L Unione europea non consente di vietare l impiego per la coltivazione AGRICOLTURA ITALIANA E OGM: COESISTENZA POSSIBILE O INCOMPATIBILITÀ?



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AGRICOLTURA ITALIANA E OGM: COESISTENZA POSSIBILE O INCOMPATIBILITÀ? di Simone Vieri * Non è vietato, dice l Unione europea, l impiego di OGM nella coltivazione: la loro introduzione deve comunque avvenire limitando il rischio di possibili danni alle coltivazioni convenzionali e biologiche. Il 98 per cento della coltivazione di piante transgeniche è concentrato in soli 6 Paesi; solo quattro specie (soia, mais, colza e cotone) hanno finora trovato impiego su larga scala; di queste, solo le prime tre risultano essere coltivate in Italia. Un attenta disamina circa la convenienza economica ad introdurre queste coltivazioni transgeniche, e i conseguenti risultati economici e produttivi desumibili anche dalle esperienze di altri Paesi può aiutare a modificare l atteggiamento tutto sommato ancora ostile del consumatore italiano. The European Union states that employing GMOs in cultivation is not forbidden. However, GMOs have to be introduced in moderate quantity thus limiting the risk of potential damage to traditional and organic cultivation. 98% of the cultivation of transgenic plants is concentrated in 6 countries. So far, only four species (soya, corn, colza and cotton) have been employed on a large scale, and only three species are cultivated in Italy. An accurate analysis of the economical advantages, depending on the introduction of these transgenic cultivations, and their ensuing economic and productive results which can be inferred from other countries experience, could contribute to change Italian consumer s still rather hostile attitude to them. 76 L Unione europea non consente di vietare l impiego per la coltivazione di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) che, a tal fine, siano stati autorizzati, ai sensi di quanto previsto dalle vigenti norme comunitarie. È, tuttavia, previsto che l introduzione degli * Presidente Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)

OGM debba avvenire nel rispetto di regole tecniche (la cosiddetta coesistenza), volte a limitare il rischio di recare danni economici alle preesistenti coltivazioni convenzionali e biologiche. Il fatto che l impiego degli OGM non possa essere vietato, non è, tuttavia, da ritenere talmente significativo da far prevedere che ciò sarà sufficiente a renderne automatico l utilizzo da parte dei nostri agricoltori. È, infatti, indispensabile che, prima di procedere in tal senso, gli stessi agricoltori operino attente valutazioni riguardo alle numerose e complesse implicazioni connesse ad una scelta di questa natura. La diffusione delle coltivazioni transgeniche e le colture interessate La coltivazione di piante transgeniche è un fenomeno di recente introduzione, ma di rapida diffusione, come si può desumere dall esame dei dati ISAAA, dai quali risulta che le superfici investite a tali colture sono passate da 1,7 milioni di ettari nel 1996 a 81,0 milioni di ettari nel 2004. Il forte incremento delle superfici coltivate non è stato, tuttavia, accompagnato da una altrettanto significativa diffusione. Le coltivazioni transgeniche si concentrano, infatti, per il 98% in soli sei Paesi: Stati Uniti d America (47,6 milioni di ettari, pari al 59% sul totale); Argentina (16,2 milioni di ettari; 20%); Canada (5,4 milioni di ettari; 6%); Brasile (5,0 milioni di ettari; 6%); Cina (3,7 milioni di ettari; 5%); Paraguay (1,2 milioni di ettari; 2%). La forte concentrazione e la limitata diffusione rilevata per le superfici coltivate trova ampio riscontro nel ridotto numero di specie - appena quattro - che sono state interessate da coltivazioni transgeniche e che hanno trovato impiego su larga scala: soia, mais, cotone e colza. Tra esse, la più diffusa è stata la soia cui, nel 2004, sono stati destinati il 60% degli ettari interessati da coltivazioni transgeniche. Seguono il mais con il 23%, il cotone con l 11% ed il colza con il 6%. Le specie geneticamente modificate che hanno trovato largo impiego nelle attività di coltivazione si differenziano dalle relative specie convenzionali per la capacità, indotta attraverso la transgenesi: di essere resistenti, all impiego di taluni erbicidi disseccanti totali, altrimenti non utilizzabili; di produrre sostanze tossiche per alcuni insetti patogeni; di avere combinati i due caratteri di resistenza di cui sopra. Il tipo di carattere, in assoluto, più diffuso è stato quello della tolleran- 77

78 za agli erbicidi che, nel 2004, ha interessato il 72% delle coltivazioni praticate. Seguono la tolleranza agli insetti ed il carattere di doppia resistenza che, rispettivamente, hanno interessato il 19% ed il 9% delle superfici coltivate. Delle quattro coltivazioni transgeniche che, fino ad oggi, hanno trovato concreta applicazione e diffusione solo tre risultano essere coltivate in Italia: soia, mais e colza. Riguardo alla distribuzione territoriale, giova sottolineare che essa si presenta come fortemente concentrata (87,7%) nelle regioni settentrionali e, in particolare, in Veneto (28,6%), Lombardia (22,4%), Piemonte (14,4%), Emilia Romagna (11,8%) e Friuli-Venezia Giulia (10,5%). È evidente che una così marcata concentrazione territoriale delle aree potenzialmente interessate alla coltivazione delle piante transgeniche diviene una ulteriore variabile da considerare ai fini della possibilità di realizzare la coesistenza sul territorio. A questo fine, altra variabile da considerare è la struttura delle aziende agricole italiane che, come noto, sono caratterizzate non solo da piccole dimensioni, ma anche da un elevato grado di frammentazione. Con riferimento ai dati ISTAT si rileva, infatti, che, a livello nazionale, la superficie media aziendale è di poco superiore ai 5 ettari; che solo lo 0,8% delle aziende interessate alla produzione di seminativi dispone di più di 100 ettari; che il grado di frammentazione media aziendale è di 3,6 corpi e che il 18,5% delle aziende agricole italiane è frammentato in più di 5 corpi. La situazione ora illustrata per il complesso dell agricoltura italiana trova riscontro anche nei dati relativi alle strutture agricole delle cinque regioni, ove si concentra la gran parte degli ettari potenzialmente interessati all introduzione delle coltivazioni transgeniche. In particolare, se consideriamo l incidenza delle aziende di piccole o piccolissime dimensioni rileviamo che le aziende con meno di 5 ettari rappresentano: il 79,8% delle aziende agricole presenti in Veneto; il 54,8% delle aziende agricole presenti in Lombardia; il 63,9% delle aziende agricole presenti in Piemonte; il 70,1% delle aziende agricole presenti in Friuli-Venezia Giulia; il 54% delle aziende agricole presenti in Emilia Romagna. Considerato che, ai fini della realizzazione della coesistenza, risulterà determinante la possibilità di rispettare le distanze che consentono di evi-

tare che i rischi di commistione divengano economicamente pregiudizievoli per le coltivazioni diverse da quelle transgeniche, non si può non sottolineare che uno dei principali ostacoli in tal senso sia rappresentato dalle caratteristiche strutturali delle aziende agricole italiane. La convenienza economica ad introdurre le coltivazioni transgeniche Dai dati esaminati risulta evidente che, fino ad oggi, le coltivazioni transgeniche hanno trovato applicazione in sistemi produttivi agricoli profondamente diversi da quello italiano. Fermo restando che la valutazione della convenienza ad introdurre, o a praticare le coltivazioni transgeniche è da considerare significativa solo se effettuata in riferimento alle singole colture ed in relazione alle caratteristiche ambientali, strutturali, economiche, produttive e commerciali delle realtà interessate, non si può, tuttavia, non considerare che gli elementi conoscitivi di cui, attualmente, disponiamo rendono necessario operare alcune considerazioni, in merito, almeno, a tre aspetti: 1) i risultati economici e produttivi desumibili dalle esperienze condotte nei Paesi che praticano le coltivazioni transgeniche su larga scala; 2) la compatibilità con il modello di sviluppo dell agricoltura italiana; 3) le caratteristiche della domanda e, più in genere, l atteggiamento del consumatore rispetto agli OGM. I risultati economici e produttivi desumibili dalle esperienze di altri Paesi - Con riferimento alle coltivazioni transgeniche attualmente in uso, essendo esse diffuse ad un livello economicamente rilevante dal 1996, esistono numerosi riscontri in merito ai risultati economici e produttivi ottenuti a seguito del loro utilizzo e, in specie, riguardo ai costi ed ai benefici determinati per effetto delle modificazioni introdotte attraverso la transgenesi. A questo riguardo, giova premettere che le coltivazioni transgeniche non sembrano essere in grado di assicurare risultati produttivi superiori rispetto a quelli delle colture convenzionali. A conferma di ciò vale l esempio della soia negli USA, ove dal 1996 (anno di introduzione degli OGM) al 2003 le superfici coltivate sono aumentate da 25,6 a 29,3 milioni di ettari (+14,4%), mentre la produzione è cresciuta di appena lo 0,1% (da 64,8 a 65,8 milioni di tonnellate), con un evidente flessione delle rese, passate da 25,3 a 22,5 quintali ad ettaro (-11,1%). 79

80 Alla luce di ciò, le valutazioni da operare devono riguardare, in primo luogo, i risultati raggiunti grazie ai due caratteri per i quali, fino ad oggi, le piante transgeniche sono state utilizzate: la resistenza a diserbanti disseccanti totali e la facoltà di produrre sostanze tossiche per determinati insetti patogeni. In merito all utilizzo di piante transgeniche resistenti a diserbanti disseccanti totali e, quindi, alla possibilità di contenere i costi relativi al controllo delle infestanti, in alcuni studi condotti sulla soia negli USA, è stato dimostrato che nei primi anni di introduzione sono state ottenute riduzioni dei suddetti costi in misura variabile tra i 17 ed i 30 dollari per ettaro. 1 Tuttavia, come, peraltro, previsto in altri studi, 2 nel tempo sono emersi fenomeni di resistenza da parte delle piante infestanti che hanno reso necessario l impiego di quantità crescenti di diserbanti, determinando, di fatto, l erosione dei benefici di cui sopra. Per quanto riguarda le piante transgeniche resistenti agli insetti, per quanto risulta da studi condotti sul mais negli USA, è stato evidenziato che, nel periodo 1996-2001, durante il quale sono stati registrati anche anni senza rilevanti attacchi da parte dell insetto parassita, il bilancio complessivo è stato negativo per 92,3 milioni di dollari. 3 Da rilevare, inoltre, che per evitare l insorgere di forme di resistenza da parte dei parassiti, i coltivatori di mais transgenico devono destinare dal 20 al 50% della superficie interessata alla coltivazione di mais convenzionale, al fine di creare aree rifugio per gli insetti che, in tal modo, non riescono a sviluppare forme di resistenza. Tra gli elementi che possono contribuire ad erodere i benefici derivanti dall impiego delle coltivazioni transgeniche si devono, inoltre, considerare le spese per l acquisto delle sementi geneticamente modificate che, essendo coperte da brevetto, hanno costi, mediamente, superiori rispetto alle sementi convenzionali. Ne discende che, a prescindere da ogni altra considerazione, il singolo agricoltore, prima di introdurre le coltivazioni transgeniche dovrebbe attentamente valutare i seguenti aspetti: 1) la dimensione delle aziende agricole che diviene determinante, ai fini di determinare l effettiva entità di eventuali benefici; 2) il rischio dell insorgenza di fenomeni di resistenza delle infestanti per le coltivazioni transgeniche resistenti all impiego di diserbanti

disseccanti totali; 3) la necessità di riservare parte variabile tra il 20% ed il 50% dei terreni alle coltivazioni non transgeniche, in caso di coltivazioni produttrici di tossine dannose per taluni insetti patogeni; 4) la necessità di sostenere maggiori costi per l acquisto di sementi transgeniche sulle quali, come noto, gravano i diritti di brevetto dei quali sono titolari le aziende produttrici. La compatibilità con il modello di sviluppo dell agricoltura italiana - Negli ultimi quindici anni, complice anche la riforma delle misure di sostegno attuate nell ambito della politica agricola comunitaria, l agricoltura italiana ha, di fatto, congelato la propria produzione che, nel 2003, è risultata, in termini reali, eguale a quella registrata nel 1990, assicurando, comunque, un grado di auto-approvvigionamento, pari al 90,8%. La suddetta evoluzione produttiva non rende, tuttavia, conto degli importanti cambiamenti che la nostra agricoltura è riuscita a realizzare nel corso degli ultimi dieci-quindici anni, durante i quali si sono decisamente affermate scelte produttive orientate verso la qualità dei prodotti e la sostenibilità ambientale. A conferma di ciò si consideri che l agricoltura italiana è prima in Europa per: 1) numero di prodotti riconosciuti da marchi comunitari (145 DOP e IGP), ai quali si devono aggiungere 470 vini a denominazione (30 DOCG; 314 DOC; 126 IGT) e 4.008 prodotti censiti come tradizionali; 2) le produzioni da agricoltura biologica, con il 34,6% delle aziende ed il 24,2% delle superfici presenti nella UE a 15; 3) la partecipazione alle misure agro-ambientali che, in Italia, interessano il 7% delle aziende ed il 19,5% delle superfici. A ciò si aggiunga che, tra i Paesi OCSE, l Italia è quella che, tra il 1985 ed il 2001, ha fatto registrare le più forti riduzioni nell impiego di sostanze chimiche in agricoltura. In particolare, l impiego di fertilizzanti si è ridotto in Italia del 29,5% a fronte di un aumento del 24% negli USA, e di una diminuzione del 15,9% nel resto della UE; i consumi di fitofarmaci e diserbanti sono diminuiti del 51,3% in Italia, del 24% nel resto della UE e dell 1,2% negli USA. Da rilevare, infine che, in Italia, nel periodo compreso tra il 1999 ed il 2003 il consumo di prodotti fitosanitari classificati come molto tossici, tossici e nocivi si è ridotto del 33,5%. 81

82 Il progressivo spostamento verso modelli di sviluppo chiaramente orientati alla qualità dei prodotti ed all adozione di tecniche colturali a basso impatto ambientale ha avuto riscontri positivi sul mercato interno ed estero. L evoluzione della bilancia agroalimentare, fatti salvi i risultati non propriamente positivi registrati nel 2003, peraltro dovuti ad una congiuntura decisamente poco favorevole, ha evidenziato, nell ultimo decennio, un andamento di lungo periodo decisamente positivo e tale da assumere carattere strutturale. Nel 2003, nonostante la succitata congiuntura negativa, il commercio agroalimentare ha rappresentato l 8,7% del commercio totale nazionale ed il 7,1% dell export italiano. Sul fronte interno la produzione agricola nazionale è trasformata per il 70% dall industria alimentare ed il valore della produzione agroalimentare che ne deriva rappresenta l 88% della spesa per consumi alimentari interni. Circa il 16% della produzione agricola italiana è costituito da prodotti con certificazione riconosciuta (DOP, IGP, Vini di qualità, prodotti biologici) e ciò, se da un lato conferma che tali prodotti non sono l agricoltura italiana, dall altro lato, rende evidente che essi ne costituiscono il vessillo ed il traino. Da rilevare, infine, che i prodotti degli OGM, potenzialmente coltivabili in Italia (mais, soia, colza) sono, principalmente, destinati alla produzione di mangimi e non di alimenti, ossia si riferiscono ad un settore per il quale il nostro Paese è strutturalmente deficitario come dimostrano i dati relativi alla nostra bilancia commerciale, sulla quale le importazioni di mais e soia (in semi e panelli) pesano per circa 1,4 miliardi di euro a fronte di esportazioni per appena 167 milioni di euro. È evidente che una situazione di questo genere non può, in nessun caso, essere migliorata con l introduzione delle attuali coltivazioni transgeniche che, peraltro, tra le loro caratteristiche non hanno quella di assicurare risultati produttivi superiori rispetto alle coltivazioni tradizionali. Le caratteristiche della domanda e l atteggiamento del consumatore rispetto agli OGM Una analisi sulla convenienza economica per gli agricoltori italiani di produrre beni agro-alimentari, attraverso le coltivazioni transgeniche richiede una riflessione che deve essere, non solo molto attenta, ma anche preventiva. Nel caso dei prodotti ottenuti da coltivazioni transgeniche la condi-

zione che viene meno ai fini della loro collocazione sul mercato è l assenza di certezze rispetto alle effettive caratteristiche qualitative del bene, come chiaramente emerge dall atteggiamento che i consumatori hanno ripetutamente mostrato di avere nei confronti di questi stessi prodotti. Sulla materia sono stati effettuati numerosi studi, molti dei quali condotti con la tecnica del sondaggio. Tra le analisi più recenti, ci limiteremo a citare quelle condotte, nel 2004, da People SWG e da ISPO dalle quali emerge che il 75% dei consumatori italiani è contrario a consumare prodotti OGM (SWG, 2004) e che il 67% ritiene l impiego di OGM molto (55%) o abbastanza (12%) dannoso per l agroalimentare italiano (SWG, 2004). Un altro dato molto significativo sui comportamenti che possono limitare la propensione al consumo dei prodotti transgenici è che, secondo dati ISPO dell ottobre 2004, il 46% dei consumatori ritiene tali prodotti dannosi per la salute e che il 58% li considera comunque meno salutari dei prodotti tradizionali. Nell esprimere una valutazione di tipo economico su di una questione così controversa se, da un lato, si deve porre la massima attenzione nell evitare di esprimere giudizi di valore, dall altro lato non si possono, però, non assumere le preferenze espresse dai consumatori come un dato, cui riferirsi. Ciò vale, tanto per gli analisti economici, quanto per i produttori agricoli che «devono tenere ben presente che produrre un bene senza mercato significa, per le aziende, produrre senza futuro» (Prestamburgo, 2002). 4 In una situazione di questo tipo, la presenza di uno stato di incertezza riguardo alla natura (transgenica, non transgenica) dei beni alimentari, peraltro alimentata dalle vigenti norme sull etichettatura che, come noto, prevedono un valore di soglia, sotto il quale la presenza di OGM è considerata accidentale e, pertanto, non deve essere indicata in etichetta, si avrà, comunque, una tendenza alla riduzione dei prezzi dei prodotti alimentari che sarà determinata dalla sostanziale indisponibilità della gran parte dei consumatori ad acquistare prodotti contenenti OGM e che, pertanto, non sarà positiva, né per gli agricoltori che, tale riduzione, saranno costretti a subire, né per gli stessi consumatori che, quando la loro disponibilità di reddito glielo consentirà, si orienteranno verso prodotti più costosi con certificazione OGM-free. In conclusione, ne discende che i prodotti transgenici, qualora doves- 83

sero iniziare ad essere espressamente presenti sul mercato saranno maggiormente presenti nella spesa dei consumatori a basso reddito, generando situazioni, probabilmente meritevoli più di valutazioni etiche e politiche che non economiche. Note 1 Si veda: Price GK, W Lin, JB Falck-Zepeda (2001); Falck-Zepeda JB, G Traxler, RG Nelson (2000). 2 C. M. Benbrook (2001a). 3 Si veda: Benbrook C. M., (2001b); Benbrook C. M., (2002); Fernández Cornejo, Mc Bride (2002). 4 Prestamburgo M. (2002). Bibliografia BENBROOK, C. M. 2001a - Troubled Times Amid Commercial Success for Roundup Ready Soybeans, Glyphosate Efficacy is Slipping and Unstable Transgene Expression Erodes Plant Defenses and Yields, Northwest Science and Environmental Policy Center Sandpoint Idaho, AgBioTech InfoNet Technical Paper Number 4. (http://www.biotech-info.net/troubledtimes.html). BENBROOK, C. M. 2001b - The farm-level economic impacts of Bt corn from 1996, through 2001: an independent national assessment, Commissioned by the Institute for agriculture and trade policy. (www.biotech_info.net/bt_premium_iatp2002.html). BENBROOK, C. M. 2002 - Economic and environmental impacts of first generation genetically modified crops: lessons from the United States. (www.iisd.org/pdf/2002/tkn/_gmo_imp_nov_02.pdf). 84 BENBROOK, C. M. 2003 - Impacts of genetically crops on pesticide use in the United States: the first eight years, Biotech InfoNet, Technical Paper Number 6, November 2003. FALCK-ZEPEDA, JB - TRAXLER, G.- NELSON, R.G. 2000 - Rent Creation and

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