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NEWSLETTERLAVORO 4 2016 All interno: onere allegativo e di prova del repechage in caso di licenziamento per g.m.o. giurisprudenza in tema di diritto di accesso al fascicolo personale, licenziamento per superamento del comporto, imposizione contributiva su personale viaggiante di compagnia aerea estera depenalizzazione delle ipotesi di somministrazione di lavoro abusiva e appalto e distacco illeciti Roma Via dei Due Macelli, 47 Telefono: +39 06 6784778 Fax: +39 06 6783915 Milano Via Monte Napoleone, 18 Telefono: +39 02 7645771 Fax: +39 02 783524 Bologna Via Cesare Battisti, 33 Telefono: +39 051 6440604 Fax: +39 051 332126 www.rucellaieraffaelli.it info@rucellaieraffaelli.it

NewsletterLavoro Indice Il punto su: licenziamento per giustificato motivo oggettivo e onere di repechage a carico del datore di lavoro Spunti dalla sentenza della Corte di Cassazione del 22 marzo 2016 n. 5592. Giurisprudenza Italiana Diritto del lavoratore di accesso al fascicolo personale (Cassazione, Sentenza n. 6775 dell 8 aprile 2016). Legittimità del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto (Cassazione, Sentenza n. 6697 del 6 aprile 2016). Imposizione contributiva e principio del cabotaggio Bergamo, sentenza 29 marzo 2016). (Tribunale di I nostri casi Tempestività della contestazione disciplinare e licenziamento per giusta causa (Tribunale di Milano, Sezione lavoro, ordinanza del 29 febbraio 2016). Novità e interpretazioni normative Depenalizzazione delle ipotesi di somministrazione di lavoro abusiva e appalto e distacco illeciti (D.Lgs. 8/2016 e Corte di Cassazione, Sezione Penale, del 14 marzo 2016, n. 10484). Deposito dei verbali di conciliazione in sede sindacale e controllo della DTL (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nota n. 5199 del 12.03.2016). 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 1

Il punto su: licenziamento per giustificato motivo oggettivo e onere di repechage a carico del datore di lavoro La sentenza della Corte di Cassazione Sezione Lavoro, del 22 marzo 2016 n. 5592 sovverte l indirizzo giurisprudenziale sin qui predominante in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e onere di dimostrazione di un posto di lavoro alternativo ove ricollocare il dipendente (c.d. repechage ). È l occasione per riepilogare brevemente la materia. Perché un licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia ritenuto legittimo, il Giudice deve accertare unitamente all effettività delle ragioni inerenti all attività produttiva, all organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa addotte dal datore di lavoro a giustificazione del licenziamento, altresì l impossibilità di un diverso utilizzo del lavoratore nell ambito aziendale, nell ambito dei principi di correttezza e buona fede sottesi al contratto di lavoro. La vicenda decisa dalla Suprema Corte muove dall impugnazione di un liceziamento da parte di un lavoratore dipendente licenziato per giusticato motivo oggettivo per soppressione della posizione lavorativa, a seguito di riorganizzazione aziendale. Nel giudizio di impugnazione del licenziamento, il lavoratore sosteneva che la società ex datrice di lavoro non avesse fornito alcuna prova in ordine all impossibilità di impiegarlo, rendendosi così inadempiente quanto all obbligo di repechage. Entrambi i Giudici di merito respingevano la domanda del lavoratore, sulla base del (fino ad oggi) consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il lavoratore che impugna il licenziamento ha l onere di allegare specificamente l esistenza in azienda di altri posti di lavoro in cui possa essere utilmente ricollocato. Ciò in virtù di un obbligo di collaborazione con l azienda nell accertamento di un possibile repechage (tra le ultime, Corte di Cassazione,Sezione Lavoro, 13 marzo 2014 n. 4920, Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 12 febbraio 2014 n. 3224). La Cassazione, con la sentenxa in commento, accogliendo le doglianze del lavoratore, ha invece espresso il principio secondo cui nel ricorso con il quale il lavoratore impugna il licenziamento, è sufficiente contestarne l illegittimità e affermare l inesistenza delle ragioni addotte (inclusa la violazione dell obbligo di repechage), senza che sia necessario assolvere a un onere di allegazione, neppure sul piano presuntivo, di posti alternativi ove ricollocare il dipendente. in fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro sia l'allegazione che la prova dell'impossibilità di repechage del lavoratore licenziato, in quanto requisito del giustificato motivo di licenziamento, con esclusione di un onere di allegazione al riguardo del lavoratore. Secondo questo nuovo orientamento, di segno diametralmente contrario a quello predominante sinora e richiamato nei precedenti gradi di giudizio, l onere della prova della impossibilità di un repechage grava interamente sul datore di lavoro per la maggiore 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 2

vicinanza di allegazione e prova in relazione all organizzazione di impresa, non avendo il lavoratore la possibilità di ottenere informazioni esaustive circa tale organizzazione, informazioni di cui invece può disporre il datore di lavoro, tanto più in situazioni di crisi e/o riorganizzazioni aziendali che presuppongono interventi imprenditoriali. A sostegno della recente interpretazione, la Corte richiama l art. 5 della L. 604/1966 in materia di licenziamenti individuali (che pone a carico del datore di lavoro l onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento nel quale rientra, quale elemento costitutivo, la verifica del repechage) e i principi generali in tema di responsabilità da inadempimento, da cui discende che al lavoratore/creditore competa solo di allegare l esistenza del rapporto di lavoro e l inadempimento datoriale per l illegittimo esercizio del diritto di recesso, mentre sul datore di lavoro/debitore ricade la dimostrazione delle esigenze oggettive richiamate nella lettera di licenziamento e, altresì, della impossibilità di ricollocare su altre mansioni il lavoratore. Il ripensamento della Corte di Cassazione rischia di apparire una presa di posizione piuttosto rigida, rendendo la prova negativa (ovvero l insussistenza di posti di lavoro disponibili in cui ricollocare il lavoratore) una prova impossibile (la c.d. probatio diabolica ) per il datore di lavoro. 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 3

Giurisprudenza Italiana Diritto del lavoratore di accesso al fascicolo personale (Cassazione, Sentenza n. 6775 dell 8 aprile 2016) Con la recente sentenza n. 6775 dell 8 aprile u.s., la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto del lavoratore ad avere accesso al proprio fascicolo personale contenente atti e documenti relativi al proprio percorso professionale. La Corte si è pronunciata sul ricorso proposto da una lavoratrice la quale si era vista negare dalla società per la quale prestava la propria attività lavorativa la possibilità di accedere al proprio fascicolo personale onde verificare le motivazioni poste dalla società alla base delle valutazioni negative ricevute in ordine alle prestazioni lavorative rese. La lavoratrice aveva adito il giudice ordinario dopo un infruttuoso tentativo di ottenere l accesso al fascicolo tramite un ricorso diretto al Garante della Privacy; la società infatti, seppure richiesta dall autorità, aveva consentito alla propria dipendente la visione di limitata documentazione contenuta nel fascicolo personale. La dipendente aveva sin da subito evidenziato la parziarietà della documentazione offertale in visione, mancando del tutto alcune delle valutazioni negative ricevute oltre a documentazione sanitaria. Per tale motivo aveva ritenuto di adire il giudice ordinario al il diritto del lavoratore ad avere accesso al proprio fascicolo personale è un diritto soggettivo discendente prima ancora che dalla normativa apprestata in materia di trattamento dei dati personali, dai generali principi di correttezza e buona fede nell ambito del rapporto lavorativo fine di ottenere un risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale e, soprattutto, la possibilità di richiedere l integrazione ovvero la rimozione dei dati contenuti nel proprio fascicolo personale. La Corte d Appello, confermando la sentenza resa dal primo giudice, aveva rigettato la domanda della lavoratrice ritenendola, prima ancora che infondata, inammissibile sotto un profilo processuale. A detta della Corte infatti, il ricorso preventivo al Garante della Privacy avrebbe escluso la possibilità di godere della tutela ordinaria dinanzi al giudice del lavoro. La Cassazione, in primo luogo, chiarisce come il diritto del lavoratore ad avere accesso al proprio fascicolo personale, sia un diritto soggettivo discendente prima ancora che dalla normativa apprestata in materia di trattamento dei dati personali, dai generali principi di correttezza e buona fede nell ambito del rapporto lavorativo. Afferma infatti la Corte che il datore di lavoro, e più in generale ogni gestore di dati personali, ha l obbligo di gestire i dati secondo i canoni di liceità, pertinenza e correttezza ed inoltre di adottare ogni misura idonea a garantire l effettivo esercizio del diritto degli interessati di accedere ai propri dati al fine di ottenere l integrazione, la rettificazione ovvero anche l aggiornamento. Quanto alla via da scegliere per la tutela di tali diritti, la Corte ha quindi riconosciuto non solo la legittimazione della ricorrente ad adire il giudice ordinario ma pure il suo diritto ad avere accesso a tutta la documentazione contenuta nel proprio fascicolo personale presso la società datore di lavoro. 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 4

Legittimità del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto (Cassazione, Sentenza n. 6697 del 6 aprile 2016) La Cassazione torna a pronunciarsi in ordine alla legittimità del licenziamento intimato ad un dipendente per superamento del periodo di comporto. Con la sentenza in esame infatti viene ribadito il principio già espresso dalla Suprema Corte in base al quale in caso di malattia del dipendente la concessione da parte del datore di lavoro del periodo di aspettativa previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria non elimina la necessità per il lavoratore di giustificare l assenza dal lavoro sino allo scadere del periodo di aspettativa. All esame della Corte, il caso di una dipendente che, dopo la scadenza dei termini di comporto, si era vista accordare dal datore di lavoro un periodo di aspettativa non retribuita, così come da Lei richiesto, nonostante detta richiesta fosse pervenuta oltre i limiti temporali previsti dal contratto collettivo nel caso di concessione di un periodo di aspettativa, successivo a quello di malattia, i limiti temporali per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto devono essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere anche la durata dell aspettativa nazionale. Trascorso anche il periodo di aspettativa, la dipendente non riprendeva servizio costringendo così il datore di lavoro ad intimarle il licenziamento per superamento del periodo di comporto. Il ricorso per Cassazione è stato proposto dalla parte datoriale, soccombente nei due precedenti gradi di giudizio. La Corte d Appello infatti, confermando la decisione del giudice di prime cure, aveva riconosciuto l illegittimità del licenziamento intimato in ragione di una tacita rinuncia da parte della società a voler esercitare il recesso sulla base delle circostanze che la società aveva concesso un periodo di aspettativa non retribuita nonostante la richiesta tardiva da parte della dipendente e che era trascorso un lasso di tempo di 9 mesi tra il momento del superamento del periodo di comporto ed il licenziamento. La Corte, cassando la decisione impugnata, ha invece chiarito come, nella fattispecie, non possa parlarsi di rinuncia tacita al recesso, dovendosi valutare il comportamento tenuto dal datore di lavoro a seguito della fruizione del comporto e dell aspettativa e verificare se si realizzi una inerzia datoriale tale da ingenerare nel dipendente un incolpevole affidamento alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Imposizione contributiva e principio del cabotaggio (Tribunale di Bergamo, sentenza 29 marzo 2016) Con Sentenza del 29 marzo u.s., il Tribunale di Bergamo ha respinto le pretese dell INPS in merito al mancato versamento contributivo da parte di una nota compagnia aerea irlandese, operante anche su tratte italiane, in relazione ai propri dipendenti. L ente previdenziale italiano aveva adito il Giudice lombardo perché questi accertasse l obbligo contributivo della società aerea e la condannasse quindi a pagare in Italia 9,4 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 5

milioni di euro di contributi previdenziali in relazione ai propri dipendenti che operano in Italia. Il Tribunale ha rigettato il ricorso proposto dall INPS affermando che, secondo il diritto internazionale privato, la sovranità sugli aeromobili della compagnia irlandese è riconducibile unicamente alla legge irlandese. A nulla sono valse le contestazioni mosse dall INPS riguardo la circostanza che molti dei dipendenti effettuerebbero unicamente voli su tratte nazionali. Il Tribunale infatti ha dato ingresso al principio del cosidetto cabotaggio, principio proprio del diritto della navigazione, in base al quale gli equipaggi che svolgono tratte interne a un paese diverso da quello in cui ha una sede la compagnia sono considerati semplicemente di passaggio, pertanto non assoggettati alla normativa del paese ospitante. La decisione fa seguito ad analoga posizione espressa dal Tribunale di Bologna e dalla Corte di Cassazione. 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 6

I nostri casi Tempestività della contestazione disciplinare e licenziamento per giusta causa (Tribunale di Milano, Sezione lavoro, ordinanza del 29 febbraio 2016). Un lavoratore, con qualifica di Quadro, impugnava il licenziamento intimatogli per giusta causa dalla propria società datrice di lavoro, sostenendo la tardività della constestazione disciplinare e, in ogni caso, la sproporzione tra la sanzione irrogata e la gravità delle condotte a lui contestate. In particolare, la società contestava al lavoratore la violazione delle procedure aziendali di gestione e valutazione delle attività di alcuni centri di assistenza tecnica, nonché l invio a clienti di dati (relativi sempre all assistenza tecnica) alterati e quindi non veritieri nell ambito di condotte avvenute l anno precedente la contestazione. Il ricorrente, deduceva la tardività della contestazione disciplinare, in quanto riguardante fatti avvenuti un anno prima, e, in considerazione delle proprie condotte, riteneva sproporzionata la sanzione espulsiva. Il lavoratore richiedeva, quindi, l accertamento dell illegittimità del licenziamento intimatogli e l applicazione delle tutele di cui all art. 18, quarto comma, Legge 300/1970. Il Tribunale di Milano, in accoglimento in materia di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali, ad esempio, il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa. delle argomentazioni della società convenuta, ha respinto il ricorso del lavoratore ritenendo il licenziamento per giusta causa proporzionato e tempestivo. Sotto tale ultimo profilo, il Tribunale di Milano ha richiamato l orientamento giurisprudenziale secondo cui l immediatezza della contestazione deve intendersi in senso relativo e quindi compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo allorché l accertamento e la valutazione dei fatti richieda una spazio temporale maggiore, ovvero la complessità della struttura organizzativa della società (in questo caso una società multinazionale con capogruppo estera) sia suscettibile di far ritardare il provvedimento di licenziamento e a ritenere tempestiva la contestazione effettuata e con termini sufficienti a garantire al lavoratore il pieno esercizione del diritto di difesa rispetto ai fatti contestati (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 12 gennaio 2016, n. 281). 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 7

Novità e interpretazioni normative Depenalizzazione delle ipotesi di somministrazione di lavoro abusiva e appalto e distacco illeciti (D.Lgs. 8/2016 e Corte di Cassazione, Sezione Penale, del 14 marzo 2016, n. 10484). Per effetto del D.lgs. n 8/2016, entrato in vigore il 6 febbraio 2016, le ipotesi di somministrazione di lavoro abusiva, utilizzazione illecita di personale, appalto e distacco illeciti sono state depenalizzate e pertanto non integrano più fattispecie di reato. Le predette ipotesi divengono illeciti amministrativi puniti con una sanzione amministrativa di tipo proporzionale progressivo pari a 50 per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione, ma la sanzione da irrogare non può, in ogni caso essere inferiore a 5.000 né superiore a 50.000. Il Legislatore ha previsto che le diposizioni del decreto in questione che sostituiscono le sanzioni penali con quelle amministrative si applicano anche alle violazioni commesse prima dell entrata in vigore del decreto, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. È stato inoltre previsto che ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del decreto in questione non possa essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato. Una prima applicazione della normativa è stata oggetto della sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, del 14 marzo 2016, n. 10484 secondo cui L'articolo 8 del D.lgs. 8/2016 che ha depenalizzato l'ipotesi dell'intermediazione illecita di manodopera (i.e. appalto illecito e distacco illecito) stabilisce che le sanzioni si applicano anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, purché il procedimento penale non sia già stato definito con sentenza o decreto penale irrevocabili. Ne consegue che nei giudizi penali aventi ad oggetto siffatte ipotesi di reato dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e gli atti andranno trasmessi alla direzione territoriale del Lavoro per l'applicazione della sola sanzione amministrativa. Deposito dei verbali di conciliazione in sede sindacale e controllo della DTL (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nota n. 5199 del 12.03.2016). Il Ministero del Lavoro ha risposto ad un quesito posto dalla Direzione del Lavoro di Foggia in merito alla possibilità e necessità di depositare presso la DTL le copie dei verbali di conciliazione sindacale alla luce delle modifiche al codice di procedura civile apportate dalla Legge 183/2010 (cd. Collegato Lavoro ). In particolare, la predetta Direzione del Lavoro, richiamando la circolare ministeriale n. 1138/G/77 del 17.03.1975, aveva negato il deposito ad una associazione sindacale in base all'assenza, dalla lettura dei verbali di conciliazione, dell'elemento "di ammissibilità della procedura del deposito ovvero che la conciliazione sia stata raggiunta nel rispetto delle procedure previste nei contratti o accordi collettivi", nonché in considerazione del fatto che "l'associazione sindacale non risulta firmataria di CCNL (settore commercio, metalmeccanico, lavoro domestico)". Il sindacato opponeva una differente ricostruzione esegetica secondo la quale, considerate le modifiche apportate all'art. 410 c.p.c. della Legge 183/2010 e della conseguente venuta meno del "collegamento implicito" tra l'art. 411, comma 3, c.p.c. e l'art. 410 c.p.c., il dettato della circolare del 1975 risulterebbe superato, 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 8

non essendo più richiesta la verifica da parte della DTL del rispetto delle "procedure previste da contratti o accordi collettivi", dovendo tale verifica limitarsi solo all'autenticità dell'atto. Pertanto, secondo l'opponente, il deposito di verbali di conciliazione in sede sindacale presso la DTL, ex art. 411 c.p.c., non potrebbe essere negato, salvo il caso di comprovata non autenticità del verbale. Secondo il Ministero, in caso di deposito presso la DTL di verbali di conciliazione in sede sindacale, quest'ultima deve verificare: 1) l autenticità dell'atto (art. 411 c.p.c., comma 3) e 2) che la procedura conciliativa sia avvenuta nel rispetto di quanto prescritto dall'art. 412-ter c.p.c., atteso che il "collegamento implicito" fra il deposito e la verifica delle procedure di fonte contrattual-privatistica, richiamato dalla circolare del 1975, è sicuramente attuale e confermato. E ciò in quanto la finalità sottesa alla norma dell art. 2113, ultimo comma, c.c. è quella di "limitare le conciliazioni ex artt. 2113 c.c. a sedi che garantiscono un certo gradiente di istituzionalizzazione". Peraltro, allorché l'art. 410 c.p.c. fa rifermento all'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, individuando il soggetto sindacale nello svolgimento di una funzione di consulenza e assistenza e non propriamente conciliativa, il Ministero conclude il proprio intervento affermando che, per l'utile espletamento dell'attività di deposito di verbali ex art. 411 c.p.c., il soggetto sindacale deve essere in possesso di elementi di specifica rappresentatività da verificare secondo le indicazioni contenute nella citata circolare del 1975. Sul punto, con successiva nota n. 5755 del 22.03.2016, lo stesso Ministero ha precisato che, al fine di accertare il "possesso di elementi di specifica rappresentatività" utile all'espletamento dell'attività di deposito di verbali ex art. 411 c.p.c., è sufficiente che il verbale sia stato sottoscritto "in sede sindacale", ossia con l'assistenza di un rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore, che appartenga ad associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Pertanto, la verifica in ordine alla "specifica rappresentatività" del soggetto sindacale non andrà basata sull'elemento formale del rispetto di procedure previste dai contratti collettivi, talvolta non espressamente disciplinate, quanto sul grado di rappresentatività del soggetto sindacale. 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 9

Contatti Avv. Andrea Vischi a.vischi@rucellaieraffaelli.it Avv. Francesco Pedroni f.pedroni@rucellaieraffaelli.it Milano Via Monte Napoleone, 18 Telefono: +39 02 7645771 Fax: +39 02 783524 www.rucellaieraffaelli.it 2016 Rucellai&Raffaelli - NewsletterLavoro 10