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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VERONA TERZA SEZIONE Il Tribunale, all'esito della Camera di Consiglio, da lettura della seguente SENTENZA nella causa promossa da (Omissis) (Omissis) rappresentato e difeso dall'avv.to (Omissis) (Omissis), (Omissis) (Omissis); attore contro (Omissis) (Omissis) Difeso e rappresentato dall'avv. (Omissis) (Omissis) convenuto iscritta al (Omissis) Ragioni di fatto e di diritto della decisione Osservato che il novellato art. 132 c.p.c. esonera oramai dall'esposizione del tradizionale "svolgimento del processo", essendo sufficiente, ai fini dell'apparato giustificativo della decisione, "la concisa esposizione della ragioni di fatto e di diritto della decisione"; ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr., da ultimo, Cass. 3636/07), la cui ammissibilità - così come quella delle forme di motivazione c.d. indiretta - risulta oramai definitivamente codificata dall'art.16 del D.Lgs. 5/03, recettivo degli orientamenti giurisprudenziali ricordati; osservato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare "concisamente" la sentenza secondo i dettami di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni - di fatto e di diritto - "rilevanti ai fini della decisione" concretamente adottata (La conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132 n. 4 c.p.c., e l'osservanza degli art. 115 e 116, c.p.c., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell'esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in

diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo seguito); che, in effetti, le restanti questioni non trattate non andranno necessariamente ritenute come "omesse" (per l'effetto dell'error in procedendo), ben potendo esse risultare semplicemente assorbite ovvero superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudicante; richiamato, quindi, il contenuto della citazione volta ad ottenere la declaratoria di nullità delle clausole relative agli interessi ultralegali (fissati al 4,75%) e di mora (tasso contrattuale + 2%) pattuiti in seno al mutuo ipotecario stipulato tra la società attrice e la banca il 15.7.2009, per l'importo di Euro 440.000,00, con durata decennale e rate semestrali; osservato che l'attrice, con unico complesso motivo di diritto, assume la natura usuraria del cumulo degli interessi predetti, la cui sommatoria determinerebbe il superamento del c.d. tasso-soglia ex lege 108/96, per l'effetto della non debenza di alcun interesse ex art. 1815, c. II, c. civ. e, a cascata, dell'obbligo della banca di restituire ex art. 2033 c. civ. quelli riscossi in misura di Euro 37.886,31; richiamato il contenuto confutativo della comparsa di risposta della banca; osservato che - dopo le note conclusive autorizzate - la causa è stata assegnata in decisione sulla questione di diritto che precede, senza dare corso alla c.t.u. contabile richiesta dall'attrice, sulla premessa della maturità della lite; tanto premesso, si osserva quanto segue: - è pacifico che l'interesse ultralegale pattuito dalle parti alla data del 15.7.2009 fosse rispettoso, in sé considerato, del c.d. tasso soglia; - parimenti indubbio sarebbe il superamento di tale soglia ove si dovesse procedere, come ritiene l'attrice, al cumulo degli interessi corrispettivi con quelli moratori (+2%). Ciò detto, la "quaestio iuris" che viene in esame è, dunque, quella della rilevanza del cumulo degli interessi corrispettivi ultralegali e moratori ai fini del rispetto del tasso-soglia. Sul punto si registra il recente intervento del Giudice di legittimità che, senza ulteriori approfondimenti (salvo il richiamo a Corte Cost. 25.2.2002 n. 29 e Cass. n. 5324/03), ha statuito che: i) gli interessi moratori debbano rispettare essi stessi il c.d. tasso soglia ex lege 108/96; ii) essi vanno cumulati a quelli convenzionali in ragione dell'art. 644, c. 3, c.p. e dell'art. 1815, c. 2, c. civ. per i quali rilevano gli interessi corrisposti" a qualunque titolo"; rilevato, tuttavia, pur nel doveroso rispetto dell'autorevole arresto menzionato, come la questione risulti più complessa e, perciò, bisognosa di articolata ricostruzione. Mentre, difatti, può darsi per assodato l'assoggettamento "anche" degli interessi di mora alla disciplina imperativa in tema di

usura, non altrettanto può ripetersi per l'ipotesi del loro cumulo con quelli corrispettivi; si osserva, al riguardo, che tale esito (ciò è a dire l'assogettamento alla disciplina cogente sull'usura del cumulo degli interessi corrispettivi e moratori) in tanto potrebbe essere condivisa in quanto fosse dimostrata, in coerenza con la ratio legis, l'identità ontologica e funzionale delle due categorie di interessi. Orbene, la conclusione cui perviene il Supremo Collegio, a sommesso avviso dello scrivente, non pare conciliabile con il dato normativo emergente dagli artt. 644 e 1815 cit. Ciò perché, al di là di ogni ragionevole dubbio, le norme menzionate - insuscettibili di interpretazione analogica (non sfugge come l'art. 644 c.p. operi, a tutti gli effetti, come norma penale in bianco, soggetta, come tale, ai rigori esegetici del combinato disposto degli artt. 14 delle preleggi e 1 c.p.) - fanno chiaro riferimento alle prestazioni di natura "corrispettiva" gravanti sul mutuatario (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse), tali intendendosi in dottrina quelle legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale. Restano, così, escluse le prestazioni accidentali (e perciò meramente eventuali (quand'anche predeterminate convenzionalmente nelle forme del saggio di mora o, come pure potrebbe accadere, attraverso idonea clausola penale) sinallagmaticamente riconducibili al futuro inadempimento e destinate, in quanto tali, ad assolvere, in chiave punitiva (come è fatto chiaro, tra l'altro, dall'art. 1224 c.civ. proprio in tema di interessi di mora, lì dove li introduce coattivamente, in misura pari al saggio legale, anche laddove l'obbligazione pecuniaria originaria non li avesse previsti), alla diversa funzione di moral suasion finalizzata alla compiuta realizzazione di quel "rite adimpletum contractum" costituente, secondo i principi, l'interesse fondamentale protetto (art. 1455 c.civ.); quanto testé rilevato consente, quindi, di affermare la conformità a diritto dell'indicazione metodologica seguita dalla Banca d'italia la quale, nelle proprie Istruzioni destinate a rilevare il T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio) ai fini dell'art. 2 della L. 108/96, dispone espressamente quanto segue (così, ad es., la Comunicazione del 3.7.2013): "4. ITEG medi rilevati dalla Banca d'italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all'erogazione del credito (n.d.e.: enfasi dell'estensore). Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell'erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L'esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l'inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. L'esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell'economia e delle Finanze i quali specificano che "i tassi effettivi globali medi (...) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento".

osservato, ancora, che la Banca d'italia, in conformità all'orientamento dominante, non omette affatto di considerare (vien fatto di dire prudenzialmente) gli interessi di mora ai fini della L. 108/96, salvo disaggregarne opportunamente il dato rispetto a quello derivante dall'ordinaria rilevazione del TEGM. Così, ancora, la citata Comunicazione del 3.7.2013: "In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un'indagine per cui "la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali". In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d'italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo (cfr. paragrafo 1)." da quanto sopra deriva, pertanto, l'irrilevanza giuridica del cumulo delle due voci di interesse menzionate ai fini della disciplina in esame, non solo per la ricordata eterogeneità teleologica (id est, finalità negoziale) puntualmente confermata dagli artt. 644 c.p. e 1815 c.civ., ma anche in ossequio al principio di civiltà giuridica del "nullum crimen sine lege" (art. 1 c.p.). Occorre, difatti, ricordare come, in tema di usura, l'art. 3, comma 2, del Decreto del Ministero dell'economia e delle Finanze recepisca pedissequamente le rilevazioni di Banca d'italia ("le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all'art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura emanate dalla Banca d'italia"). Premessa, invero, l'identità ontologica dell'usura penale e civile, la tesi del "cumulo" condurrebbe all'abnorme risultato di configurare il reato corrispondente in difetto di norma incriminatrice. Non può sfuggire, invero, il rinvio "alla legge" che il comma terzo dell'art. 644 c.p. effettua ai fini della determinazione del tasso usurario, legge qui del tutto assente. Tanto basta, in definitiva, ad escludere la responsabilità penale degli operatori che, facendo legittimo affidamento sulla liceità dei decreti ministeriali via via emanati sul punto, rispettino il tasso-soglia disaggregato, e ciò non già - si badi - per banale carenza dell'elemento soggettivo della fattispecie penalmente rilevante bensì per carenza, in radice, dello stesso elemento oggettivo del reato. La tesi "all inclusive" su cui poggia la domanda attorea appare, inoltre, frutto di un'interpretazione "monca" dell'art. 2, c. I, della L. 108/96 lì dove sottintende (in una con parte della giurisprudenza di merito che ha affrontato il tema con riferimento alle c.m.s.) il conflitto del modus operandi della Banca d'italia con la legge cit. Si dimentica, difatti, di evidenziare come proprio l'art. 2 L. cit. statuisca che le rilevazioni trimestrali del tasso effettivo globale medio, improntate al principio di omnicomprensività di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese (escluse quelle per imposte e tasse), debbano comunque avvenire nell'ambito di "operazioni della stessa natura". Ecco spiegato, dunque, il motivo per cui a ragion veduta, come dà conto puntualmente con la citata Comunicazione del 3.7.2013, BankItalia non ha inteso annoverare direttamente gli interessi moratori nel saggio del T.E.G.M., facendole invece oggetto di autonoma rilevazione finalizzata all'enucleazione di una specifica soglia usuraria ad hoc, evitando di omogeneizzare categorie di interessi pecuniari finanziariamente eterogenei, il tutto paradossalmente in danno dei clienti delle banche. In ultima, poi, la tesi cui perviene la Suprema Corte con la sentenza ricordata presta il fianco alla censura di irrazionalità. Non pare invero corretto sindacare il rispetto del tasso-soglia "legale"

mediante la comparazione del "tasso creativo" derivante dall'aggregazione giurisprudenziale criticata con un T.E.G.M. che, a torto o a ragione, "programmaticamente" non contempla gli interessi moratori se non nella cennata forma disaggregata. Non è chi non veda, allora, come il superamento del tasso-soglia così "generato" sia, né più né meno, che il precipitato di una comparazione artificiosa di dati del tutto disomogenei. Ove, difatti, si volesse condividere la ricostruzione "in diritto" propugnata dalla difesa attorea, occorrerebbe necessariamente discostarsi dalle rilevazioni del TEGM di cui ai decreti ministeriali, rivedendolo "in aumento" attraverso poderosa CTU destinata ad accertare il valore aggiuntivo medio nazionale dei saggi di mora. Solo in esito a tale enorme sforzo gnoseologico sarebbe, quindi, possibile comparare i "numeri" così ottenuti con i tassi "all inclusive" asseritamente predicati dall'art. 644 c.p. La domanda va, dunque, respinta. Equa appare l'integrale compensazione delle spese di lite in ragione del contrasto giurisprudenziale e della novità della questione. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa e respinta, rigetta la domanda e compensa le spese di lite. Così deciso in Verona, il 30 aprile 2014. Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2014.