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Transcript:

1 La seconda grande opera di Kant concerne non il conoscere scientifico dell uomo, ma il suo agire pratico. Nella Critica della ragion pratica Kant parte da questa convinzione: esiste una legge etica assoluta. Su cosa si basa tale convinzione? Kant ritiene che o la morale è una chimera, un illusione, e l uomo agisce in virtù delle sole inclinazioni naturali (gli istinti), oppure, se la legge morale esiste, allora essa è per forza incondizionata. Si tratta, cioè, di una ragione pratica pura, dove pura significa: capace di svincolarsi dalle inclinazioni dettate dall istinto. L incondizionatezza della legge morale implica l esistenza della libertà. La libertà diventa così il primo presupposto, o postulato, della vita etica. Tale legge sarà anche universale cioè valida per tutti, in ogni tempo e luogo e necessaria: non potrebbe essere diversa da com è!

Per Kant la morale è sciolta dai condizionamenti istintuali non nel senso che può completamente prescindere da essi, ma perché è in grado di decondizionarsi rispetto ad essi. Se l uomo fosse solo sensibilità cioè se fosse esclusivamente guidato dagli istinti o se fosse solo ragione cioè se non avesse affatto istinti sensibili allora la morale non avrebbe senso. Nell un caso, come nell altro, egli non sarebbe libero, non avrebbe scelta alcuna nel suo agire. L uomo però vive nella perenne tensione fra istinto e ragione e in lui si manifesta una continua lotta fra impulsi egoistici, istintuali, e ragione. La legge morale dice il dovere, dice ciò che è giusto che sia: l uomo può decidere di agire in obbedienza ad essa oppure contro di essa.

- Kant distingue i principi pratici che regolano la nostra condotta in MASSIME e IMPERATIVI. La massima è una prescrizione di valore puramente soggettivo (esempio: alzarsi presto al mattino per fare ginnastica ). L imperativo, invece, è una prescrizione con valore oggettivo e universale. Gli imperativi si scindono in due tipologie: IMPERATIVI IPOTETICI e IMPERATIVI CATEGORICI. Gli imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi in vista di fini ipoteticamente accettati ed hanno la forma del se devi. Esempi: Se vuoi essere una persona colta allora DEVI studiare! Se vuoi andare in vacanza allora DEVI lavorare!

Né le massime né gli imperativi ipotetici costituiscono la legge morale. Essi, infatti, sono legati a interessi particolari, specifici, e non hanno i caratteri dell incondizionatezza e dell universalità. Consideriamo i la massima alzarsi presto al mattino per fare ginnastica. Ciascuno di noi può decidere di seguirla, inoltre si tratta certo di una cosa utile. Ma non definiremmo immorale qualcuno che si comporta diversamente! Consideriamo ora l imperativo ipotetico se vuoi essere una persona colta allora devi studiare!. Certo, è vero che se io desiderio essere colto allora lo studio diventa mio preciso dovere... Però il fatto di impegnarsi nello studio, se ci pensiamo, non è affatto un dovere incondizionato e universale. È immorale la persona che, decidendo di non studiare, rinuncia alla cultura? Chiaramente no.

Gli imperativi categorici sono gli unici universali e, per questo, solo essi hanno il carattere della moralità. Ma cosa comandano gli imperativi categorici? Kant risponde che la ragione morale comanda se stessa, cioè l esigenza dell universalità. Egli presenta tre formulazioni interconnesse dell imperativo categorico, che è a tutti gli effetti unico. 1. Opera sempre in modo che la massima della tua azione possa sempre valere come principio di una legislazione universale. 2. Agisci in modo da trattare l umanità umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altra, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo. 3. Agisci in modo che la volontà, in virtù della sua massima, possa 3. Agisci in modo che la volontà, in virtù della sua massima, possa considerare se stessa come universalmente legislatrice.

1. Opera sempre in modo che la massima della tua azione possa sempre valere come principio di una legislazione universale. In parole povere: Qualunque cosa tu faccia, tieni presente anche le esigenze degli altri. Comportati in modo tale che, se tutti agissero esattamente come fai tu, nessuno avrebbe a soffrirne ingiustamente. Esempio: Mentire, in generale, è immorale: perché? Perché se tutti mentissero i rapporti umani, e quindi la costituzione della società, sarebbero impossibili. 2. Agisci in modo da trattare l umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altra, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo. In parole povere: Rispetta la dignità ità delle persone. Non trattare tt mai un altro individuo solo come un mezzo, uno strumento, per ottenere qualcos altro! 3. Agisci in modo che la volontà, in virtù della sua massima, possa considerare se stessa come universalmente legislatrice. Questa formulazione ripete e precisa la prima.

L etica kantiana è stata definita formale: questo significa che essa non ci dice che cosa dobbiamo fare, ma in che modo dobbiamo fare tutto ciò che decidiamo di fare. Questo perché Kant ritiene che, se la legge morale dicesse di fare delle cose ben precise e determinate, allora risulterebbe legata ad esse, perdendo la libertà e l universalità. L imperativo etico non può essere costituito da una casistica di precetti, ma tocca ad ognuno, a seconda della situazione specifica, di tradurre in pratica la legge stessa. L imperativo etico è caratterizzato anche dal fatto di essere completamente disinteressato. Se la legge morale ordinasse in vista di un fine o di un utile si limiterebbe ad una serie di imperativi ipotetici e comprometterebbe, in primo luogo, la propria libertà, in quanto non sarebbe più la volontà a dar legge a se medesima, ma gli oggetti a dar legge alla volontà, compromettendo così anche la sua incondizionatezza.

Il cuore della moralità kantiana consiste invece nel dovere-per-il-dovere. Secondo la Critica della ragion pratica noi non dobbiamo agire, per esempio, in vista della felicità, ma solo per il dovere. Da ciò il rigorismo kantiano, che esclude dal dominio dell etica emozioni e sentimenti, che sviano la morale oppure, quando collaborano con essa, ne inquinano la purezza. Nell etica di Kant il rispetto per la legge è l unico sentimento ammesso. Per Kant, poi, non basta che un azione sia fatta esteriormente secondo la legge, ovvero in modo conforme ad essa. La morale implica una partecipazione interiore, altrimenti rischia di scadere in atti di legalità ipocrita oppure in forme più o meno mascherate di autocompiacimento. Non è morale ciò che si fa, ma l intenzione con cui lo si fa.

Nulla di esterno o di interno deve costringere l uomo al rispetto della legge morale: così essa perderebbe di senso. Non si può neppure far poggiare la legge morale su Dio, dicendo che occorre sottomettersi alla volontà divina a noi rivelata: anche questo minerebbe l incondizionatezza della morale e la libertà dell uomo uomo. La morale si base solo e soltanto su se stessa, ovvero sull uomo e sulla sua dignità di essere razionale finito.

DIALETTICA Nella Critica della ragione pratica, in particolare nella Dialettica, Kant prende in considerazione quello che chiama SOMMO BENE. Abbiamo detto che per Kant la felicità non può essere il movente del dovere, della legge morale, pure è insito in noi il bisogno di pensare che l uomo che agisce secondo morale possa essere anche felice. Kant ritiene che, in questa nostra vita, dovere e felicità non possano essere davvero congiunti: troppi sono gli esempi contrari! Lo sforzo di essere virtuosi i e l inseguimento i della propria felicità ità sono azioni i spesso, anzi, per lo più opposte! Virtù e felicità costituiscono quindi la cosiddetta ANTINOMIA ETICA. Se ne esce solo postulando un al di là nel quale ciò che in questa vita terrena non accade possa realizzarsi! Questo presuppone altri due postulati: l immortalità dell anima e l esistenza di Dio. Non dimentichiamo anche il postulato già citato in precedenza: la libertà!

DIALETTICA Kant usa il termine postulato, traendolo dalla matematica classica: mentre gli assiomi sono affermazioni autoevidenti, i postulati sono princìpi non dimostrabili, ma che vengono accolti per rendere possibili determinate entità o verità geometriche. La teoria dei postulati mette a capo a ciò che Kant definisce PRIMATO DELLA RAGIONE PRATICA, consistente nella prevalenza dell interesse pratico su quello teoretico, nel senso che la ragione ammette, in quanto pratica, proposizioni che non potrebbe ammettere nel suo uso teoretico. Tuttavia, pur aprendo uno squarcio sul metafisico, i postulati kantiani non possono valere come conoscenze. Se i postulati fossero dimostrati, inoltre, la morale scivolerebbe immediatamente nell eteronomiaeteronomia e sarebbe di nuovo la religione a fondare la morale. Kant invece sostiene che sono le verità morali, seppure sotto forma di postulati, a fondare quelle della religione. Dio non sta all inizio della vita morale, ma semmai alla fine, come suo possibile completamento.