Galileo e il suo Processo - Storia dell'arte.eu Sabato 28 Gennaio :36

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Transcript:

All'inizio del '600 al visione complessa dell'universo secondo Tolomeo fu sostituita da un modello matematico più semplice, la fisica di Aristotele si era rilevata fallace, creando scompiglio all'interno delle grandi masse popolari. Questa crescente importanza data al sapere scientifico nasce dalla creazione di molteplici istituti, dalla diffusione avvenuta nel '500 di testi scientifici greci da parte degli umanisti e dai dibattiti costanti avvenuti in campo religioso nel '500 che allontanarono l'interesse dalla polemiche teologiche per dedicarsi ad attività scientifiche, che si riteneva ormai portassero la pace e l'armonia che la teologia non poteva offrire. L'importanza di Galilei viene dal fatto che per la prima volta la scienza è trattata come qualcosa per cui vale la pena lottare contro le diverse autorità (religiosa e culturale), poiché da essa dipende il futuro stesso dell'umanità. 1 / 5

Con la Controriforma era stato imposto che qualsiasi forma di sapere dovesse essere interpretata secondo le sacre scritture, poiché esse sono state scritte sotto ispirazione dello Spirito Santo, perciò non possono essere assolutamente fallaci. Secondo Galileo questo modo di procedere è di intralcio non solo al sapere che ne viene minacciato, ma anche alla stessa religione che si trova a sostenere teorie che la fanno perdere di credibilità, e affronta il problema nelle Lettere Copernicane, in cui esprime come sia la natura che la Bibbia derivino da Dio, quindi è impossibile che si contraddicano. I contrasti sono quindi solo apparenti e vanno risolti in base all'interpretazione del testo sacro. Egli sostiene non solo che le Scritture siano state costrette ad utilizzare un linguaggio antropomorfico e relativo all'uomo per descrivere leggi naturali che seguono il proprio corso non curandosi delle esigenze umane, ma che esse non si pongano come obiettivo la spiegazione di fenomeni naturali ma verità per il destino ultimo dell'uomo. In sostanza avviene così il distacco tra scienza, autorità in ambito naturale, e Bibbia, autorità in ambito etico-religioso. Quindi è l'interpretazione data alla Bibbia che deve adattarsi alla scienza, non il testo sacro in sé, poiché questo non ha come obiettivo la spiegazione della natura. Allo stesso modo la scienza deve restare indipendente dal sapere aristotelico conservatore, Galileo esprime la sua ammirazione per Aristotele e i filosofi del passato, ma pone una severa critica ai loro discepoli che non osservano la natura ma solamente i testi dei loro maestri, formando un dogmatismo antiscientifico che ostacola l'avanzamento del sapere. Alla loro incapacità di osservare Galileo contrappone ciò che lo ha reso il padre della scienza moderna, ossia il metodo scientifico. Tuttavia questo metodo non è spiegato come un modo di agire filosofico, ma è definito attraverso i passaggi stessi compiuti dallo scienziato che direttamente esprime il procedimento della scienza. Il metodo è diviso in due fasi: risolutivo, ossia la risoluzione di un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici attraverso l'osservazione, la misurazione matematica dei dati e la formulazione di un'ipotesi, e compositivo, ossia la verifica e l'esperimento attraverso cui il fenomeno è riproposto artificialmente per stabilire la veridicità dell'ipotesi formulata. E' quindi diviso in due momenti, osservativo-induttivo (indicato come sensata esperienza ) e ipotetico-deduttivo ( necessarie dimostrazioni ). L'induzione sperimentale e la deduzione teorica, nonostante prevalgano in modo alterno all'interno del metodo generale, sono frutto di un'implicazione di fatto. Le sensate esperienze vogliono necessarie dimostrazioni, perché vengono astratte in un contesto matematico-razionale e private delle proprie caratteristiche qualitative, di conseguenza le necessarie dimostrazioni vogliono un richiamo a sensate esperienze, in quanto la formulazione di una legge deriva dall'attenta osservazione di un fenomeno e in quanto c'è bisogno di una conferma sperimentale. Per Galileo la matematica costituisce la logica della fisica, poiché essa permette di avanzare nuove ipotesi sui fenomeni. Tuttavia mentre la matematica, riferendosi ad enti astratti, non ha bisogno di un'esperienza per essere controllata, la fisica può essere controllata solo attraverso 2 / 5

un corrispettivo concreto. L'esperienza, secondo Galileo, non è la semplice esperienza ordinaria, ma il frutto di elaborazione matematica dei dati che si conclude poi con la verifica. Questo perché l'esperienza quotidiana non solo può essere ingannevole, ma non ha il minimo valore scientifico a meno che non sia legittimata dall'esperimento. Anche la verifica stessa non è quella immediata dei sensi ma la riproposizione del fenomeno in un ambiente su misura, a volte non realmente esistente ma un laboratorio ideale, in cui il fenomeno stesso può essere riprodotto artificialmente con il minimo disturbo possibile. Con il suo metodo Galileo stabilisce lo schema della scienza moderna, secondo cui la natura è un ordine oggettivo di relazioni governate da leggi e la scienza è un sapere matematico intersoggettivamente valido. Vi è un rifiuto particolare del finalismo, sostenendo che le opere della natura non possono essere giudicate con un metro puramente umano e che di conseguenza bisogna cercare la causa efficiente per cui le cose operano, e dell'essenzialismo, in quanto lo scienziato deve occuparsi delle leggi che regolano i fatti. Essenzialismo e finalismo sono quindi non inesistenti, ma non da accostare al metodo scientifico. In Galileo è inoltre presente una fiducia realistica che lo porta a interpretare il rapporto tra scienza e realtà in termini di rispecchiamento, cosa che viene malgiudicata dalla Chiesa in quanto questa sostiene che lo studioso, non essendo Dio, può solo accontentarsi di parlare per ipotesi Il Processo I primi a lanciarsi contro Galileo, nonostante gli aristotelici vedessero già male la dottrina copernicana, furono i domenicani, contrariamente ai gesuiti che mantennero un atteggiamento neutrale. Il domenicano Niccolò Lorini, già accusatore della dottrina copernicana, citò Galileo in giudizio per il modo di intendere il rapporto tra la scienza e le Sacre Scritture nel 1616, anno in cui la tesi eliocentrica e la mobilità della Terra furono considerate assurda e falsa in filosofia e l'una formalmente eretica, l'altra per lo meno erronea nella fede. Galileo in tutto ciò non fu toccato poiché le sue Lettere copernicane erano rimaste materia privata, tuttavia nel 1616 subì un'ammonizione dal cardinale Bellarmino, ammonizione la cui storicità è discutibile secondo alcuni studiosi. La faccenda si concluse con un certificato in cui Galileo era stato solo ammonito di non difendere l'idea copernicana, senza che con ciò l'abbia abiurata. Per anni la situazione restò immutata, fino al 1632, in cui fu eletto Papa Urbano VIII e Galileo pubblico il Dialogo in cui presenta le due visioni del mondo, ma il Papa si rifiutò di essere descritto come un assertore della mirabile e veramente angelica dottrina, quindi bloccò la pubblicazione dell'opera e costrinse Galileo a trasferirsi a Roma. Galileo fu trasferito in una struttura di 3 / 5

detenzione con l'accusa di aver ignorato l'ammonimento, accusa da cui si difese dicendo che non aveva sostenuto la dottrina copernicana, ma l'aveva solo insegnata. Provò anche a mentire dicendo che l'avrebbe insegnata per dimostrarne l'erroneità, ma fu facilmente contraddetto e fu costretto ad ammettere di essere andato contro l'ammonimento. Fu quindi condannato e costretto ad abiurare. Nel 1981 Papa Giovanni Paolo II ripropose la questione e stabilì di mettere in discussione gli errori commessi da qualsiasi parte, volendo accomunare le posizioni galileiane e quelle cattoliche, ossia la complementarietà tra fede e ragione, il carattere illuminante della grazia divina presente nel dialogo, e la conferma della verità della scrittura. La commissione giunse alla conclusione che ci fossero ai tempi diverse posizioni riguardo alla condanna della tesi copernicana e che Galileo alla fine non era riuscito a dimostrare completamente il doppio moto della Terra, allo stesso modo i suoi avversari non avevano scoperto nulla che potesse confutare Copernico. Giovanni Paolo II concluse che la Chiesa aveva sbagliato nel condannare Galileo, sostenendo che la ragione, se ben condotta, non può contraddire la rivelazione divina. Nel 2008 ci fu una polemica riguardante Papa Benedetto XVI che, nel 1990 ancora cardinale, sostenne l'intrinseca razionalità della fede e la sua piena compatibilità con la scienza, citando il filosofo austriaco Feyerabend. Secondo un'interpretazione il Papa avrebbe detto che l'atteggiamento della Chiesa non fu tale per inibire la libertà della ricerca scientifica, ma perché l'istituzione religiosa era più ancorata alla scienza del tempo. Ma un'altra idea è che il Papa, facendo riferimento ad una citazione del filosofo Feyerabend che aveva sostenuto che la Chiesa del tempo fece bene a condannare Galileo per le conseguenze etiche e sociali della sua dottrina, intendeva criticare la sua posizione ponendosi a favore della scienza galileiana. Nonostante la Chiesa Cattolica consideri il caso sostanzialmente chiuso, di recente è stato affermato che in realtà il caso non è stato abbandonato e che Giovanni Paolo II voleva solo invitare a far luce su una faccenda irrisolta. 4 / 5

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