezzi trasporto, non erano mai esistite: oggi ne abbiamo anche troppe! EVITARE OGNI RISCHIO Siamo arrivati al paradosso che i bambini che escono da scuola (per non esporli al solito pedofilo di turno?) oggi rimangono immobili, a testa bassa, tutti vestiti nei surriscaldati corridoi della scuola, anche dopo che è suonata la campanel- Paolo Sarti Pediatra di famiglia, Firenze sarti.paolo@tin.it Giuseppe Sparnacci Psicologo e Psicoterapeuta, Pistoia giuseppesparnacci@gmail.com 13

la, per essere consegnati uno ad uno, mano nella mano, al proprio genitore (o parente, ma solo se munito di apposita autorizzazione vidimata!). E così il povero bambino non deve fare più neppure lo sforzo di alzare la testa per individuare il proprio genitore che aspetta pazientemente fuori, stando contemporaneamente anche attento a non farsi spintonare della propulsiva gioia del gruppo che scatta alla fine di ogni giorno di scuola. Questo esercizio, apparentemente piccolo, era uno dei tanti della vita dei bambini di una volta che, oltre a responsabilizzarli, incrementava le loro abilità motorie e di orientamento. Oggi tutto quello che è rischio va evitato, anche se la nostra storia evolutiva ci ha insegnato che se non si cresce affrontando gli inevitabili rischi della vita, si diventa adulti fragili, esposti al primo colpo di vento. E questo vale sia sul piano delle abilità motorie, sia su quelle emotive e relazionali. Gli adolescenti che oggi si nascondono dietro a messaggini e a tweet sintetici, senza metterci la faccia, senza la complessità delle cose (che richiedono per essere annunciate, comprese e accettate ben più di uno scarno messaggino di 140 battute), senza rischiare l incontro amoroso a viso aperto, nascondendosi dietro a un testo che può essere sinuoso ed equivoco, non si rafforzano certo nella capacità di gestione delle emozioni. Dunque facciamo di tutto per rafforzare nei figli un senso estremo di fragilità, di inabilità, facendoli sentire esposti a mille imperscrutabili pericoli dell ambiente umano e naturale, e quindi con un continuo bisogno di controllo e protezione. E così i figli stessi si affidano a questa suggestiva ma deresponsabilizzante àncora di salvataggio. E accettano senza rivoltarsi un bel guinzaglio, sia pure elettronico: non dà nell occhio e soprattutto è munito di così tante incredibili App da renderlo ben più che sopportabile: estremamente piacevole! 14

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