INNOVAZIONE E RUOLO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO di Luigi Grasselli



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Transcript:

INNOVAZIONE E RUOLO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO di Luigi Grasselli Ringrazio in modo davvero sentito e convinto, lo studio, Scalabrini, Cadoppi e Associati per avere promosso insieme all Università di Modena e Reggio Emilia ed in particolare alla Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell Economia, il convegno, nonché per il sostegno che consente ogni anno l organizzazione di iniziative culturali di grande rilievo e spessore, su temi capaci di coniugare attualità e profondità di contenuti. Lo scorso anno si è parlato di distretti industriali e mito e modello emiliano : oggi si parlerà di innovazione e competitività. Consentitemi di esprimere la mia personale soddisfazione per l intensificarsi di convegni di alto livello promossi dalla giovane sede reggiana dell Ateneo, convegni che, affrontando in modo rigoroso e scientifico argomenti particolarmente complessi e articolati, in un confronto di discipline e punti di vista differenti, rendono appieno ciò che vogliamo che sia il senso della presenza universitaria nella nostra città. Un primo elemento relativo a ciò che evoca il termine innovazione a livello generale di opinione pubblica consiste nella sua percezione sostanzialmente positiva: se è possibile cambiare in peggio, innovare propone implicitamente un idea di miglioramento. Il problema appare piuttosto quello di gestire l innovazione. Non c è dubbio poi che l utilizzo del termine innovazione faccia riferimento in primo luogo alla tecnologia: innovazione come innovazione tecnologica, in cui l aggettivo può venire sottinteso. E ciò appare del tutto naturale in una società come la nostra dove le chiavi dello sviluppo economico risiedono nel rapporto sinergico tra progresso scientifico, trasformazione tecnologica ed innovazione ed in cui la capacità di integrare Scienza, Tecnologia ed Innovazione costituisce la principale sorgente di vantaggio competitivo tra sistemi. Già da tale prospettiva le analisi e le riflessioni su quest idea di innovazione si aprono ad una serie di considerazioni e quesiti di alto spessore e problematicità. A cominciare dal rapporto Scienza-Innovazione tecnologica, spesso erroneamente ricondotto alla dubbia dicotomia fra ricerca pura e ricerca applicata. Laddove invece il problema consiste nell attivare da un lato processi di incentivazione della eccellenza in una ricerca autonoma e libera da condizionamenti contingenti, dall altro strumenti che consentano di ottenere il massimo livello qualitativo di trasferimento tecnologico dei risultati ottenuti. Qui il ruolo del sistema universitario si impone non solo come sede elettiva della ricerca e laboratorio dei diversi saperi, ma anche nella sua dimensione di soggetto strategico delle capacità di innovazione e sviluppo di un sistema. Va in questa direzione, consentitemi un riferimento locale, l iniziativa del nostro Ateneo di promuovere, insieme agli Enti Istituzionali del territorio e al mondo delle imprese, la società Reggio Emilia Innovazione che ha come obiettivo primario il trasferimento delle nuove tecnologie. Ma la tecnologia nel nostro sistema economico, non è più funzione esclusiva della produzione, divenendo parte vitale dell organizzazione e della gestione della singola impresa e del sistema delle imprese. E il concetto stesso di innovazione, da innovazione di prodotto e di processo, si allarga al vivere sociale, in una nuova interpretazione che accanto alle variabili tecnologiche coinvolge variabili umane e qualitative. In questo mi pare consista il significato vero del tema proposto nel convegno odierno che, nel suo programma, passa dalla semantica e teoria dell innovazione, dai suoi significati, alle analisi storicoeconomiche e agli scenari e politiche conseguenti. 1

Un tema complesso dunque, ma anche un tema che, per il suo carattere fortemente interdisciplinare, per la necessità di far ricorso a competenze fortemente differenziate, aderisce perfettamente a quel principio di unitarietà del sapere che è elemento distintivo imprescindibile dell attività universitaria. Un sapere, aggiungo, umile e problematico: un sapere che cerca di comprendere, che vuole riflettere, che è capace di coltivare il dubbio anche di fronte ad una delle parole magiche - innovazione - del nostro tempo. Comprensione e conoscenza, dubbio ed esitazione cui, credo, la costruzione del nuovo debba comunque, ed in ogni epoca, far riferimento. 2

Elena Esposito La novità come sorpresa Vorrei iniziare il mio intervento con una premessa: io osservo l innovazione dalla prospettiva del sociologo, e intrinseca nel mestiere del sociologo è un attitudine ad osservare, come diciamo noi, ciò che è normale come improbabile, a scoprire la stranezza in ciò che è familiare e si dà del tutto per scontato. Non che ci si rivolga soltanto a fenomeni rari e insoliti, al contrario: ci si interessa soprattutto di mostrare come le forme più quotidiane e meno problematizzate abbiano in realtà una loro storia e molti presupposti, e potrebbero essere diverse. Questo vale anche, e in modo particolarmente evidente, per il nostro tema di oggi: il tema dell innovazione. Al sociologo salta all occhio in primo luogo quanto sia strano prendere l innovazione come riferimento, come obiettivo e come guida. Perché è così strano? Se ci si riflette sopra, si deve constatare che il nuovo in quanto tale è sorprendente, va contro le abitudini e contro ciò che si aspetterebbe, è rottura e devianza. La devianza, normalmente, viene rifiutata come disturbo e come errore, e ricondotta alla normalità; così accadeva in effetti in tutte le società precedenti alla nostra (diciamo per semplicità le società pre-moderne fino al tardo Medio Evo): la novità era temuta, perché era faticosa e fastidiosa, ma soprattutto perché appariva profondamente minacciosa. Si partiva dall idea che esistesse un ordine delle cose, nella natura e nella società un ordine dato, immutabile e anche giusto, che la novità metteva in dubbio; per questo doveva essere neutralizzata. Era il vecchio, e non il nuovo che valeva come riferimento perché il vecchio, nella forma di tradizione, appariva autorevole e consolidato. Questo atteggiamento, in effetti, è molto più plausibile (probabile) della nostra stranissima ossessione per la novità. Un sociologo tedesco, Niklas Luhmann, ha parlato a questo proposito di ipertrofia della variazione nella società moderna: cerchiamo instancabilmente il cambiamento e la novità cerchiamo nell instabilità quella che sembra essere l unica forma di stabilità ancora possibile. Detto altrimenti: ci comportiamo come se l innovazione ci potesse garantire una certa sicurezza. Anche nel titolo di questo convegno al termine innovazione vengono associati competitività (che offre indubbiamente un vantaggio) e addirittura sopravvivenza. Ma non è strano cercare sicurezza nella sorpresa e nell ignoto (cioè in fondo nell insicurezza)? Perché è di questo che si tratta. Faccio un esempio: la scuola Superiore Sant Anna di Pisa offre con grande successo un master in Management dell innovazione e fa benissimo, ma a rigore si tratta di un master in pianificazione della novità, il che è praticamente un ossimoro. Il nuovo in quanto tale, abbiamo visto, è essenzialmente sorpresa: qui si insegnerebbe come produrre e gestire le sorprese che però allora non sono più sorprendenti: si tratterebbe di sorprese attese, di sorprese previste. Una vera sorpresa, invece, è imprevedibile e non si sa come trattarla. Cosa si può insegnare a questo proposito? È ovvio che al Sant Anna intendono qualcos altro, che è certo molto utile, e in questo senso le mio osservazioni in merito non sono delle critiche. Quello che si intende in questi casi è un tipo ben specifico di novità, che viene chiamato di solito innovazione tecnologica. E qui cominciamo già ad articolare il nostro concetto di innovazione. Per innovazione si può intendere quindi da un lato questo aspetto di innovazione tecnologica, intesa in generale come miglioramento di strumenti e di procedure già esistenti una forma di sviluppo o se si vuole di progresso. Tutto questo è pacifico e senz altro auspicabile, ma non si tratta propriamente di novità in senso stretto, che come abbiamo visto è innanzitutto sorpresa e richiede di modificare le abitudini consolidate, e non soltanto di migliorarle. Prendiamo l esempio di Internet e della telematica in generale: questo primo aspetto riguarda la possibilità di usare questi strumenti per fare meglio, in modo più economico ed efficiente, quello che si faceva già prima, in ufficio o in fabbrica e non solleva particolari problemi teorici. Ma Internet presenta anche un altro aspetto, molto più rivoluzionario e problematico: costringe a cambiare il modo di fare le cose, e non solo a migliorarlo per cui si scrive, si comunica e si programma diversamente, e viene richiesto un cambiamento di atteggiamento. Si pensi solo alla diffusissima esperienza per cui i bambini davanti al computer imparano con facilità ed estrema naturalezza cose che ai genitori sembrano complicatissime. Questi problemi vengono trattati di solito nel management dell innovazione sotto l etichetta di cambiamento organizzativo, e si tratta di un altra cosa rispetto all innovazione tecnologica, che può lasciare le organizzazioni più o meno le stesse (e di solito viene infatti amministrata all interno dell azienda o dell organizzazione in questione). Per questo secondo aspetto si parla anche di riforma, che costringe invece 3

a cambiare il modo di vedere le cose, e per la quale ci si rivolge spesso a consulenti esterni. Novità e diversità, a quanto pare, devono essere importate dal di fuori. Qui siamo più vicini al riconoscimento della novità come diversità essenziale, come sorpresa, che in quanto tale è imprevedibile e ingestibile e non può essere propriamente insegnata. Non disponiamo di una tecnica (nel senso antico di ars) dell innovazione. Non abbiamo nemmeno una tecnologia dell innovazione, pur ricercando l innovazione tecnologica. Le riforme, oggi, vanno molto di moda: nelle aziende ma anche nella pubblica amministrazione, negli apparati dello stato, in politica, nelle scuole e nelle università e il sociologo ancora una volta si chiede come mai. L interrogativo di fondo è molto semplice: perché la novità dovrebbe essere necessariamente migliore? Abbiamo visto come nell antichità si considerasse senz altro migliore la tradizione (vecchia), e la cosa di fatto è molto più plausibile. Le ricerche in merito hanno mostrato inoltre che è molto difficile valutare i risultati delle riforme, ed affermare se sono riuscite o meno: di solito ci sono stati inconvenienti, casi fortuiti, effetti perversi, imprevisti o errori che rendono impossibile la valutazione o semplicemente nel frattempo la situazione esterna è cambiata al punto che non ha più senso restare legati ai vecchi obiettivi. E allora bisogna partire con una nuova riforma. Gli studiosi di teoria dell organizzazione sono piuttosto unanimi nel sostenere che l unico risultato certo dei progetti di riforma è dare l avvio a nuovi progetti di riforma, che sembrano dimenticare sistematicamente i tentativi precedenti (si parla proprio di forgetfulness ). Ma perché le aziende, che si comportano di solito in maniera razionale, adottano rispetto all innovazione un atteggiamento così irrazionale? Ricercano sistematicamente il nuovo, che non si sa se sia meglio dello stato attuale, con grandi fatiche, conflitti e senza poter nemmeno valutare il risultato. Come si può spiegare quest apparente irrazionalità, e come si può spiegare in generale l atteggiamento della nostra società, che ricerca la novità in quanto tale e le assegna addirittura un ruolo salvifico? La novità, lo abbiamo visto, appare di per sé come un valore. Nuovo è meglio di vecchio ma si badi che il vecchio è diventato tale solo in contrapposizione al nuovo, altrimenti sarebbe soltanto quello che è. La ricerca del nuovo è nello stesso tempo, inevitabilmente, svalutazione dello stato attuale in quanto vecchio, cioè produzione del vecchio. Proviamo a tirare le fila. Agli occhi del sociologo l innovazione serve in primo luogo all innovatore (al manager, al politico) per avere un orientamento in un mondo che cambia di continuo. La nostra società non è più in grado di offrire valori stabili, e nemmeno dovrebbe: è troppo complessa e cambia di continuo. È una società aperta che offre spazio alla diversità, alla creatività e all idiosincrasia personale - aspetti a cui nessuno di noi sarebbe disposto a rinunciare. L altro lato della medaglia, però, è l impossibilità di proporre riferimenti che valgano per tutti tranne il rinnovamento, che proprio perché cambia di continuo non vincola a nulla e può valere per chiunque. Il cambiamento vale, paradossalmente, come l unica forma di stabilità ancora possibile, e su cui tutti possono essere d accordo. Sembra un paradosso, ma di fatto funziona molto bene: quello che viene valutato positivamente in realtà non è tanto il nuovo come risultato a cui ambiscono le riforme, ma l intenzione di riformare (e di riformarsi) in quanto tale. L innovazione non serve al mondo ma all innovatore stesso, che si assicura consenso e ottiene dinamicità e capacità di adattamento. Lo scopo della riforma, si potrebbe dire, è proprio la riforma stessa. Questa affermazione, si noti, non è una critica, ma solo un altro modo di porre la questione. Non implica che le riforme siano inutili: tutt altro. Il sociologo non individua degli errori e non pretende di aver la capacità di indicare dove e come gli altri sbagliano. Lo abbiamo detto all inizio: il suo compito è innanzitutto quello di introdurre una prospettiva incongruente - un altro modo di vedere le cose, che rende un po più complesso il quadro. L innovazione va benissimo, ma non si deve pretendere che migliori il mondo o la società: è soltanto un modo in cui la società reagisce a se stessa, e va bene soprattutto perché non ci sono alternative. Si tratta di una forma stabilizzata nella società moderna, sulla base delle sue strutture e della sua complessità. Rendersene conto, forse, può portare ad essere un po più accorti nell enfasi per il nuovo e fenomeni connessi. 4

Innovazione: Teoria e politica David A. Lane Facoltà della Scienza di Comunicazione Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Voglio cominciare con una proposizione, ovvia ma con molte implicazioni, della relazione tra teoria e politica: Esplicitamente o implicitamente, ogni scelta politica e basata su una teoria. Questo ha una conseguenza significativa: teorie SBAGLIATE - o inadeguate - solitamente conducono a politiche SBAGLIATE, destinate a fallire, di solito con molte perdite in termini di risorse sprecate e opportunita mancate. E cosa vuole dire una teoria? E un insieme di idee relative all ONTOLOGIA - gli OGGETTI e le RELAZIONE TRA LORO, che costituiscono il mondo rilevante che la politica si propone di affrontare - e alla DINAMICA vale a dire i processi attraverso i quali questi oggetti e relazioni cambiano, tramite la loro interazione reciproca. Vi faccio un esempio di quello che voglio dire quando parlo di ontologia e la sua importanza. Uno dei miei collaboratori, il professor Sander Van der Leeuw, e un archeologo presso l universita Sorbona di Parigi. Nel corso degli ultimi dieci anni ha compiuto molti studi sulla relazione tra ambiente e societa ed in particolare ha condotto un importante progetto sullo studio dei processi di desertificazione nell Europa mediterranea. L'anno scorso, nel corso di una conferenza qui a Reggio Emilia, ci ha raccontato la seguente storia. Negli anni cinquanta e sessanta, allo scopo di contrastare la tendenza delle popolazioni rurali ad emigrare nelle citta, nelle quali non avrebbero trovato facile integrazione economica, il governo greco decise di incoraggiare gli abitanti delle campagne a proseguire nell attivita agricola distribuendo incentivi per l investimento in macchinari agricoli. La teoria alla base di questa scelta politica era abbastanza chiara: l investimento in beni capitali rende la coltivazione della terra piu produttiva, e di conseguenza se lo stato si fa carico dei costi di questo investimento gli agricoltori beneficeranno di maggior reddito ed in tal modo saranno incentivati a rimanere in campagna anziche emigrare in citta. Purtroppo pero gli abitanti delle campagne dell Argolide, cui questa politica era rivolta, non avevano i mezzi per venire a conoscenza dell opportunita che veniva loro offerta ne in ogni caso avrebbero saputo come sfruttarla. Chi invece venne a conoscenza di tali incentivi furono i professionisti - avvocati, banchieri, imprenditori - che possedevano terre in campagna, i quali decisero di guadagnarci sopra potenziando le loro tenute. Tuttavia l agricoltura tradizionale della zona, ad alta intensita di lavoro - vino, cereali, ortaggi - non li attraeva, ed essi decisero invece di investire in una attività più profittevole, la coltivazione di arance. Essi usarono quindi i finanziamenti statali per scavare pozzi ed installare pompe ed altre attrezzature per l irrigazione, e la coltivazione di arance prosperò. Ben presto però il livello delle falde acquifere della zona si abbassò notevolmente e l acqua divenne piu costosa, svantaggiando l agricoltura tradizionale. Inoltre, il microclima locale mutò a causa della presenza dei canali di irrigazione, e per la prima volta si verificarono gelate invernali, che alcune volte distrussero il raccolto delle arance. In risposta a questo, i coltivatori di arance chiesero ulteriori finanziamenti allo stato, e li usarono per installare ventilatori che muovevano l aria attorno agli alberi in modo da impedirgli di gelare, cosa che però comportava elevati costi in termini di elettricità. Successivemente, l acqua marina invase le ormai ridotte riserve idriche e l intera area non era più in grado di sostenere alcun tipo di agricoltura. Inoltre quasi tutta la popolazione delle campagne era emigrata nelle città. Due brevi lezioni che possiamo trarre da questa storia: l aspetto ontologico rilevante in questo caso avrebbe dovuto essere il sistema socio-naturale NEL SUO COMPLESSO, compresa la composizione sociale delle popolazioni rurali e il loro accesso alle informazioni e alle competenze rilevanti, nonche la relazione tra i tipi di raccolto e la capacita dell ambiente di sostenerli; e le dinamiche rilevanti avrebbero dovuto includere un feedback tra i problemi indotti dalla tecnologia e le loro soluzioni che a loro volta danno luogo ad ulteriori problemi e cosi via, ad infinitum. 5

In altri termini, la tecnologia sollecita l emergere di altre tecnologie, e se la teoria che c e dietro la politica ignora la dinamica temporale tra problema e soluzione (e successivo nuovo problema ) cio avviene a nostro rischio e pericolo! Ora giungo al tema principale del mio discorso: l innovazione viene sempre piu ritenuta il motore principale dell economia. Le istituzioni politiche a livello regionale, nazionale e internazionale sono alla ricerca di politiche efficaci che permettano loro di raggiungere posizioni favorevoli nella corsa all innovazione perché, se ignorano questa sfida, rischiano di compromettere le economie che dovrebbero invece sostenere. QUALE TEORIA DELL INNOVAZIONE DOVREBBE ESSERE ALLA BASE DELLE POLITICHE DELL INNOVAZIONE REGIONALI, NAZIONALI ED EUROPEE? Adesso, il mio gruppo di ricerca nella facolta' delle scienze di comunicazione sta lavorando per creare una teoria adatta. Oggi, invece di provare a spiegare le nostre idee direttemente, voglio confrontarle con quattro idee molto comuni sull innovazione -- le quali sono tutte, nel nostro parere, sbagliate e potenzialmente disastrose a livello politico: 1. L INVENZIONE - L INIZIO DEL PROCESSO DI INNOVAZIONE - HA LUOGO NELLA TESTA DI SINGOLI INDIVIDUI. Questo e il mito del genio inventore e il suo corollario politico e quello di individuare questi geni, dare loro la liberta di perseguire le loro idee isolatamente, e fare in modo che esistano adeguati incentivi economici che permettano loro di raccogliere una fetta dei profitti che nascono dalle loro invenzioni. Al contrario, credo che le innovazioni di solito si sviluppino nel contesto di RELAZIONI tra persone (o meglio, tra agenti, dato che le persone coinvolte di solito agiscono per conto di e in nome di entita collettive quali imprese, enti pubblici, istituti di ricerca, ecc.). Cio che precede l invenzione di una cosa, un artefatto, e l individuazione di una nuova FUNZIONALITA che puo essere inserita tra le attivita umane, quali il modo di lavorare oppure altri tipi piu generali di interazione sociale. Individuare nuove significative possibilita per la funzionalita degli artefatti e un processo a livello sociale e non solo a livello cognitivo individuale. In generale, nelle relazioni sociali che danno luogo a nuove attribuzioni di funzionalita hanno alcuni caratteristiche i partecipanti alla relazione hanno percezioni diverse su un artefatto o processo di lavoro (o altra attività) esistente; grazie alla loro relazione, riescono a riconoscere queste differenze e con un processo di mescolanza concettuale possono arrivare a nuovi concetti di cio che POTREBBE essere realizzato e di come si potrebbe realizzarlo modificando attributi di artefatti esistenti per creare un nuovo artefatto allo scopo di ottenere tale funzionalita. Vi presento un caso che illustra gli aspetti di quello che abbiamo chiamato relazioni generative. Nel 1973, una piccola impresa di computer della Silicon valley, la ROLM, decise di entrare nel mercato dei PBX (Sistema telefonico privato), a quel tempo controllato da due giganti delle telecomunicazioni, AT&T e Northern Telecom, che in precedenza monopolizzavano i mercati statunitense e canadese rispettivamente. ROLM sviluppò il primo PBX controllato e regolato digitalmente, e i suoi dirigenti decisero di cercare di conquistarsi una fetta di mercato rivolgendosi ad alcune grandi imprese per acquisirle come clienti-chiave; in particolare, assegnarono a ciascuno di questi potenziali clienti un national accounts manager, di solito una persona di Silicon Valley, di formazione ingegneristica, con grande fiducia nel futuro delle comunicazioni digitali ma poco esperta relativamente ai modi in cui le imprese utilizzavano i loro sistemi telefonici. Il compito di questi manager era quello di convincere i responsabili delle comunicazioni (TMs) delle imprese potenziali clienti a passare dal loro sistema AT&T o Northern Telecom ad un sistema prodotto da una piccola e poco nota impresa di computer californiana. I responsabili delle comunicazioni delle grandi imprese solitamente erano loro stessi ex dipendenti della AT&T, e il loro compito era semplicemente quello di far sì che ci fosse un telefono funzionante su ogni scrivania; i rappresentanti della AT&T con cui essi interagivano condividevano questa visione del loro lavoro e concepivano il PBX come un semplice interfaccia con la rete telefonica esterna gestita dalla stessa AT&T. D altra parte, gli information managers delle grandi imprese stavano acquisendo sempre più potere e importanza grazie al successo ottenuto da IBM nello sviluppare applicazioni software sempre migliori per i loro computer. Alcuni responsabili delle comunicazioni cominciarono ad essere attratti dalle opportunità offerte dal nuovo sistema PBX digitale, che i rappresentanti della ROLM gli avevano descritto, e decisero di acquistare il nuovo sistema. Quando lo fecero, si resero conto che installare un sistema digitale e modificarlo era molto più economico che non modificare un sistema telefonico tradizionale (che comportava re-installare i cavi telefonici) e i responsabili delle comunicazioni iniziarono a collaborare con i rappresentanti della ROLM per esplorare la possibilità di ulteriori risparmi, le quali ben presto furono individuate (algoritmi per trasferire 6

le chiamate internazionali, ecc.) ed incorporate nei nuovi modelli PBX della ROLM. Questi processi accelerarono e le relazioni tra i responsabili delle comunicazioni delle grandi imprese e i national account managers della ROLM produssero una tale quantità di nuove attribuzioni di funzionalità che il periodo di vita del prodotto PBX fu ridotto della metà e cinque anni dopo aver lanciato il loro primo PBX digitale la ROLM aveva una fetta di mercato del 30%, pari a quelle di AT&T e Northern Telecom, le quali furono costrette a seguirla lanciando prodotti simili. NOTATE CHE IN QUESTO CASO NON FU LA SUPERIORITÀ TECNOLOGICA DELLA ROLM A DETERMINARE LA SUA VITTORIA ; AT&T e i suoi laboratori Bell erano assai più grandi di quelli ROLM e altrettanto capaci di generare invenzioni. La differenza stava nella eterogeneità attributiva dei responsabili delle comunicazioni e dei national account manager ROLM, mentre i responsabili delle comunicazioni e i rappresentanti AT&T avevano vedute così omogenee da non riuscire ad iniziare discorsi capaci di rivelare le nuove possibilità derivanti dalla fusione della tecnologia digitale con le necessità (o le nuove possibilità) di comunicazione delle imprese. In questo caso, la chiave per capire questa innovazione, che portò ad una rivoluzione nel mercato PBX (sia in termini degli attori coinvolti che della funzionalità degli artefatti che producevano), sta nelle relazioni sociali che generarono nuovi attribuzioni di funzionalità, non nel genio individuale degli ingegneri (benché gli ingegneri ROLM fossero competenti, lo erano anche quelli di AT&T e Northern Telecom!) 2. L INNOVAZIONE E TECNOLOGIA. Questo è un errore di classificazione, anzi di livello di classificazione: si confondono un processo con un prodotto. Con il termine innovazione intendiamo il processo tramite il quale nuovi artefatti sono realizzati e sono incorporati stabilmente nelle attività umane. Il processo di innovazione degli artefatti consiste di tre processi che si sovrappongono: innovazione cognitiva, innovazione costruttiva e consolidamento dell innovazione. Nell innovazione cognitiva, gli agenti formulano un concetto che fa corrispondere ad una funzionalità attuale o potenziale un tipo di artefatto attuale o potenziale che, quando utilizzato da particolari persone con particolari abilità e bisogni, può offrire tale funzionalità. L innovazione costruttiva dà origine a nuove entità socio-economiche nuovi agenti e reti di competenze attraverso cui questi nuovi artefatti vengono disegnati, prodotti, e messi nelle mani di coloro che vogliono utilizzarli. C è una interazione continua tra l innovazione cognitiva e costruttiva: i concetti di forma e funzionalità degli artefatti cambiano in continuazione, dato che sempre più persone vengono coinvolte nel negoziare il loro significato, e sempre più limiti (e possibilità) sociali e naturali al loro sviluppo emergono; e quando nuovi concetti di forma e funzionalità vengono alla luce, nuove entità emergono allo scopo di inserire questi concetti in artefatti nuovi o già esistenti. Quando l innovazione si consolida, l interazione tra reti di competenze, agenti ed artefatti dà luogo a un livello più alto di organizzazione: un nuovo SISTEMA DI MERCATO nel quale i processi di produzione, scambio, miglioramento e utilizzo dei nuovi artefatti si stabilizzano e nel corso del tempo vengono riprodotte strutture che sostengono questi processi. Quando commettiamo l errore di identificare l innovazione con la sola tecnologia, finiamo per ritenere che il ruolo delle politiche sia soltanto quello di sostenere la ricerca tecnologica un elemento importante, ma non sufficiente, per dar luogo ai processi di innovazione cognitiva e costruttiva. Questo errore viene commesso non soltanto dalle agenzie governative ma spesso anche dalle grandi imprese, che costruiscono grandi e costosi laboratori nei quali ingegneri e scienziati studiano tecnologie da cui soltanto loro sono affascinati. Recentemente ho visitato il centro di ricerca a lungo termine di una grande impresa produttrice di computer della Silicon Valley dove ho partecipato a vari seminari, tra cui uno su un progetto chiamato Cool Town, nel quale si studia lo sviluppo di interazioni tra uomo e computer che eliminano l interazione personale diretta, con agenti artificiali che gestiscono e controllano i canali di comunicazione che per me e per gli altri ospite era tutt altro che Cool ; e un altro su un progetto che studia come far sì che il terzo mondo, il 60% dell umanità, possa avere accesso ad internet, senza prendere in considerazione il fatto che questo accesso certo non li aiuta nella loro lotta quotidiana per la sopravvivenza. Anche qualora una tecnologia sviluppata in questi modi arrivasse ad essere realizzata in pratica, spesso con molte modifiche nel corso del suo sviluppo, il modo in cui giunge a noi è spesso molto indiretto e comprende lungo il suo percorso la creazione di tante reti sociali sia reti di comunicazione che reti di competenza. La ben nota vicenda di Xerox Parc e del suo sviluppo dei PC in rete con GUI ne costituisce un esempio. 3. LA TECNOLOGIA E SCIENZA APPLICATA. Questo errore si somma al precedente. Qui l idea è che le scoperte scientifiche di base sono il motore dell innovazione e che le loro applicazioni ne siano la 7

conseguenza naturale e relativamente facile da mettere in pratica. Chi sostiene questo punto di vista di solito aggiunge un altra assunzione: non è possibile sapere a priori quali scoperte scientifiche daranno frutti tecnologici utili e quali no. L implicazione politica è che lo scienziato nel suo laboratorio dovrebbe essere libero di lavorare su ciò che ritiene importante nel suo campo, nella convinzione che tanto più si investe nella ricerca di base tante più innovazioni ne risulteranno. Questo punto di vista non è supportato né dalla storia della tecnologia né del modo in cui si svolge la scienza. Quali progetti scientifici vengono finanziati e in quali circostanze sono questioni politiche che coinvolgono molti attori, tra cui gli enti pubblici, le imprese e gli scienziati organizzati nelle strutture delle loro rispettive discipline. La distinzione tra ricerca di base e applicata, dal punto di vista sociologico, è difficile da stabilire, e non è mai facile stabilire se viene prima la scienza o la tecnologia. Con questa mia discussione non voglio criticare né la scienza né il suo finanziamento: ci sono molte ragioni per le quali è importante per la società nel suo insieme che la scienza sia finanziata generosamente dallo stato, non ultima quella per cui la scienza e la tecnologia e gli scienziati e gli ingegneri svolgono ruoli chiave nei processi di innovazione. Ma è un grave errore ridurre l innovazione alla tecnologia e la tecnologia alla scienza. 4. L INNOVAZIONE E UN PROCESSO DI DIFFUSIONE. Il bisogno di pensare a politiche di innovazione è molto antico la repubblica di Venezia, ad esempio, era consapevole dell importanza di mantenere la propria supremazia tecnologica nella costruzione di navi ed in questo investiva molte risorse, e per secoli supportò notevoli ricerche e misurazioni idriche e sviluppò nuove modalità per mantenere in equilibrio il delicato ecosistema della laguna, talvolta tramite grandi opere pubbliche, talvolta con regolamenti, quali quelli che definivano quali pesci era possibile pescare. Ma gli studi sull innovazione sono decollati a partire dagli anni 50, quando si ebbero studi pionieristici sull adozione di nuove varietà di grano turco da parte degli agricoltori dello Iowa e sulla diffusione di nuove procedure mediche. A quei tempi, gli studi sull innovazione erano dominati dal tema della diffusione: si riteneva che le innovazioni si diffondessero secondo un processo detto contagio informativo e lo strumento teorico principale era la curva di adozione a forma di S (che mostra quanti artefatti di un certo tipo sono stati cumulativamente adottati in funzione del tempo in cui sono stati sul mercato). All interno di questa prospettiva puramente fenomenologica le innovazioni apparivano dal nulla e il problema del perché la loro forma e funzionalità cambiano nel corso del tempo non era affrontato. Non si riesce a capire come questo tipo di lavoro possa essere considerato una teoria, eppure questo è ciò che chi lo svolge ritiene che esso sia; e questo tipo di ricerca occupa ancora oggi una posizione importante nella teoria dell innovazione in parte perché è relativamente facile da svolgere e modellare e in parte perché ci sono molte varianti di esso che possono essere osservate in diversi casi. Secondo noi, però, questa idea per cui l innovazione è un processo di diffusione è errata e anche pericolosa, perché nega l importanza (o perfino l esistenza) dei tre processi cognitivi, costruttivi e di consolidamento che riteniamo costituire il fondamento essenziale della teoria e della politica dell innovazione; essa inoltre non riconosce i problemi principali che la teoria deve risolvere. 8

Dott. DEL BONO Sono molto lieto d essere qua, tra i motivi anche quello d essere vicino ad un proprio docente dato che il Proff. Seravalli è stato un mio professore all Università di Parma, Scienze delle Finanze, intorno all 81, sicuramente un ulteriore motivo di soddisfazione. Il compito è fondamentalmente duplice, duplice nel senso che cercherò di separare abbastanza nettamente i due temi. Uno è quello d affrontare nei limiti di tempo il tema dell innovazione da un punto di vista micro-economico soprattutto e dall altro, quello di fare qualche cenno sul tema dell innovazione, su come può essere affrontato ed implementato in una pubblica amministrazione e le ragioni biografiche. Farò riferimento ad una organizzazione come quella della Regione Emilia Romagna che credo di conoscere abbastanza bene dall interno. Tema numero 1):Innovazione dal punto di vista micro-economico. Se uno rapidamente scorre la storia del pensiero economico degli ultimi due secoli e mezzo, dall inizio, da quello che è considerato ufficialmente l inizio, si rende conto di come il tema dell innovazione o più in generale il progresso tecnico, perché questa era l espressione utilizzata agli albori, molto molto penetrante nelle analisi degli economisti da Adam Smith a Carl Marx. Quindi stiamo parlando di oltre un secolo di teoria economica, Adam Smith (1776) Carl Marx a più riprese nel Capitale, con in mezzo il contributo per molti versi fondamentale di David Riccardo. Però l approccio col quale l economia così detta classica affronta il progresso tecnico e il tema delle innovazioni, e allora non s usava questa espressione perché non c era ancora, fondamentalmente di tipo macro-economici, cioè l impatto del progresso tecnico su variabili di tipo macro-economico: la crescita, l occupazione. Quindi diciamo indipendentemente da quella che poteva essere un analisi di settore micro-economico o di singolo mercato. Ovviamente eccezioni a quello che sto dicendo si possono trovare, ma vanno considerate tali, cioè sono eccezioni. Probabilmente uno dei capitoli magistrali di questa prima parte di tradizione del pensiero economico, il capitolo 31 del Principles sul Political Economy di David Riccardo (1817) capitolo intitolato suggestivamente Unmascinery quindi sull impatto di nuovi macchinari dove David Riccardo per farla corta dice: nel breve periodo per farla corta io, Lui ci mette un po a dirla nel breve periodo di progresso tecnico produce disoccupazione poi guadagna di produttività, non necessariamente in quel settore eventualmente nell economia ecco la prospettiva macro farà aumentare i livelli di occupazione, questo è full organizzandolo e schematizzandolo, la tesi che David Riccardo sostiene. Anche le analisi successiva ad esempio di Carl Marx molto suggestive e penetranti attengono ancora una volta alla relazione fra il progresso tecnico e alcune variabile economiche nel senso di riassuntive del sistema economico, penso al tasso medio di profitto. Sapete che Marx lega la così detta caduta tendenziale sotto il profitto anche all aumento del rapporto capitale/lavoro, quindi diciamo allo spostamento progressivo delle dotazioni di imput sul fattore capitale dovuto al progresso tecnico rispetto al fattore lavoro. Il primo contributo che con la classificazione di oggi potremmo ritenere di analisi micro-economica del progresso tecnico, èd la prima volta in cui la parola innovazione entra in modo rigoroso o relativamente rigoroso nel gergo economico, non vorrei uscire dal seminato dal seminato di mia competenza è con Joseph Shumpeter (1943) in un libro per altro dedicato soprattutto ad altro come il titolo suggerisce Capitalismo, Socialismo e Democrazia che uno dalla copertina non si rende conto che naturalmente nel capitolo 7 troverà un analisi tra l innovazione e le strutture di mercato. In questo senso è il primo contributo di microeconomia del progresso tecnico. Shumpeter si chiede delle cose interessanti, formula alcune risposte, alcune che si sono rivelate risposte sbagliate altre che si sono rilevate parzialmente interessanti. Tornerò tra un attimo a due o tre concezioni shumpeteriane ancora di grande attualità, volevo solo avvicinarci ai giorni nostri. Il boom dell analisi microeconomica sia del progresso tecnico sia sul piano teoria sia empirico avviene negli anni ottanta. Quindi riguarda l ultimo quarto di secolo. Devo dire che il picco, almeno in termini quantitativi s è già raggiunto negli anni novanta, anche nella ricerca accademica, come sapete, valgono i rendimenti decrescenti di scala, nel senso che dopo un po il contributo marginale alla conoscenza che si può dare, via via è più piccolo, per lo meno nelle scienze sociali questo accade spesso. Occorre un po di tempo per capire ovviamente se il contributo marginale da piccolo o grande. Oggi abbiamo un po di distanza sufficiente per capire che ci sono dei rendimenti decrescenti anche in quell area di ricerca. Un elemento che ha sicuramente contribuito a vivacizzare, approfondire gli interrogativi posti è stato l uso 9

della Teoria dei giochi, non a caso il periodo di cui stiamo parlando cioè gli anni ottanta, sono quelli che ci consegnano il trionfo della Teoria dei Giochi nella teoria economica, ma devo dire un pò nelle teorie sociali in generale, quindi con molti usi interessanti della teoria dei giochi, credo che ad un certo punto anche alcuni abusi, nel senso che poi la prevalenza dello stato degli attrezzi sulla destinazione ha contribuito a rendere più arduo quel filone di ricerca. Concludo questa panoramica cronologica dicendo che oggi, negli ultimi cinque, sei, sette anni, se uno guarda la letteratura rilevante, vede come, giustamente, a mio modo di vedere, sono due gli aspetti prevalenti all interno del recinto che stiamo considerando, un aspetto attiene alla polity e cioè quali sono i modi coi quali il polity-maker locale o nazionale o internazionale può cercare di orientare, ricerca, sviluppo, accelerare il passo del progresso tecnico o dall altro il tema delle verifiche empiriche cioè del testare la bontà di alcune previsioni, alcune delle numerose previsioni o predizioni o conclusioni che la monumentale letteratura teorica dei vent anni precedenti aveva lasciato testare. Tornando ad alcuni punti di sostanza che credo abbiano ancora una grande attualità, dicevo sicuramente Shumpeter sicuramente ne ha offerti alcuni di spunti. Uno davvero interessante riguarda la struttura di mercato, quella che viene chiamata ipotesi shumpeteriana che una di quelle oggetto continuo di verifiche empiriche e cioè, occorre un mercato molto centrato al limite monopolistico o è meglio avere un mercato molto frammentato, al limite tipo concorrenza perfetta, per promuovere il passo più veloce di progresso tecnico, cioè il modello dice il progresso tecnico è un bene, quale forma di mercato è più congruente, consona ad accompagnare un passo del progresso tecnico rapido. Schumpeter si schiera e dice il monopolio, per varie ragioni. Le verifiche successive hanno mostrato, almeno sul piano empirico, che forse era facile, per certi versi scontato, che in realtà sono soprattutto mercati oligopolisti che promuovono quel giusto grado di concorrenza, senza perciò avere imprese troppo polverizzato con margini di profitto troppo bassi come risposta al nostro problema. M interessa sottolineare qua un aspetto che, se volete anche di grossa attualità anche per leggere i giornali, mi riferisco a vicende che hanno coinvolto l antitrust americana anche europea nei confronti di grandi imprese. Si pensi ai casi Microsoft o altri, la dove l indagine riguardava abusi di posizione dominante oppure eccesso di segretezza su alcuni tipi di prodotti oppure il fatto che i brevetti fossero troppo estensivi. Tutte queste questioni trovano nello schema che sto telegraficamente tratteggiando una loro composizione. Vi cito, vi leggo quattro righe di una delle più frequenti citazioni da Schumpeter, capitolo 7 del libro che dicevo prima. Questa roba qua è nota come trade off schumpeteriana. Un sistema un qualunque sistema economico od altro, per inciso s è allargato Schumpeter, io sarei stato solo sull economico, altro non credo che valga per i sistemi biologici, per esempio, chiusa la nota. Un sistema che ad ogni momento dato sfrutti in pieno le sue possibilità, può alla lunga dimostrarsi inferiore ad un sistema che non lo fa in nessun momento del tempo poiché appunto questa incapacità di riuscirvi può essere condizione del grado o della rapidità del successo a lungo termine. Cosa vuol dire? Vuol dire che il monopolio può essere socialmente preferibile alla concorrenza perfetta. Chiaro? Pensate alle implicazioni per l antitrust per la quale dal 1890 il monopolio??? col la confluenza perfetta un ideale a cui tendere. Cioè l idea che in un mondo statico in cui si usano al meglio tutte le risorse, un mondo senza progresso tecnico, noi lo sappiamo, è quello nel quale la concorrenza perfetta dispiega i suoi massimi effetti, è socialmente ottimale per gli economisti. Shumpeter ci dice sì in un mondo statico, però se noi riteniamo che il progresso tecnico sia,come dire, produca benefici per consumatori e produttori, le innovazioni portano sia a processi che riducono i costi sia a nuovi prodotti più graditi dai consumatori. Siccome come vi dicevo prima, Schumpeter argomenta, non sto a tediarvi, che il monopolista ha più incentivo a innovare che non la concorrenza perfetta, il sillogismo si chiude dicendo che può essere almeno che, da un punto di vista del benessere sociale, un mercato monopolistico in termini dinamici del lungo periodo sia preferibile ad un mercato???d economia??? perfetta. Questo, come dire, è un totem che viene incrinato della teoria economica degli ultimi 150-200 anni. Qualsiasi libro di testo di economia è dedicato nei primi capitoli a spiegare come la concorrenza perfetta sarà difficile da incontrarsi ma se ci fosse saremmo tutti felici, non è così. Le implicazioni per il policy-maker, in particolare per il regolamentatore per l antitrus è: aspetta a dire che una fusione di due imprese in una impresa, per esempio un passaggio da un duopolio a un monopolio è da bocciare sul piano del benessere sociale. Questo sarebbe vero in un mondo statico ma se io ho motivo di ritenere che il monopolista poi, sarà così come dire, dinamico, così effervescente nel produrre a costi minori ovvero prodotti migliori rispetto alla somma dei due duepolisti, devo mettere sul piatto della bilancia, direbbe Schumpeter, non sto a spiegarvelo, una inefficienza statica con una efficienza dinamica. Cioè mercato sì, il monopolio è peggiore, ma il monopolio statico è peggiore, il monopolio dinamico può essere migliore del duopolio. 10

Tutta questa letteratura nata nella scia della tradizione shumpeteriana, poi ripeto negli ultimi anni s è concentrata soprattutto sulle relazioni tra ricerca e sviluppo, attività innovativa e forme di mercato. Negli ultimi cinque o sei anni si sono posti sopratutto due interrogativi. Uno di verifiche empiriche, non ci entro, e l altro, più interessante sul ruolo, sugli strumenti che il policy-maker ha a disposizione per correggere, per orientare, per modificare l ambiente nel quale le imprese possono intraprendere attività innovative. Uno dei temi per certi versi più battuti, che io trovo moderatamente noioso poi mi rendo conto che è rilevante è quello dei BREVETTI, sia a livello nazionale che internazionale. Perché il brevetto se ci pensate un attimo, è lo strumento che esattamente deve rappresentare la sintesi, il compromesso di quel trade off che dicevo prima. Perché da un punto di vista sociale i brevetti dovrebbero avere vita zero, se c è una cosa utile più si diffonde meglio è, pensate a un farmaco. Il problema è che senza brevetti ovvero con brevetti eterni colui che ha sostenuto i costi per l attività di ricerca fa profitti negativi. Perché di ricavi non ne fa dato che tutti lo imitano subito a gratis come si dice a Bologna e i costi Lui li ha sostenuti, quindi nessun operatore razionale, qualcuno che vuol massimizzare i profitti per esempio, intraprende un progetto con costi certi e ricavi nulli, perché per la semplice formula contabile questo comporta profitti negativi. Quindi bisogna fare dei brevetti, bisogna dare dei brevetti che abbiano un certo grado di copertura, sopratutto ad una qualche lunghezza positiva. Anche l altro estremo non và bene, cioè quello di durata infinita perché in quel caso noi avremmo che tutti i benefici dell innovazione sarebbero appropriati da un singolo. Infatti non sorprendentemente se uno si guarda in giro per il mondo vede che i brevetti durano dieci anni, quattordici anni, diciassette anni, a seconda evidentemente di come questo trade off viene tagliato, come queste due esigenze, una d assicurare a chi innova, investe in innovazione un adeguato ritorno e dall altro però che ci sia poi il beneficio sociale della diffusione, della circolazione ampia dei benefici. Un secondo aspetto su cui non entro, è quello del sostegno all attività innovativa. Il brevetto in un qualche modo interviene una volta che la scoperta, l invenzione direbbe Schumpeter che non necessariamente è profittevole. Shumpeter distingue tra il frutto della ricerca che la chiama invenzione e l applicazione dell invenzione a dove è possibile far grana quale è l innovazione. Dicevo prima che questo accada e per favorire questo evento, cioè che l innovazione ci sia, c è il tema del sostegno alla ricerca prima ancora che lo sviluppo. E quindi il tema dei sussidi o detassazione, un tema anche se volete di questi giorni, nel senso che se uno va a vedere la cosiddetta tecno-tremonti o Tremonti-tecno è una forma di detassazione o meglio di riconoscimento di costi sostenuti per una serie di attività che in parte, dico io, in modo abbastanza lasco, possono essere classificati come spese sostenute per promuovere attività di ricerca ed innovazione. Queste questioni qua, di polis quotidiana, di legge finanziaria, se volete hanno una loro fondatezza, una loro ragionevolezza d esistere soprattutto se uno parte da quegli interrogativi perché altrimenti non sarebbe ovvio neanche porsi il perché, o affrontare il perché un governo debba detassare degli investimenti o utili fatti e rinvestiti poi in attività di ricerca e sviluppo. Nella pubblica amministrazione cosa si può fare? Intanto usando la distinzione ormai un po obsoleta tra innovazione di prodotto e di processo,credo che concorderemo in molti nel fatto che nella pubblica amministrazione, non solo quella regionale, sono risultati prevalenti in questi ultimi anni innovazioni di processo più di prodotto, con qualche distinguo. E chiaro che chi è più vicino ai cittadini ha più incentivo a fare anche innovazione di prodotto, mi riferisco ai Comuni. Chi è in una posizione intermedia o più lontana, penso a livello regionale o statale o europeo probabilmente, è come dire più incline anche perché non ha la pressione della domanda al front-desk, lavoro sul back office a riformare, innovare su i processi. Quando si parla di processi, e su questo mi concentro, ovviamente uno può distinguere tra innovazioni di processo interne, quindi l approccio introverso cioè mi riformo dentro nei processi di funzionamento, oppure uno può concentrarsi sulle innovazioni di processo che riguardano il rapporto tra quell ente, la regione e altri enti, comuni, province o altro. Non c e ombra di dubbio per esempio che le riforme associate all ex ministro Bassanini abbiano investito quest ultimo tipo d innovazione, cioè s è dovuto innovare, applicando in vari modi un principio di sussidiarietà verticale il rapporto tra un ente come quello regionale ed enti più vicini ai cittadini. Bassanini a parte, molte organizzazione pubbliche si sono riformate all interno per esempio cogliendo l opportunità che lo sviluppo tecnologico, informatico, negli ultimi anni, ha consentito, cito alcuni esempi, la firma digitale, o modi di presentare il proprio???output???, penso alle leggi, penso ai provvedimenti, in un modo non cartaceo, tutte che evidentemente posso anche essere interpretate, in parte sono anche innovazioni di prodotto, ma parliamoci chiaro, lo sforzo, l impegno, l investimento è soprattutto nel modificare i processi con i quali quell output molto simile a prima viene offerto agli utenti o ai clienti. 11

Su questa materia io credo che a tutt oggi il documento pubblico, politico, insomma più pregnante, lungimirante continua ad essere renventing government dell amminastrazione Clinton e venne seguito, se non ricordo male dal vice-presidente Al Gore, quindi se uno, senza andarsi a vedere tutto il materiale complessivo, anche se guarda le sintesi, stiamo parlando di materiale prodotto nella seconda parte degli anni novanta, 96-97 anche in molti seminari anche di grande spessore accademico, lo considero tutt oggi il lavoro più compiuto, più completo corredato al meglio su queste sfide. Quando affrontiamo temi come l innovazioni di processo nella PA io credo che siano tre i quesiti che uno deve porsi o se volete, guardando indietro le principali innovazioni osservate sono classificabili, ripartibili in tre tipologie: La prima attiene alla diversa risposta alla domanda chi fa una particolare attività, chi la fa? E quindi qui il menudio optionis oggi a disposizione per gli enti pubblici è decisamente più ampio di una volta. Fino a 20-30 anni fa anche nei Comuni, non parliamo delle Regioni che trent anni fa sono nate, la risposta era NOI, in casa, in house, tecnicamente in economia e quindi fine. Da molti anni noi sappiamo che per molti oggetti la risposta è FUORI, non si fa più in casa. E qui evidentemente il menù d innovazioni non tanto su chi fuori farà questa cosa, ma nel rapporto tra il committente e l esecutore. Si pensi alla sanità sia nel senso clinico del termine sia nel senso del servizio ausiliario. Oggi noi potremmo restare allibiti nel pensare che, ci sono esseri umani che pensano che va bene così, che anche le mense, le lavanderie, il parcheggio devono essere tutti dipendenti dell Asl, noi invece sappiamo che la maggioranza degli esseri umani raziocinanti è disposta ad assumere come principio che quella roba lì non è ovvia e che si possono vedere altre soluzioni. Questa è un innovazione organizzativa molto importante. Voi direte: Dov è l impatto sull organizzazione? E che invece che assumere i cuochi bisogna assumere quelli che scrivono i contratti e poi ne seguono il rispetto nei vari aspetti del capitolato. Secondo domando, se volete secondo elemento della griglia classificazione è come si fa, stando questa volta a quello che si fa in casa, e quindi per usare un gergo antico combinazione lavorocapitale, per usare un linguaggio più moderno, quale grado d informatizzazione, quale grado di coabitazione tra servizi diversi. E io credo che qui la sfida più grande non sia quella tecnologica ma sia una di tipo organizzativo. Cioè l impatto serio sulla regione non è stato in questi anni l essere arrivati ad avere una media di 1.1 o 1.2 computer procapite. Non è quello il problema, lì basta comprarli, pagarli possibilmente. La sfida vera è come cambia il modo di produrre l output una volta che abbiamo a disposizione quell impianto o quella rete o quella dotazione informatica. Quella è la sfida più grossa. Ed è un problema ancora in parte inesplorato, nel senso che non ci sono i manuali da consultare così facilmente. Terzo e ultimo punto collegato, in realtà lo già detto è, con cosa facciamo che cosa, con cosa nel senso di con quale input. Dato che anche lì la gamma delle possibili combinazioni è molto ampia. Concludo con una convinzione che è anche un auspicio. C è una convinzione che è molto diffusa, io penso che a volte sia un luogo comune però siccome è comune assumiamolo, e cioè che la PA normalmente è piuttosto lenta anche nell innovare. Lenta nell innovare e sopratutto che abbia una difficoltà a rendere reversibili certi suoi processi, no? Sono due caratteristiche distinte. Ci mette molto a decidere poi una volta che una qualche legge che riguarda l organizzazione, un qualche assetto che riguarda la governance, quello che volete voi, una volta che c è è difficile tornare indietro. Io ripeto, questi due assunti li contesterei molto spesso però siccome sono diffusi, cerchiamo d essere coerenti, di chiudere il sillogismo perché non è che uno di volta in volta una roba la usa o non la usa. Se queste due robe sono vere, a volte lo sono, allora una conseguenza ai fini di quello che stiamo guardando, è che le innovazioni della PA vanno sperimentate in piccolo, in piccolo perché siccome che a volte le innovazioni sono nocive, questa volta non privatamente ma socialmente, perché la PA data la difficoltà a tornare indietro è bene partire in piccolo così se si fanno danni sono circoscritti ed è più facile tornare indietro. GRAZIE! 12

L'INNOVAZIONE TECNOLOGICA E IL SUO TRASFERIMENTO 1 Gilberto Seravalli Università di Parma Sintesi Il progresso tecnico è, innanzitutto un processo, messo in moto da innovazioni fondamentali, ed il sostegno che fornisce alla produttività si prolunga nel tempo proprio per lo svolgersi di questo processo. Esso, tuttavia, è caratterizzato da grande incertezza circa i risultati, che dipende da due ragioni principali. La prima è di natura tecnica. Le innovazioni non nascono già in grado di funzionare bene. Il processo che mettono in moto è dunque contrassegnato da continui adattamenti e miglioramenti, e ogni tappa ha tempi e risultati incerti. La seconda ragione è di natura ambientale (economica, sociale, culturale, istituzionale). Ogni innovazione deve essere assimilata. Essa cambia i modi di lavorare e di consumare, e cambia i rapporti delle risorse alla quale si applica con altre risorse connesse. Anche il processo dell assimilazione è lento e soggetto ad una lunga serie di condizionamenti. Nel caso dei pionieri (paesi leader dello sviluppo e dell innovazione), questi due lenti processi di adattamento tecnico e di assimilazione avvengono insieme, e l uno aiuta l altro. Le maggiori difficoltà, pertanto, si hanno nella fase innovativa. Il suo meccanismo non può essere semplicemente spiegato come spesa finanziata dal valore attuale dei rendimenti futuri. Nel caso dei pionieri, nessun innovatore, di regola, può essere sicuro di poter ottenere i finanziamenti necessari semplicemente spiegando ai finanziatori la bontà della propria idea. Si verifica infatti un asimmetria nelle attese: l innovatore avrà attese di successo più elevate di quelle dei finanziatori, che non hanno le sue competenze. I paesi inseguitori possono avere un vantaggio rispetto ai paesi avanzati. Essi possono acquisire soluzioni tecniche moderne senza aver dovuto inventarle e svilupparle. Questo, tuttavia, è solo un vantaggio potenziale. I ritardatari, se non devono inventare ex-novo e se non devono farsi carico dei successivi perfezionamenti tecnici, devono comunque affrontare il problema dell assimilazione, che assume per essi caratteristiche complesse e difficili. La maggiore difficoltà è il superamento della barriera delle conoscenze tacite 2. Ciò coinvolge un processo necessariamente lungo e costoso. Tale superamento può avvenire, infatti, solo per tappe, ciascuna delle quali richiede non solo l acquisizione delle conoscenze, ma anche una significativa pratica produttiva. Ora, maggiore è la distanza tecnologica dei ritardatari più numerose saranno queste tappe e, dunque, il processo sarà più o meno lungo e lento. Esso in effetti non sarà troppo diverso dal processo di invenzione - perfezionamento tecnico - assimilazione, che hanno affrontato i pionieri 3. Ne consegue che anche i ritardatari devono spendere risorse sia nella re-invenzione e sia per i costi di assimilazione, e ne consegue che anche per essi ciò deve essere fatto in condizioni di incertezza. Va inoltre sottolineato che per i Pvs esistono altri ostacoli, derivanti dall arretratezza del contesto socioeconomico. Il basso costo del lavoro non riesce in genere a controbilanciare i loro negativi effetti sulla redditività degli investimenti, veicolo necessario del trasferimento tecnologico. La soluzione offerta dalla liberalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali, che in linea di principio può permettere l intervento diretto delle imprese multinazionali già esperte, non appare una soluzione adeguata. Storicamente, essa non ha risolto il problema dell innovazione e non è stata la leva fondamentale dello sviluppo in alcun paese arretrato. Questi paesi non possono sfuggire all imperativo di costruire la propria competenza tecnica ed imprenditoriale moderna. Si vedrà che nei casi di successo l intervento pubblico è risultato fondamentale. Tale intervento si è realizzato mettendo in campo un insieme coordinato di risorse e di interventi (imprenditoriali, organizzativi, istituzionali) che appare complesso, ma non indecifrabile. Questo secondo paradigma ci sembra di gran lunga il più valido, come apparirà chiaro nel seguito. 1 Il presente testo è una versione con poche modifiche del capitolo quarto del volume di L. Boggio e G. Seravalli Lo Sviluppo Economico: Fatti, Teorie e Poltiche, Il Mulino Bologna 2003. 2 Le conoscenze tacite, come vedremo meglio nel seguito, sono competenze sulle tecnologie produttive che normalmente non possono essere comunicate in modo esplicito e formale e devono perciò essere acquisite con l'esperienza diretta, eventualmente assistita da chi già le possiede. 3 Per questo è utile l esplorazione delle innovazioni all epoca della rivoluzione industriale presentata nella prima parte del contributo. 13

Sviluppo economico e progresso tecnico Il tema sviluppo economico e progresso tecnico può essere esaminato considerando tre aspetti: gli effetti del progresso tecnico, la sua natura, ed i meccanismi che lo producono. Di questi tre aspetti, i primi due sono chiari da tempo. E noto ed accettato che il progresso tecnico è stato, ed è ancora oggi, alla base 4 dello sviluppo economico e che va concepito come mutamento in senso migliorativo (innovazione) dei mezzi 5 e dei modi di produrre (innovazione dei processi) e come realizzazione di nuovi beni e servizi 6 meglio in grado di soddisfare i bisogni (innovazione dei prodotti) [Schumpeter 1912]. Tutti sono anche d accordo che esso conta in tale direzione non semplicemente come progresso scientifico, bensì se e nei limiti in cui questo diventa applicato. Diverse scoperte restarono a lungo inefficaci 7. Esse vennero a costituire progresso tecnico vero solo quando furono effettivamente impiegate, il che avvenne principalmente ad opera di imprenditori capaci delle scelte economiche e tecniche per realizzare le innovazioni applicative. Inoltre, passano decenni dalle prime applicazioni di un innovazione alla sua diffusione che richiede continui e progressivi adattamenti, ma è la diffusione che comporta veri e rilevanti effetti di sviluppo economico. Più controverso è il terzo aspetto, che riguarda i meccanismi. Da una parte vi è l idea che il progresso tecnico una volta prodotto si imponga da solo, come un bene libero, a disposizione di tutti, in sostanza senza costi rilevanti per la sua adozione, dall altra si contrappone l idea che i costi di adozione siano invece elevati, anzi - talvolta i più elevati tra tutti i costi di accesso alle risorse. Si potrebbe dire, con Nelson e Pack [1999], che vi è, da una parte, il paradigma accumulazionista e, dall altro il paradigma assimilazionista. Secondo il primo, i paesi ritardatari sono tali principalmente perché è in ritardo il processo di accumulazione del capitale (eventualmente umano e non solo fisico), e quindi producono in settori ad alta intensità di lavoro non qualificato, ma se il processo di accumulazione si metterà in moto essi potranno agevolmente transitare verso settori a maggiore impiego di macchine e lavoro qualificato in quanto si trovano in pratica già (o possono giungervi senza gravi difficoltà) sulla funzione di produzione propria dei paesi avanzati. Il secondo paradigma (assimilazionista) ritiene invece che i paesi ritardatari si trovino ad operare su un altra funzione di produzione e che lo sviluppo dipenda dalla loro capacità di adottarne una nuova, il che non è solo questione di accumulazione di capitale fisico e umano, ma è soprattutto nuova e difficile acquisizione di competenze. E il secondo paradigma che noi riteniamo di gran lunga più realistico e che, pertanto, adotteremo. Gli effetti del progresso tecnico Il progresso tecnico ha segnato la storia e l innovazione tecnica è stata alla base della formazione di intere epoche. Il mutevole corso della storia economica può forse essere suddiviso in epoche economiche, ove ciascuna epoca è identificata dall innovazione storica e dalle caratteristiche specifiche dello sviluppo che essa ha generato. [Kuznets 1990, p. 90]. 4 Usiamo questa espressione alla base per evitare che si ritenga il progresso tecnico l unico fattore determinante, o la causa ultima. Come vedremo, la dimensione del cambiamento istituzionale è essenziale per avere sviluppo economico. [...] Lo sviluppo tecnologico costituisce una fonte permissiva dello sviluppo economico, ma rappresenta solamente un potenziale, una condizione necessaria ma in sé non sufficiente. Se si deve impiegare efficientemente e su larga scala la tecnologia, e ancor più se il medesimo progresso tecnologico deve essere stimolato dall uso stesso della tecnologia, allora [...] debbono effettuarsi aggiustamenti istituzionali e ideologici tali da influenzare un uso più adeguato delle innovazioni generate dal crescente patrimonio delle conoscenze umane. [Kuznets 1990, p. 89, corsivo nel testo]. 5 Compreso l uso di una nuova fonte di approvvigionamento. 6 Compresa la loro vendita su nuovi mercati. 7 La conoscenza, scientifica e non, è sempre molto in anticipo sulla pratica effettiva; e non soltanto in cose che non sarebbe fruttuoso, o non ancora fruttuoso, realizzare, ma anche in cose in cui lo sarebbe già. I risultati delle invenzioni ancora una volta, non soltanto quelli inattuabili sono sempre a disposizione ma possono giacere inutilizzate indefinitamente. Perché? Perché fare quanto non ha ancora superato la prova dell esperienza non è un mero atto della pratica ordinaria degli affari, che l uomo d affari medio può contare di compiere prontamente [ ]. Si tratta di qualcos altro, che richiede un modo di comportarsi e una capacità certamente diversi da quelli richiesti per l atto dell invenzione ma egualmente rari: un modo di comportarsi più legato al carattere che all intelletto potere, leadership. [Schumpeter 1927, p. 198, in Messori, 1984, corsivi nel testo]. 14

Rivolgendo lo sguardo all intera vicenda del genere umano, emergono tre grandi epoche dello sviluppo economico, che appaiono legate a fasi di crescita della popolazione. Fig. 1. Andamento della popolazione mondiale dalla preistoria al 2050 in doppia scala logaritmica 8. Fonte: Durand [1977], Livi Bacci [1998] e previsioni ONU Queste tre grandi onde di aumento della popolazione mondiale coincidono con grandi fasi di progresso tecnico, la cui natura è illustrata da Carlo Maria Cipolla [1989]. Esse sono state permesse da innovazioni capaci di dare forti miglioramenti nell efficienza dei convertitori d energia. In tal modo hanno consentito di superare equilibri millenari tra risorse e bisogni determinando enormi aumenti di disponibilità d energia, e quindi di beni prodotti. Si può stimare che all epoca primordiale della caccia e della raccolta di frutti naturali, 8 Quello utilizzato nella figura è il modo più corretto di rappresentare l'andamento demografico in una prospettiva epocale e fu suggerito da Deevey, come ricorda Livi Bacci [1998]. Il grafico è a doppia scala logaritmica (in base 10). Considerando l asse verticale, con la scala logaritmica si attribuisce la stessa importanza all'aumento di popolazione che si ha passando, per esempio, da un milione di persone (indice logaritmico 6) a 10 milioni (indice 7) - cioè un aumento di 9 milioni - e all'aumento che si ha passando da un miliardo (indice 9) a 10 miliardi (indice 10) - cioè un aumento di 9 miliardi. Dare la stessa importanza a questi due aumenti assoluti così diversi non è sbagliato. I due incrementi, infatti, sono causati dallo stesso processo. In entrambi i casi l'aumento (di 9 milioni e di 9 miliardi) è dovuto al fatto che ciascuna unità di popolazione (un milione e un miliardo) ha prodotto lo stesso numero di persone, cioè nove. Anche il tempo può essere utilmente rappresentato su scala logaritmica (asse orizzontale). Ciò comporta che il passaggio, per esempio dal 1950 al 2050, è rappresentato con la stessa distanza con la quale è misurato all'estremo opposto il passaggio da 1 milione di anni avanti Cristo a 8 mila anni avanti Cristo. In effetti, in una popolazione stazionaria, nella quale cioè i nati sono appena sufficienti a rimpiazzare i morti, la possibilità che si avvii un incremento demografico dipende dalla probabilità che almeno una delle coppie riesca, durante la sua vita, a dare alla luce e mantenere in vita fino alla sua età feconda un figlio in più rispetto ai due necessari alla pura riproduzione stazionaria. Anche senza contare che oggi la vita media è molto più lunga di quanto accadeva un tempo, si deve così tenere conto che il verificarsi di questo evento dipende dal volume esistente della popolazione. Se, per esempio, tale probabilità fosse uno su un miliardo di coppie, l'evento potrebbe verificarsi una volta in un anno con una popolazione di due miliardi, mentre dovrebbe passare un milione di anni con una popolazione di due mila persone. Il grafico non è basato su veri dati statistici (eccetto che per gli ultimi duecento anni), ma su congetture della demografia storica in base ad elementi offerti dall archeologia. E una ricostruzione, in ogni modo, sulla quale concorda la gran parte degli studiosi. Essa farebbe emergere soltanto tre grandi epoche di sviluppo. A quell'originaria, che portò la popolazione del mondo a dieci milioni soltanto, avrebbe fatto seguito una lunga stagnazione, che fu interrotta dieci mila anni avanti Cristo dalla seconda epoca di sviluppo dovuta alla rivoluzione agricola. La terza, che coincide con lo sviluppo industriale e nella quale viviamo, ha avuto inizio verso la fine del Seicento, anch essa dopo decine di secoli nei quali la popolazione non aumentava in modo permanente, variando invece (con periodi d'oscillazione che potevano essere anche lunghi) tra i 200 e i 400 milioni. Dopo che il volume complessivo degli abitanti della terra è rapidamente passato ad un miliardo nel 1800, a due miliardi e mezzo nel 1950, ad oltre cinque miliardi nel 1990, la sua crescita comincia ora a rallentare. La popolazione mondiale si stabilizzerà, secondo stime, al livello di circa dieci miliardi intorno al 2050. 15

consumi di massa ferrovie computer l efficienza dei convertitori di energia (piante e animali) non superasse l uno o due per cento 9. La rivoluzione agricola permise tessile di giungere al 10-15%, la rivoluzione industriale oltre il 30%. [Cipolla 1989, pp. 35, 63]. Adottando una prospettiva meno ampia, si osserva qualcosa dello stesso genere. L economia americana, per esempio, ha percorso quattro grandi cicli dalla fine del Settecento [Modelski e Thompson 1996] 10, ciascuno dei quali è stato preceduto da una concentrazione di innovazioni. Secondo i dati raccolti da Alexander [2002], il numero di innovazioni fondamentali ha presentato caratteristici picchi in corrispondenza dei decenni 1750 (settore tessile), 1830 (settore ferroviario), 1900 (settori della produzione di mezzi di trasporto su gomma e dei beni di consumo di massa), 1980 (settori di produzione delle tecnologie informatiche). Fig. 2. Numero di innovazioni fondamentali negli USA dal 1740 al 1990. Fonte: http://csf.colorado.edu/authors/alexander.mike/i-wave.htm. La crescita economica, dunque, avviene ad ondate, prolungate nel tempo, che sono precedute da importanti innovazioni tecniche. Si potrebbe pensare che questo caratteristico profilo del meccanismo che lega lo sviluppo economico al progresso tecnico dipenda dal fatto che le innovazioni dànno risultati sul piano economico solo gradualmente dato che il sistema economico incorpora lentamente le innovazioni. Questo è, naturalmente, vero. Le strutture produttive sono innanzitutto organizzazioni umane e, come vedremo meglio più avanti, funzionano impiegando routines, cioè modi di fare consolidati e divenuti quasi automatici, il cui cambiamento richiede processi lunghi che, talvolta, implicano il passaggio di intere generazioni. Vi è però anche un altra ragione. Il progresso tecnico stesso è in sé un processo lungo perché le innovazioni non nascono mai già perfezionate. Vediamo prima di tutto questo aspetto, riservandoci di esaminare poi quello della assimilazione. La natura del progresso tecnico Una ragione per cui l innovazione è alla base di ondate di crescita economica protratte nel tempo è, dunque, che esse configurano progresso tecnico come processo il quale, messo in moto dall invenzione di un modo nuovo e più efficiente di fare cose note, prosegue poi come applicazioni con adattamenti per fare anche altre 9 Percentuale di energia effettivamente utilizzata dall uomo in rapporto a quella distrutta nell atto stesso del suo utilizzo. 10 Il primo inizia la sua fase espansiva (che si avvia in modo graduale) intorno al 1790, il secondo intorno al 1850, il terzo circa nel 1914, il quarto, infine, all inizio degli anni Novanta. 16

cose, alcune delle quali nuove esse stesse. In questo processo non sono tanto importanti i principi tecnici basilari innovativi, spesso conosciuti da secoli, quanto l idea (o l occasione) e la forza (anche politicaistituzionale) di applicarli. E poi importante la diffusione dei nuovi meccanismi in altri impieghi e la spinta che un innovazione dà ad altre innovazioni 11. Prendiamo gli occhiali. Un oggetto apparentemente così banale [ ]. Eppure l invenzione degli occhiali allungò di oltre il doppio la vita lavorativa degli artigiani specializzati [ ]. All inizio per leggere si usavano primitivi cristalli e lenti di ingrandimento (lapide ad legendum). Il trucco consistette nel migliorarle, riducendone la distorsione, e nel montarne due assieme in modo da poterle inforcare sul naso, lasciando così le mani libere. Pare che ciò accadde per la prima volta a Pisa verso la fine del XIII secolo. [ ]. Gli occhiali permisero di eseguire lavori accurati e di utilizzare strumenti di precisione. Ma è vero anche il contrario, e cioè che gli occhiali incoraggiarono l invenzione di strumenti di precisione, aprendo così all Europa prospettive del tutto nuove. I musulmani conoscevano l astrolabio, ma la cosa finiva lì. Gli europei andarono ben oltre: inventarono il calibro, il micrometro, la fresa a ruota sottile, un intera gamma di strumenti correlati alla misurazione di precisione e al controllo. In tal modo crearono le basi per la costruzione di macchine complesse dotate di accessori. [ ]. Questa esperienza nel campo delle lenti fu inoltre una scuola per ulteriori progressi in campo ottico [ ]. Il telescopio e il microscopio furono inventati intorno al 1600 nei Paesi Bassi [ ]. [Landes 2000, pp. 58-59]. Un altro esempio è l orologio. Un altro oggetto [ ] così comune che consideriamo ovvio, ma che Lewis Mumford ha giustamente denominato l invenzione chiave. Prima dell invenzione dell orologio meccanico il tempo veniva misurato con gli orologi solari [ ] o ad acqua. Gli orologi solari potevano essere consultati solo nelle giornate di sole, mentre quelli ad acqua non funzionavano quando la temperatura scendeva sotto lo zero, senza contare i guasti continui dovuti a sedimentazione o ostruzioni. [ ] Non sappiamo dove a da chi sia stata inventata questa macchina. Sembra che sia apparsa per la prima volta in Italia e in Inghilterra (forse un invenzione simultanea) nell ultimo quarto del XIII secolo. [ ] La nuova invenzione andò a minare l autorità ecclesiastica. Per quanto il rituale ecclesiastico [le sette funzioni liturgiche le ore] avesse dimostrato un certo interesse per la misurazione del tempo durante tutti i secoli di collasso urbano successivi alla caduta di Roma, il tempo della Chiesa era quello scandito dalla natura. Giorno e notte erano divisi in un numero di parti uguali, cosicché a eccezione degli equinozi, le ore diurne e quelle notturne erano diseguali; la loro lunghezza variava inoltre ovviamente con le stagioni. Con l orologio meccanico, invece, tutte le ore avevano la stessa durata, e ciò implicò un conteggio del tempo tutto nuovo. La Chiesa resistette, e dovette passare un secolo prima che si adeguasse al nuovo sistema. Città e paesi, viceversa, passarono subito al criterio delle ore tutte uguali, e gli orologi pubblici installati sulle torri e i campanili dei municipi e piazze dei mercati divennero il simbolo di una nuova secolare autorità municipale. Ogni città ne voleva uno; i conquistatori li consideravano un bottino di guerra particolarmente prezioso [ ]. L orologio fu la più grande conquista dell ingegno medievale nel campo della meccanica. Rivoluzionario nella concezione, fu molto più innovativo di quanto i suoi inventori pensassero. Fu il primo esempio di strumento digitale in opposizione a quelli analogici: contava una sequenza regolare e ripetitiva di azioni distinte (le oscillazioni di un dispositivo di controllo) anziché seguire un movimento continuo [ ] quale lo spostamento dell ombra di una meridiana o lo scorrere dell acqua. Oggi sappiamo che questa frequenza ripetuta può essere molto più regolare di qualunque fenomeno continuo, e pressoché tutti gli odierni strumenti d alta precisione sono basati sul principio digitale. Ma questo nessuno poteva saperlo nel XIII secolo, quando si pensava che, poiché il tempo era continuo, lo si potesse seguire e misurare mediante un altro fenomeno di continuità. L orologio meccanico dovette fare i conti con le inesorabili leggi che governano la terra e il sole; non erano ammessi errori o fallimenti. Ne scaturì una costante pressione a migliorarne la tecnica e i modelli. In ogni epoca gli 11 E su questo secondo momento del processo che interviene spesso il sapere scientifico. Esso infatti aiuta a capire come e perché funzioni un certo meccanismo e dunque aiuta a vederne le sue più ampie possibilità e connessioni. Ciò che [ ] colpisce particolarmente, per quanto riguarda la fine del XVIII e l inizio del XIX secolo, è la stretta e fruttifera collaborazione tra industriali e scienziati entrambi interessati ai progressi tecnologici. Questa collaborazione si sarebbe poi dimostrata importante, non solo ai fini di abbreviare i tempi di collaudo e di assestamento che generalmente intercorrevano tra il momento dell invenzione e quello dell innovazione intesa come applicazione concreta e utilizzata a fini economici, ma anche per la possibilità, meno rivoluzionaria ma non meno importante nel lungo periodo, di ridurre i costi di produzione attraverso il perfezionamento di macchinari e di processi produttivi già largamente impiegati. [Deane 1982, p. 196]. 17

orologiai furono all avanguardia nel campo dell accuratezza e precisione: maestri della miniaturizzazione, perennemente impegnati a rilevare e correggere errori, a ricercare il nuovo, a migliorare. Furono i pionieri dell ingegneria meccanica, esempi e maestri in molti altri campi 12. [Landes 2000, pp. 59-61]. Un altra caratteristica del progresso tecnico è che non sempre l invenzione dà risultati immediati o quasi 13. Specie nel campo dello sfruttamento di nuove fonti di energia, anzi, prima di giungere ad applicazioni significative passa molto tempo nel caso dei pionieri. Sono ben poche le invenzioni che nascono già mature. Al contrario, occorrono un mucchio di piccoli e grandi miglioramenti per trasformare un idea in una tecnica. Prendiamo la forza vapore. La prima macchina che utilizzava vapore per creare un vuoto e azionare una pompa fu brevettata in Inghilterra da Thomas Savery nel 1698; la prima macchina a vapore vera e propria (dotata di pistone) da Thomas Newcomer nel 1705. Il motore atmosferico di Newcomer (così chiamato perché fondato semplicemente sulla pressione atmosferica) sprecava moltissima energia perché il cilindro si raffreddava e doveva essere riscaldato a ogni corsa. La macchina, dunque, funzionava al meglio quando pompava acqua nelle miniere di carbone, dove il propellente era un bene quasi gratuito. Trascorse molto tempo sessant anni prima che James Watt inventasse un motore dotato di condensatore separato (1768) abbastanza efficiente da rendere il vapore redditizio lontano dalle miniere, nelle nuove città industriali; e altri quindici ce ne vollero per adattare la macchina al moto rotatorio, sì da poter azionare le ruote dell industria. Nel frattempo ingegneri e meccanici dovettero risolvere un infinità di problemi [ ]. Ad esempio, il riuscire a fare cilindri perfettamente lisci e circolari di modo che il pistone potesse scorrervi in modo aderente [ ] fu un opera che richiese grande cura pazienza ed ingegno. La tecnica usata per le caldaie (arrotola una lamina di ferro, salda le giunture, e copri le estremità) non era adattabile al cilindro di un motore: troppa dispersione. Il nuovo metodo, che consistette nell alesare un pezzo fuso, fu inventato da John Wilkinson all incirca nel 1776, che lo riprese dal sistema di alesaggio dei cannoni (brevetto del 1774). Un anno dopo Wilkinson utilizzava la macchina a vapore per sollevare una forgiatrice pesante circa trenta chili. Nel 1783 era arrivato a 7,5 tonnellate. La faccenda non finì lì. Restava da esplorare un altro campo: le macchine ad alta pressione (più alta di quella atmosferica), più compatte e utilizzabili per azionare veicoli marittimi e terrestri. Ciò richiese un altro quarto di secolo. [ ] La risposta fu l espansione multipla: l uso del vapore ad alta pressione per azionare in successione due o più pistoni [ ]. L espansione multipla risaliva a J. C. Hornblower (1781) e Arthur Woolf (1804), ma dette il meglio di sé solo a metà Ottocento. [ ]. [Ma] dimensione e potenza delle macchine a vapore erano limitate dall inerzia del pistone, la cui continua inversione di direzione richiedeva un enorme energia. La soluzione trovata (Charles A. Parsons, 1884) consistette nel passare dal moto alternativo a quello rotatorio, sostituendo il pistone con una turbina [ ]. Complessivamente, lo sviluppo della macchina a vapore richiese duecento anni. [Landes 2000, pp. 202-203]. Si può aggiungere che nell epoca più vicina a noi non sembra che questi lunghi processi abbiano subito significative accelerazioni. Per esempio, la macchina di Charles Babbage (alla base dei computer) è del 1834. I primi calcolatori furono prodotti negli anni Quaranta del Novecento. La diffusione dei Personal Computer, dopo l invenzione del microprocessore (1971), che è alla base dell attuale rivoluzione informatica, iniziò solo negli anni Ottanta. 12 Richard Arkwright, tra gli iniziatori del sistema di fabbrica nel settore cotoniero, brevettò nel 1769 la macchina per filare (detta water-frame perché veniva azionata da una ruota ad acqua). Nota Baines in History of the Cotton Manufacture in Great Britain, 1835, p. 25, citato in Castronovo [1988, p 157]: E un fatto singolare che nella richiesta di brevetto egli si sia definito orologiaio. 13 Due esempi di risultati quasi immediati (e di una lunga serie di risultati successivi) sono proprio quelli degli occhiali e dell orologio meccanico. Ad essi si può aggiungere l esempio della polvere da sparo. I cinesi conoscevano la polvere pirica fin dall XI secolo e la usavano come materiale incendiario sia nei fuochi pirotecnici che in guerra. [ ] I cinesi continuarono ad affidarsi ai materiali incendiari piuttosto che a quelli esplosivi, forse in virtù della loro superiorità numerica [ ]. I cinesi usavano una polvere da sparo sotto forma di polvere, come il nome stesso indica, la cui eccessiva sottigliezza ne minava tuttavia l efficacia rallentandone l accensione. Gli europei [ ] impararono nel XVI secolo a granularla [ ] ottenendo in tal modo un accensione più rapida e, attraverso un migliore mescolamento degli ingredienti, un esplosione più completa e potente. Ciò permise di concentrarsi sulla portata e sul peso del proiettile, senza perdersi dietro al rumore, agli odori o agli effetti visivi. Tale concentrazione degli sforzi sulla resa, unita all esperienza acquisita nella tecnica di fusione delle campane (il metallo delle campane era convertibile in metallo per armi, e le tecniche di fusione erano le stesse), diede all Europa i migliori cannoni del mondo e la supremazia militare. [Landes 2000, p. 65-66]. 18

In sintesi, il progresso tecnico è un processo, messo in moto da un invenzione applicativa, che dà luogo ad un meccanismo cumulativo di miglioramenti nella produttività delle risorse, ma che permette questi risultati solo in tempi lunghi, anche considerando pure ragioni tecniche, che comportano protratte fasi di aggiustamento e di adattamento dei nuovi processi e prodotti. In questo sta anche una prima ragione di incertezza circa i risultati 14. Le difficoltà dell innovazione. Questa considerazione, circa la lunga e faticosa vicenda dello sviluppo tecnico-applicativo delle innovazioni pioniere, porta assai naturalmente a comprendere il vantaggio degli inseguitori (imitatori). Come fu sottolineato già nel 1951 da Gerschenkron (in un saggio poi pubblicato nella raccolta del 1962), i sistemi economici arretrati possono avere un vantaggio potenziale significativo rispetto ai sistemi avanzati che devono sobbarcarsi il costo del continuo sviluppo applicativo onde rimanere sulla frontiera delle tecniche. Egli fece notare che i sistemi arretrati possono inseguire quelli avanzati con ritmi di crescita molto rapidi importando o imitando le tecniche più moderne, senza dover passare per il lungo e costoso processo che fu necessario per metterle a punto. E l idea della rincorsa dei ritardatari. La distanza o inferiorità tecnologica, che spiega il ritardo economico, costituirebbe nello stesso tempo un vantaggio che, se saputo sfruttare, potrebbe permettere ai sistemi arretrati di raggiungere quelli avanzati. In realtà, come vedremo, non è affatto facile sfruttare tale vantaggio potenziale. Anzi, i sistemi arretrati devono superare difficoltà specifiche, che attengono proprio al gap tecnologico. Vediamo, però, innanzitutto quale sia la natura dei costi richiesti, nei sistemi pionieri, dallo sviluppo applicativo delle nuove tecniche. Anche da questo punto di vista, è significativo il riferimento alla storia della rivoluzione industriale. Numerose sono le vicende documentate dalle quali emergono principalmente due connesse grandi difficoltà per gli innovatori: la mancanza di denaro e la diffidenza o incredulità degli altri. E stato lo stesso Arkwright a dire che soltanto dopo molti anni di intensa applicazione giunse ad inventare [ ] l attuale metodo di filare il cotone 15 [ ]. Dal momento che era privo di mezzi finanziari per perfezionare la sua invenzione, egli fece ritorno al suo paese d origine, Preston, e si rivolse a un amico, John Smalley, commerciante di liquori e pittore [ ]. La sua macchina venne installata in una sala dell edificio della Grammar School offerta in prestito dal direttore della scuola a Smalley [ ]. Ma, a causa dei disordini suscitati nei dintorni di Blackburn dall introduzione delle macchine per filare inventate dall Hargreaves nel 1767 16, in seguito ai quali molti attrezzi erano stati distrutti e l inventore era stato costretto a lasciare il suo paese natio per cercare rifugio a Nottingham, Arkwright e Smalley, [ ] preferirono anch essi trasferirsi a Nottingham, temendo che le loro macchine incorressero nella medesima sorte. [ ] Una volta a Nottingham, essi chiesero aiuto ai signori Wright, banchieri, che acconsentirono ad anticipare loro delle somme a condizione di partecipare ai profitti dell invenzione. Ma, siccome il perfezionamento della macchina richiese parecchio tempo, i banchieri suggerirono ad Arkwright di rivolgersi altrove e lo raccomandarono a Samuel 14 Vedremo tra poco che esiste una seconda ragione di incertezza sui risultati, legata anch essa al loro ritardo, e che attiene al gap nell adozione. Un innovazione, anche quando abbia raggiunto significativi livelli di perfezionamento tecnico, e anche perfino quando venga acquistata, non per questo riesce ad esprimere tutto il suo potenziale produttivo. Esso, infatti, può pienamente manifestarsi solo in seguito a cambiamenti (lunghi e faticosi) di tutta una serie di condizioni all intorno, di natura economica, ma anche di natura sociale ed istituzionale. 15 Il filatoio idraulico di Arkwright produceva un filo abbastanza resistente da poter essere usato tanto per l ordito che per la trama; fu così possibile soddisfare con prodotti inglesi quella che sino ad allora era stata domanda largamente insoddisfatta di calicò indiani. [Deane 1982, p. 191]. 16 James Hargreaves era nato vicino a Blackburn nel 1720. Non era andato a scuola e non sapeva leggere e scrivere. Era carpentiere. Nel 1760 viveva nel paese di Standhill e la sua famiglia, come tante, aveva in casa il proprio filatoio. Si dice che fu accidentalmente sua figlia Jenny che diede al padre l idea di associare ad una ruota diverse spole. Nel 1764 egli costruì quella che divenne nota come Spinning-Jenny, una macchina che usava otto spole mosse da una ruota sola fatta girare dall operaio. Successivamente altri perfezionarono la macchina fino a poter muovere ottanta spole. Nel 1778, quando Hargreaves morì, in Inghilterra funzionavano 20 mila Spinning-Jenny. Le proteste del 1767, qui riferite, vanno inquadrate nell inizio del movimento che poi si chiamerà Luddista, il quale ebbe il suo culmine, proprio nella zona di Nottingham, tra il 1811 ed il 1812, e che finirono con la promulgazione di una legge che condannava a morte chi avesse distrutto una macchina. Tale movimento prese il nome da Ned (o King) Ludd, un apprendista tessitore del Leicestershire, che (pare) nel 1790 ruppe con una mazza il telaio meccanico che gli aveva portato via il lavoro. 19

Need di Nottingham, partner di Jedediath Strutt di Derby, che aveva ingegnosamente perfezionato e brevettato la stocking-frame 17. Vista la macchina di Arkwright, costui dichiarò che era degna di particolare attenzione ed entrò, insieme al signor Strutt, in società con Arkwright. Così ebbero termine le difficoltà finanziarie di quest uomo intraprendente e perseverante, che brevettò la sua macchina nel 1769. [ ] Nel 1785, scaduti i brevetti dell Arkwright, vennero poste a disposizione del pubblico quelle utilissime macchine che, seppure inventate da altri, erano state da lui successivamente perfezionate. [ ] Ciò nonostante l Arkwright proseguì la sua florida carriera, grazie ai larghi profitti dei suoi numerosi e ben amministrati opifici. Nel 1786 fu nominato giudice del Derbyshire e [ ] fu insignito del titolo di baronetto [ ]. Morì nella sua casa di Cromford, il 3 agosto 1792, a sessanta anni. [E. Baines, History of the Cotton Manufacture in Great Britain, London, 1835, pp. 25 ss., citato in Castronovo 1988, pp. 156-159]. Interessante è anche la storia del Razzo (Rocket), la prima locomotiva per la ferrovia Liverpool- Manchester. Ecco il risultato di tutti gli sforzi di George Stephenson! I due migliori ingegneri dell epoca [Walzer e Rastrick, N.d.T.] erano d accordo nel dare responso negativo all impiego della sua locomotiva!: Non si poteva trovare un solo professionista eminente che fosse d accordo con lui nel preferire la locomotiva alla trazione tramite motori fissi 18. Si trovò isolato e il sistema della locomotiva sembrò sul punto di essere abbandonato. Tuttavia egli non disperò. Con la professione e l opinione pubblica contro di lui [ ] Stephenson tenne fermo ai suoi propositi. Implorò i direttori dell impresa di non perdere l occasione di dare al suo motore un equa prova d appello e di non spendere l enorme capitale richiesto per costruire [ ] le loro unità motrici fisse, corde e meccanismi accessori, finché non avessero almeno provato a dovere le capacità della locomotiva. [ ] I direttori erano più perplessi che mai. Tuttavia avevano fiducia nel loro ingegnere [ ]. Lo avevano visto costruire una strada che altri ingegneri di gran valore avevano ripetutamente dichiarato essere irrealizzabile. Avrebbe potuto essere lo stesso nel caso della locomotiva. [ ]. Influenzati da queste ad altre considerazioni, i direttori [ ] stabilirono di bandire un premio di 5oo sterline per il miglior locomotore, che a una data stabilita, fosse presentato sulla ferrovia [ ]. Si deve osservare che le richieste dei direttori quanto alla velocità non erano eccessive. Tutto ciò che essi richiedevano è che fosse mantenuta una velocità di dieci miglia all ora. [ ] Stephenson si dedicò immediatamente alla costruzione della sua locomotiva di prova: il famoso Razzo. [ ] Il giorno fissato per la gara delle locomotive a Rainhill, entrarono in concorso le seguenti macchine: 1. Novità di Braithwaite e Ericson. 2. Sans-pareil di Timoty Hackworth. 3. Razzo di Robert Stephenson. 4. Perseveranza di Burstall. [ ] La prova fu fissata per il 6 ottobre 1829. [ ]. La velocità massima raggiunta dal Razzo fu di ventinove miglia all ora, quasi tre volte la velocità che uno dei giudici della gara aveva dichiarato essere il limite delle possibilità. La velocità media fu di quindici miglia all ora [ ]. Il premio di cinquecento sterline fu [ ] attribuito al Razzo [ ]. [S. Smiles, The Life of Gorge Stephenson, Railway Engineer, Londra, John Murray, 1857, pp. 275-289, citato da Castrovo 1988, pp. 171-175.] Non fosse stato per la forza d animo di Stephenson, si può immaginare quali sprechi enormi di risorse si sarebbero avute (con l installazione dei motori fissi), prima di comprendere l errore e tornare alla locomotiva. Quindi, i costi dello sviluppo applicativo delle innovazioni, mediante prove ed errori, non sono solo i costi delle prove, ma soprattutto i costi degli errori, che si potrebbero evitare solo se gli innovatori avessero abbastanza risorse proprie. Dato che ciò di regola non avviene, la necessità di reperire fondi a prestito (o mediante partecipazioni) da chi non crede facilmente al successo dell innovazione, segna di costi ingenti la strada del progresso tecnico dei pionieri. Molte vie potenzialmente buone restarono a lungo intentate. Molte soluzioni inefficienti furono adottate e mantenute: un processo di selezione tutt altro che lineare. 17 La Stocking-frame, il primo telaio per maglieria, fu inventato da William Lee nel Nottinghamshire nel XVI secolo. Nel 1757 Strutt and Woollat, ebbero l idea di aggiungervi un sistema di uncini che operavano verticalmente tra gli aghi della macchina agganciando il filo e facendogli fare un giro dal dietro all avanti in modo da realizzare una tessitura a coste. 18 Per quanto strano possa oggi sembrare, il comitato di esperti nominato dalla società costruttrice della ferrovia Liverpool-Manchester (che venne poi inaugurata il 15 settembre 1830) aveva deciso che la soluzione tecnica migliore per il trasporto dei vagoni fosse quella costosissima di fissare a terra ad intervalli regolari una sequenza di motori che avrebbero tirato i convogli per mezzo di un sistema complicato di corde e pulegge [Castronovo 1988, p. 171]. 20