Viaggio nella storia della macchina fotografica

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Transcript:

Viaggio nella storia della macchina fotografica Dindo Stefano Data: 11 Giugno 2006 Storia della macchina fotografica Breve viaggio nella storia della fotografia illustrando l evoluzione della macchina fotografica dalla camera oscura alle attuali fotocamere reflex. Come scriveva Andreas Feininger in un celebre manuale di tecnica fotografica: Una macchina fotografica non è altro che una scatola impermeabile alla luce a tenuta stagna, che unisce due elementi della massima importanza: l obiettivo che traccia l immagine; la pellicola che trattiene l immagine. L invenzione della fotografia avvenne in seguito allo sviluppo di due esperienze scientifiche: da un lato il perfezionamento nel campo dell ottica di camere oscure, obiettivi, diaframmi e otturatori; dall altro lo studio di sostanze fotosensibili capaci di cambiare aspetto, colore e tonalità se colpite dal sole. Lo studio delle sostanze fotosensibili iniziò assai lontano nel tempo. Nel duemila a.c. in Cina, furono prodotte delle ceramiche decorate utilizzando misteriose e non specificate sostanze sensibili alla luce. Nel IV secolo a.c. Aristotele, e nel primo secolo a.c Vitruvio, constatarono che i colori di alcune stoffe, pareti o pietre preziose, come l ametista, perdevano la loro vivacità se lungamente esposte al sole. Lo studio di questi principi venne portato avanti nei secoli successivi, ma la vera innovazione per la costruzione della macchina fotografica fu di Leonardo da Vinci con l introduzione della camera oscura nel 1520. La camera oscura ha forma parallelepipeda e presenta su una delle pareti verticali una minuscola apertura; questa proietta sulla parete verticale opposta una immagine rovesciata degli oggetti illuminati che si trovano davanti all esterno (vedi Figura 1 pagina 6). Allargando l apertura e ponendovi una lente o un sistema di lenti(che forma l obiettivo) l immagine proiettata diviene, in opportune condizioni, più luminosa e definita. Effettivamente la lente fu adattata alla camera oscura dal fisico napoletano Girolamo Cardano della Porta verso il 1550, esso fu il primo a darle la forma pratica che la rese portatile e che conservò per lungo tempo. L apparecchio si componeva di una cassetta in legno con un tubo scorrevole fissato ad una parete(vedi Figura 2 pagina 6); all estremità esterna del tubo si trovava una lente convergente. L immagine proiettata da questa, si disegnava sul foglio di carta applicato alla parete opposta (vedi Figura 1 pagina 6). Da questa forma rudimentale si è via via passati alle moderne macchine fotografiche le quali, pur conservando le proprietà basilari della camera oscura hanno assunto varie forme e grandezze secondo l uso speciale al quale erano destinate. Fin dalle origini le cassette in legno si differenziavano in due tipologie: quelle da campagna e quelle da studio, le prime mantenevano dimensioni contenute per rendere più agevole il trasporto, mentre quelle da studio con la diffusione della fotografia professionale iniziarono ad aumentare di formato e di peso, adottando supporti più solidi e spesso non pieghevoli come le lastre di vetro. Nel 1657 Kaspar Schott introduce un importante novità, la fotocamera in legno costruita con due cassette scorrevoli, una dentro l altra, (le più evolute avevano l ottica decentrabile), modificata per accogliere un supporto sensibile al posto del vetro, che permetteva di variare la distanza fra la lente e il piano su cui si forma l immagine, dando la possibilità di mettere a fuoco la camera oscura. Con l invenzione del soffietto (vedi Figura 3 pagina 6) ideato dal russo S.L.Levitsky nel 1845 si andarono a sostituire in breve tempo le cassette scorrevoli, le fotocamere diventarono più compatte e quindi facilmente trasportabili, tuttavia le cassette scorrevoli sopravvissero anche dopo l avvento delle più pratiche macchine a soffietto, perché i fotografi ne apprezzavano la semplicità e la robustezza. Si erano fatti decisamente dei passi in avanti per quanto riguardava la struttura della fotocamera, resa più pratica e compatta, bisognava quindi apportare un miglioramento al supporto che doveva impressionare l immagine. La dimostrazione sperimentale che l annerimento dei sali d argento è causato dalla luce, risale al 1727 e si deve a Johann Heinrich Schulze. Egli ricopriva di calce e di nitrato d argento un foglio di carta che esponeva al sole, sotto un disegno o sotto una pagina di scrittura. Otteneva così un immagine negativa del disegno e dello scritto; tale immagine era fugace perché continuava ad annerire mentre si osservava. Nel 1802 Wedgood riuscì a riprodurre con la luce, ma non a fissare, profili di persone messe al sole, davanti ad un foglio di carta resa sensibile con una soluzione di nitrato d argento. Dopo il 1813 Nicéphore Niépce cercò di fissare le immagini che otteneva con la camera oscura, e vi riuscì nel 1822. Egli esponeva per otto ore una lastra di rame argentato, ricoperta da uno strato di vernice formata da bi- 1

tume giudaico diluito; la lastra poi si trattava con un miscuglio di benzina e di essenza di lavanda. Poiché l azione della luce rende il bitume isolabile in questi liquidi, il metallo era messo a nudo sulle parti corrispondenti alle ombre dell immagine. Nonostante l estrema lentezza del suo procedimento, Niépce dovrebbe considerarsi come il vero inventore della fotografia. La prima immagine che possa dirsi fotografica giunta sino ai giorni nostri risale al 1826 ed è una veduta dei tetti Saint-Loup-De-Varennes realizzata da Nicéphore Niépce (vedi Figura 4 pagina 7). In realtà vero inventore della fotografia è il pittore Lousi-Jacques Mandé Daguerre. La scoperta sconvolge tutte le teorie scientifiche della luce e dell ottica. Daguerre ha trovato il modo di fissare le immagini che si dipingono da sole entro una camera oscura, cosicché esse non sono più fugaci riproduzione di oggetti, ma ne sono l impronta fissa e durevole che si conservano nel tempo. Lo scienziato Francois Arago presentò all accademie des Sciences di Parigi: la Dagherrotipia, primo termine ufficiale di quella che sarebbe poi diventata la fotografia. Il principio che Daguerre aveva sviluppato era basato sull uso di una lastra di rame argentato, lucidissima, che aveva sottoposto nell oscurità ai vapori di iodio. Il risultato fu la formazione di uno strato di ioduro d argento, molto sensibile alla luce, che si impressionava nella camera oscura per qualche minuto poi si sottoponeva all azione di vapori di mercurio che sviluppavano l immagine latente. Il primo fissatore usato fu il cloruro di sodio; che nel 1839 fu sostituito con iposolfito di sodio inventato da J. Herschel. Tale sostanza viene largamente utilizzata anche nella fotografia moderna. Prima che il procedimento di Daguerre fosse divulgato, l inglese W. H. Fox Talbot fece conoscere in Inghilterra nel 1839 un procedimento fotografico che si avvicinava ai metodi attuali molto più della dagherrotipia. Un foglio di carta era imbevuto di sale marino e poi di nitrato d argento in modo da formare del cloruro d argento, il quale annerisce rapidamente alla luce. Esponendo questa carta sotto il disegno si aveva una copia negativa che si fissava in una soluzione concentrata di sale marino. Questa negativa, serviva in seguito per stampare su un secondo foglio, preparato allo stesso modo, l immagine positiva riproduceva fedelmente l originale. Nel 1841 Sir Charles Wheatstone esegue i primi esperimenti di stereoscopia. Con questo tipo di apparecchio si potevano realizzare due immagini pressoché identiche dello stesso soggetto, le quali una volta montate su di un cartoncino l una di fianco all altra e poi viste attraverso un visore, chiamato stereoscopio, (vedi Figura 5 pagina 7), fornivano uno straordinario effetto di tridimensionalità. Nel 1851 anno della morte di Daguerre, segna per la fotografia l inizio di un nuovo periodo. Nello stesso anno Frederick Scott Archer scoprì un metodo per lo sviluppo immediato che si basava sull utilizzo del collodio umido. Il principio di funzionamento alla base di tale tecnica si avvale dell uso di una lastra di vetro, lavata con una mistura di pomice e alcool, la lastra viene poi ricoperta uniformemente con collodio contenente ioduro di potassio. Poi si passa alla sensibilizzazione della lastra, che avviene in una bacinella riempita di una soluzione con nitrato d argento e acqua. Questa operazione dura pochi minuti in presenza di luce ridotta. È fondamentale, a questo punto, verificare la sensibilizzazione della lastra: se questa è di colore bianco crema, è pronta per essere inserita nel suo telaio e quindi nell apparecchio; se invece presenta ancora una patina, è necessario ripetere il procedimento di sensibilizzazione. La lastra viene sviluppata con l acido pirogallico. A queste operazioni seguono le consuete procedure di stampa: lavaggio, fissaggio, asciugatura della lastra, e in fine stampa sulla carta preparata con il cloruro d argento. In quegli anni gli studiosi della fotografia si sono accorti che la luce non è un accessorio ma è una della condizione necessarie per poter scattare una fotografia. Per riprodurre ritratti a luce artificiale si usavano i lampi di magnesio che si avvalgono della combustione di fili di magnesio, superati dall uso di polveri di magnesio mischiato a clorato di potassio e solfuro di antimonio, poiché l uso dei lampi di magnesio producevano fumo e quindi non utilizzabili per lungo tempo. Il problema dell illuminazione artificiale venne risolto compiutamente intorno al 1930, grazie alla realizzazione di una lampada composta di ossigeno e da un foglio di alluminio molto sottile, che una volta acceso si trasformava in potente energia luminosa, precursore dei nostri attuali flash. Nel 1861 dopo anni di ricerca è stato inventato e reso disponibile l utilizzo dell otturatore a tendina sul piano focale (vedi funzionamento macchina fotografica per il funzionamento ). Verso il 1873 J. Burgess cominciò a fabbricare a livello industriale le prime lastre ricoperte da uno strato di gelatina, nella quale erano dispersi cristallini di bromuro d argento (il tutto formava perciò uno strato sensibile simile a quelli odierni). Nel 1884 gli americani: G.Eastman e W.H. Walzer, misero sul mercato i primi rulli di pellicola fotografica con supporto di carta (sostituito nel 1888 con celluloide), i quali diedero un enorme diffusione alla fotografia. Le pellicole possono essere diverse fra loro e rispondere in maniera diversa alle condizioni poste in gioco dagli altri elementi della macchina fotografica. Una pellicola in bianco e nero è una sottile striscia composta di diversi strati di materie che hanno il compito di trattenere la luce e trasformarla in immagine, questi strati sono composti di gelatina di cristalli (alogenuri d argento) sensibili alla luce, la cosiddetta emulsione, da uno strato adesivo, da uno di materia plastica,il triacetat, che è la base su cui si stende l emulsione, e infine da un ulteriore strato di gelatina che impedisce il formarsi di aloni intorno all immagine. Su queste basi si possono individuare alcune specificità delle pellicole, la prima riguarda la sua sensibilità alla luce, la quale 2

varia a seconda delle emulsioni utilizzate che traducono in sfumature di grigio i colori reali. Il modo internazionale di riconoscimento di questa sensibilità è dato dalla scala ASA (American Standard Association), che va dai 50 fino a 1200 gradi. Queste sensibilità variano a seconda delle esigenze ambientali in cui si deve operare, ad esempio per scattare una fotografia in condizioni di scarsa luminosità si utilizzano pellicole con emulsione ad alta gradazione, quindi ad alta sensibilità e viceversa se operiamo in una situazione di massima luminosità come ad esempio la luce del giorno. Altrettanto importante è il formato della pellicola, da questo dipende infatti la scelta della messa a fuoco, in quanto in base al formato variano le misurazioni della distanza focale. Il formato varia dai 35mm, che sono quelle più comunemente usate, alle pellicole 6 x 7 cm che hanno un utilizzo professionale. Il passaggio successivo fu l esigenza di catturare l immagine a colori. Il primo passo verso la futura pellicola a colori fu introdotto dai fratelli Lumiére che misero a punto il procedimento a colori autochrome. L autocromia è un procedimento di fotografia a colori basato sulla sintesi additiva che fu brevettata il 17 dicembre 1903 dai fratelli Lumiére stessi. Il principio si basava sulla sintesi additiva spaziale, poiché i colori che apparivano sulla lastra autocroma, erano ottenuti grazie ad un mosaico di piccolissimi filtri costituiti da granelli di fecola di patate colorati in verde, blu, violetto e arancione. Questi granelli venivano stesi su un supporto di vetro in uno strato sottilissimo, in modo che non si sovrapponessero, ma risultassero giustapposti. Gli interstizi venivano poi riempiti con nerofumo. Sullo strato di granelli di fecola veniva poi stesa una emulsione fotografica in bianco e nero. La lastra veniva esposta dal lato del supporto e sviluppata. Poiché l immagine così ottenuta era un negativo a colori complementari, la lastra veniva poi sottoposta ad un procedimento di inversione, in modo da ottenere un immagine positiva. L inversione veniva generalmente ottenuta dapprima eliminando le zone esposte dell emulsione (quelle che dopo lo sviluppo apparivano nere), poi riesponendo la lastra, stavolta dal lato dell emulsione, in modo da impressionare l emulsione rimasta, e in fine sviluppando di nuovo. L immagine ottenuta, osservata da vicino, appariva come un quadro puntinista in cui i colori erano ottenuti per sintesi additiva spaziale dai tre primari verdi, blu-violetto e arancione. Negli anni successivi si svilupparono diverse varianti di questo procedimento. Durante la fase di ottimizzazione del processo dei fratelli Lumiére per realizzare fotografie a colori è stata prodotta la prima vera macchina fotografica reflex a 35mm, la Cnopm di produzione russa, primato che scatenò una lunga polemica con la potente industria tedesca. Interessante è il sistema di montaggio dell otturatore che ne condiziona la forma,il quale è composto da due tendine rigide che scorrono sul piano focale. La tendina superiore scorre in verticale, mentre la seconda scivola lungo una guida in modo da spostarsi da una posizione iniziale adagiata sul fondo, ad una finale inclinata di 45 gradi. La loupe per la visione reflex è di discrete dimensioni per poter accogliere la tendina superiore. L avvento della prima reflex ha dato un maggiore input per accellerare i tempi di realizzazione della pellicola a colori. Infatti già nel 1942 la Kodackolor riusciva a realizzare il primo negativo per stampe a colori, che tuttavia appariva estremamente infiammabile. Per raggiungere gli effettivi risultati della pellicola a colori sono stati necessari anni di sperimentazioni e ricerche che hanno coinvolto non solo i fotografi ma anche i chimici, gli ottici e i fisici. La pellicola a colori è costituita da tre emulsioni sovrapposte, sensibili dall alto in basso al blu, al verde e il rosso, mentre gli altri colori vengono resi dall azione combinata di due di queste emulsioni che selezionano la lunghezza d onda del colore. La lunghezza d onda è determinata dalla scomposizione del raggio di luce bianca, (emessa dal sole) esso viene rifratto dando origine a una serie di raggi luminosi corrispondenti ai colori dello spettro solare che và dal rosso al violetto, propagandosi nello spazio sottoforma di onde elettromagnetiche. Ognuna di esse ha una determinata lunghezza d onda specifica, e ognuna corrisponde a determinati colori. Il rosso ha la lunghezza d onda maggiore, mentre il violetto ha una lunghezza d onda minore, subisce quindi una maggiore rifrazione. L avvento della pellicola a colori rappresentava l ultimo traguardo da raggiungere per consentire di riprodurre fedelmente le immagini. Negli anni successivi si è assistito ad una evoluzione tecnologica mirata ad ottimizzare i principi base della fotografia scoperti nel passato. Tali evoluzioni hanno riguardato la struttura meccanica della macchina fotografica, le procedure di impressione dell immagine sulla pellicola e le tecniche fotografiche. L apice di funzionamento di tali tecniche fu raggiunto nell ultimo ventennio del 1900, tecniche che garantiva ottima qualità delle fotografie, ma restava irrisolto il problema del deterioramento delle immagini. Tale deterioramento era, ed è tuttora legato all effetto della luce sulla carta stampata. Per risolvere tale problema la comunità di ricerca, in ambito fotografico, è ricorsa all utilizzo di moderni sistemi che rappresenterano il futuro della fotografia, l immagine digitale. Nel 1991 la Kodak introduce la prima reflex digitale, tale macchina assume la stessa struttura e funzionamento delle ultime macchine fotografiche. La sostanziale differenza consiste nel sostituire la pellicola con un sensore capace di trasformare la luce in segnale elettrico, il quale poi verrà convertito (utilizzo del convertitore A/D) in digitale e memorizzato su memorie solide (Vedi principio di funzionamento della macchina fotografica). 3

Funzionamento della Macchina Fotografica Componenti principali e principio di funzionamento della fotocamera. Fotografare significa disegnare con la luce, lo strumento che consente di usare la luce per disegnare è la macchina fotografica. Esistono vari tipi fotocamere ma tutti hanno lo stesso principio di funzionamento che ruota attorno a quattro elementi fondamentali che sono: Mirino Obiettivo Diaframma Otturatore Supporto di memorizzazione (pellicola o nelle attuali fotocamere digitali le memorie solide quali compact flash o SD card) Per illustrare il principio di funzionamento delle macchine fotografiche faremo riferimento alla pellicola illustrando nella fine della discussione le differenze principali con le fotocamere digitali. Il principio di funzionamento della macchina fotografica, prevede l acquisizione della luce che rispecchia l immagine attraverso l obiettivo, il quale ha il compito di far raggiungere i raggi luminosi sulla pellicola. La luce passa attraverso l obiettivo e giunge al secondo elemento fondamentale: il diaframma, che ha la funzione di regolare la quantità di luce necessaria ad impressionare la pellicola. Il diaframma non lavora da solo ma in combinazione con l otturatore, il quale ha la funzione di dosare nel tempo la luce che entra nella macchina, corrispondente al tempo di espozione, quindi la luce entra nella camera oscura dove si tra la pellicola da impressionare. Di seguito riportiamo una breve descrizione dei componenti fondamentali della macchina fondamentale in modo da comprendere meglio come si svolge la fase fotografica. Il mirino permette di vedere la scena che si sta inquadrando. Con l evoluzione della macchina fotografica i tipi di mirino più diffusi sono due: Mirino ottico o galileiano. Mirino reflex a pentaprisma, a sua volta mono o bioculare. Il mirino ottico è costituito da un sistema di lenti che permette di vedere e inquadrare l immagine. Il problema di questo tipo di mirino è relativo al cosiddetto errore di parallasse : in quanto il mirino non è, seppure di poco, nella stessa posizione dell obiettivo che riceve l immagine, e quindi la visione del soggetto è leggermente diversa da quella che si imprimerà nella pellicola. Per ovviare a questo inconveniente è nato il mirino reflex, che permette di vedere esattamente ciò che vede l obiettivo. Attraverso uno specchio l immagine viene raddrizzata e inviata a una lastra di vetro,mentre un prima a cinque facce (pentaprisma) la corregge lateralmente (non bisogna dimenticare che l immagine arriva dall obiettivo alla pellicola capovolta e che lo specchio la inverte orizzontalmente) e la fa giungere all occhio (vedi figura 6 pagina 7). Nel sistema reflex, lo specchio è mobile, in modo tale che quando si scatta la fotografia, lo specchio si ribalta verso l alto, permettendo alla luce di arrivare alla pellicola. L obiettivo è un dispositivo ottico che consente di catturare l immagine facendo passare la luce attraverso una serie di lenti (convergenti e divergenti) situate al suo interno. Nel caso più semplice l obiettivo è composto da un piccolo foro che consente il passaggio della luce a formare un immagine all interno della camera oscura. A migliorare ulteriormente la qualità degli obiettivi contribuiscono lo sviluppo dei vetri ottici utilizzati e in particolari per ridurre la rifrazione interna migliorando la trasmissione della luce. Gli obiettivi si possono principalmente dividere in due categorie: Obiettivi a focale fissa: sono gli obiettivi in cui la lunghezza focale non può cambiare. Obiettivi a focale variabile: sono gli obiettivi in cui la lunghezza focale può cambiare Il diaframma è un apertura solitamente circolare o poligonale, attraverso cui la luce fluisce attraverso una lente o un obiettivo fotografico. Il centro del diaframma coincide con l asse ottico della lente. La maggior parte delle fotocamere dispongono di un diaframma di ampiezza regolabile contenuto nella lente, la cui regolazione si chiama apertura (vedi figura 7 pagina 8). Il diaframma in combinazione al tempo di esposizione determina la quantità di luce che viene fatta transitare attraverso l obiettivo che poi andrà a impressionare la pellicola. L apertura del diaframma può avere diverse ampiezze distribuite regolarmente su una scala di intervalli detti stop o f- stop. Ogni valore di stop è una quantità di luce doppia rispetto al valore precedente, formando così una progressione geometrica di regione 2 (circa 1,4) standardizzata al congresso di Liegi nel 1905. Tale scala comprende i seguenti valori: f/1 f/1.4 f/2 f/2.8 f/4 f/5.6 f/8 f/11 f/16 f/22 f/32 f/45 f/64 Dove i valori più bassi corrispondono ad aperture di diaframma più ampie. I numeri sopra riportati sono identici indipendentemente dalla lunghezza focale dell obiettivo; in realtà il rapporto es f/4 stà a significare che per un teleobiettivo di lunghezza focale f=200mm il diametro di apertura dell obiettivo è pari a 200/4 = 50 mm. L otturatore, (come brevemente illustrato precedentemente), è il dispositivo che si occupa di regolare il tempo di esposizione della pellicola alla luce. Attualmente si sono affermati due tipi di otturatori : Otturatori centrali che sono dotati di lamelle disposte a raggiera, simile a quelle del diaframma riportato in figura x. 4

Otturatori a tendina composto da due superfici di stoffa o di metallo disposte parallelamente al lungo piano focale, che scorrono verticalmente formando una fessura che lascia passare la luce. Qesto tipo di otturatore modifica il suo modo di funzionamento in base al tempo di esposizione richiesto. Se il tempo richiesto è lento la prima tendina raggiunge il fine corsa e conseguentemente parte la seconda che copre la pellicola concludendo l esposizione, nel caso di tempi di più rapidi la seconda tendina viene azionata durante la corsa della prima, quindi la pellicola non vine esposta contemporaneamente lungo tutto il fotogramma, ma solo attraverso la fessura formatasi dal ritardo fra la prima e la seconda tendina. Normalmente i tempi utilizzati in fotografia sono inferiori al secondo e vengono calcolati come una progressione in cui il valore successivo è il doppio del precedente. Un esempio di valori selezionabili, in secondi, negli attuali otturatori sono: 8 4 2 1 1/2 1/4 1/8 1/15 1/30 1/60 1/ 125 1/250 1/500 1/1000 1/2000 1/400 Di norma i valori inferiori al secondo sono visualizzati con il solo divisore quindi al posto di 1/125 viene mostrato solo 125. Per quanto riguarda il supporto di memorizzazione, fino a qualche anno fa, la pellicola rappresentava la soluzione migliore, ma con l inizio dell era digitale è stata sostituita dalle memorie solide: quali Compact Flash o Sicure Digital (SD Card). Per consentire il salvataggio dell immagine su una memoria è stata modificata la struttura della macchina fotografica, mantenendo il principio di funzionamento citato in precedenza. Nelle attuali macchine fotografiche digitali reflex, la registrazione delle immagini avviene attraverso un componente elettronico chiamato sensore, nato nello sviluppo di un semiconduttore originariamente concepito come memoria. Il sensore trasforma l immagine percepita sottoforma di luce in segnali elettrici analogici, poi la converte in digitale (si ricorre all utilizzo di convertitori A/D) con un processo ripetibile ad ogni scatto. Analogamente alla pellicola diapositiva, il sensore riproduce il colore attraverso la sintesi additiva (RGB) composta dalla lettura sfalsata delle tre componenti primarie sovrapposte sul file di immagine lavorato I sensori originariamente noti come CCD vedono oggi un evoluzione - legati al consumo di corrente, sensibilità, velocità e precisione cromatica in base alle destinazioni d uso. Le diverse tipologie CCD, CMOS, JFET stanno avanzando tecnologicamente in forma parallela, formando innovazioni differenti che rendono impossibile effettuare l assoluta superiorità di una soluzione nei confronti dell altra. I sensori vengono genericamente classificati in base alla risoluzione dichiarata in milioni di pixel, ma non meno importati sono gli aspetti legati alla dimensione fisica dell intera area di cattura e del singolo pixel, che determinano la reale gamma dinamica analogica e sensibilità convertita poi in digitale con il parametro conosciuto come profondità di colore a 8, 12, o 16 bit per canale. La sensibilità dei sensori impiegati in fotografia digitale esprimono la loro sensibilità con unità di misura ISO, rendendo molto simili le regole di misurazione esposimetrica e di scelta dell accopiamento tempo/ diaframma utilizzato in pellicola. Una volta convertita l immagine in digitale il flusso di bit viene organizzato in un formato, in modo tale da rendere l immagine interpretabile dagli applicativi di elaborazione delle immagini presenti nei personal computer. I formati più diffusi sono RAW, JPEG,TIFF. Il formato RAW, detto anche negativo digitale, è un formato di ripresa digitale costituito dai dati scaricati direttamente dal sensore, prima che il software interno alla macchina intervenga con l applicazione di particolari Algoritmi. Gli altri formati JPEG, TIFF si ricavano dal formato RAW mediante l applicazione di opportuni algoritmi (Vedi Figura 8 a pagina 8). 5

Figura 1. Principio della camera oscura Figura 2. Modello a cassette scorrevoli. Figura 3. Modello a soffietto. 6

Figura 4. Prima immagine fotografica 1826 Figura 5. Stereoscopio con esempio di foto. Figura 6. Funzionamento del mirino reflex a pentaprima 7

Figura 7. Esempio di apertura del diaframma Figura 8. Rappresentazione del flusso dati dal sensore al file con indicazione sui pesi dei file calcolati in riferimento a una risoluzione di 6 Mpixel. I dati Raw del sensore vengono elaborati internamente selezionando formati RGB oppure da software esterni selezionando il formato Raw 8

Appendice Joseph Nicéphore Niépce Joseph Nicéphore Niépce nasce nel 1765 a Chalon-sur-Saône da famiglia ricca e borghese. Dopo aver pensato di votarsi al sacerdozi9o e aver fatto parte delle armate rivoluzionarie, inizia ad interessarsi, col fratello Claude, ai fenomeni della luce e della camera oscura. L'interesse per la produzione di immagini senza l'intervento dell'uomo gli venne dalla litografia: sperimentando diverse tecniche Niépce riesce ad ottenere, nel 1823 o nel 1826, la prima immagine disegnata dalla luce (dopo aver steso uno strato di bitume di Giudea su di un supporto di peltro e aver esposto la lastra così ottenuta per otto ore in una camera oscura) che definisce eliografia, la madre della moderna fotografia.nel 1827, durante un viaggio a Parigi, conosce Daguerre e Lemaitre che in seguito diventeranno suoi collaboratori. Nel 1828 fonda con Daguerre un'associazione per il perfezionamento dell'eliografia. Muore tuttavia prima di vedere riconosciuta l'importanza delle sue ricerche a Saint Loup de Varenne nel 1833. Luis Jacques Mandé Daguerre Louis Jacques Mandé Daguerre artista e chimico basco che è riconosciuto come l'inventore del processo fotografico chiamato dagherrotipo. Pittore e scenografo teatrale sarà lui ad inventare a teatro l'utilizzo del diorama, una sorta di fondale dipinto con l'aiuto della camera oscura sulla quale venivano proiettate luci e colore di intensità diversa in modo da creare effetti molto particolari.aveva trascorso l'infanzia presso Orléans dove il padre era impiegato nella tenuta reale. Iniziò a lavorare presso lo scenografo dell'opera di Parigi, facendosi così una notevole esperienza nel campo del disegno e della scenografia. Dal 1824 inizia a fare esperimenti per riuscire a fissare l'immagine ottenuta attraverso la camera oscura. Inizia una corrispondenza con Joseph Niépce e sei anni dopo la cui morte riuscirà a mettere a punto la tecnica che prenderà il suo nome, la dagherrotipia. Questa sarà resa pubblica nel 1839 dallo scienziato François Arago in due distinte sedute pubbliche presso l'académie des Sciences e dell'académie des Beaux Arts. L'invenzione, resa di pubblico dominio, frutterà all'autore una pensione vitalizia. 9

William Fox Henry Talbot William Fox Henry Talbot (nato a Melbury, Dorset l 11 febbraio 1800 - Morto a Lacock Abbey, Wiltshire, il 17 settembre 1877) inventore e fotografo inglese. Figlio unico di William Davenport Talbot e Elisabeth Theresa, subì la perdita del padre a soli cinque mesi. La madre si risposò nel 1804 con Charles Feilding. Nel 1821, già brillante studente nel Trinity College di Cambridge, conobbe John Herschel a Monaco, con cui collaborò nei suoi studi sulla luce. Si laureò all'università di Cambridge come matematico. Nel 1831 entrò alla Royal Society. I primi esperimenti di Talbot nella riproduzione di immagini furono portati a termine nella primavera del 1834 a Lacock Abbey. Scoprì dei fogli di carta da scrivere con una soluzione di sale comune e nitrato d'argento, rendendoli sensibili alla luce. Fu sufficiente posare una foglia sulla carta ed esporla alla luce per rendere scure le zone non protette dalla luce. In questo modo ottenne un negativo della foglia. Chiamò questa tecnica shadowgraph, sciadografia. A Ginevra Talbot scopri che l' immagine poteva essere stabilizzata (quindi non più ricettiva alla luce) lavando il foglio con dello iodato di potassio oppure con una forte concentrazione di sale. Questa procedura fu chiamata fissaggio, un termine proposto da Herschel. Le sue ricerche sulla luce si unirono nell'invenzione che lo rese famoso, la Calotipia oppure, derivata dal suo nome, Talbotipia. Si tratta di un procedimento fotografico che permetteva la riproduzione delle immagini con il metodo negativo / positivo. Fu presentata alla Royal Society sette mesi dopo quella di Louis Daguerre, il dagherrotipo. Questo ritardo fece perdere importanza alla calotipia, anche perché il metodo utilizzato da Talbot era più laborioso di quello presentato da Daguerre, e di qualità inferiore. Per le sue scoperte nel campo della fotografia ricevette nel 1842 la medaglia Rumford dalla Royal Society. In seguito però la calotipia guadagnò credito perché utilizzata per l'illustrazione a stampa: il negativo era inciso su lastre di rame e l'immagine riprodotta su una rotativa. 10

Concetti base della fotografia Lunghezza Focale La focale di una lente consiste nella distanza espressa in millimetri tra il centro della lente ed il piano su cui si forma l'immagine nitida del soggetto (piano focale). La lunghezza focale determina la grandezza dell'immagine sulla pellicola. Un obiettivo con focale più lunga produce un'immagine più grande rispetto ad un obiettivo con focale più corta. Angolo di campo Con angolo di campo possiamo definire la porzione di scena che riusciamo a "catturare" durante il nostro scatto. Questo valore si misura in gradi e viene influenzato da vari fattori quali la lunghezza focale ed il formato della pellicola (ovviamente nei nostri esempi ci riferiremo sempre alla classica 35mm e cioè 24x36mm). Se ad esempio consideriamo come lunghezza focale 50mm (obiettivo normale) avremo un angolo di campo di circa 45. Questo valore andrà aumentando al calare della lunghezza focale (grandangolo) e si restringerà con l'aumentare della stessa (teleobiettivo). Luminosità di obiettivo La luminosità di un obiettivo viene espressa in valori di f/ che consistono nel rapporto tra la Lunghezza Focale ed il suo diametro di apertura. Le ottiche con valori di f/ minori sono le più luminose, perchè, disponendo di una grande apertura rispetto alla loro focale, sono in grado di far passare una maggior quantità di luce. In parole povere un obiettivo con luminosità f/3 è più luminoso di un obiettivo f/4. Questa teoria è confermata dal fatto che più il diametro di una lente è grande e meno volte può essere ripetuto all'interno di una stessa focale facendo sì che, il rapporto ottenuto, generi un numero più piccolo. Questa caratteristica di un obiettivo (valore di f/ basso) è anche indice della qualità dello stesso. L = LF DA 11

Dove: L rappresenta la luminosità LF rappresenta la lunghezza focale DA rappresenta il diametro di apertura Profondità di campo Con questo termine andiamo ad indicare la porzione di spazio che risulterà a fuoco nella nostra fotografia. Una foto con grande profondità di campo avrà praticamente tutti gli elementi che la compongono nitidi. Al contrario in un foto con bassa profondità di campo il soggetto principale risulterà come l'unico (o quasi) nitido mentre tutti gli altri elementi, davanti e dietro al soggetto, saranno difficilmente distinguibili. 12

Bibliografia [1] Walter Guadagnini, Quaderni di Arte e Comunicazioni Fotografia Edizione Zanichelli [2] Giuseppe Maio. Fotografia Digitale Reflex Nikon S.p.A [3] Enciclopedia Motta [4] http://www.jekoz.net/fotografia/photography.htm Ultimo Accesso 01 Maggio 2007 [5] http://www.photogallery.it/storia/istoria.html Ultimo Accesso 01 Maggio 2007 [6] http://www.internetcamera.it/corsi/cbf/capxi-le_pellicole.asp Ultimo Accesso 01 Maggio 2007 [7] http://www.fotoinfo.it/cd/la_macchina_fotografica.htm Ultimo Accesso 05 Maggio 2007 [8] http://www.fotochepassione.com/area-storia.htm Ultimo Accesso 05 Maggio 2007 [9] http://wwwit.kodak.com/it/it/corp/storia/index.shtml Ultimo Accesso 05 Maggio 2007 [10] http://www.nital.it/corso_foto_digitale/index.php Ultimo Acceso 06 Maggio 2007 [11] http://www.canon.it Ultimo Accesso 06 Maggio 2007 13