Ricerca sul carcere, immigrazione e disagio psichico A cura dell équipe del Centro G. Devereux (Servizio di salute mentale per immigrati) di Bologna coordinata dal Prof. Alberto Merini (Istituto di psichiatria universitaria di Bologna) Metodologia Ricerca al Carcere di Forlì Si tratta di uno studio caso controllo che ha due obiettivi: 1. Confronto fra un gruppo di migranti carcerati e un gruppo di italiani carcerati. I due gruppi sono omogenei in ordine all età, sesso e tempo di permanenza in carcere. I due gruppi differivano per la posizione giudiziaria poiché gli italiani, a differenza dei migranti, sono tutti definitivi. Il gruppo di migranti è stato selezionato omogeneo in ordine alla nazionalità, e quindi alla cultura, più rappresentativa: Marocco. Il campione è costituito da 14 carcerati migranti e 14 italiani. L ipotesi di partenza è di rilevare una diversità nell espressione sintomatologica del disagio. 2. Confronto tra un gruppo di migranti detenuti con giudizio definitivo e un gruppo di migranti detenuti in attesa di giudizio e confronto tra i diversi quadri sintomatologici in relazione alla durata della permanenza in carcere. Ci si dovrebbe aspettare delle differenze di struttura di personalità, capacità di adattamento e background sociale. A questo proposito, accanto alla valutazione dello stato attuale con scale opportune, è stato indispensabile raccogliere un anamnesi accurata sulla socializzazione, l adattamento, ecc. nel periodo giovanile adolescenziale nel paese d origine. Abbiamo configurato la ricerca al carcere di Forlì, in risposta ad una richiesta degli operatori stessi, che, trovatisi di fronte ad un aumento della popolazione carceraria migrante, formularono il bisogno di approfondire la conoscenza del fenomeno. Metodi Test di screening autosomministrato al gruppo di marocchini e al gruppo di controllo italiano sul distress psicologico. Il test GHQ-12, è validato dall OMS e tradotto in arabo. Scheda anamnestica relativa alla storia personale in Patria solo nel gruppo dei migranti e approfondimento relativo all adattamento scolastico, lavorativo e sociale per gli stessi. Infine approfondimento psicopatologico con intervista diagnostica strutturata per i detenuti marocchini (MINI). Abbiamo previsto un incontro introduttivo con i detenuti marocchini per presentare il progetto ed ottenere il consenso alla loro collaborazione. Alla riunione erano presenti i ricercatori, i mediatori culturali, Alain Goussot, l ispettrice del carcere e tutti i detenuti marocchini del carcere. L incontro si è svolto alla chiusura del Ramadam, per cui è stato possibile creare subito un clima caldo di collaborazione condividendo la rottura del digiuno. Il gruppo ha subito dimostrato una certa coesione e collaboratività attiva al progetto. 1
Nella strutturazione dei colloqui, 4 al giorno per 4 mercoledì consecutivi, abbiamo riproposto il setting gruppale che contraddistingue la nostra attività al centro di psichiatria multiculturale G. Devereux: ad ogni incontro erano presenti due ricercatori, uno che conduceva il colloquio e l altro che registrava i dati, e la mediatrice culturale. Quest ultima interveniva in caso di difficoltà linguistiche e svolgeva un importante ruolo di interfaccia col carcere, dato il suo lavoro allo sportello migranti nell istituto. Il setting gruppale da una parte, trova il suo razionale nella ricerca di sicurezza rispetto ad altre culture: al riparo da questo setting l intervistatore può utilizzare anche il controtransfert, compresa l empatia, come strumento di conoscenza, dall altra il setting gruppale ricrea un clima di familiarità per il soggetto proveniente da una cultura africana, che tende a riconoscersi nel gruppo piuttosto che nel rapporto duale. Nel gruppo, inoltre, si eludono più facilmente rischi di seduzione e/o affatturazione; nonostante questo, un soggetto intervistato è apparso molto sospettoso. In questa sede possiamo definire il controtransfert come l articolazione dei pensieri e delle reazioni emotive degli intervistatori indotte dallo specifico transfert. In sostanza accanto ai dati clinici rilevati nell intervista ( racconto, articolazione del racconto, comportamenti, funzioni cognitive, stato emotivo, ecc.) abbiamo utilizzato come strumento di conoscenza anche la soggettività dell intervistatore. La prima parte del colloquio verteva su aspetti anamnestici relativi alla vita in patria, con l ipotesi che un terreno relativamente più disteso rispetto a quello attuale carcerario potesse più facilmente creare un clima di collaborazione. Risultati della ricerca Quadro socio-anagrafico Popolazione di 14 detenuti marocchini al Carcere di Forlì. Provengono per lo più da grandi città: 8 in totale ( Casablanca, Marrakech, Rabat). Solo 2 provengono da un villaggio. Sono in Italia da un minimo di 2 a un massimo di 17 anni abbastanza equamente suddivisi: in 8 sono emigrati da meno di 10 anni e 6 da più di 10 anni. Le età vanno dai 20 ai 40 anni: 5 hanno meno di 30 anni, 9 più di 30 anni. In Marocco abitavano con la famiglia in case indipendenti: 10/14. 9 detenuti non sono coniugati, i 5 sposati hanno tutti dei figli; nessuno è separato. Famiglia: La metà circa ha entrambi i genitori viventi, in 7 non hanno più il padre, 2 la madre. Solo in quattro casi il padre si è sposato una seconda volta. Le famiglie di origine sono tutte molto numerose: si va da un minimo di 4 a un massimo di 13 figli; nessuno degli intervistati è primogenito. Scolarità: in media hanno frequentato la scuola per 9 anni, vi è un solo analfabeta e solo un detenuto ha conseguito il diploma, ricorre in 5 casi l abbandono degli studi poco prima del diploma. Tutti riferiscono di avere coltivato degli hobbies in prevalenza legati ad attività sportive. Secondo i parametri esaminati, l adattamento scolastico è risultato così distribuito: 2
5 buon adattamento 5 sufficiente 2 scarso 2 nd Lavoro: in 7 hanno iniziato a lavorare prima dei 18 anni (anche a 5 e 8 anni). I lavori svolti attengono principalmente al ruolo di artigiano o operaio. Relazioni sociali: secondo i parametri esaminati riguardo l adattamento sociale e le relazioni instaurate in patria dai detenuti, abbiamo la seguente valutazione: 8 buono 2 sufficiente 1 scarso 3 nd Esame Psicopatologico: abbiamo svolto una rapida indagine dei principali sintomi psichici avvertiti nel periodo della detenzione in carcere. Lo strumento utilizzato è stata la M.I.N.I. screen per indagare le principali aree psicopatologiche. Dall intervista è risultato quanto segue: non sono mai presenti sintomi psicotici franchi, solo per un detenuto alcune descrizioni fantastiche potevano avvicinarsi a forme di pensiero magico, mentre un altro ha interrotto il colloquio prima che si potesse esplorare tale area. Le aree maggiormente rappresentate riguardano i disturbi depressivi, ansiosi e l abuso di sostanze. Depressione: 13 tristezza 9 infelicità 7 sintomi depressivi 7 disforia 6 anedonia 6 malinconia 5 idee autolesive /ideazione suicidiaria Non sono mai presenti idee di colpa. Ansia: 6 ansia 6 ansia generalizzata 3 panico 1 agorafobia Abuso di sostanze: 5 Abuso di alcol: 7 In 9 hanno consultato più di una volta il medico dal momento della carcerazione. Il periodo di detenzione in carcere va da un minimo di 1 mese a un massimo di 3 anni, con moda di 7 mesi, mediana di 2 anni e media di un anno. 3
Risultati dei colloqui Collaborazione all intervista: il detenuto, a conoscenza dei fini della ricerca, non collabora (1) o collabora lo stretto necessario quasi a malincuore (2), risponde volentieri alle domande (3), risponde alle domande ampliando di sua iniziativa (4), risponde stabilendo un dialogo (5). Più del 70% degli intervistati rientra nei livelli più elevati, solo 1 non collabora e si ha l impressione che il suo racconto tenda solo a dare una bella immagine di sé. Conferma indirettamente il buon livello di collaborazione il fatto che tre intervistati parlino di teorie eziologiche esterne: due stregonerie ( una fatta alla madre e una alla famiglia) uno possessione di Djinn ( il posseduto è l intervistato stesso). Parliamo di conferma in quanto, dalla nostra esperienza, le teorie eziologiche esterne, vengono trattate solo quando si è stabilito un buon rapporto terapeutico. Inoltre, nella quasi totalità dei casi, gli intervistatori hanno potuto utilizzare il proprio controtransfert come strumento di conoscenza. Dei tre intervistati con ottima collaborazione (che inoltre non presentano alcun sintomo) uno sta per essere scarcerato, un secondo è ottimista rispetto al proprio futuro (pensa che sarà dichiarato innocente) e il terzo appare molto ben adattato in carcere. Anche l intervistato che ha solo voluto farsi bello non riferisce alcun sintomo, né si rilevano segni di malessere psichico durante l intervista. A parte costoro, tutti gli altri intervistati presentano segni più o meno evidenti di disagio psichico. La maggioranza ( sei intervistati) mostra un quadro di depressione, evidente anche durante il colloquio ( rallentamento psicomotorio, insonnia, umore depresso con pianto) nel quale è presente anche la componente culturale della somatizzazione ( cefalea, otalgia, tremori, malessere fisico, stanchezza). In un intervistato la depressione assume l aspetto della cosiddetta depressione caratterologica (rabbia/impotenza) e in un altro sono presenti sentimenti di colpa ( che, rispetto alla depressione occidentale, sono rari in quella africana dove prevale la somatizzazione) e in un terzo si associano intensi sentimenti di vergogna. In due intervistati, quando verso la fine si arriva a parlare del loro essere in carcere, assistiamo a un vero crollo del sé con disperazione e pianto, tanto che l intervista viene interrotta. Degli altri quattro intervistati uno presenta molti disturbi fisici e un rilevante calo ponderale: è possibile che, anche in questo caso, siamo in presenza di un quadro depressivo totalmente somatizzato. Il secondo presenta come dato rilevante di sofferenza psichica, l automutilazione che lo stesso intervistato motiva come fenomeno difensivo dal dolore mentale e dall angoscia ( in occidente è una motivazione riferibile alla patologia borderline durante uno scompenso depressivo). Negli altri due sono presenti segni levi di depressione e ansia somatizzati. In conclusione. Fra i 14 intervistati 4 non presentano sintomi. Di questi, due appaiono adattati alla situazione carceraria ( il n 14 e il n 6) sebbene si intraveda il prezzo di tale adattamento; uno sta per essere scarcerato (n 2) e l ultimo (n 8) è convinto che presto lo sarà ( anche se si tratta di un illusione è ben argomentata). Tutti gli altri presentano sintomi riconducibili, nella maggioranza ad un quadro depressivo, in alcuni casi a un disturbo ansioso somatizzato. Sembra legittimo ritenere che entrambi siano legati alla condizione attuale intesa come situazione traumatica. 4
Il caso dei due intervistati che presentano un crollo depressivo del sé, quasi una reazione catastrofica, al momento di riflettere sull attualità, ci sembra indicativo in tal senso. Non sono stati rilevati disturbi senso percettivi o del pensiero che orientassero per una patologia grave, ovvero preesistente alla carcerazione. 5
La sospettosità o la persecutorietà rilevata nei casi 11 e 12 ci sembra infatti solo espressione di ansia espressa culturalmente. Complessivamente il livello della diffusione della sofferenza appaiono alquanto elevati. N intervistati Collaborazione 1 14 1 2 8 5 ottimista sul suo futuro 3 1 4 molti problemi fisici e calo ponderale * 4 3 2 scarico motorio dell ansia* 5 15 3 automutilazione* 6 11 2 rallentamento Psicomotorio* 7 7 2 passa a 0 ed esce. colpa depressione vergogna 8 2 5 sta per uscire dal carcere 9 5 4 depressione, somatizzazione, riferito TS 10 4 4 passa a 2 e esce. Depressione insonnia pianto 11 10 4 depressione pianto somatizzazione 12 6 5 sembra ben adattato 13 13 4 triste avvilito insonne 14 12 3 sospettoso cupo rabbioso Graduatoria oggettività psicopatologica/controtransfert valore N intervistati Falso 1 1 Risponde lo stretto necessario 2 3 risponde 3 2 Risponde volendo far capire 4 5 Risponde e amplia di propria iniziativa 5 3 70% 6