Da Milano all Aquila: i Centri Storici tra boom e rinascita di Saverio DI ROLLO (*) Quanti di noi avranno avuto un senso di leggero straniamento percorrendo le strade di numerosi centri storici italiani? Ci limitiamo alle città cosiddette grandi e medie, ossia quelle che storicamente mantengono da vari secoli la propria funzione di polo di attrazione per il territorio circostante, provincia, regione o nazione intera. E ci limitiamo anche al nostro Paese, non perché i fenomeni che descriveremo siano esclusivamente italiani, ma lo sono in gran parte i presupposti economici e culturali. Che ci troviamo in corso Vittorio Emanuele a Milano, in via Barberini a Roma o in via Medina a Napoli, l aspetto di quelle quinte edilizie osservate, sembra avere un origine comune: la politica di massiccia sostituzione edilizia, condotta nel solco degli sventramenti del periodo umbertino e fascista, rilanciata dalla ricostruzione a seguito dei danni bellici nel secondo Dopoguerra. È noto che già nel 1945 si era scatenato un acceso dibattito sulla portata e le modalità degli interventi di restauro purtroppo in molti casi vera e propria ricostruzione da ultimare nei centri urbani bombardati. Non si arrivò mai a formulare un azione condivisa, un atteggiamento verso la memoria storica da salvare, come stava succedendo negli altri Paesi, colpiti come e forse più del nostro dal conflitto. Perché non si è avuto anche in Italia un caso Varsavia? Le occasioni non mancavano: da Milano a Napoli, da Ancona a Terni sino a Palermo erano numerosi i tessuti storici che per i danni e le distruzioni subite rischiavano di perdere irrimediabilmente la loro qualità edilizia e architettonica, con interventi di ricostruzione e restauro poco sensibili al valore architettonico e al tessuto sociale preesistente. La possibilità è sfumata senza troppo clamore nella certezza quando i vuoti urbani causati dai bombardamenti sembravano accelerare o quantomeno favorire le operazioni di adeguamento funzionale dei centri storici previsto dagli strumenti urbanistici allora vigenti. Ben poche città, infatti, si erano dotate di un piano di ricostruzione che tentasse un superamento della cultura urbanistica di anteguerra, che si ponesse come alternativa alle ipotesi di diradamento edilizio e isolamento delle emergenze monumentali di matrice ottocentesca. È innegabile che in assenza di linee guida condivise a livello nazionale le metodologie di intervento seguite da Nord a Sud si sono legate indissolubilmente alle spinte speculative, alla progressiva espulsione degli abitanti a favore di attività commerciali e direzionali; tutti fenomeni che solo molti anni dopo in Italia e in altri Paesi avrebbero innescato l ultima trasformazione dei centri storici, tuttora in corso: la famigerata gentrification. Ma la ricostruzione post-bellica è stata solo in parte il volano di vaste operazioni urbanistiche, se si pensa che a Milano la cosiddetta racchetta lo sventramento che darà vita all asse di Via Larga-Corso Europa-Via Albricci era previsto nello stesso Piano Regolatore Generale del 1953, approvato quando ormai la ricostruzione era quasi ultimata. Diverso è stato il caso del centro storico di Palermo, condannato all abbandono caso quasi unico in Europa per scelte politiche che consapevolmente e colpevolmente diressero tutte le energie e le risorse a favore di una speculazione selvaggia e con standard abitativi pessimi nelle aree inedificate circostanti,
relegando il cuore antico della città a una funzione direzionale e culturale del tutto residua, una combinazione di degrado edilizio, sociale e monumentale di cui finalmente è in corso il recupero. E dalla Palermo semidistrutta dai bombardamenti del 1943 all Aquila danneggiata ma non in modo irreparabile dal sisma del 2009 il salto appare ora fin troppo breve: anche nelle note vicende del capoluogo abruzzese viene a mancare quell interlocutore privilegiato nella pianificazione urbanistica che è la comunità e l imprenditoria locale, portatrici di quelle istanze di continuità e di tutela del tessuto sociale ed economico che altrove avevano garantito risultati soddisfacenti, pure discutibili per alcune scelte fin troppo innovative nella ricostruzione. È venuto a mancare anche l apporto significativo della cultura architettonica e urbanistica, inspiegabilmente non interpellata, non ascoltata, relegata al recupero delle emergenze monumentali, le uniche oggetto di interventi tempestivi nel centro storico. E il patrimonio edilizio minore? Il tessuto abitativo di cui era stata frettolosamente decretata l inagibilità? Tuttora non vi è alcun piano unitario di recupero, nessuna iniziativa concreta che favorisca anche parzialmente il ritorno degli abitanti. Del resto, l operazione fallimentare sotto il profilo economico, sociale e urbanistico delle new towns ha sì risolto l emergenza abitativa degli sfollati, ma ha trasformato L Aquila in una città di pendolari che caso unico si identificano con i suoi stessi abitanti! Che sia il preludio al primo caso di gentrification di una città intera pianificata dallo Stato? Sicuramente no, per ragioni oggettive e di opportunità: i danni provocati dal sisma non giustificherebbero episodi di sostituzione edilizia paragonabili a quanto accaduto in altri centri nel Dopoguerra. Peraltro l attenzione degli abitanti e delle Amministrazioni verso una tutela sempre maggiore del patrimonio architettonico esistente limiterebbe le possibilità di intervenire a operazioni di sostanziale ripristino dello stato ante quam, ma con il rischio concreto di sfruttare i pur necessari consolidamento e adeguamento sismico per ridefinirne gli spazi interni, un vero e proprio svuotamento dall interno dell edificio che lascia inalterate solo le facciate esterne, una ristrutturazione edilizia mascherata da restauro, una ristrutturazione urbanistica che sembra recupero. Purtroppo la metodologia scelta sin dai primi mesi dopo il sisma per la mappatura dei danni e dei possibili interventi da eseguire sul tessuto storico (i famosi aggregati), potrebbe favorire tali equivoci progettuali. E cosa succede nei centri storici il cui degrado e abbandono non è conseguenza di un terremoto, ma solo di scarsa attenzione da parte delle Amministrazioni? Spostiamoci a Rieti, città con un tessuto di impianto medioevale ben conservato, seppure con qualche intrusione all insegna della modernità realizzata nel Dopoguerra. Il nucleo più antico si presenta ben delimitato dal corso del fiume Velino e dai brani superstiti della cinta muraria, ma ha conosciuto una fase di degrado comune alla maggior parte dei centri storici italiani, quando il mancato adeguamento a standard abitativi più elevati ha incoraggiato il trasferimento dei residenti in quartieri periferici più funzionali. Tuttavia è in corso ormai da molti anni un recupero e qui il termine non deve essere frainteso del patrimonio edilizio sotto la supervisione dell Amministrazione comunale, che interessa l edilizia pubblica (A.T.E.R.) e privata. Quest ultima non sempre trova in sé risorse culturali e materiali sufficienti per innescare il processo: è fondamentale quindi il sostegno dell Amministrazione, che potrebbe favorire l iniziativa imprenditoriale nel settore edilizio e
in quello commerciale, ricordandoci che il centro non è sempre stato solo storico : ha svolto e deve continuare a svolgere quelle funzioni culturali, commerciali, direzionali e residenziali che lo mantengono vivo, luogo di aggregazione sociale per tutti gli abitanti, inclusi quelli delle periferie. Inclusi quelli delle new towns. (*) Architetto, INBAR Direttivo sez. provinciale di Rieti 1. Milano, centro storico. In nero gli edifici oggetto di ricostruzione nel periodo 1930-1970 2. Milano, centro storico. Tessuto edilizio e monumentale tra piazza della Scala e S. Babila nel 1910 (sopra) e nel 1948 (sotto): gli sventramenti e le ricostruzioni previste sono in fase di ultimazione
3. Terni, piazza Tacito. Sistemazione attuale dopo i danni bellici 4. L'Aquila, centro storico. Tessuto edilizio e monumentale danneggiato dal sisma del 2009: gli interventi di recupero e ricostruzione non sono ancora iniziati 5. L'Aquila, new towns. I nuovi insediamenti, costruiti in deroga agli strumenti urbanistici vigenti e lontani dal centro storico, ospitano ancora oggi quasi tutti i residenti evacuati nel 2009 6. Rieti, centro storico. Danni bellici al tessuto edilizio e monumentale a ridosso della cinta muraria
7. Rieti, centro storico. La cinta muraria, recuperata nel Dopoguerra e limite Nord del nucleo antico 8. Rieti, centro storico. Il ponte Romano sul Velino: il fiume segna il limite Sud del nucleo storico e le sue sponde (incluso il tessuto edilizio) sono state oggetto di recupero negli ultimi anni