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Jenny Ruggeri La firma di Federico Fellini nella pubblicità EDIZIONI CUSTOMER CARE SERVICE

Indice 1 PUNTI DI CONTATTO TRA ARTE E PUBBLICITÀ NELLA LORO CRO- NISTORIA 9 1.1 Tra Ottocento e Novecento: la réclame.................... 11 1.1.1 Il futurismo............................... 18 1.2 Dagli anni Venti agli anni Cinquanta: l'advertising............. 20 1.2.1 Dadaismo e surrealismo........................ 26 1.3 Dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta: la publicity............ 28 1.3.1 Verso la neotelevisione......................... 33 1.3.2 Pop Art................................. 39 1.4 Dagli anni Ottanta ai giorni nostri: la "meta-pubblicità".......... 41 1.4.1 Una nuova estetica........................... 43 2 IL FILM PUBBLICITARIO TRA ESIGENZE COMMERCIALI ED ESPRES- SIONE ARTISTICA 47 2.1 L'agire strategico e l'agire comunicativo................... 47 2.2 Per una denizione del modello comunicativo della pubblicità....... 50 2.2.1 Pubblicità come atto comunicativo.................. 52 2.2.2 Verso un nuovo scenario........................ 56 2.3 Dal modello comunicativo della pubblicità all'analisi del lm pubblicitario 57 2.4 Il lm pubblicitario d'autore.......................... 61 3 LE PUBBLICITÀ DI FEDERICO FELLINI 65 3.1 Il cinema della modernità: formazione del concetto d'autore........ 68 3.1.1 La Nouvelle Vague........................... 70 3.2 La pubblicità vista attraverso le opere di Fellini............... 74 3.2.1 La pubblicità nei testi lmici..................... 75 3.2.2 I lm pubblicitari............................ 82 3.2.3 Uno sguardo d'insieme......................... 88 4 ANALISI DEI FILM PUBBLICITARI 91 1

2 4.1 Premesse generali all'analisi.......................... 91 4.2 Analisi del lm pubblicitario Bitter Campari per Campari (1984)..... 95 4.2.1 Sinossi.................................. 95 4.2.2 Analisi delle componenti........................ 95 4.2.3 Analisi della rappresentazione..................... 96 4.2.4 Analisi della narrazione........................ 98 4.2.5 Analisi della comunicazione...................... 98 4.2.6 Sintesi.................................. 100 4.2.7 Analisi schematica........................... 102 4.2.8 Scheda lmograca........................... 110 4.3 Analisi del lm pubblicitario Alta Società Rigatoni per Barilla (1986)... 110 4.3.1 Sinossi.................................. 110 4.3.2 Analisi delle componenti........................ 110 4.3.3 Analisi della rappresentazione..................... 111 4.3.4 Analisi della narrazione........................ 111 4.3.5 Analisi della comunicazione...................... 112 4.3.6 Sintesi.................................. 114 4.3.7 Analisi schematica........................... 115 4.3.8 Scheda lmograca........................... 118 4.4 Analisi del lm pubblicitario Tunnel per Banca di Roma (1992)...... 119 4.4.1 Sinossi.................................. 119 4.4.2 Analisi delle componenti........................ 120 4.4.3 Analisi della rappresentazione..................... 122 4.4.4 Analisi della narrazione........................ 123 4.4.5 Analisi della comunicazione...................... 124 4.4.6 Sintesi.................................. 126 4.4.7 Analisi schematica........................... 128 4.4.8 Scheda lmograca........................... 140 4.5 Analisi del lm pubblicitario Lion per Banca di Roma (1992)....... 140 4.5.1 Sinossi.................................. 140 4.5.2 Analisi delle componenti........................ 141 4.5.3 Analisi della rappresentazione..................... 142 4.5.4 Analisi della narrazione........................ 143 4.5.5 Analisi della comunicazione...................... 144 4.5.6 Sintesi.................................. 147 4.5.7 Analisi schematica........................... 149

4.5.8 Scheda lmograca........................... 160 4.6 Analisi del lm pubblicitario Train per Banca di Roma (1992)....... 160 4.6.1 Sinossi.................................. 160 4.6.2 Analisi delle componenti........................ 160 4.6.3 Analisi della rappresentazione..................... 161 4.6.4 Analisi della narrazione........................ 162 4.6.5 Analisi della comunicazione...................... 162 4.6.6 Sintesi.................................. 164 4.6.7 Analisi schematica........................... 166 4.6.8 Scheda lmograca........................... 177 4.7 Conclusione delle analisi............................ 177 3

4

INTRODUZIONE Tra tutti gli ambiti inerenti alla comunicazione, la scelta di indagare la pubblicità è dovuta essenzialmente al fatto che essa rappresenta un terreno di esperienze e sperimentazioni che nel tempo si è arricchito notevolmente no al punto di non essere più collocato a latere rispetto alla comunicazione dei media tradizionali. Infatti nel corso della sua storia ha raggiunto un livello di ranatezza di modi di espressione tale che ha nito per diventare una sorta di "replicante" capace di assumere e rielaborare le caratteristiche "mediatiche" più funzionali ai suoi scopi. In tal modo il suo grado di pervasività è aumentato no al punto di consentirle di inserirsi agevolmente in ogni contesto comunicativo. Essa ha svolto tale attività all'interno di un generale processo di autosignicazione che l'ha portata quindi a divenire una sorta di "metagenere" caratterizzato da un proprio linguaggio, da un'autonomia espressiva e comunicativa che opera in maniera trasversale sui mezzi di comunicazione di massa rivelando in molte occasioni tutte le sue potenzialità fascinatorie. Il presente lavoro si è posto come obiettivo quello di comprendere le ragioni che, anche da un punto di vista semiologico, siano in grado di rendere conto di una particolare forma di pubblicità che soprattutto negli ultimi anni è molto ricercata: la pubblicità d'"autore". Per inquadrare meglio il fenomeno inerente al rapporto che la pubblicità ha intrattenuto con le diverse manifestazioni artistiche e, nel caso specico, con il cinema, si è deciso di procedere innanzitutto con l'evidenziare in un generale contesto storico-culturale i punti di contatto, di scambio e di interferenza tra i due fronti (pubblicità/arte). Sostanzialmente si è ritenuto funzionale a tale scopo operare una suddivisione temporale lungo tutto l'arco di tempo che va dalla ne dell'ottocento ai giorni nostri; sono quattro le fasi principali che hanno manifestato al loro interno caratteristiche particolari derivanti da un lato, dall'evoluzione dei mass media e dall'altro, da un adeguamento delle modalità comunicative della pubblicità alle trasformazioni del "pubblico" dei consumatori per quanto attiene in modo particolare agli atteggiamenti, agli stili di vita e alle esigenze speciche (collettive e individuali). Coestensivamente a questa evoluzione hanno operato con particolare fervore alcuni movimenti artistici, le avanguardie, che per prime hanno saputo rendere conto dei cambiamenti in atto a volte anticipandoli, a volte sostenendoli o all'opposto riutandoli. 5

Nel prosieguo del lavoro (capitolo 2) si è voluto studiare il lm pubblicitario come atto comunicativo partendo dal presupposto che la comunicazione non si pone mai come unico scopo quello di "trasmettere" da un "emittente" a un "ricevente" una serie di semplici informazioni. E allora, se la pubblicità come atto comunicativo può assolvere contemporaneamente più funzioni, ci si è chiesto se possa manifestare anche delle qualità estetiche. A questo punto è sembrato utile ricordare che tra le funzioni del linguaggio proposte n dal 1956 dal linguista Roman Jakobson, gura anche una funzione denominata appunto estetica (o poetica) che riguarda l'organizzazione interna del messaggio e il modo in cui è realizzato. A questo punto, una volta denita la comunicazione come un atto strutturato e complesso con delle sue peculiari funzioni, è apparso di fondamentale importanza, soprattutto con riferimento alla comunicazione pubblicitaria che per sua natura deve produrre delle precise azioni sul suo destinatario (a seconda dei casi sedurre, convincere, persuadere... ) soermarsi ad indagare il rapporto che si instaura tra chi emette il messaggio e chi lo riceve. Grazie ai contributi di autori come Umberto Eco, Seymour Chatman (in riferimento ai testi narrativi) e Gianfranco Bettetini 1, si è pregurata la possibilità di una sorta di "comunicazione delegata" presente all'interno del testo che demanda al testo stesso l'esemplicazione del rapporto che l'autore prevede di instaurare con il suo interlocutore ttizio. Da ciò l'idea che lo studio del lm pubblicitario debba essere condotto nel testo. Per questi motivi (analisi nel testo e ricerca al suo interno di qualità estetiche) è sembrato opportuno adottare come metodo di analisi quello proposto da Francesco Casetti e Federico di Chio 2 che considera il testo non solo come "oggetto" di scambio, ma anche come "terreno" della comunicazione e che permette di individuare al suo interno i peculiari atteggiamenti comunicativi che esso mette in atto. Inoltre, per rendere conto in maniera più approfondita della questione estetica, ci si è avvalsi della categoria di "stile" proposta da Christian Metz 3. A questo punto nel circoscrivere in concreto un ambito in cui poter vericare la validità e la pertinenza del metodo di analisi del lm applicato alla pubblicità, è sembrato di particolare interesse rivolgersi al corpus lmico di uno dei maggiori registi italiani degli ultimi anni: Federico Fellini. Egli, essendo un autore dallo stile molto marcato e vivendo un momento di trasformazione delle "regole" nel modo di "fare" e "pensare" il cinema è sembrato essere in grado di esemplicare in maniera ottimale tutti gli aspetti che 1 Cfr. U. Eco, Lector in fabula, Bompiani; Milano 1973; dello stesso autore anche I limiti dell'interpretazione, Bompiani, Milano 1990 e La ricerca di una lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Bari 1993. Sull'argomento anche S. Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nei lm, Pratiche, Parma 1981 e G. Bettetini, La conversazione audiovisiva, Bompiani, Milano 1984. 2 Cfr. F. Casetti; F. di Chio, L'analisi del lm, Bompiani Milano 1990. 3 Cfr. C. Metz, L'enunciazione impersonale o il luogo del lm, Edizioni Scientiche Italiane, Napoli 1995. 6

possono riguardare la pubblicità "rmata" da un "autore". Fellini, infatti, ha operato un'investigazione sicuramente personale del fenomeno pubblicitario come si vedrà nel capitolo dedicato alle sue pubblicità nei testi lmici 4. Nel terzo capitolo, dopo una prima parte dedicata all'approfondimento del contesto storico-culturale nel quale ha vissuto il regista (Rimini, 1920 - Roma, 1993) si è voluto tracciare un ipotetico percorso che ha segnato il rapporto che Fellini ha intrattenuto per vari aspetti con la pubblicità e che si articola a partire dai suoi primi lm (e ancor prima forse durante la sua attività di scrittore satirico e fumettista) e si conclude con i suoi lm pubblicitari per Banca di Roma. Lo scopo dell'ultimo capitolo, inne, è stato quello di vericare "sul campo" l'attinenza del metodo di analisi che si è scelto di applicare. A questa verica generale poi, seguendo l'ipotesi esplorativa che ha guidato l'intero lavoro di analisi - ovvero comprendere se la "presenza" nel testo delle marche autoriali apporti un surplus di valore -, è seguita la necessità di individuare una prospettiva specica da adottare in vista delle osservazioni conclusive. Si è ipotizzato che ci fosse un'area di indagine (tra quelle proposte da Casetti, di Chio) che orisse maggiori spunti interpretativi. Nel tentativo di circoscrivere tale area, si sono dovuti in primo luogo riconoscere e approfondire i possibili punti di vista e cioè quelli riguardanti la rappresentazione, le componenti, la narrazione e la comunicazione e successivamente vericare quale di questi fosse, appunto, quello più consono per "osservare" i testi in esame. Il metodo utilizzato a tal ne è stato quindi quello di procedere per eliminazione. Si è scelto un elemento tra quelli analizzati secondo le diverse prospettive e si è vericato quale di queste riuscisse a renderne conto in maniera più esauriente sullo sfondo sempre dell'ipotesi esplorativa. In altre parole si sono prima osservati i testi da tutti i possibili punti di vista e poi, per mezzo di un particolare "parametro" applicato in maniera a questi "trasversale", si è evidenziato quello da privilegiare. In sede conclusiva si è proceduto inne all'interpretazione dei vari elementi messi in luce dalla disamina dell'oggetto d'analisi, svolta a partire dalla particolare prospettiva adottata. 4 Cfr. cap. 3.2.1. 7

8

1 PUNTI DI CONTATTO TRA ARTE E PUBBLICITÀ NELLA LORO CRONISTORIA Nel corso dell'ottocento l'invenzione della fotograa produce una rilevante frattura nei linguaggi visivi modicando lo statuto dell'immagine. L'atto di trascrizione manuale e concreto operato dalla pittura o dalla scultura, diviene un atto meccanizzato e "immateriale" della visione che (attraverso procedimenti particolari come l'ingrandimento) può spingersi ad indagare la realtà lì dove non arriva lo sguardo naturale. Ancora, attraverso il negativo fotograco, lo "scatto" originario può essere riprodotto innumerevoli volte. È questa possibilità di riproduzione tecnica che modica il carattere complessivo dell'arte e che, in particolare, modica la funzione dell'opera, come ha intuito Walter Benjamin in alcuni suoi saggi del 1936 pubblicati postumi nel volume L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica 1. Prima della nascita della fotograa, all'opera d'arte era riconosciuto un valore "culturale": "avvicinarsi" ad essa per contemplarla prevedeva l'esercizio di un rituale molto complesso che contribuiva a connotare l'opera stessa più come oggetto di magia o di culto che non di conoscenza. Ora l'opera riprodotta tecnicamente può essa stessa "avvicinarsi" al suo pubblico dato che moltiplicando la riproduzione aumentano le possibilità di esposizione. In questo modo all'opera riprodotta è sottratto l'hic et nunc dell'originale, l'ambito della tradizione (che costituisce il concetto della sua autenticità); essa non possiede più la virtù di essere testimonianza storica, di perpetuare un'eredità culturale. L'opera comincia, allora, a non essere più apprezzata per l'"aura" che le si crea intorno, ma per le sensazioni che riesce a suscitare in chi entra in contatto con essa: ad un certo tipo di valore "culturale" si sostituisce un valore "espositivo". L'avvento della fotograa, quindi, da un lato interferisce con le funzioni tradizionali della pittura e con i suoi modi di rappresentazione e dall'altro, costituisce l'esperienza in base alla quale i linguaggi estetici 1 Cfr. W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966 [tit. orig.: Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1955, trad. di Enrico Filippini]. 9

e i linguaggi di massa cominciano a confrontarsi gli uni con gli altri. Si modicano allora il ruolo dell'artista visivo e il suo rapporto con il pubblico e si creano dei mutamenti nelle regole, nei conni e nelle funzioni delle forme artistiche (e qualcosa di simile sta succedendo in questi anni con i linguaggi elettronici e telematici). Sempre secondo Benjamin, ogni forma d'arte si trova nel punto di incidenza di tre linee di sviluppo: ogni tecnica tende ad avvicinarsi ad una determinata forma d'arte; la ricerca di eetti particolari ad opera delle forme d'arte tradizionali nisce per concretarsi in una forma d'arte nuova; quest'ultima si avvantaggia dei nuovi modi di ricezione pregurati dalle continue e a volte impercettibili, modicazioni sociali. Se tutto questo è vero, allora si riesce a capire come il cinema sia stato la diretta emanazione della fotograa. Da un punto di vista "tecnico" risulta intuitivo comprendere il passaggio che si è attuato dalle immagini statiche alle immagini in movimento; meno evidente, forse, è il fatto che soprattutto con la nascita di un pubblico di massa si è pregurata la necessità di una forma d'arte che potesse soddisfare il criterio della simultaneità della visione collettiva. In pratica il cinema si avvantaggia delle novità apportate dalla tecnica fotograca per meglio adeguarsi alla ricezione e alle aspettative del nascente pubblico di massa. L'immagine cui ci ha abituato la pittura è un'immagine "totale" in cui è la coscienza dell'uomo a elaborare la realtà, mentre il divenire lmico nasce da una serie di immagini "isolate" (le singole riprese) che sono successivamente ricomposte (attraverso il montaggio) in un unicum originale, secondo una logica diversa per ogni lm e in cui trovano manifestazione uno spazio e un tempo autonomi che sono "altri" rispetto a quelli della quotidianità. Questo perché si sceglie di muovere la cinepresa in un certo modo (essa segue o si allontana, ingrandisce o riduce, isola, interrompe, sale, scende e così via) e perché non vi è mai, in realtà, corrispondenza tra il movimento dell'icona (che procede con una successione di 24 fotogrammi al secondo) e il movimento dell'oggetto rappresentato. Attraverso le potenzialità dell'obiettivo il cinema ci ha portato ad un approfondimento della nostra appercezione e ha conferito alla nostra immaginazione la possibilità di "vagabondare" in luoghi e tempi assolutamente lontani dalla nostra esperienza quotidiana. Da una poetica della contemplazione, del "sublime", si è passati con l'avvento del cinema ad una sorta di poetica della "ânerie dell'immaginario". Dunque il "sistema" dell'arte ha sempre intrecciato delle strette relazioni con i media ed è proprio sullo sfondo di questa consapevolezza e in una generale prospettiva storicoculturale che si cercheranno di evidenziare i momenti più signicativi in cui la pubblicità (come forma di espressione mediatica) e l'arte hanno avuto dei momenti di contatto, di identicazione o di interferenza. 10

1.1 Tra Ottocento e Novecento: la réclame Tra Ottocento e Novecento l'europa attraversa una fase di rinnovamento in cui, parallelamente al consolidarsi dei fenomeni dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione del territorio, allo sviluppo del capitalismo e delle economie di mercato, si passa da un modello di società "semplice" ad un modello "complesso". Al piccolo centro urbano si sostituisce la metropoli. In essa, grazie al proliferare di nuove aree adibite alla diusione dei beni di consumo come le Esposizioni, i Grandi Magazzini e le vetrine dei negozi, cominciano a circolare nuovi valori e nuovi temi. Si inizia a parlare delle merci, dei beni di consumo, delle tecnologie e dei nuovi signicati che essi veicolano in quanto inscritti nella logica nel nascente capitalismo. La comunità è testimone della progressiva perdita di senso dei valori tradizionali, dei rituali e delle credenze di un tempo e ha bisogno di trovare nuove forme di simbolizzazione della realtà. La pubblicità diviene uno dei mezzi privilegiati per esprimere tali necessità. Fino a quel momento il linguaggio e l'iconograa della pubblicità erano stati associati quasi esclusivamente alle merci di lusso, quasi a rimarcare la distanza incolmabile tra chi poteva permettersi tali beni e chi poteva solo sognarli. Ora, con l'espansione delle merci e col bisogno di veder aumentare la domanda di beni non strettamente necessari, prende forma gradualmente un linguaggio più "democratico" della pubblicità in seno al quale si sviluppano delle vere e proprie strategie del desiderio e di attivazione di nuovi modelli di produzione e consumo, i quali contribuiscono da un lato a far progredire il progresso tecnologico e dall'altro, la nascente società di massa. Inizialmente la comunicazione pubblicitaria a cavallo dei due secoli, denita réclame, non si basa ancora su una tecnica consolidata di creazione dei messaggi pubblicitari, ma si ada sostanzialmente all'estro creativo di singoli professionisti provenienti da settori tra loro diversi, quali artisti, tipogra, disegnatori, poeti e così via. Nel tempo il linguaggio pubblicitario, avvalendosi di particolari tecniche e strategie, si evolve grazie alla capacità di servirsi della sua funzione persuasiva e promozionale, alla capacità di sapersi inserire all'interno di una generale logica di mercato (in cui la preoccupazione essenziale è quella del mantenimento del contatto tra acquirente e consumo) e alle contaminazioni avvenute con i fenomeni artistici. In tale contesto merita particolare attenzione il ruolo svolto dalle Esposizioni Universali. Esse sono costituite da vasti insediamenti territoriali in cui vengono pubblicizzate le tecnologie e le merci. Esse da un lato hanno polarizzato su di sé l'interesse dell'intero sistema di produzione capitalista sensibile alla possibilità di poter promuovere i propri prodotti e le proprie tecnologie e di poter mettere in campo le strategie di comunicazione commerciale, dall'altro hanno costituito un polo di attrazione per l'immaginario colletti- 11

vo grazie alla loro capacità di inscrivere le merci in un contesto spettacolare e suggestivo che ha anche contribuito ad accrescere le mitologie legate al progresso. Esse dunque assolvono le funzioni di socializzazione e modernizzazione oltre ad accelerare i processi di spettacolarizzazione 2 sia delle merci stesse sia dei mezzi di comunicazione 3. Attraverso la spettacolarizzazione delle merci messo in atto principalmente dalle Esposizioni e grazie ad un parallelo sviluppo delle tecniche e delle sperimentazioni nel campo della comunicazione, si instaura un legame tra i linguaggi degli oggetti di consumo e i linguaggi di quei mezzi di massa che vengono di volta in volta privilegiati. Dunque nelle Esposizioni si può ricercare la matrice di quel tipo di rapporto strumentale che ha nito negli anni per legare la pubblicità ai mezzi di comunicazione. Tale relazione con i media ha subìto però soprattutto con l'avvento della televisione un profondo cambiamento. Nel caso, ad esempio, dei primi annunci sulla stampa la pubblicità costituiva una sorta di "parentesi" che non produceva eetti sulle modalità comunicative proprie del mezzo. Con la radio e poi con la televisione invece la pubblicità intratterrà un tipo di relazione "strutturale" per cui sarà in grado di interferire sia sui linguaggi sia sull'evoluzione in termini economici e di consumo del mezzo stesso. Questo perché radio e televisione sono nati senza che ne fossero stati previsti i contenuti, ma solo come sistemi per "trasmettere" e "ricevere". A seguito dell'aermarsi della cosiddetta neotelevisione (anni Ottanta) e del lm pubblicitario come lo intendiamo oggi, la pubblicità ha stretto col cinema un legame "indiretto". Infatti la pubblicità cinematograca non ha mai conosciuto una fase di grande sviluppo, ma la pubblicità televisiva ha mutuato dal cinema linguaggi, generi, atmosfere, testimonial e personaggi contribuendo a confermargli il ruolo predominante di "creatore di immaginario". Grazie all'interrelazione tra i diversi apparati di comunicazione (in particolare per quanto attiene ai manifesti, al cinema, alla televisione) e le diverse modalità discorsive pubblicitarie, il fenomeno della spettacolarizzazione che ha trovato la sua manifestazione originaria (per quanto attiene alle merci) nelle Esposizioni, tende nel tempo ad investire ogni aspetto della comunicazione moderna: partendo appunto dalle merci essa arriva all'editoria, all'informazione e, recentemente, alla ction. 2 Guy Debord denisce il concetto in questi termini: "L'atto di rendere spettacolare un evento comunicativo. Processo espressivo di raorzamento, enfatizzazione, passionalizzazione di qualsiasi oggetto o testo al ne di conferirgli più visibilità e potenza.[... ] Suggestioni materiali e immateriali a mezzo di artici elaborati a immagine e somiglianza della magnicenza della natura o divina: dai corpi alle dimore e all'ornamento, dalla piazza-mercato ai testi verbali e iconici. Il processo ha investito dunque la pittura e la scultura oltre alla messa in scena teatrale o urbana, la radio oltre al cinema o alla televisione", cit. A. Abruzzese; F. Colombo (a cura di), Dizionario della pubblicità, Zanichelli, Bologna, 1994, p. 415. 3 Signicativa è a riguardo la Prima Esposizione Internazionale d'arte Decorativa Moderna di Torino del 1902, in seguito alla quale si è aperto un lungo dibattito sul movimento denito Art Nouveau e, più in generale, si è intuita la natura estetica dei consumi di massa. 12

Detto in altre parole, le Esposizioni hanno l'eetto di poter inserire i prodotti non solo in un contesto sico, ma anche - e soprattutto - mentale. La merce non si limita più a essere semplicemente mostrata, ma viene "raccontata" e messa in relazione con il consumatore. A partire dalle Esposizioni del Novecento, si delinea un legame tra arte e mercato che predispone l'esperienza delle avanguardie storiche e il conitto tra cultura "alta" e cultura di massa. Siamo nell'epoca in cui l'opera d'arte può essere riprodotta tecnicamente e questo toglie all'opera originaria la sua "aura" e vale a dire il fatto di poter arontare il passare del tempo senza mutare l'hic et nunc della sua nascita. L'opera riprodotta tecnicamente non porta più in sé la tracce della testimonianza storica, non è più autentica, non fa più parte dell'ambito della tradizione. Ed ecco il punto: l'opera riprodotta viene attualizzata da quel fruitore, in quel momento della storia, in quella situazione. Finisce l'epoca dell'arte per l'arte e cominciano nella cultura a farsi strada nuove concezioni dall'arte "utile" al suo opposto e cioè l'arte "pura" che respinge qualsiasi funzione sociale e qualsiasi determinazione da parte di un elemento oggettivo in quanto non può rappresentare il reale perché è essa stessa il "reale". E se la funzione dell'opera d'arte "autentica" poteva aver trovato la sua ragion d'essere nella reiterazione di un rituale (quello in cui aveva acquisito il suo primo e originario valore d'uso) ora, per via dell'elevato grado di esponibilità, la sua funzione non è più, per così dire, prettamente "artistica". Anzi, questo valore che si può denire "culturale" viene riconosciuto sempre più come marginale a vantaggio di un altro valore: quello "espositivo". Mezzo privilegiato di espressione della nuova cultura e del nuovo interesse dell'arte per il linguaggio delle merci è il manifesto. Esso diventa un particolare tipo di testo che può essere condiviso socialmente grazie allo spazio pubblico che occupa e grazie, in modo specico, alla sua peculiare forza comunicativa che lo rende accessibile anche a chi non è alfabetizzato. Fin da subito c'è una tendenza che vede cambiare la concezione della merci che acquistano una propensione a perdere il loro valore d'uso a vantaggio di una loro caratterizzazione estetica. In questo modo comincia a rendersi evidente uno scarto tra i bisogni (soddisfatti dall'uso) e i desideri (la cui soddisfazione è legata principalmente a dei fattori immateriali). Parimenti quello che permette alla forma-arte e alla formapubblicità di incontrarsi è il fatto di avere posto in posizione di rilievo il fruitore e il suo immaginario. È possibile aermare che a partire dalla Rivoluzione Industriale l'opera d'arte cessa di essere fruita come pura manifestazione del bello e del metasico e diviene la rappresentazione di un modello di sensibilità e di comportamento. Attraverso le Esposizioni da un lato e la specicità dei manifesti dall'altro, vi è un vero e proprio scambio di identità tra arte e pubblicità. La spettacolarizzazione dei beni, quindi una loro caratterizzazione es- 13

tetica, fa in modo che gli originali beni culturali vengano ad essere identicati come beni di "consumo" rivolti ad un gruppo eterogeneo di fruitori (non più costituiti da un'élite colta e ranata) permettendo quindi l'aermarsi di una comunicazione di massa. Il manifesto è un artefatto graco che, per sua stessa natura, deve colpire l'attenzione dei passanti quindi sia l'elemento verbale sia quello visivo vengono valorizzati nella loro iconicità che deve condurre a forme seducenti di immediata percezione e di massima ricchezza informativa. Questo mezzo utilizzato n dal XV secolo dopo l'invenzione della stampa a caratteri mobili, è divenuto facilmente un luogo di contaminazione di linguaggi e di espressione di temi diversi. Ma è nel XIX secolo che i manifesti assumono la loro valenza di strumento di comunicazione pubblicitaria. Ora, l'invito all'acquisto (o, come è stato soprattutto all'inizio, la spettacolarizzazione dei progressi tecnologici e produttivi della nuova civiltà metropolitana) può essere rivolto ad un numero sempre maggiore di persone e costituire un valido strumento di dierenziazione per i commercianti che cominciano a dover fare i conti con la concorrenza 4. La funzione mediatica principale del manifesto pubblicitario è quindi quella di attirare l'attenzione del passante distratto che si muove tra la folla e il traco in aumento delle metropoli. Mutano i concetti naturali di spazio e tempo: i manifesti assi sui muri moltiplicano i percorsi visivi e dell'immaginario attivando nella mente del passante una concatenazione di associazioni di tipo analogico. Il tempo e il raccoglimento che erano necessari alla contemplazione dell'opera artistica si frammentano e alla poetica del "sublime" va sostituendosi la poetica del "âneur". In tale contesto si è concretizzato il primo importante contatto tra gli artisti e il manifesto quale forma di espressione iconica persuasiva e suasiva. Come ha scritto Simona De Iulio: "Le aches francesi di ne Ottocento, [... ] sono un indizio della faticosa elaborazione di un'iconograa del moderno da parte di una società in transito tra le forme della civiltà preindustriale e quelle della cultura di massa 5 ". Diversi pittori si dimostrano pronti a mettere la loro opera di progettazione e di realizzazione al 4 I primi fogli stampati furono assi nelle città europee a partire dal XV secolo a seguito dell'invenzione della stampa a caratteri mobili. Il potere politico, però, si cautelò ben presto da un possibile uso a scopi eversivi di tale mezzo e se ne assicurò il monopolio. Fino al XIX secolo, quindi, i manifesti sono costituiti da messaggi uciali e sono privi di illustrazioni. Non manca, comunque, un loro uso persuasivo, come, ad esempio, nel caso di messaggi politici clandestini (soprattutto durante la rivoluzione francese) o in funzione della chiamata alle armi a tutti le potenziali reclute. In seguito al perfezionamento degli strumenti tecnici di riproduzione come la litograa (1793) e la cromolitograa ad opera di Jules Chéret (1836), la graca si appropria di tale forma espressiva. In particolare le avanguardie francesi, rifacendosi alle teorie di John Ruskin e di William Morris sulla parità delle arti e sulla necessità di una democratizzazione dell'esperienza estetica che permettesse anche di superare il generale disinteresse dell'élite e arrivasse a creare un consenso più vasto, decisero di teorizzare nuove forme e di ristrutturare l'immagine. 5 S. De Iulio, op.cit., p.261. 14

servizio dell'assione, considerandola una variante della produzione artistica. Gli artisti francesi Jules Chéret 6, Henri de Toulouse-Lautrec e Alphonse Mucha si dedicano allo studio delle linee e dei colori e alla ricerca di un legame più stretto tra testo e immagine al ne di ottenere una maggiore concisione e incisività comunicativa. I manifesti per Le Moulin Rouge di Toulouse-Lautrec (1891) o di Chéret, in particolare, si rivolgono direttamente al passante grazie all'interpellazione delle gure in primo piano che lo invitano a entrare metaforicamente in un luogo "altro" dal reale. Grazie al contributo estetico di questi autori, quindi, il manifesto raggiunge la propria autonomia espressiva e stilistica. Inoltre vi è un processo inverso per cui molti pittori come Pablo Picasso, Juan Mirò, Marc Chagall o Henri Matisse creano dei manifesti per pubblicizzare le proprie mostre personali, usando quindi la propria arte come mezzo di auto-promozione. Gli italiani, invece, preferiscono dedicarsi allo studio di nuovi legami tra prodotto pubblicizzato e elementi decorativi. Spiccano per la loro originalità molti autori tra cui, solo per citarne alcuni, Leonetto Cappiello, Marcello Dudovich, Leopoldo Metlicovitz, Gino Boccasile, Giovanni Mataloni, Adolfo De Carolis, Duilio Cambellotti, Marcello Nizzoli, Achille Luciano Mauzan 7, Aldo Mazza e Aleardo Terzi. Per la maggior parte di essi l'attività graca svolta nel campo della cartellonistica è un passaggio importante per la contemporanea (o successiva) aermazione nell'ambito della pittura. L'attività pubblicitaria di Cappiello risulta particolarmente signicativa in quanto egli percepisce il fatto che in pubblicità è fondamentale rendere la presenza della merce memorabile. Egli pur essendo principalmente un pittore (appartiene al gruppo dei pittori post-macchiaioli) riesce a fondare i suoi cartelloni su un linguaggio fortemente pubblicitario. Nell'elaborazione dei suoi manifesti la merce è subordinata spesso ad un'immaginesimbolo che la rappresenta (egli era solito denire questa immagine sorprendente, ad alto impatto visivo come "arabesco"). Tale associazione tra simbolo e merce deve servire a rendere quest'ultima riconoscibile e facilmente memorizzabile. In tal modo il manifesto inventa e diventa un vero e proprio marchio. Il manifesto che dà l'avvio a questo modo espressivo è quello che ragura una donna verde su un cavallo rosso con sfondo nero e scritte gialle, per la ditta Klaus produttrice di cioccolato. Altri modelli graci possono essere individuati in: il cavallo rosso zebrato per Cinzano, il Pierrot che sputa fuoco per Thermogène, il Turco con la tazza per il Caè Martin, un folletto che esce da un'arancia, il gallo o l'orso bianco per Campari 8. In tal modo Cappiello ha anticipato quel fenomeno noto con il nome di "vampirizzazione" per cui si crea una così stretta 6 Cfr. Appendice I, g. 1. 7 Cfr. Appendice, VIII, g. 23, 24. 8 Cfr. Appendice, II, g. 2-7. 15

associazione tra personaggio e prodotto che quest'ultimo nisce per esistere solo come attributo del personaggio stesso (o addirittura rischia di essere dimenticato!). L'elaborazione di immagini-marchio è stata riproposta anche da Aleardo Terzi con la scimmietta per Dentol (1920) e con il famoso cane del Coloricio Italiano (poi Max Meyer, del 1921) 9. L'iconograa di Dudovich 10, invece, viene ricordata soprattutto per aver "messo in scena" gli agi della borghesia italiana nel periodo della Belle Époque: l'eleganza, la mondanità, le corse dei cavalli, gli abiti eleganti, la "femminilità" gioiosa delle donne altolocate (non a caso è l'interprete ideale per la moda femminile dei grandi magazzini Mele dal 1906 al 1914 e della Rinascente). In manifesti successivi, invece, si discosta da un certo stile Liberty abbandonando le tinte piatte e soermandosi sulla resa dei volumi e sull'inserimento di veri e propri slogan: "A dir le mie virtù basta un sorriso" per Kaliklor, "C'è una Bugatti non si passa!" per le omonime autovetture e "Fisso l'idea" per gli inchiostri di Padova. E se lo slogan non è presente, comunque il prodotto appare come protagonista assoluto, senza che l'artista senta il bisogno, a dierenza del collega Cappiello, di creare delle associazioni così come appare emblematicamente nel manifesto per il cappello Zenit, con il quale vinse nel 1911 il concorso Borsalino: nell'immagine è assente qualsiasi gura umana a cui, però, allude in maniera sottile la "messa in scena" del prodotto. Si fa riferimento con molta probabilità alla visita galante di un gentiluomo che ha lasciato sulla poltroncina di un'elegante boudoir il bastone, i guanti e il cappello (che occupa la parte centrale del manifesto). Nell'attività reclamistica di questi autori, nel modo in cui mettono in contatto arte e pubblicità, è possibile individuare alcuni tratti di quella stessa "artisticità" che sono rinvenibili anche nella gura odierna di pubblicitario. Tuttavia vi è anche una profonda dierenza in quanto oggi tale gura professionale si trova a dover comunicare a gruppi eterogenei di persone con i quali spesso non condivide posizione sociale e cultura (anzi, attualmente ci si sta avvicinando sempre più ad una comunicazione studiata ad hoc per ciascun individuo), mentre la comunicazione di questi artisti, dalla ne dell'ottocento e per molti anni a venire, si rivolge esclusivamente a quella limitata élite di persone con le quali l'autore può condividere gusti e modelli di comportamento e di sensibilità. L'acquisto rimane un privilegio e su questo ci si può permettere di ironizzare come capita con il cartellone per la Citroën di Plinio Codognato (1923) in cui un uomo cerca di sfuggire al traco arrampicandosi su un lampione. Non vi è in pratica uno scarto tra l'autore e il suo pubblico, non vi è tutto quel lavoro di mediazione tipico del pubblicitario moderno 9 Cfr. Appendice, V, g. 12, 13. 10 Cfr. Appendice, III-IV, g. 8-11. 16

che deve studiare il target a cui di volta in volta si riferisce, cercando di coglierne gli atteggiamenti, il linguaggio, i gusti, i valori. Ciò che importa ai "maestri" della réclame è tutto nel manifesto e cioè nell'ideare delle relazioni di volta in volta diverse tra disegno e nome del prodotto in modo da veicolare in maniera originale le informazioni ad esso inerenti. Tutte le componenti gurative contribuiscono ad accrescere la polisemia e il valore "estetico" della merce ragurata. Proprio per il dierente rapporto tra autore e pubblico che è sotteso alla pratica pubblicitaria dei primi anni del Novecento (in pratica il fruitore colto, che è in grado di apprezzare l'opera d'arte è lo stesso che "comprende" il manifesto e che ha un certo potere d'acquisto) si può parlare di questi primi "pubblicitari" pensandoli soprattutto come "artisti": essi, pur realizzando le loro opere con una precisa funzione pubblicitaria, possono rimanere fedeli alla loro abilità pittorica. Come rilevano Francesco Casetti e Ruggero Eugeni 11 la pubblicità di questo periodo, denominata réclame, svolge a livello istituzionale un'attività di mediazione su un piano strettamente economico, serve cioè a mettere in contatto il produttore e il consumatore attraverso un meccanismo di immediatezza che favorisca la circolazione della merce. Nel caso della réclame, quindi, la comunicazione pubblicitaria è diretta: l'emittente coincide con chi eettivamente produce il bene, il destinatario con chi lo acquista e il messaggio attesta semplicemente l'esistenza di quel prodotto assicurando una trasmissione di informazioni. I processi di simbolizzazione e di astrazione sono perciò ridotti al minimo, mentre l'iconograa delle precedenti correnti artistiche è ancora molto presente. L'informazione reclamistica per essere accurata si serve della messa in scena. Essa permette di collocare il prodotto in un contesto che lo valorizzi sia esaltandone i particolari, sia attribuendogli una dimensione simbolica per mezzo di richiami mitici o decorativi o pittorici. Inoltre la messa in scena consente di aggiungere all'immagine del prodotto un'immagine di marca (per esempio ragurando una fase del processo produttivo di quella merce) e di attirare l'attenzione dell'acquirente suscitandone il desiderio (è il caso dei manifesti che ragurano l'uso del prodotto). La comunicazione attuata attraverso la messa in scena richiama, sempre secondo Casetti ed Eugeni, il tema del potere: il poter essere dell'oggetto (la sua esistenza), il poter fare della fabbrica (il produrre; quindi un potere nanziario e politico) e il poter avere del consumatore (l'acquistare) che è allo stesso tempo un potere d'acquisto e un potere simbolico, un indicatore di status, in quanto si ostenta la propria ricchezza 12. Fin dagli esordi, dunque, la pubblicità si caratterizza come un'attività che lavora sulle 11 Cfr. F. Casetti; R Eugeni, "I media in forma", in F. Colombo (a cura di), I persuasori non occulti, Lupetti, Milano 1989. 12 Cfr. F. Casetti, in Aa.vv., Il linguaggio della pubblicità, Mursia, Milano 1991. 17

immagini, sulla "supercie" degli oggetti. Essa mette in gioco l'iconicità del prodotto attraverso la sua visualizzazione su porzioni di spazio quali muri o pagine e lo fa prescrivendone una fruizione disimpegnata e a carattere ludico. Nel caso della visualizzazione sul video come per il cinema e successivamente per la televisione, tali caratteristiche acquisteranno nel tempo sfumature diverse dovute fondamentalmente ad un diverso tipo di fruizione caratterizzante i due mezzi. Istituzionalmente tale compito si pregura come un'attività di mediazione tra aspetti che, altrimenti, non avrebbero alcun nesso causale. La réclame quindi opera una mediazione tra la produzione di un bene e il suo acquisto. Il suo terreno d'esercizio è lo scambio economico; essa deve assicurare la circolazione dei prodotti e del denaro informando il consumatore che un prodotto è disponibile, che esiste. Il manifesto si attesta in questi anni come uno dei media più pervasivi mentre il cinema deve ancora conoscere un vero e proprio sviluppo di massa, così come la pubblicità cinematograca, che rimane circoscritta al quartiere o alla città in cui operano negozianti indigeni e piccole imprese a carattere locale. 1.1.1 Il futurismo Il manifesto, dunque, rappresenta per tutte le avanguardie e in particolare per i futuristi, una forma di arte popolare capace di condurre ad un superamento dell'iconograa tradizionale ancora legata ai canoni della cultura dominante che considera l'arte come l'espressione dei valori e dei simboli dell'aristocrazia. I futuristi che si dedicano all'attività pubblicitaria come Filippo Tommaso Marinetti, Fortunato Depero, Marcello Dudovich avvertono così la necessità di innovare il manifesto attraverso nuove forme e un linguaggio più veloce che simulano l'attivismo, il dinamismo, la produzione, i nuovi rumori della civiltà industriale e di massa. L'artista moderno, secondo questi autori, deve prendere possesso di tutte le forme di comunicazione: stampa, cinema, fotograa, radio e, naturalmente, i manifesti. Non si tratta solamente di porre al servizio della comunicazione pubblicitaria la propria creatività, ma anche di gestire dall'"interno" le strutture e le strategie del linguaggio persuasivo "ettendolo" alle proprie esigenze programmatiche e artistich 13 come la propaganda al movimento 14 ; la contaminazione tra cultura alta e cultura bassa all'interno di un 13 Lorenzo Taiuti scrive al riguardo: "Non si tratta di inserire signicativi frammenti linguistici all'interno delle opere (come facevano i cubisti), ma piuttosto di annettere al campo estetico le funzioni pubblicitarie calandosi nel loro linguaggio e accettandone così l'universo etico (la funzione economica) per avvantaggiarsi delle loro possibilità comunicative", cit. L. Taiuti, Arte e media. Avanguardie e comunicazioni di massa, Costa & Nolan, Genova, 1996, p.28. 14 Filippo Tommaso Marinetti stila il documento-base del Futurismo nel 1909 ("Fondazione e Manifesto del Futurismo" che appare come articolo di fondo su "Le Figaro"). Negli anni successivi continuerà la sua opera di proselitismo attraverso una vera e propria "campagna stampa" durante la quale 18