6. La posizione del curatore rispetto agli atti del fallito anteriori al fallimento



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Transcript:

108 FALLIMENTO società debitrice, che, non osservando gli obblighi inerenti alla conservazione dell integrità del patrimonio sociale, lo abbiano reso insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti (art. 2394 c.c.). Nel fallimento la legittimazione all esercizio di queste azioni atte a tutelare la massa dei creditori denominate per l appunto azioni della massa viene sottratta ai creditori uti singuli ed attribuita al curatore. Il curatore, quindi, si sostituisce al fallito nell esercizio dei diritti e delle azioni ad esso spettanti e si sostituisce anche ai creditori nell esercizio delle azioni della massa. 6. La posizione del curatore rispetto agli atti del fallito anteriori al fallimento In questa prospettiva va affrontata la vexata quaestio della posizione del curatore rispetto agli atti del fallito: talora considerato terzo, in quanto rappresenta gli interessi della collettività dei creditori, altre volte parte, in quanto e- sercita i diritti e le azioni spettanti al fallito. Movendo dalla premessa, assolutamente pacifica, che il curatore rappresenta anche e soprattutto l interesse della collettività dei creditori, occorre allora considerare che i creditori, quando impugnano atti del debitore, assumono indiscutibilmente la posizione di terzi 5 ; ma quando esercitano l azione surrogatoria si sostituiscono al debitore e si collocano nella sua stessa posizione. Anche nell ambito del procedimento esecutivo, poi, il creditore può venirsi a trovare, in un certo momento, nella stessa posizione del debitore. Infatti quando fa valere la pretesa espropriativa si colloca nella posizione di terzo rispetto agli atti del debitore di disposizione del diritto pignorato: ed, infatti, come si è visto, sono inefficaci gli atti di disposizione anteriori se anteriormente al pignoramento non sono state poste in essere le formalità necessarie per renderli opponibili ai terzi (art. 2914 c.c.). Una volta imposto il vincolo di indisponibilità, tuttavia, il creditore può venirsi a trovare nella stessa posizione del debitore esecutato: in particolare nell espropriazione dei crediti il creditore pignorante non può pretendere dal terzo debitore più di quanto può pretendere il debitore pignorato 6. Allo stesso modo il curatore si colloca nella posizione di terzo quando fa valere la pretesa espropriativa, quindi: a) quando contesta l opponibilità di un atto di disposizione anteriore al fallimento (art. 45); b) quando impugna un 5 Se, ad esempio, propongono azione di simulazione, in quanto terzi possono provare la simulazione con qualunque mezzo (art. 1417 c.c). 6 Nell eventuale giudizio ex art. 548 c.p.c. possono, quindi, essergli opposte tutte le eccezioni che il terzo poteva opporre al pignorato, salvo quelle relative ad eventi estintivi successivi al pignoramento (art. 2917 c.c.).

BENI E DIRITTI 109 atto simulato (art. 1416, 2 comma, c.c.) od un atto pregiudizievole ai creditori (artt. 64 ss.); c) quando si oppone a pretese di terzi vòlte ad escludere dall esecuzione concorsuale beni acquisiti al fallimento: ad esempio quando il terzo propone un azione di rivendicazione od impugna con l azione di annullamento, risoluzione, ecc., il titolo di acquisto del fallito. Quando, invece, il curatore esercita diritti ed azioni compresi nel fallimento si sostituisce al debitore fallito e si colloca nella sua stessa posizione; quindi a) quando fa valere contro un terzo pretese creditorie; b) quando fa valere contro terzi pretese reali; c) quando impugna atti compiuti dal fallito se ai creditori non è riconosciuta un autonoma legittimazione (l azione di simulazione può ad esempio essere proposta dai creditori del simulato alienante, mentre l azione di annullamento o quella di risoluzione non possono essere autonomamente proposte dai creditori). 7. La sostituzione del curatore nei rapporti processuali La sostituzione del curatore al fallito opera ovviamente anche sul piano processuale: l art. 43, 1 comma, statuisce infatti che nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la perdita della legittimazione processuale del fallito non determinava automaticamente l interruzione dei procedimenti in corso e l evento interruttivo cioè il fallimento non poteva essere rilevato d ufficio o dichiarato dalla controparte e doveva essere invece dichiarato, nelle forme prevedute dall art. 300 c.p.c., ad opera di coloro che possono proseguire il giudizio (nella specie, curatore fallimentare), mentre se l evento interruttivo non veniva dichiarato il procedimento continuava contro il fallito, ma la sentenza non era opponibile al fallimento. Gli inconvenienti di questo orientamento erano evidenti posto che di regola la parte in bonis ha interesse a non vedersi ulteriormente trascinata in un procedimento contro il fallito e può avere invece interesse ad una decisione in contraddittorio con il curatore e quindi opponibile al fallimento. Perciò con la riforma si è statuito che l apertura del fallimento determina l interruzione del processo (art. 43, 3 comma), con ciò sancendo l automaticità dell evento interruttivo 7. 7 Residua il problema dei procedimenti promossi dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento. Con riguardo a questa ipotesi in giurisprudenza era emersa la preoccupazione di evitare una duplicità di iniziative, del fallito e del curatore: si era così affermato che il fallito conserva la capacita processuale... rispetto a quei rapporti di diritto patrimoniale che, pur essendo suscettibili di essere acquisiti al fallimento, di fatto non vi rientrano per essersene gli organi fallimentari disinteressati, omettendo di agire in giudizio per la tutela

110 FALLIMENTO Nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento il fallito può dispiegare intervento solo per le questioni dalle quali può dipendere un imputazione per bancarotta o se l intervento è previsto dalla legge (art. 43, 2 comma). Così, ad esempio, se il curatore promuove un azione per accertamento della simulazione di atti di disposizione, l intervento del fallito è consentito perché l accertamento del fatto può fondare un imputazione di bancarotta per distrazione. 8. La sostituzione del curatore nei rapporti sopravvenuti L art. 42, 2 comma, statuisce che sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Occorre ricordare, in proposito, che il principio sancito dall art. 2740, 1 comma, c.c. in forza del quale il debitore risponde dell adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri non trova integrale applicazione nel fallimento, perché non sono ammissibili al concorso i debiti contratti dal fallito dopo il fallimento. Nel riaffermare che il debitore risponde, dei medesimi (Cass. 5 novembre 1990, n. 10612). Movendo da questa premessa si era giunti alla conclusione che il difetto di capacità processuale del fallito è rilevabile d ufficio quando, prima delle iniziative giudiziarie del fallito, il curatore avesse concretamente dimostrato di interessarsi al rapporto controverso (Cass. 11 aprile 1983, n. 2544) e non potesse, invece, essere eccepito dalla controparte, né rilevato d ufficio se nell inerzia del curatore il fallito agisce in giudizio per proprio conto (Cass. 14 febbraio 1995, n. 1576). Se, peraltro, si muove dalla premessa che sono compresi nel fallimento tutti i beni, diritti, poteri e facoltà spettanti al fallito, con la sola eccezione di quelli preveduti dall art. 46, l inerzia del curatore che può disinteressarsi di determinati rapporti patrimoniali senza che ciò gli precluda la facoltà di interessarsene in un momento successivo non sembra possa fondare una legittimazione processuale del fallito; configurabile, invece, quando il disinteresse sia correlato all esclusione ex lege del diritto dal fallimento [come quello derivante dalla locazione della casa di abitazione del fallito] o ad una scelta definitiva del curatore [come nel caso dei beni sopravvenuti cui ineriscono passività superiori al loro valore (infra, 8) o dei beni preesistenti la cui amministrazione e liquidazione appaia antieconomica e vengano quindi esclusi dal fallimento in forza di un decreto di derelizione]. In questi casi, escluso il bene o diritto dal patrimonio separato fallimentare, la legittimazione e la capacità processuale del fallito derivano dalla definitiva esclusione della sostituzione fallimentare. Quando, viceversa, l inerzia del curatore è legata ad una sua valutazione contingente, il bene o diritto rimane compreso nel fallimento: si pensi all ipotesi in cui il curatore ometta di agire per la riscossione di crediti del fallito in considerazione delle scarse prospettive legate all insufficienza di elementi atti a provare la fondatezza della pretesa o all impossidenza del debitore, allorché può sempre assumere iniziative in un momento successivo, quando rinvenga sufficienti elementi di prova o muti la situazione patrimoniale del debitore. Non è, dunque, il disinteresse del curatore ma solo la definitiva esclusione del bene o diritto dal patrimonio separato fallimentare a fondare la legittimazione sostanziale e processuale del fallito.

BENI E DIRITTI 111 anche nel fallimento, con tutti i suoi beni presenti e futuri si doveva perciò affrontare il problema dei diritti dei creditori successivi: e lo si è risolto riconoscendo loro il diritto al soddisfacimento integrale sui beni futuri compresi nel fallimento solo in caso di inerenza del credito all acquisto o alla conservazione del bene; e riconfermando il principio dell inopponibilità al fallimento degli altri debiti e dell insussistenza di un diritto di questi creditori a soddisfarsi sui beni, anche futuri, compresi nel fallimento. Movendo dalla premessa che i beni futuri sono compresi nel fallimento al netto delle passività incontrate per l acquisto e la conservazione, occorre distinguere fra inerenza giuridica ed inerenza economica. Se il bene e le passività derivano dallo stesso atto (ad esempio debito del prezzo dovuto per l acquisto del bene) l onere del curatore di far fronte alle passività, ove intenda avvalersi dell acquisto del bene, discende direttamente dall inefficacia relativa dell atto compiuto dal fallito. L inefficacia investe necessariamente l atto nella sua interezza in ragione della inscindibilità dei suoi effetti ed il curatore non può quindi invocare l inefficacia per disconoscere il debito e, nel contempo, non invocarla per far proprio l acquisto [allo stesso modo in cui ha l onere di pagare in prededuzione i debiti derivanti da rapporti preesistenti se intende esercitare i diritti che ne derivano (infra, sez. II, 1)]. Se viceversa, il debito non deriva dallo stesso atto il curatore potrebbe considerare compresi nel fallimento gli acquisti e avvalersi, nel contempo, dell inefficacia dei differenti atti dai quali derivano i debiti. Soccorre, allora, la norma dell art. 42, 2 comma, che valorizza anche la semplice inerenza economica, per evitare che i creditori concorsuali si avvantaggino degli acquisti in danno dei terzi verso i quali con atti separati, siano stati assunti debiti per l acquisto e la conservazione, conseguendo, in tal modo, un arricchimento ingiustificato 8. Si disputava se i beni sopravvenuti si dovessero considerare automaticamente compresi nel fallimento o se, in relazione all esigenza di deduzione delle passività incontrate per l acquisto e la conservazione, l acquisizione non potesse essere automatica. Considerato che il fallito non può disporre liberamente dei beni sopravve- 8 Spesso non è agevole stabilire se inerenza vi sia. Si disputa, ad esempio, se si debbano considerare inerenti i debiti contratti dal fallito in vista dell acquisto del bene, ad esempio un mutuo. Con riferimento, poi, al deposito bancario aperto dal fallito, si discute se si debbano considerare acquisite al fallimento tutte le somme versate dal fallito, senza tener conto di quelle delle quali egli abbia poi disposto traendo assegni a favore di terzi: ed in giurisprudenza si afferma che la banca deve rimettere al curatore tutte le somme versate senza poter dedurre l ammontare dei pagamenti che essa su ordine del fallito ha eseguito a favore di terzi (Cass. 22 settembre 1995, n. 10056), salvo il caso che il conto sia stato aperto per l esercizio di un impresa, dovendosi allora considerare i pagamenti eseguiti dal fallito quali passività sostenute per la produzione del reddito affluito sul conto stesso (Cass. 10 dicembre 1993, n. 12159). Se l acquisto deriva non da un atto isolato del fallito, ma da un attività complessa, come l esercizio dell impresa, viene così introdotto il concetto di inerenza generale, con conseguente deduzione di tutte le passività incontrate nell esercizio dell attività.

112 FALLIMENTO nuti, in quanto compresi nel fallimento ai sensi dell art. 42, 2 comma e che, nel contempo il curatore non può essere tenuto a far fronte integralmente alle passività senza una sua valutazione di convenienza ed una sua scelta, si era sostenuto che ad essere acquisiti al fallimento non devono essere considerati i beni in quanto tali, ma il potere di dare attuazione al rapporto dal quale gli acquisti derivano (con una sostituzione del curatore nella dinamica del rapporto); sicché da un lato il fallito non può disporre dei beni e, dall altro, il curatore rimane obbligato a far fronte in prededuzione alle passività inerenti solo dopo aver deciso di dare attuazione al rapporto. Questa interpretazione sembra essere stata sostanzialmente recepita con la riforma, essendosi statuito che il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo del bene (art. 42, 3 comma). In tal modo può peraltro venirsi a determinare una situazione di stallo analoga a quella che si presenta quando il curatore non sceglie fra scioglimento o subentro nei rapporti preesistenti. La facoltà del terzo contraente di far mettere in mora il curatore (art. 72, 2 comma) costituisce strumento per imporre al curatore una decisione definitiva sulla sorte dei rapporti preesistenti. Anche per quelli sopravvenuti si deve ritenere che il curatore possa essere invitato ad assumere una definitiva determinazione e lo strumento potrebbe essere quello della richiesta di pagamento delle passività inerenti. Ove i beni sopravvenuti, in esito ad una determinazione definitiva del curatore, rimangono esclusi dal patrimonio fallimentare, vengono a far parte del patrimonio personale del fallito e possono essere aggrediti da tutti i creditori: il soddisfacimento preferenziale delle passività inerenti opera infatti soltanto se i beni rimangono acquisiti al fallimento; se ne sono esclusi costituiscono la garanzia comune di tutti i creditori anche non concorsuali. 9. I beni non compresi nel fallimento Nel fallimento è tendenzialmente compreso l intero patrimonio del debitore. Ne restano, tuttavia, esclusi i beni e diritti elencati nell art. 46 l. fall. Accanto al patrimonio separato fallimentare, destinato al soddisfacimento dei creditori concorsuali, è quindi, configurabile un patrimonio personale, nel quale sono compresi beni e diritti destinati al soddisfacimento di esigenze di vita del fallito e della sua famiglia e, inoltre, diritti il cui esercizio è legato a valutazioni di carattere extrapatrimoniale. Vi fanno parte: a) I beni e diritti di natura strettamente personale (art. 46, n. 1). Trattasi di diritti che hanno, almeno in parte, contenuto patrimoniale, ma il

BENI E DIRITTI 113 cui esercizio è rimesso a valutazioni anche di ordine non patrimoniale: vi rientrano il diritto di far pubblicare opere dell ingegno o di ritirarle dal commercio, il diritto di revocare donazioni per ingratitudine o sopravvenienza di figli, ecc. 9. Ha contenuto patrimoniale anche il diritto al risarcimento dei danni da lesione di diritti personalissimi (diritto all integrità fisica, all onore, ecc.) e si disputa se il carattere strettamente personale del diritto leso si comunichi alla pretesa risarcitoria. Il problema è stato di frequente affrontato con riferimento al diritto all integrità fisica e si è sostenuto che il curatore non può sostituirsi al fallito nella decisione di far valere la pretesa risarcitoria, ma che del risultato utile egli può profittare (Cass. 31 marzo 1960, n. 709; Cass. 7 maggio 1963, n. 1123). L affermazione non sembra condivisibile e si deve, piuttosto, verificare se la lesione del diritto personale abbia arrecato pregiudizio al patrimonio: ad esempio in caso di diffamazione e, quindi, di lesione del diritto all onore, possono essere stati pregiudicati gli affari dell imprenditore e non par dubbio che, in tal caso, la legittimazione a chiedere il risarcimento dei danni spetti al curatore. Più complesso è il caso della lesione del diritto all integrità fisica, che può tradursi in una menomazione della capacità lavorativa e, quindi, di una fonte di reddito della quale possono beneficiare come risulta dalla disposizione del n. 2 dell art. 46 sia il fallito sia i creditori concorsuali: in tal caso sembra corretta l affermazione che la somma dovuta a titolo di risarcimento è compresa nel fallimento e il giudice delegato, attraverso la valutazione di tutti gli elementi concreti, può attribuire parte delle somme al fallito per sopperire alle necessità del mantenimento suo e della famiglia (Cass. 4 febbraio 1992, n. 1210); ma l acquisizione al fallimento non sembra possa avere ad oggetto soltanto la somma dovuta in esito a sentenza o come nel caso esaminato nella decisione sopra citata in esito a transazione, venendosi solo allora a determinare la trasformazione del diritto personale all integrità fisica in diritto patrimoniale sulla somma ; e si deve ritenere abbia ad oggetto la stessa pretesa risarcitoria in quanto vòlta a far valere un danno patrimoniale consistente nella menomazione della capacità di produrre reddito. Quando, viceversa, la lesione del diritto personale non incide o nella misura in cui non incide sul patrimonio, la pretesa risarcitoria ha carattere strettamente personale e non è compresa nel fallimento: tale è certamente la pretesa al risarcimento del danno biologico o morale e la legittimazione a farla valere non viene meno, ai sensi dell art. 46, 1 comma, n. 1, per effetto della dichiarazione di fallimento dell interessato (Cass., 11 gennaio 2006, n. 392). 9 Anche l accettazione dell eredità implica valutazioni di carattere non esclusivamente patrimoniale e, tuttavia, l art. 35 prevede che il curatore può accettare l eredità con l autorizzazione del comitato dei creditori: ma valutata la normativa alla luce di quanto dispone l art. 524 c.c. si deve ritenere che il curatore possa essere autorizzato ad accettare l eredità al solo scopo di consentire il soddisfacimento dei creditori concorsuali e che il fallito rimanga libero di rinunziare all eredità, con conseguente devoluzione agli ulteriori chiamati di quanto dovesse residuare dopo il soddisfacimento integrale dei creditori.

114 FALLIMENTO b) Gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia (art. 46, n. 2 e cpv.). Il soddisfacimento delle esigenze di vita del fallito e della sua famiglia può essere assicurato da assegni di carattere alimentare, da pensioni o dall attività da lui svolta. Il fallito può svolgere non solo attività di lavoro subordinato, maturando stipendi o salari, ma anche attività di libero professionista salvo che il fallimento osti all iscrizione all albo professionale o di lavoratore autonomo. Non si può considerare precluso al fallito nemmeno lo svolgimento di attività imprenditoriale, salvo che in sede penale gli sia stata irrogata la pena accessoria dell inabilitazione all esercizio di un impresa commerciale (artt. 216 ss.) o sia necessaria l iscrizione ad un albo, cui sia di ostacolo la dichiarazione di fallimento: ovviamente il fallito non può impiegare beni compresi nel fallimento e ove acquisti beni da terzi è esposto al rischio che vengano acquisiti al fallimento, come beni sopravvenuti, ex art. 42, 2 comma Qualunque sia l attività svolta i guadagni del fallito così come anche assegni alimentari e pensioni sono lasciati nella sua disponibilità nei limiti di quanto necessario al mantenimento suo e della sua famiglia, fissati con decreto del giudice delegato. Questa disciplina è in rapporto di specialità con quella che prevede i limiti di pignorabilità di pensioni, stipendi e salari (Cass. 7 febbraio 2007, n. 2718): il giudice delegato può quindi lasciare i guadagni del fallito, se modesti, interamente nella sua disponibilità; o, se cospicui, può assoggettarli all esecuzione concorsuale in misura superiore a quella consentita nell esecuzione individuale 10. Il giudice delegato nel fissare i limiti entro i quali i guadagni del fallito non sono compresi nel fallimento deve valutare quanto sia necessario ad assicurare in conformità al parametro fissato dall art. 36 Cost. un esistenza libera e dignitosa a lui e alla sua famiglia (intesa come famiglia nucleare, composta cioè dai famigliari conviventi e a carico): tenendo conto come si è precisato con la riforma della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia. All esclusione dal fallimento dei suoi guadagni, nei limiti sopra indicati, il fallito ha un diritto soggettivo: il decreto del giudice delegato emanato ex art. 46, 2 comma, può quindi essere impugnato con reclamo al tribunale e contro il decreto del tribunale che decide sul reclamo può essere proposto ricorso per cassazione. 10 Risolvendo un annosa questione la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il riconoscimento delle esigenze di mantenimento del fallito e della sua famiglia... non richiede la contemporaneità fra la necessità addotta e la disponibilità delle somme atte a soddisfarla; la situazione indicata dalla legge può essere integrata anche nel caso in cui il fallito abbia soddisfatto delle esigenze vitali facendo ricorso al credito, con relativi obblighi di restituzione (Cass. 2 settembre 1995, n. 9268).

BENI E DIRITTI 115 Dalla formulazione letterale della norma in esame [ non sono compresi nel fallimento... gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi... entro i limiti... fissati con decreto del giudice delegato (art. 46, 1 comma, n. 2 e 2 comma)] risulta che il decreto del giudice delegato è necessario non per comprendere nel fallimento i guadagni del fallito, ma per escluderli. Conseguentemente, in forza di quanto dispone l art. 44, 2 comma, il terzo debitore non è liberato se paga al fallito: poiché, tuttavia, i guadagni del fallito, nei limiti di quanto necessario al mantenimento suo e della sua famiglia, si devono considerare concettualmente esclusi dal fallimento anche prima del provvedimento ricognitivo del giudice delegato, il solvens può essere chiamato a pagare una seconda volta al curatore solo nei limiti della differenza fra quanto corrisposto al fallito e quanto necessario al suo mantenimento (Cass., 27 settembre 2007, n. 20325). Alla medesima esigenza di assicurare al fallito il soddisfacimento di esigenze essenziali di vita è riconducibile la previsione dell art. 47, 2 comma, secondo il quale la casa di sua proprietà, nei limiti in cui è necessaria all abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività. Nonostante la dizione letterale della norma, essa non va intesa nel senso che la casa di abitazione non possa essere coattivamente venduta sino a quando non sia stato interamente liquidato il restante patrimonio fallimentare; va intesa, invece, nel senso che il fallito ha diritto di abitarvi, occupando i locali strettamente necessari a lui e alla sua famiglia, sino alla vendita coattiva, com è possibile anche nell esecuzione individuale (art. 560, 3 comma, c.p.c.). Ove il fallito non disponga di mezzi di sussistenza, può essergli accordato un sussidio alimentare (art. 47, 1 comma). Trattasi di facoltà attribuita al giudice delegato, da esercitarsi tenendo conto delle disponibilità liquide del fallimento e della misura dell incidenza del sussidio alimentare sul diritto al riparto dei creditori concorsuali. Si nega possa essere riconosciuto al fallito un diritto soggettivo al sussidio. c) I frutti derivanti dall usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall art. 170 c.c. (art. 46, n. 3). Trattasi di frutti e redditi assoggettabili ad esecuzione solo per debiti che il creditore non conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Sono acquisibili al fallimento come patrimonio separato e si ritiene solo se siano stati ammessi allo stato passivo creditori aventi titolo a soddisfarsi su di essi. d) Le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge (art. 46, n. 5). L espressione cose o beni è non di rado usata in senso traslato per indicare i diritti, anche di credito, dei quali le cose o beni costituiscono l oggetto. In particolare con riguardo all esclusione dall assoggettamento ad azione 5.

116 FALLIMENTO esecutiva dei crediti verso l assicuratore derivanti da contratti di assicurazione sulla vita, l art. 1923, 1 comma, c.c. parla di somme dovute dall assicuratore. Si deve quindi ritenere che la norma in esame abbia inteso recepire integralmente la disciplina processualcivilistica sull impignorabilità con l eccezione di quella su pensioni, stipendi e salari, trovando in tal caso applicazione la norma speciale dell art. 46, n. 2, e siano quindi esclusi dal fallimento non solo le cose ma anche i diritti impignorabili 11. 10. Gli effetti personali Gli effetti personali sono preveduti in funzione di quelli patrimoniali. Così l art. 48 statuisce che il fallito persona fisica è tenuto a consegnare la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento. Prima della riforma la previsione della consegna al curatore di tutta la corrispondenza era stata intesa nel senso che vi doveva provvedere l incaricato del recapito e pertanto la sentenza di fallimento veniva comunicata all amministrazione delle poste che disponeva l inoltro al curatore. Non solo la preoccupazione di tutelare la libertà epistolare ma anche la diffusione di strumenti di trasmissione della corrispondenza non suscettibili di essere automaticamente dirottati, ha indotto a porre a carico del fallito l obbligo di consegna della corrispondenza relativa ai rapporti compresi nel fallimento. La sanzione per l inosservanza di detto obbligo è la preclusione all accesso all esdebitazione. In caso di fallimento di una società o di un ente con il decreto correttivo è stata preveduta la consegna della corrispondenza al curatore. L art. 49, poi, prevede non più, come prima della riforma, un divieto di allontanarsi dalla residenza senza permesso del giudice delegato, ma l obbligo di comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio. L obbligo è vòlto come lo era prima ad assicurare la collaborazione del fallito o del legale rappresentante della società fallita per la definizione delle posizioni debitorie e per la acquisizione dei dati occorrenti all accertamento e ricostruzione dell attivo: per contemperare queste esigenze 11 Nella giurisprudenza di merito si è talora affermato che la norma dell art. 1923, 1 comma, c.c., non è applicabile nel fallimento (Trib. Vicenza 25 marzo 1986, in Fallimento, 1986, 1259), ma la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato l esclusione dal fallimento delle somme dovute dall assicuratore al contraente e al beneficiario (Cass. 2 ottobre 1972, n. 2802; Cass. 28 luglio 1965, n. 1811), precisando che sono invece comprese nel fallimento le somme già percepite (Cass. 3 dicembre 1988, n. 6548). Sull acquisibilità al fallimento delle somme dovute non a seguito dell evento morte e sopravvivenza, ma a seguito dell esercizio, da parte dell assicurato, del diritto di riscatto v., in senso affermativo, Cass. 26 giugno 2000, n. 8676. Ma viene esclusa la facoltà del curatore di esercitare il diritto di riscatto (Cass., sez. un., 31 marzo 2008, n. 8271).

BENI E DIRITTI 117 con il principio di libertà di circolazione si è, dunque, previsto un obbligo di assicurare la reperibilità e l obbligo di presentarsi agli organi della procedura che ne facciano richiesta (art. 49, 2 comma), consentendo però, su autorizzazione del giudice delegato, la comparizione a mezzo di mandatario per qualsivoglia giustificato motivo.