Contarsi per contare e per contrattare meglio Serafino Negrelli Sociologo del lavoro - Università degli Studi di Milano Bicocca L accordo interconfederale sulla rappresentanza del 31 maggio si configura come un intesa orientata a fare ordine sociale e normativo nelle relazioni industriali italiane, ovvero per contrastare da un lato la frammentazione, l'antagonismo e l'unilateralita', ma soprattutto per dare forza e progetto, dall altro lato, a un modello contrattuale sia protettivo che dinamico, grazie anche a pratiche negoziali più partecipative e collaborative. Per raggiungere tale obiettivo, occorre che gli elementi fondamentali che costituiscono e fanno funzionare un sistema di relazioni industriali, ovvero libertà sindacale, diritto di sciopero, modelli di contrattazione collettiva e partecipazione, siano combinati in maniera virtuosa. Uno non può funzionare senza gli altri. Il concetto di ordine non deve essere frainteso. Fare ordine sociale e normativo non significa impedire il dissenso o bypassare la discussione e il confronto tra argomentazioni e ragioni differenti. Esso va inteso piuttosto come lo si intende nelle scienze sociali. Chiedersi come sia possibile l ordine sociale è infatti la questione fondamentale che si è posta la sociologia fin dal suo nascere, e che ritorna continuamente nell analisi delle trasformazioni delle società, fino ai più recenti movimenti di protesta esplosi più o meno dovunque nel mondo. Non so se l accordo del 31 maggio sia un accordo storico, come da molti sostenuto, con riferimento agli artt. 39 e 40 della Costituzione, ma e' certo che si tratta di una vera e propria riforma del sistema italiano di relazioni industriali che, come tutte le riforme, puo' essere valutata solo nella sua implementazione, cioè per la sua possibile azione positiva (non esente pero' da rischi e da effetti perversi) grazie appunto al miglior funzionamento dei fondamentali del sistema italiano di relazioni industriali. Libertà sindacale: contarsi per contare Occorre innanzitutto partire dalla considerazione che la riforma tende a rispettare il principio stabilito dall'art. 39 che pone il diritto di libertà sindacale in capo all'organizzazione, rafforzando i poteri dell'attore collettivo di rappresentanza degli interessi del lavoro. In questo senso si tratta di un accordo che dovrebbe mirare a fare ordine sociale e normativo per contare di più, anzichè solo per contarsi. Anche se resta aperta la questione relativa alla rappresentanza degli imprenditori e di chi non aderisce alle organizzazioni che hanno sottoscritto l accordo (ad esempio, la Fiat). Nel senso del contarsi per contare vanno le nuove norme che prevedono la misurazione e la certificazione della rappresentatività effettiva, mediante il conteggio degli iscritti ai sindacati, sulla base delle deleghe relative ai contributi e dei voti ottenuti alle Rsu. Particolarmente impegnative saranno però le regole attuative, soprattutto quelle relative a quando dovrà essere effettuata la certificazione, ai problemi relativi ai passaggi intersindacali, ai nuovi assunti, alle ristrutturazioni e ai cambi d'impresa e di categoria. Nel senso del maggior ordine per contare va invece la soglia di sbarra- 1
mento al 5%: regola importata dal pubblico impiego che prevede il riconoscimento del pluralismo sindacale ma limita la frammentazione e l'anomia, che tendono a bloccare le dinamiche contrattuali. La novità davvero importante, in questo caso, è costituita dall applicazione anche nel settore privato del criterio di rappresentanza misto (associativo/universale) e ponderato (peso 50% sia delle deleghe sindacali che dei voti Rsu). Ulteriore passaggio è costituito dal metodo di voto Rsu proporzionale integrale, che va a modificare l accordo interconfederale del 1993 che garantiva a Cgil, Cisl e Uil il 33% dei seggi a prescindere dall esito del voto. In questo caso, si affida la titolarità completa delle Rsu ai lavoratori, con il risultato di bilanciare le deleghe e confermare (o, meglio, estendere) il criterio misto associativo/universale. Nel complesso, si può osservare che l accordo contiene norme che se ben attuate potrebbero certamente rafforzare l attore collettivo unitario, il suo potere contrattuale e quindi la sua azione rivendicativa, come dimostra anche il riconoscimento esplicito di favorire piattaforme unitarie. In assenza di tale auspicabile spirito unitario viene però introdotta la possibilita' di presentare piattaforme da parte di organizzazioni con rappresentatività 50%+1. Tale necessaria possibilità apre però il campo delle relazioni industriali italiane alla sfida della competizione intersindacale, dando il primato alla democrazia maggioritaria rispetto a quel principio di pari dignità che è sempre stato il fondamento della democrazia sindacale. Il primato della democrazia maggioritaria viene confermato anche dalle norme di validazione dei contratti collettivi, per la quale è sufficiente la firma delle organizzazioni con rappresentatività 50%+1. Mentre resta ancora incerto nella consultazione certificata dei lavoratori per l efficacia ed esigibilità dei contratti. In questo caso infatti viene fissata solo la regola maggioritaria semplice, ma secondo quanto verrà stabilito dalle categorie, le quali potrebbero dividersi nelle loro preferenze tra l assemblea degli iscritti oppure il referendum tra tutti i lavoratori, essendo più difficile far valere qui un criterio misto associativo/universale. Bloccare i veti che bloccano, non il dissenso, la discussione e le buone argomentazioni Non è vero che l accordo ponga limiti al diritto di sciopero previsto dall art. 40, sarebbe più corretto dire che introduce regole che lo stesso art. 40 peraltro consente. Si osservi l elenco di tali regole specifiche contenute nell accordo: non promuovere iniziative di contrasto agli accordi; definire clausole e/o procedure di raffreddamento...e conseguenze di eventuali inadempimenti (sanzioni); impegno a far rispettare... (ovvero, minor autonomia interna); modalità di definizione di eventuali controversie. Il problema, a mio avviso, riguarda la sostanza e l applicazione pratica di tali regole, ovvero se saranno in grado di far funzionare meglio il sistema di relazioni industriali, un sistema costituito da attori e metodi con il compito di trasformare il conflitto in entrata in norme sostanziali e procedurali in uscita. Tale sistema funziona quando il conflitto in uscita e' minore di quello in entrata. Sarà così? Si, solo se verranno date risposte anche a chi non ha firmato l'accordo e a chi ne è o si sente escluso. 2
Sarà importante pertanto che non si allarghi la platea di chi lo rifiuta perche' lo considera un accordo negativo ed esclusivo di monopolio della rappresentanza sindacale. E noto il dissenso di quei piccoli sindacati che, non essendo firmatari di contratti nazionali, non beneficiano delle trattenute sindacali e quindi non potranno essere conteggiati. Ma sarà altrettanto importante considerare chi si sente escluso perche' non supera la soglia del 5% o perche' ai fini della misurazione del voto espresso nelle Rsu varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni organizzazione sindacale aderente alle confederazioni firmatarie della presente intesa. Sarà quindi necessario che tale platea venga coinvolta nella competizione o nelle coalizioni nell'ambito della contrattazione aziendale. Non va però dimenticato che tali regole riguardano solo i sindacati che firmano a nome di tutti i lavoratori, non chi non ha firmato, e che comunque il diritto di sciopero, in quanto diritto individuale ad esercizio collettivo, resta garantito dalla Costituzione. La necessità di una nuova legge, rispetto alla quale alcuni sono favorevoli, altri no, resterà probabilmente la questione aperta dei prossimi mesi, oggetto di una discussione che pero' dovrà partire dai problemi concreti che emergeranno dalla implementazione dell accordo. Un modello contrattuale sia protettivo che più dinamico: decentramento controllato e non centralismo burocratico Le tendenze delle relazioni industriali italiane negli ultimi anni dimostrano che, abituati ad una legislazione di sostegno alla contrattazione collettiva, al sindacato e alla parte più debole del lavoro, si e' passati, per piu' o meno condizioni oggettive, al sostegno alla parte più forte dell'impresa (il caso Fiat è emblematico, ma non il solo), con il risultato di costringere il sindacato ad una contrattazione aziendale concessiva e non partecipativa o integrativa come in passato. Complice ovviamente la crisi, che obbliga a scelte del "prendere o lasciare", ma anche per effetto dei mutati rapporti di forza, e della stessa "politicizzazione" della contrattazione. Non credo che riportare al centro il ccnl possa costituire l'unica risposta agli accordi separati; i contratti aziendali Fiat sarebbero inammissibili o illegittimi nel nuovo accordo perché "separati" e non perché decentrati e/o con deroghe rispetto al ccnl su prestazione lavorativa, orari e organizzazione del lavoro (temi peraltro previsti dal nuovo accordo come ambiti privilegiati del contratto decentrato). Ma la contrattazione decentrata deve essere improntata anch essa ad un modello sia protettivo che dinamico, orientata cioè a contrattare sia il welfare che la qualità e produttività del lavoro. Riguardo a questo obiettivo, occorre che la contrattazione decentrata sia in grado di tornare ad occuparsi dell organizzazione del lavoro e delle relative condizioni di qualità del lavoro. Si tratta di un obiettivo ineludibile per il sindacato italiano nel suo complesso, come ho già cercato di porre in particolare evidenza (S. Negrelli, Le trasformazioni del lavoro, Laterza, 2013). Secondo i dati Eurostat, l'italia oltre ad avere i livelli tra i più alti di disoccupazione ha anche i livelli tra i più bassi di qualità del lavoro, ovvero di presenza di professioni non manuali altamente qualificate. Tra queste, che sono di fatto quelle che possono garantire i più elevati tassi di 3
crescita della produttività, le professioni intellettuali sono le più penalizzate nel nostro paese, contando meno di un lavoratore su dieci (rispetto a una media di ben quasi due su dieci nei paesi del Centro-nord Europa: idem, tabella 1, p. 53). Negli anni di crisi tale lavoro qualificato si e' ancor più ridotto mentre e' cresciuto quello meno qualificato. Si è trattato di una risposta alla crisi esattamente contraria rispetto a quella della Germania. Stiamo Importando lavoro dequalificato straniero ed esportando lavoro giovanile istruito, attratto dai paesi del Centro-nord Europa. Non deve pertanto meravigliare il fatto che, come mostrano i dati della più recente rilevazione sulle condizioni di lavoro della Fondazione europea di Dublino, i lavoratori italiani siano tra i meno soddisfatti delle loro condizioni di lavoro, non solo ovviamente rispetto allo status occupazionale, ma anche rispetto a paghe, orari conciliabili e stress. Se resta certamente drammatico il problema della quantità del lavoro che manca, prima o poi bisognerà porsi soprattutto il problema della bassa qualità del lavoro italiano, se si vuole uscire dal circolo vizioso della bassa produttività. Questo accordo avrà successo se saprà dare risposte in tal senso. Al riguardo, il richiamo all accordo del 28 giugno 2011 appare determinante e da valorizzare, soprattutto quando afferma che obiettivo principale comune è "l'impegno per realizzare un sistema di relazioni industriali che crei condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo, l'occupazione e le retribuzioni"... e che "la contrattazione deve esaltare la centralità del valore del lavoro anche considerando che sempre più e' la conoscenza, patrimonio del lavoratore, a favorire le diversità della qualità del prodotto e quindi la competitività dell'impresa"... grazie soprattutto allo "sviluppo della contrattazione collettiva di secondo livello". Una contrattazione collettiva che valorizzi gli interventi sull'organizzazione del lavoro per migliorare la qualità e le condizioni di lavoro, e per far crescere la produttività, sarà possibile però solo grazie anche allo sviluppo di maggiore collaborazione tra le parti. Partecipazione: pari dignità, non tirannia della maggioranza Le pratiche negoziali di partecipazione dei lavoratori nell'impresa, dai diritti di informazione alle commissioni miste di consultazione, e ad altre modalità partecipative fino alle piu recenti iniziative dei fondi interprofessionali e del welfare aziendale, hanno caratterizzato la tradizione italiana delle relazioni industriali fin dalla loro introduzione nelle prime parti dei ccnl a meta' anni '70, e hanno influenzato lo stesso dialogo sociale europeo. Esse possono favorire la democrazia sindacale e il nuovo modello contrattuale protettivo/dinamico. Questo mi sembrerebbe un rilevante antidoto a possibili derive maggioritarie, per trattare il dissenso e il confronto tra le diverse posizioni nel merito e non esclusivamente mediante il voto. C'è molto da fare in tale ambito di democrazia sindacale che dovrebbe essere anche estesa, ad esempio alle politiche attive del lavoro e ai servizi per l'impiego, come pure ai temi più complessi della qualità del lavoro e quindi della produttività, che richiederebbero però un rinnovato (maggiore e diverso...) impegno sia della formazione sindacale che di quella congiunta. 4
La democrazia sindacale e delle relazioni industriali, a differenza della democrazia politica, si caratterizza da sempre per il principio di pari dignità delle rappresentanze del lavoro, ovvero per la democrazia deliberativa mediante la discussione. Bisogna lasciare spazio a tali pratiche (e spesso anche tempo...che a volte si guadagna...). E ' un tratto tipico delle migliori e piu riuscite pratiche negoziali firmare accordi sui contenuti che godono di ampio consenso e rinviare alla discussione nel merito ciò che ancora divide, soprattutto se si tratta di materie eterogenee e complesse che non possono essere risolte a colpi di referendum o dalla tirannia della maggioranza. Solo così si può garantire quella maggior forza derivante dall'unità di azione delle rappresentanze del lavoro pur nella cornice di regole che tendono a preservare il pluralismo sindacale come definito dall accordo. L accordo del 31 maggio resta un intesa di molti equilibri: del modello di rappresentanza (misto associativa/elettorale), del modello contrattuale (protettivo/dinamico), oltre che del pluralismo per l'unità d'azione. Le relazioni industriali sono nate e sono state da sempre fondate su tali difficili equilibri, a partire da quello fondamentale tra cooperazione e conflitto nella contrattazione collettiva. Non dovrebbe quindi mancare un certo ottimismo per realizzare anche questo nuovo ossimoro del pluralismo nell unità... 5