Sentenza n. 50 del 2005 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro)

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Sentenza n. 50 del 2005 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) Con la sentenza n. 50 del 2005, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle numerose censure di incostituzionalità della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) e del successivo decreto legislativo di attuazione 10 settembre 2003, n. 276, sollevate dalle Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna e Basilicata e dalla Provincia autonoma di Trento in relazione, principalmente, agli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione. Le ricorrenti, prima ancora di censurare per il loro contenuto singole disposizioni della legge delega, hanno impugnato questa nel suo insieme, contestando l uso della delegazione legislativa per stabilire i principi fondamentali nella materia di competenza legislativa concorrente tutela e sicurezza del lavoro (articoli 1, comma 1 e 2, comma 1 della legge n. 30 del 2003). Secondo le ricorrenti, in particolare, poiché lo strumento della delegazione legislativa comporta da parte del Parlamento la determinazione di principi e criteri direttivi, una volta che questi siano stati stabiliti, le disposizioni emanate in attuazione della delega non potrebbero avere ad oggetto norme contenenti i principi fondamentali della materia bensì soltanto norme c.d. di dettaglio, con conseguente intromissione nella sfera di competenza legislativa propria della Regione. Lo strumento della delega sarebbe, pertanto, del tutto incongruo ai fini della determinazione dei principi fondamentali. La Corte ha respinto tale tesi affermando che con il ricorso proposto ai sensi dell articolo 127, secondo comma, Cost., le Regioni possono addurre soltanto la lesione delle loro attribuzioni legislative da parte dello Stato e non anche la violazione di qualsiasi precetto costituzionale. Ciò non significa, naturalmente, che i parametri invocabili dalle ricorrenti debbano essere esclusivamente quelli degli articoli 117, 118 e 119 Cost., ma che il contrasto con norme costituzionali diverse può essere efficacemente addotto soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali. Di conseguenza, non possono trovare accoglimento violazioni di principi costituzionali che non comportino (né si traducano in) lesioni delle sfere di competenza regionale di natura concorrente o residuale. D altra parte - afferma la Corte - la nozione di principio fondamentale, che costituisce il discrimine nelle materie di competenza legislativa concorrente tra attribuzioni statali e attribuzioni regionali, non ha e non può avere caratteri di rigidità e di universalità, perché le materie hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo. E il legislatore che opera le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali che l interprete deve valutare nella loro obiettività, senza essere condizionato in modo decisivo da

eventuali autoqualificazioni. Ne consegue che il rapporto tra la nozione di principi e criteri direttivi, che concerne il procedimento legislativo di delega, e quella di principi fondamentali della materia, che costituisce il limite oggettivo della potestà statuale nelle materie di competenza concorrente, non può essere stabilito una volta per tutte. E ciò è confermato da quanto può dedursi dalla sentenza n. 359 del 1993, con la quale questa Corte affermò che con legge delegata potevano essere stabiliti i principi fondamentali di una materia, «stante la diversa natura ed il diverso grado di generalità che detti principi possono assumere rispetto ai principi e criteri direttivi previsti in tema di legislazione delegata dall art. 76 della Costituzione» (Considerato in diritto n. 3). Per giudici, quindi, la lesione delle competenze legislative regionali non deriva, di per sé, dall uso della delegazione legislativa, ma può eventualmente conseguire da due diverse circostanze, e cioè dall avere il legislatore delegante posto una normazione di dettaglio, anziché limitarsi alla formulazione di principi e criteri direttivi, oppure dall avere il legislatore delegato esorbitato dall oggetto della delega, non limitandosi alla determinazione dei principi fondamentali; ma nessuna di queste evenienze è riscontrabile nel caso in esame. Le ricorrenti hanno sollevato numerose altre censure lamentando la lesione dei propri ambiti di competenza da parte del legislatore statale che avrebbe dettato norme non di principio in materie di competenza concorrente o, in alcuni casi, avrebbe invaso sfere di competenza esclusiva regionale e provinciale - per quanto denunciato dalla Provincia di Trento in particolare disciplinando l attività regolamentare in materie che non appartengono alla competenza legislativa esclusiva statale. La Corte ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte infondate le numerose censure regionali, accogliendo solo le questioni di legittimità costituzionale relative al comma 6 dell articolo 22 del d.lgs. 276/2003, in materia di somministrazione di lavoro e all articolo 60 del medesimo decreto, che disciplina i tirocini estivi di orientamento. La prima norma escludeva l applicazione della disciplina dell onere della riserva e delle assunzioni obbligatorie con riferimento ai rapporti di somministrazione. In particolare, ai sensi della norma bocciata, in caso di somministrazione non avrebbero dovuto trovare applicazione né le disposizioni in materia di assunzioni obbligatorie né quella secondo la quale le Regioni possono prevedere che una quota delle assunzioni effettuate dai datori di lavoro privati e dagli enti pubblici economici sia riservata a particolari categorie a rischio di esclusione sociale, quali ad esempio disabili, disoccupati di lunga durata, giovani in cerca di occupazione e donne che intendono rientrare nel mercato del lavoro. La Corte, nel dichiarare tale disposizione incostituzionale, rileva che essa comporta una deroga irragionevole ad un principio fondamentale con lesione delle competenze regionali, dal momento che la disposizione derogata dalla norma censurata comporta

potestà normative delle Regioni sulle quali la deroga stessa incide, limitandole. E poiché nessuna disposizione della legge delega prevede la suddetta deroga, il tutto si traduce in una violazione dell articolo 76 Cost. La seconda norma dichiarata incostituzionale prevedeva la possibilità di tirocini nelle aziende per studenti durante le vacanze estive, con fini orientativi e di addestramento pratico, della durata massima di tre mesi, con possibilità di erogare al tirocinante borse lavoro dell importo massimo di 600 euro. La Consulta, accogliendo sul punto il ricorso delle Regioni Emilia Romagna, Toscana e Marche, ha ritenuto che tale disciplina, proprio in quanto non pone in essere un rapporto di lavoro e neppure è preordinata in via immediata ad eventuali assunzioni, attiene a pieno titolo alla formazione professionale, materia riservata alla competenza esclusiva delle Regioni. Per quanto concerne le altre censure, la maggior parte di esse è stata respinta sulla base del rilievo che la disciplina intersoggettiva di qualsiasi rapporto di lavoro rientra nella materia ordinamento civile, di competenza esclusiva statale. Così, ad esempio, è stato giudicato infondato il sospetto di incostituzionalità avanzato in ordine alle norme sul lavoro a tempo parziale, previste all articolo 3, comma 1, lett. a), b) e c) della legge n. 30 del 2003. La tesi della Regione Basilicata muoveva dal presupposto che tali norme rientrassero, invece, nella materia tutela e sicurezza del lavoro e che, per quanto concerne la competenza legislativa, soggiacessero al criterio dell attribuzione allo Stato della competenza a determinare i principi fondamentali e della spettanza alle Regioni della normazione di dettaglio. Con considerazioni analoghe è stata giudicata infondata la questione di legittimità delle norme sulla certificazione, di cui alle lett. e) e f) del comma 1 dell articolo 5 della legge delega che, nella parte in cui tendono ad attribuire un particolare valore probatorio al contratto certificato, attengono alla materia ordinamento civile e, in quanto dirette a condizionare l esercizio in giudizio dei diritti nascenti dal contratto di lavoro e la stessa attività dei giudici, attengono anche alla materia giurisdizione e norme processuali, entrambe estranee a qualsiasi competenza legislativa regionale. Anche il mantenimento in capo allo Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro, ex articolo 1, comma 2, lett. c), è stato ritenuto costituzionalmente legittimo. Infatti, la conciliazione delle controversie di lavoro, rispetto alla quale le funzioni amministrative sono strettamente strumentali, non rientra nella materia della tutela e sicurezza del lavoro, come sostenuto dalle ricorrenti, bensì in quella dell ordinamento civile, in quanto concernente la definizione transattiva delle controversie stesse, ed in quella della giurisdizione e norme processuali per l incidenza che la previsione e la regolamentazione del

tentativo di componimento bonario delle liti possono avere sullo svolgimento del processo. Analoghe considerazioni valgono per le disposizioni che prescrivono il mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori extracomunitari, ritenute legittime perché rientranti nella materia immigrazione che appartiene alla potestà esclusiva dello Stato ai sensi dell articolo 117, secondo comma, lett. b), Cost. La disposizione dell articolo 1, comma 2, lett. e), della legge n. 30 del 2003, la quale stabilisce, come principio e criterio direttivo da seguire nella nuova disciplina del collocamento, il mantenimento da parte delle Province delle relative funzioni amministrative, è stata denunciata per violazione dell articolo 117, sesto comma, Cost. non spettando allo Stato l attribuzione delle funzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente. La Corte, pur riconoscendo che l allocazione delle funzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente, come la tutela e sicurezza del lavoro, non spetta, in linea di principio, allo Stato, tuttavia ha respinto la censura di incostituzionalità dal momento che la norma deve intendersi nel senso che tale mantenimento è finalizzato a garantire la continuità dei servizi fino a diversa possibile disciplina regionale. In altri termini, le funzioni amministrative sono mantenute in capo alle Province, senza precludere la possibilità di diverse discipline da parte delle Regioni, per evidenti esigenze di continuità nello svolgimento di funzioni e servizi pubblici che non possono subire interruzioni se non a costo di incidere su diritti che non possono essere sacrificati. Di conseguenza, operando il principio di continuità, le funzioni delle Province continueranno a svolgersi secondo le disposizioni vigenti fin quando le Regioni non le avranno sostituite con una propria disciplina. Sono state respinte anche le numerose censure di incostituzionalità sollevate nei confronti delle disposizioni in materia di autorizzazione ed accreditamento delle Agenzie per il lavoro. Per la Corte, infatti, se il collocamento, ed in genere tutte le attività atte a favorire l incontro tra domanda ed offerta di lavoro, non sono più riservati alle strutture pubbliche, ritenendosi dal legislatore che solo l apertura ai privati e la collaborazione tra questi e le strutture pubbliche possano rendere efficienti tali attività, la disciplina dei soggetti comunque abilitati a svolgerle deve essere in armonia con i precetti costituzionali concernenti l attività economica. ( ) Dall angolo visuale dei soggetti che la svolgono, l attività di intermediazione nella sua più ampia accezione può quindi costituire oggetto di normale attività imprenditoriale ed è soggetta anche alle norme che tutelano la concorrenza. Occorre infine osservare che l autorizzazione di cui all art. 1, comma 2, lettera l), della legge delega abilita anche allo svolgimento di tutte le attività di cui alla successiva lettera m), concernenti prevalentemente la somministrazione di manodopera o di lavoro altrui ed il regime dei rapporti che da essa nascono, nonché i criteri di distinzione tra appalto e interposizione ed il

regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, materie tutte che rientrano in competenze esclusive dello Stato. ( ) La scelta di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento- affermano i giudici - costituisce un criterio direttivo idoneo a dar luogo alla formulazione di un principio fondamentale, sul quale basare la disciplina della complessa materia. L opzione di un unico regime giuridico per chiunque voglia svolgere attività in senso generico di intermediazione è correlata all esigenza che il mercato del lavoro abbia dimensioni almeno nazionali ( ) (Considerazioni in diritto n. 12). Neppure le norme in materia di contratti di lavoro con contenuto formativo (inserimento e apprendistato) ledono le competenze regionali. Le censure muovono dal presupposto che la formazione, in qualsiasi sede svolta, sia attribuzione esclusiva delle Regioni e delle Province autonome e che, pertanto, qualsiasi limitazione alla potestà legislativa o regolamentare delle ricorrenti comporti violazione dell articolo 117, terzo, quarto e sesto comma, Cost. Ma per i giudici, se è vero che le Regioni hanno competenza esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale, è altrettanto vero che la disciplina della istruzione e della formazione professionale che i privati datori di lavoro somministrano in ambito aziendale ai loro dipendenti - da ritenere essenziale con riguardo alla causa mista propria dei contratti a contenuto formativo - di per sé non è compresa nell ambito della suindicata competenza né in altre competenze regionali. In altri termini, la formazione aziendale, cui si riferiscono le disposizioni denunciate, rientra nel sinallagma contrattuale e quindi, anch essa, nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile. Dott.ssa Paola Garro