PER UNA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ



Documenti analoghi
Lavorare in gruppo. Corso di formazione per i dipendenti dell Università di Palermo

UN GRUPPO DI LAVORO EVOLVE

Che volontari cerchiamo? Daniela Caretto Lecce, aprile

L uso e il significato delle regole (gruppo A)

IL MANAGER COACH: MODA O REQUISITO DI EFFICACIA. Nelle organizzazioni la gestione e lo sviluppo dei collaboratori hanno una importanza fondamentale.

Psicologia dell orientamento scolastico e professionale. Indice

QUESTIONARIO 3: MATURITA ORGANIZZATIVA

La mediazione sociale di comunità

GRUPPI DI INCONTRO per GENITORI

RUOLO CENTRALE DEL DS NELL ACCOGLIENZA DEGLI ALUNNI DISABILI COME SENSIBILIZZARE E RESPONSABILIZZARE I DIRIGENTI

LA SCUOLA DELL INFANZIA E LA SCUOLA DELL ACCOGLIENZA, DELLA RELAZIONE, DELLA CURA

IL MARKETING E QUELLA FUNZIONE D IMPRESA CHE:

Questionario di interessi professionali Q.I.P.

Milano, 9 novembre Vincenzo Saturni

S i s t e m a d i v a l u t a z i o n e d e l l e p r e s t a z i o n i d e i d i p e n d e n t i

PROGETTO CITTADINANZA E COSTITUZIONE

Comune di San Martino Buon Albergo

PROGRAMMAZIONE E GESTIONE DI UN PROGETTO DI SERVIZIO SOCIALE

Sviluppo di comunità

Apertura dello Sportello C.I.C. Referente scolastica-counselor prof.ssa Gerardina Gonnella

CHI SIAMO. BeOn è una società di consulenza italiana ad alta specializzazione in ambito di valutazione, sviluppo e formazione delle risorse umane.

Corso di Valutazione Economica dei Progetti e dei Piani. Marta Berni AA

La ricerca empirica in educazione

Diventa fondamentale che si verifichi una vera e propria rivoluzione copernicana, al fine di porre al centro il cliente e la sua piena soddisfazione.

della manutenzione, includa i requisiti relativi ai sottosistemi strutturali all interno del loro contesto operativo.

Bandi 2015 ARTE E CULTURA. Protagonismo culturale dei cittadini.

CAPITOLO 11 Innovazione cam i amen o

Project Cycle Management La programmazione della fase di progettazione esecutiva. La condivisione dell idea progettuale.

J. Delors NELL EDUCAZIONE UN TESORO. Rapporto all UNESCO della Commissione Internazionale sull Educazione per il XXI secolo

MARKETING, COMUNICAZIONE, DEONTOLOGIA: il biglietto da visita del libero professionista

Rapporto dal Questionari Insegnanti

PROGETTO AFFETTIVITÀ secondaria di primo grado

L UOMO L ORGANIZZAZIONE

IL GRUPPO E I GRUPPI DI LAVORO

PROGETTO ACCOGLIENZA Classi prime Anno scolastico 2012/2013

LE STRATEGIE DI COPING

Appendice III. Competenza e definizione della competenza

PROGETTO DI FORMAZIONE PER COMPRENDERE, SPERIMENTARE E FAR PROPRIO IL METODO

MANUALE DELLA QUALITÀ Pag. 1 di 6

Città di Montalto Uffugo (Provincia di Cosenza) SISTEMA DI MISURAZIONE E VALUTAZIONE DELLA PERFORMANCE

ATTO D INDIRIZZO DEL DIRIGENTE SCOLASTICO PER LA PREDISPOSIZIONE DEL PIANO TRIENNALE DELL OFFERTA FORMATIVA

La Leadership efficace

La famiglia davanti all autismo

I MOMENTI DI CURA: SOLO SODDISFAZIONE DI BISOGNI DI ACCUDIMENTO FISICO?

PROGETTO di INSERIMENTO e ACCOGLIENZA

Processi di comunicazione scuola-famiglia

dott.ssa Sofia Conterno

Famiglie e welfare comunitario. Stefania Mazza 11 febbraio 2015

A.I.N.I. Associazione Imprenditoriale della Nazionalità Italiana Udruga Poduzetnika Talijanske Narodnosti

Strategia della Fondazione svizzera per la promozione dell allattamento al seno

Ruolo e attività del punto nuova impresa

Lavorare in Rete. a cura di Nunzia Coppedé. Nulla su di Noi senza di Noi. Formazione EmpowerNet

SCHEDA DI PROGETTO. Regione..

ASSE STORICO SOCIALE

A cura di Roberta Ferdenzi, componente del Coordinamento pedagogico provinciale di Piacenza

COACHING. Bocconi Alumni Association. Presentazione

Lezione n 2 L educazione come atto ermeneutico (2)

L ALTRA PA. STRATEGIE DI INNOVAZIONE PER LA QUALITA NELL ENTE LOCALE

IL LAVORO D EQUIPE TRA LAVORO DI RETE E RETE SOCIALE

Accogliere e trattenere i volontari in associazione. Daniela Caretto Lecce, aprile

LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI NELLA PRESA IN CARICO DELLE FRAGILITA

Auto Mutuo Aiuto Lavoro

Il disagio educativo dei docenti di fronte al disagio scolastico degli alunni Appunti Pierpaolo Triani (Università Cattolica del Sacro Cuore) Milano

CITTADINANZA ATTIVA. modo multiforme, di mobilitare risorse. modalità e strategie differenziate per. tutelare diritti, esercitando poteri e

come nasce una ricerca

ORIENTARE = EDUCARE ALLE SCELTE

Manifesto IFLA Per la Biblioteca Multiculturale

M U L T I F A M I L Y O F F I C E

Benessere Organizzativo Interventi di promozione della salute e del benessere psicofisico nelle organizzazioni

Andrea Petromilli Ordine degli Psicologi del Veneto.

PARTIAMO DA ALCUNE DOMANDE

IL CICLO DI VITA DEL PROGETTO. Elementi essenziali di progetto. Fasi e tappe Gli Approcci

FINALITA DELLA SCUOLA DELL INFANZIA

CRISI DEL LAVORO LAVORATORI IN CRISI. La psicologia per il benessere delle Persone e delle Organizzazioni

Sostegno e Accompagnamento Educativo

Dall ascolto organizzativo alla motivazione professionale: L Audit organizzativo

TOLLO CH -VIA CAVOUR N.2

Piani integrati per lo sviluppo locale. Progetti di marketing territoriale. Progettazione e start-up di Sistemi Turistici Locali

Women In Development UN MODELLO EUROPEO PER LO SVILUPPO LOCALE GENDER ORIENTED PIANO DI COMUNICAZIONE

Istituto Comprensivo Cepagatti anno scolastico

SERVIZIO DI FORMAZIONE ALL AUTONOMIA PROGETTO INTEGRAZIONE SOCIALI DISABILI. i.so.di. CARTA DEI SERVIZI

03. Il Modello Gestionale per Processi

Il gruppo nella ricerca-azione. azione. Cantù, 24 maggio 2011

Vuole rappresentare un punto di riferimento affidabile in quei delicati momenti di cambiamento e di sviluppo del nuovo.

Nota interpretativa. La definizione delle imprese di dimensione minori ai fini dell applicazione dei principi di revisione internazionali

Salute in tutte le politiche. Carlo Favaretti Università Cattolica del Sacro Cuore

AUDIT. 2. Processo di valutazione

Gestione della politica monetaria: strumenti e obiettivi corso PAS. Mishkin, Eakins, Istituzioni e mercati finanziari, 3/ed.

A cura di Giorgio Sordelli

COMUNE DI PERUGIA AREA DEL PERSONALE DEL COMPARTO DELLE POSIZIONI ORGANIZZATIVE E DELLE ALTE PROFESSIONALITA

Modulo: Scarsità e scelta

La repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.

Attività destinata a raccogliere e a catalogare documenti con l'obiettivo di farli conoscere e diffonderli.

L OSS NEL SERVIZIO DI INTEGRAZIONE SCOLASTICA. L integrazione dell alunno con disabilità: l operatore socio sanitario

TECNOLOGIA SCUOLA PRIMARIA

L esperienza dell Università di Bologna

Piano delle Performance

Agenzia Regionale di Protezione Civile &!!

Centro Polifunzionale di Gavirate. Centro di Accoglienza di Cittiglio. Fondazione FELICITA MORANDI. Associazione IL PASSO onlus

Fattorie Didattiche, processi di costruzione delle qualità e sistemi di indicatori. Giovanni Borgarello Consorzio Pracatinat

Transcript:

Psicologia in azione PER UNA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ Gioacchino Lavanco, Monica Mandalà PREMESSA La psicologia di comunità si sviluppa in Italia intorno agli anni Settanta del secolo scorso, come disciplina di lavoro nel e per il sociale che trova la sua massima applicazione nei contesti socio-educativi e formativi in cui la partecipazione, intesa come il risultato dell integrazione tra forze individuali e sociali, assume una connotazione fondante il cambiamento. L attenzione ai processi partecipativi mette in risalto aspetti della vita sociale legati all azione e all empowerment organizzativo, che si attivano in presenza di un soggetto occupato a fare un bilancio delle proprie competenze, motivazioni, desideri e aspirazioni per progettare e progettar-si il proprio e l altrui cambiamento (Lavanco e Novara, 2002). Tutto questo avviene attraverso un continuo rimando alla complessità che contraddistingue l interazione individuo-ambiente, ovvero, attraverso l integrazione di forze con cui l individuo agisce attivamente, non collocandosi in maniera passiva nel proprio contesto di vita, ma trasformandolo per garantire la propria sopravvivenza. Concetti come empowerment e azione sociale confluiscono in maniera del tutto naturale verso una dimensione gruppale in cui l individuo si inserisce e agisce in modo attivo; con essa si confronta e in essa si esprime, trovando conferme, riconoscimenti e rappresentazioni che costituiscono l esperienza della partecipazione. Il gruppo, dunque, è una risorsa per il singolo e la comunità. L individuo trova nel gruppo il suo essere sociale, in cui si articolano e si dispiegano i processi psicologici della crescita, dell espressione delle emozioni e dei vissuti, nonché i fondamenti delle norme che regolano la vita sociale dello stesso. Il gruppo determina la comunità, perché è con esso che si attivano i processi di socializzazione e di costruzione della partecipazione, intesa come valore per garantire la convivenza civile. La psicologia di comunità, in questo senso, si rivolge a una prospettiva multilivello, caratterizzata dalla co-presenza di un versante individuale e di uno collettivo che si completano attraverso la dimensione comunitaria. Le persone vengono considerate nel loro contesto di vita, in quello spazio che Lewin (1951; trad. ital.

2 Psicologia in azione 1972) indica come il migliore per poter costantemente ridefinir-si, ai fini di un cambiamento orientato a migliorare la qualità della vita e al contempo il benessere della comunità di appartenenza. A tal proposito: Adottare una prospettiva di psicologia di comunità significa mettere a confronto i risultati con il clima culturale, politico, economico dominante in un dato periodo storico; significa pure affrontare i problemi etici e di valori: viene privilegiato un atteggiamento di impegno verso il cambiamento sociale, lo sviluppo delle competenze del soggetto e la promozione delle diversità culturali. L accento non è posto solo sull individuo né sulle strutture sociali, ma sull interazione tra diversi livelli: individui, gruppi, sistemi, reti di sistemi (Lavanco e Novara, 2002, p. 5). L approccio della psicologia di comunità ai problemi umani e sociali è finalizzato all attivazione delle competenze dei soggetti visti attraverso un ottica individuale e collettiva. Sono gli anni Settanta che segnano la fine di una fase eccessivamente pragmatica della stessa disciplina, che invece, intorno agli anni Novanta, si riscopre, oltre che ancorata a un pragmatismo di stampo americano, anche all interno di una rete europea garante di un processo di costruzione dell identità e dell autonomia della psicologia di comunità, che matura in quegli anni nuove esperienze teoriche e politiche (Amerio, 2000). L oggetto psicologico della psicologia di comunità, a differenza di quanto accade nelle altre discipline, non è facilmente comprensibile, per il suo essere concettualmente complesso. Comunità, infatti, non è riconducibile e riducibile al significato semantico del termine, piuttosto esprime un modello multidimensionale dell esistenza che si esplica attraverso l azione simultanea di una dimensione individuale e di una sociale, che accoglie al suo interno gli aspetti micro e macro della vita relazionale. Dunque, la coppia, la famiglia, il gruppo, la rete e, al contempo, il sistema culturale, valoriale, normativo e politico. PROMUOVERE IL CAPITALE SOCIALE La letteratura teorica sul capitale sociale presenta tale concetto come un fenomeno interdisciplinare e multidimensionale definito da tre fattori: 1. la fiducia nelle persone e nelle norme che regolano la convivenza; 2. le relazioni sociali; 3. le strutture istituzionali formali. Mentre le prime due dimensioni guardano alla quantità e alla qualità della società civile, definendo il capitale sociale civile, la terza dimensione si riferisce alla qualità del contesto politico-istituzionale e definisce il capitale sociale governativo. Gli studi che rivalutano il punto di vista sociale di tale concetto si riconducono al primo fattore sopra elencato, e comprendono le teorie sul senso di comunità, sulla coesione e il supporto sociale, e sulle reti di relazioni. In sintesi, l aspetto innovativo delle teorie contemporanee sul capitale sociale consiste nell operare una netta separazione tra sfera sociale e sfera economica.

Per una psicologia di comunità 3 Oggi, il capitale sociale è diventato uno dei concetti più diffusi, nonché tema di grande attualità delle scienze sociali, benché abbia una lunga storia e derivi da elaborazioni teoriche inizialmente a opera di sociologi, per rendere più chiaro il funzionamento del mercato del lavoro e le forme di organizzazione dell economia (Bagnasco, 2001). A tal proposito, Mark Granovetter (1985) ha dimostrato come le reti sociali abbiano una rilevanza importante nel determinare il funzionamento del mercato del lavoro e delle forme di organizzazione produttiva. Lo studio di Granovetter prende spunto dalle reti di relazione che legano gli imprenditori, e, in particolare, egli sottolinea come queste reti offrano la possibilità di affrontare le situazioni di mercato più difficili e rischiose, proprio perché fondate sul principio della fiducia reciproca dei membri che le compongono. Le origini del capitale sociale si riscontrano, quindi, in ambito economico, nel tentativo di mettere in evidenza come i fenomeni sociali possano influenzare il funzionamento dell economia globale. Ciò significa che ogni scelta economica non è esclusivamente influenzata dalla presenza di risorse economiche, ma che su di essa agiscono forze sociali, e in particolare le reti di relazioni. L incessante interesse verso il sociale in quanto catalizzatore dei processi economici si è concretizzato attraverso il metodo della netwok analysis, che permette di leggere la rete utilizzando tecniche di rilevazione e di elaborazione dei dati. L analisi della rete si effettua facendo una mappatura delle sue dimensioni, del tipo di legami, della loro forza e direzione, delle risorse, della disponibilità al sostegno, operando una valutazione complessiva delle relazioni che formano la rete stessa. Grazie all analisi emergente e alle informazioni raccolte è così possibile controllare più da vicino l evolversi di determinati fenomeni (si pensi agli investimenti economici di mercato). Tuttavia, l applicabilità di tale fenomeno trova la sua massima esplicazione in ambito politico, e in particolare, si evince un ampia riflessione sul tema nell opera del politologo Robert Putnam (1993), secondo il quale l orientamento delle persone verso la politica è dato da un interesse individuale connesso a una concezione del bene comune. Questa teorizzazione si avvicina molto all idea di capitale sociale proposta da Coleman (1990), il quale sostiene che una delle caratteristiche fondamentali di tale fenomeno consiste nel possedere la natura di bene pubblico: a differenza del capitale privato il capitale sociale non è una proprietà privata di qualcuna delle persone che ne traggono vantaggi (ivi). Il beneficio che si trae dal capitale sociale non è appannaggio soltanto di coloro che hanno faticato per crearlo, ma di tutti gli individui appartenenti alla stessa comunità, indipendentemente dalla loro partecipazione. Il capitale sociale è situazionale; Coleman (1994), a tal proposito, scrive: social capital is not completely fungible, but is fungible with respect to specific activities (ivi). Il capitale sociale assume così forme differenti, ciascuna delle quali è produttiva rispetto a uno specifico scopo. Inoltre, è un processo dinamico perché basato sul-

4 Psicologia in azione l agire degli individui responsabili del suo mantenimento. A dimostrazione di ciò, se un individuo abbandona un organizzazione indebolisce la rete presente al suo interno, rompendo i legami necessari per il raggiungimento del benessere collettivo; dunque, il capitale sociale può essere creato e distrutto dagli stessi attori e fruitori della rete, e possedere un aspetto pluralistico e multirappresentato dalle differenti forme che esso assume come espressione del suo essere un concetto situazionale e dinamico. Da un punto di vista individualistico il capitale sociale deve essere inteso come l insieme delle risorse materiali e simboliche, di cui l individuo si appropria attraverso la sua rete di relazioni dirette e indirette, per conseguire i suoi scopi. Allo stesso modo, intendere il capitale sociale come risorsa collettiva significa, secondo le indicazioni di Coleman (1990), che i benefici di una determinata forma di capitale sociale appartengono solo agli individui che compongono una struttura o una organizzazione, cioè a un gruppo in cui gli individui sono legati da reciproca interdipendenza per mezzo di una rete di rapporti multipli. Le reti hanno funzione di sostegno sia per gli individui sia per la collettività, ma bisogna guardare a due costanti: il rapporto tra livello di coesione/interdipendenza dei legami e conseguente supporto espresso dalla rete (per cui più è fitta la rete maggiore è il beneficio che gli individui ne traggono), e il rapporto tra livello di coesione/interdipendenza dei legami e richiesta di conformismo da parte dei membri della rete (per cui, quando la condivisione dei valori e delle esperienze è molto forte, si può attivare una forma di resistenza al cambiamento). A tal proposito Granovetter (1974), nei suoi studi, mette in evidenza il giovamento che si ottiene nella mobilità occupazionale qualora si mantengano legami deboli; gli individui che cambiano lavoro si giovano delle informazioni ottenute accidentalmente sul posto di lavoro e da colleghi di lavoro, proprio perché questi ultimi, a differenza dei familiari e degli amici stretti, si muovono in contesti diversi dai propri, veicolando nuove informazioni sulle crescenti opportunità di lavoro. Capitale e social network sono strettamente collegati; ma mentre le reti, a seguito delle loro caratteristiche strutturali e morfologiche, possono costituire risorse e vincoli per l azione, il capitale sociale costituisce sempre un beneficio; esso è incorporato nelle reti ma non si identifica con esse (Piselli, 2001). La sintesi delle teorie sul capitale sociale raggruppa l ampia ed eterogenea letteratura concettuale in tre dimensioni tra loro complementari: secondo il punto di vista più diffuso, come già detto, il capitale sociale consiste di rapporti sociali; il capitale sociale è fondato sulla fiducia generalizzata; e, infine, il fondamento della teoria del capitale sociale: esso è composto da istituzioni formali e informali. Il primo punto, già ampiamente discusso, si accosta alla definizione di comunità proposta da Cooley (1909): una rete di relazioni che si strutturano come un campo dinamico di forze e contro-forze presenti in uno spazio, che innanzitutto è mentale, oltre che territoriale, e a cui individui e gruppi sentono di appartenere, intrattenendo tra loro rapporti di mutuo scambio. La seconda dimensione è quella su cui si focalizzerà questo paragrafo, e che si traduce in una revisione teorica dei contributi di Putnam (1993) e di Fukuyama (1995; 2000). Nel pensiero di Putnam il capitale sociale si raffigura come

Per una psicologia di comunità 5 la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l efficienza dell organizzazione sociale promuovendo iniziative di comune accordo (Putnam, 1993). A ben vedere, elementi intangibili come la fiducia e le norme che regolano la vita sociale sono momenti imprescindibili della vita comunitaria, in cui i legami tra gli individui sono sanciti dal rispetto reciproco e dal comune accordo. I frequenti mutamenti sociali e legislativi stimolano sempre più l emergere di forme di convivenza strutturate sulla valorizzazione delle risorse individuali, gruppali e di comunità (Lavanco e Novara, 2002). Questo tipo di emergenza si traduce, come scrivono Carli e Paniccia (1999), in una competenza a convivere, che organizza relazioni definite adeguate a contenere la distruttività, e che produce regole sociali. Convivenza e senso di appartenenza, dunque, richiamano l idea di capitale sociale così come è inteso dal sociologo americano, nel senso di bene pubblico che si elargisce attraverso la fiducia reciproca tra le persone. Continua Putnam: la maggior parte dei capitali sociali sono risorse morali, ovvero risorse la cui fornitura aumenta invece che diminuire con l uso e che si esauriscono se non sono usate (Putnam, 1993). Sembrerebbe che il capitale sociale si autoproduca attraverso i legami che si instaurano tra le persone. È da intendersi come una sorta di auto-rinforzo che si riceve dallo stare insieme e nel trarre i benefici che questo tipo di relazione produce. In tal senso la comunità è il luogo in cui, parafrasando Putnam, le risorse morali trovano un loro fondamento e si stabilizzano, producendo forme di appartenenza intorno alle quali il soggetto organizza la propria azione. Nella comunità l azione, a sua volta, è fondata su quella che Weber (1922) definisce come comune appartenenza, soggettivamente sentita degli individui che a essa partecipano. Perché invece si possa produrre convivenza è necessario che le persone sentano di appartenere, nel senso di attribuire significato, a un contesto, pur nella sua multidimensionalità, stimolando forme di convivenza caratterizzate dalla valorizzazione dell unicità e della diversità degli individui, che emergono nonostante il loro stare insieme (Di Maria e Lavanco, 1996). La comunità, allora, è lo spazio in cui: si stabiliscono le regole che guidano i rapporti tra gli individui; si sperimenta sicurezza fisica, emotiva ed economica; si forma un sistema di simboli che comprende valori, credenze, usi, religione, miti e feste che rafforzano il senso di condivisione; si costituisce un senso di fiducia tra le persone, che generalmente stringono relazioni con chi credono condivida i loro stessi valori. Fukuyama (1995), facendo riferimento all ultimo punto in questione, definisce la fiducia come

6 Psicologia in azione l aspettativa, che nasce all interno di una comunità, di un comportamento prevedibile, corretto e cooperativo, basato su norme comunemente condivise, da parte dei suoi membri (ivi). Produrre capitale sociale significa, secondo il sociologo nippo-americano, fare proprie le norme sociali di una comunità e, nel suo ambito, l acquisizione di valori come la lealtà, l onesta e l affidabilità (Fukuyama, 1995). Tutti elementi, questi ultimi, che trovano fondamento nelle radici culturali di una comunità, costituite da quelle che Fukuyama chiama abitudini etiche ereditate, e che Weber (1922) definisce storia e tradizione di affetti comuni su cui si fonda l azione del soggetto in relazione a una appartenenza. Le abitudini etiche ereditate si trasmettono attraverso l azione spontanea e volontaria degli individui che convivono dentro una comunità. Il capitale sociale, secondo Fukuyama: è una norma sociale incastonata che promuove la cooperazione tra due o più individui. [ ] Le norme devono essere incastonate in relazioni umane attuali [ ]. Non ogni norma incastonata costituisce capitale sociale, esse devono condurre a cooperazione in gruppi e quindi devono essere correlate a virtù quali l onestà, l impegno, il dovere, la reciprocità (Fukuyama, 2000). Il capitale sociale produce, dunque, partecipazione nel senso di visibilità dell azione, quell azione correlata, secondo Fukuyama, al dovere, all impegno e alla reciprocità. In questo senso promuovere partecipazione significa prendere parte attivamente ai processi sociali che si evolvono nella comunità, prescindendo da una declinazione puramente individuale in favore di una che sia, invece, osservabile e socialmente visibile. Infatti, un azione non socialmente visibile non può essere intesa come partecipazione, fenomeno osservabile soltanto in una dimensione collettiva e pluralistica. Weber (1922), definendo la comunità, si sofferma sul concetto di azione sociale, intendendo questa come un espressione concretizzata dei soggetti umani; in quanto tale, essa va non solo spiegata ma compresa, per mettere in evidenza le intenzioni e le motivazioni che la muovono, nonché il senso che le attribuiscono i soggetti agenti. Quindi, agire significa scegliere e farsi portatori di processi decisionali che fanno dell individuo un soggetto attivo, capace di farsi promotore di se stesso. Partecipare, secondo questa ottica, vuol dire agire attivamente nel sociale, farsi carico della propria volontà di agire per produrre forme di capitale sociale. Le teorie di Putnam (1993) e Fukuyama (1995) tendono a considerare il capitale sociale come una particolare cultura che favorisce la cooperazione/partecipazione: e se da un lato questa concezione mette in risalto l imponenza storica di un gruppo o di una comunità, dall altro risulta riduttiva, poiché in tal modo si corre il rischio di semplificare la complessità di un fenomeno sociale, che ha trovato le sue origini in fattori economici e politici che lo hanno non solo generato, ma anche tramandato nel tempo.

Per una psicologia di comunità 7 Il capitale sociale inteso come relazioni sociali rimanda agli studi di Bourdie (1986) e di Coleman (1988). Il capitale sociale, per Bourdie, è semplicemente da intendersi da un punto di vista strumentale, come una risorsa legata al possesso di una rete di relazioni durevole nel tempo e fondata sulla reciproca conoscenza. Coleman afferma che il capitale sociale è definito dalla sua funzione e che, come le altre forme di capitale, il capitale sociale è produttivo, rendendo possibile l acquisizione di certi fini che altrimenti non sarebbero possibili. Come il capitale fisico e il capitale umano, il capitale sociale non è completamente fungibile [ ]. Diversamente da altre forme di capitale, il capitale sociale risiede nella struttura delle reti di relazione tra gli attori (Coleman, 1988). Il capitale sociale, secondo l autore, risiede nella struttura delle relazioni sociali tra due o più persone. Il concetto di rete di relazioni può essere considerato come un modo per definire la realtà delle persone: come sostiene Bourdie, è il significato che queste attribuiscono alle relazioni e al contesto in cui vivono e, viceversa, esso può definire il senso che le relazioni e i contesti attribuiscono alle persone che compongono la rete. La funzione che il capitale sociale assolve all interno di una rete è data dal valore di quegli aspetti della struttura sociale che per gli individui costituiscono risorse utilizzabili per raggiungere i propri interessi. Da un punto di vista individuale il capitale sociale è costituito da relazioni di fiducia e norme, e trova la sua forma concreta nel network di relazioni in cui gli individui sono inseriti. Ma, stando alle parole di Coleman (1988), il capitale sociale non è completamente fungibile, il capitale sociale è la forma meno tangibile di capitale, proprio perché, secondo l autore, esiste nelle relazioni tra le persone ; esso ha un carattere di bene pubblico, non è di proprietà delle persone che ne beneficiano, e può essere condizionato da alcuni fattori responsabili della sua creazione e della sua distruzione. Tra questi fattori elenchiamo: la chiusura del network di relazioni, che concerne la densità della rete e il fatto che gli attori sono tutti collegati tra loro. Da questo è possibile trarre il vantaggio della controllabilità e del monitoraggio reciproco tra i componenti, migliorando l affidabilità dell ambiente; la stabilità delle relazioni nel tempo. La mobilità degli individui tende a distruggere capitale sociale, perché rompe i legami all interno della rete; le uniche eccezioni sono le organizzazioni formali, dove le posizioni rimangono anche se gli individui cambiano; l ideologia, considerata un elemento culturale che può distruggere il capitale sociale; la dipendenza reciproca, che potrebbe essere messa in crisi da alcuni fattori tra i quali Coleman annovera il benessere. I criteri che stabiliscono l appartenenza a una rete sociale variano in relazione alla frequenza di interazioni richiesta alla singola persona per essere considerata membro attivo della rete (Francescato e Ghirelli, 1988).

8 Psicologia in azione Ogni struttura di rete identifica un sistema di sostegno differente per le persone che la compongono. Le funzioni svolte dai sistemi vengono identificate e descritte da House (1981) come segue: sostegno emotivo: manifestazioni di interessamento nei confronti dell altro; sostegno informativo: maggiore circolazione possibile di informazioni; sostegno materiale: offerta di servizi e altri aiuti tangibili (aiuto strumentale e finanziario); sostegno di stima o valutativo: ammirazione verso l altro, in modo da aumentare l autostima. Il primo sistema di aiuto si potrebbe ricondurre a una forma di capitale sociale definita da Coleman (1988) obblighi e aspettative: in alcune strutture sociali le persone fanno sempre qualcosa per gli altri. Questa forma di capitale sociale dipende da due elementi, la fiducia nell ambiente sociale e l entità delle obbligazioni stesse. Se un individuo X fa qualcosa per Y e ha fiducia che Y ricambierà in futuro, in X si instaura un aspettativa e Y avrà un obbligo verso X. La seconda forma di sostegno si può paragonare a un altra forma di capitale sociale identificata dallo stesso autore, e definita canali informativi. Questi costituiscono il potenziale di informazione sulla relazione sociale, e permettono di acquisire informazioni altrimenti non disponibili. Infine, Coleman (1988) ipotizza una terza forma di capitale sociale, quello fondato sulle norme e sulle regole, che, qualora venissero supportate da sanzioni, potrebbero facilitare alcuni processi di azione e contrastarne altri. Accanto a queste teorizzazioni sul capitale sociale si situa un altro filone di studi, quello di Collier (1998), che si discosta dall idea che le interazioni di mercato producano effetti economici. Questo modo di intendere il capitale sociale nel senso di network sociale si avvicina alla rappresentazione della rete implicita nel concetto di comunità, e si discosta in modo critico dalle precedenti teorie proprio per il suo carattere applicativo e specifico all ambito della network analysis. Per Collier (1998) il capitale sociale è tale perché coinvolge gli individui nel loro assetto sociale e collettivo e, inoltre, per il fatto che queste relazioni costituiscono capitale giacché si riferiscono a processi di interazione dinamica durevoli nel tempo. Guardando alle forme di capitale sociale suddette, si possono mettere in evidenza elementi di convergenza con gli aspetti relativi al concetto di comunità, e, in particolare, con quelli relativi al network sociale, che considera le relazioni sociali da un punto di vista non solo morfologico, ma anche dinamico-processuale, attento al cambiamento e alle interazioni tra i componenti (Amerio e Croce, 2000). Non a caso la prospettiva di Coleman risulta tra le più innovative, per il fatto di considerare la dinamicità del capitale sociale come una risorsa importante per la produzione dello stesso. L attenzione dell autore sui network sociali è un passo avanti verso la liberalizzazione dell azione da parte degli attori sociali, soggetti attivi di una comunità che offre spazio di scambio e di confronto, e costituisce l arduo tentativo di limitare le possibili forme di sterotipizzazioni di comportamenti all interno di forme autonome di relazioni non aperte al cambiamento.

I FONDAMENTI DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ Per una psicologia di comunità 9 Discutere di comunità risulta piuttosto difficile qualora ci si soffermi sulla relazione tra la dimensione individuale e quella sociale a cui finora si è fatto accenno; infatti, se volessimo darne una prima definizione dovremmo iniziare proprio dalla contraddittorietà che la caratterizza. La dimensione sociale spesso è intesa come uno spazio organizzato in cui l individuo non trova facilmente una sua collocazione, quasi a causa del suo essere singolo rispetto a un sistema più ampio e complesso che depaupera l esperienza quotidiana dell individuo. Tuttavia, il processo di valorizzazione della dimensione individuale non cessa di evolversi e di strutturarsi a prescindere da qualsiasi appartenenza sociale, nazionale e religiosa dell individuo. È, infatti, attraverso di esso che il soggetto si esprime, si confronta con l altro e agisce in funzione del raggiungimento del proprio benessere. L esser-ci come individui è un diritto che la società deve tutelare. Il concetto di comunità è stato definito intorno al Settecento, come un entità sociale che si struttura sulla base di un legame particolare che si instaura fra i suoi membri. Un legame investito da un sentimento di condivisione e di un fare comune per il raggiungimento di un fine collettivo. Sembrerebbe, dunque, che la dimensione relazionale nella comunità sia proprio una questione morale, che si contrappone a una entità governata da un contratto sociale in cui i membri non condividono uno scopo comune (Zani, 2005). La comunità si differenzia dalla società, come la convivenza caratterizzata da vincoli sentimentali e affettivi è diversa dalla convivenza segnata da un contratto sociale, il cui vincolo è esclusivamente utilitaristico. Ferdinand Tönnies (1887) introdusse la differenza tra comunità (Gemeinschaft) e società (Gesellschaft), distinguendo i due costrutti sulla base del legame che in essi si instaura: nella comunità l individuo si trova sin dalla nascita e a essa si lega nel bene e nel male, mentre l accesso in società avviene come in terra straniera (Tönnies, trad. ital. 1963). Da queste parole si nota come l ingresso e la vita in una comunità siano caratterizzati da sentimenti di mutuo rispetto, fiducia, tenerezza, che si distinguono nettamente dal legame utilitaristico e contrattuale proprio della società. Il concetto di comunità è un costrutto sicuramente inclusivo, poiché incorpora aspetti differenti e variegati della vita sociale; è indeterminato per il suo implicare allo stesso tempo un punto di vista politico, sociologico e psicologico; infine, è incompleto, poiché ogniqualvolta ci si riferisce alla comunità bisogna necessariamente aggiungere a tale termine un aggettivo che intervenga a specificare di quale comunità si sta discutendo: terapeutica, religiosa, lavorativa, educativa, virtuale (Lavanco e Novara, 2002). L etimologia del termine comunità rimanda a un duplice significato: cum munia (doveri comuni), che fa riferimento a un sentire comune, a un bene comune dato dalle relazioni che si dispiegano dentro i confini di una comunità; e cum moenia (mura comuni), che si riferisce a un confine geografico definito, a una specifica appartenenza a un gruppo, al di fuori del quale è possibile riconoscere l estraneo, ovvero colui che sta fuori le mura (outgroup). In questo senso, l appartenenza territoriale non deve essere intesa come un dato di fatto non suscettibile al cambiamento. Infatti la realtà odierna, attraversata da

10 Psicologia in azione un crescente sviluppo ambientale, spinge gli individui e i gruppi a una incessante mobilità che genera pluriappartenenze. Queste mettono in evidenza un importante trasformazione dei legami che si generano in una comunità, che assume le sembianze di un fenomeno relazionale piuttosto che territoriale (Amerio, 2000). Cooley (1909), a tal proposito, fornisce una definizione di comunità intesa come fatto relazionale: la comunità è, dunque, formata da una rete di relazioni che si sviluppano all interno di un campo dinamico di forze presenti in un determinato spazio mentale, in cui individui e gruppi che vi appartengono intrattengono tra loro rapporti di scambio reciproco. La psicologia di comunità viene definita come una disciplina che si occupa dello studio delle transazioni fra reti di sistemi sociali, popolazioni e individui; che sviluppa e valuta metodi di intervento che migliorano gli adattamenti (fits) persona-ambiente [ ] per aumentare le opportunità psicosociali dell individuo (Murrel, 1973). Questa definizione, in linea con quanto finora detto, mette però in evidenza un ulteriore elemento di riflessione, che costituisce uno dei fondamenti epistemologici su cui la psicologia di comunità fonda il proprio agire: il rapporto persona-ambiente. Il fit è definito come accordo psicosociale, ovvero nell incontro tra le aspettative dell individuo e le richieste e le risorse offerte dall ambiente. Tale rapporto è sicuramente reciproco nella misura in cui le persone agiscono in modo intenzionale per il raggiungimento di determinate mete e l ambiente pone dinanzi a queste ostacoli o facilitazioni. Lo sforzo teorico-metodologico compiuto da Murrel (1973) può essere rintracciato nell intuizione che i sistemi sociali svolgono un ruolo fondamentale nell influenzare il comportamento degli individui. Tale comportamento a sua volta non può essere adeguatamente osservato e studiato se lo si separa dal contesto sociale in cui si manifesta. Nello specifico, l attenzione è posta sull analisi del sistema sociale, sul complesso sistema di relazioni che si modifica al fine di rispondere adeguatamente alle esigenze e ai bisogni degli individui. Il concetto di sistema si diffonde intorno agli anni Cinquanta del XX secolo con la Teoria Generale dei Sistemi. Il sistema è una unità complessa e organizzata, le cui parti sono tra loro interdipendenti e in stretta relazione con l ambiente. Tra le proprietà più importanti di un sistema ricordiamo la totalità, per cui il cambiamento di un parte del sistema genera un cambiamento in tutte le altre parti e complessivamente in tutto il sistema; la retroazione, per cui ogni comportamento è influenzato e influenza ogni altro comportamento; infine, l equifinalità, per cui il risultato di un sistema non dipende dalle sue condizioni iniziali, bensì da come il processo si evolve e si modifica nel tempo. L ottica adottata da Murrel considera la psicologia di comunità come un ramo della psicologia applicata, orientata a cambiare i sistemi sociali che influenzano il comportamento dei singoli individui. L accordo psicosociale si configura, in tal senso, come il mezzo attraverso cui si crea l armonia tra le aspettative del soggetto, le richieste provenienti dai sistemi sociali cui l individuo appartiene e le risorse che l ambiente circostante gli rende disponibili. È proprio dall analisi dei differenti livelli che caratterizzano le transa-

Per una psicologia di comunità 11 zioni di reti di sistemi che è possibile, secondo quanto proposto da Murrel, operare la progettazione di interventi mirati al cambiamento, e dunque, al miglioramento delle condizioni di accordo psicosociale. A tal proposito Murrel (1973) individua diversi livelli di intervento che possono essere attuati a seconda della complessità (dall individuo alla comunità): 1. il primo livello è quello del ricollocamento individuale: si realizza quando la posizione del soggetto all interno del sistema di riferimento è diventata problematica, per cui è necessario spostare il soggetto all interno di un altro sistema che gli possa garantire migliori livelli di qualità della vita. L esempio è quello dell allontanamento di un bambino da un famiglia problematica e il suo progressivo inserimento all interno di una nuova famiglia dove possa trovare adeguate forme di sostegno; 2. il secondo livello è l intervento sull individuo: questo si realizza al fine di potenziare le risorse individuali e garantire un incremento delle stesse, così che l individuo si possa adattare in modo adeguato all ambiente e migliorare la propria qualità della vita. Possibili tipologie di intervento sono il trattamento terapeutico e l intervento sulla crisi; 3. il terzo tipo di intervento è quello sulla popolazione: ci si trova a un livello più complesso, dall individuo ci si è spostati verso sistemi più ampi. In particolare, si tratta di interventi che si realizzano su gruppi di individui definiti a rischio, ovvero gruppi soggetti a crisi prevedibili; 4. l intervento sul sistema sociale: lo troviamo a un gradino più alto. Con esso si fa riferimento ai cambiamenti che si realizzano a livelli più strutturali; 5. infine, gli interventi intersistemici: coinvolgono l intera comunità, al fine di creare collegamenti tra i diversi sistemi di rete in essa coinvolti. L elaborazione di Murrel si colloca in un contesto spazio-temporale influenzato dalle teorizzazioni di Lewin (1951) sul concetto di campo. L eredità di Lewin è circoscritta a un area di analisi dei problemi sociali che utilizza la teoria del campo, fondata sull integrazione di teoria, pratica e ricerca. Nello specifico, si tratta di un approccio metodologico che permette di leggere scientificamente i fenomeni sociali, alla luce della relazione causale che si stabilisce tra i diversi accadimenti. Il principale assioma della teoria del campo considera qualsiasi tipo di comportamento all interno di un campo psicologico, dipendente dalla configurazione di tale campo in quel dato momento. Questo significa che la dimensione temporale presente, che caratterizza il campo psicologico in un dato momento, potrebbe influenzare l accadimento di un evento comportamentale o il punto di vista di un individuo. Tuttavia, non possiamo considerare che la dimensione temporale del passato e del futuro della vita di un individuo non abbia ragione di esistere, piuttosto è la configurazione del campo in un dato momento presente che può contenere i punti di vista attraverso cui l individuo guarda al suo passato e al suo futuro. L aspetto chiave del campo è l interdipendenza, per cui le regole che governano l evolversi del campo psicologico non dipendono dalle caratteristiche delle singole parti che lo compongono, piuttosto dalla configurazione globale del sistema di forze.

12 Psicologia in azione Il campo è un sistema dinamico di forze. Le aree che si identificano nel campo in un dato momento sono: lo spazio di vita, che si riferisce alla relazione tra persona (P) e ambiente psicologico (A), per cui il comportamento che dipende dallo spazio di vita è funzione della persona e dell ambiente, descritto secondo la formula C = f (P, A); accadimenti che non hanno effetti diretti sull individuo, sebbene presenti nel mondo fisico e sociale; accadimenti che si dispongono nell interfaccia tra lo spazio di vita e il mondo esterno. Per comprendere il comportamento di un individuo secondo quanto proposto da Lewin, bisogna inizialmente comprendere lo spazio di vita del soggetto e successivamente individuare il sistema di forze che facilitano od ostacolano il cambiamento della vita del soggetto all interno dello spazio di vita. I processi sociali, per essere facilmente compresi, dovrebbero essere osservati e studiati nel contesto naturale in cui si evolvono, in modo tale da coglierne i passaggi che altrimenti potrebbero apparire artificiali a contatto con la realtà concreta. Brofenbrenner (1979) propone, in linea con l orientamento lewiniano diffuso intorno agli anni Settanta del XX secolo, un modello di analisi del comportamento umano che si fonda su un attento esame di sistemi di individui in interazione non limitata a unico contesto. In tal senso, bisogna tener conto di aspetti dell ambiente che non fanno immediatamente parte della situazione a cui il soggetto appartiene. Come si evince, Brofenbrenner si fa promotore di una teoria che amplia il concetto di ambiente ecologico, per cui la relazione tra l organismo e il suo ambiente avviene per mezzo di forze che provengono e agiscono in regioni più remote della vita dell individuo, come facenti parte di un sistema fisico e sociale più ampio (Zani, 1996). Così inteso, l ambiente ecologico si trasforma in una serie di strutture concentriche incluse l una nell altra: microsistema, mesosistema, esosistema, macrosistema. Il microsistema è rappresentato dalla casa, dalla scuola e da tutti quei contesti in cui si sviluppano relazioni con l ambiente, che l individuo vive in maniera diretta. Dunque, del microsistema fanno parte tutti quegli oggetti, quelle persone, quelle cose con cui l individuo quotidianamente interagisce, nonché tutti gli accadimenti che riguardano non solo la sfera psicologica e soggettiva dell individuo, ma anche quella ecologica, come i ruoli e le relazioni interpersonali che, come suggeriva Lewin, rientrano in uno spazio extra dell ambiente psicologico. Il mesosistema è l insieme di più microsistemi. Esso fa riferimento alle connessioni e alle relazioni che si instaurano tra due o più contesti ambientali a cui l individuo partecipa in modo attivo: si pensi alle relazioni tra i sistemi familiare e scolastico del bambino. L esosistema è dato da uno o più sistemi ambientali a cui l individuo non partecipa in modo diretto, ma in cui accadono determinati eventi che tendono a modificare l assetto strutturale dell ambiente a cui l individuo appartiene. Infine, il macrosistema è inteso come un sovralivello, che influenza e modifica tutti i siste-

Per una psicologia di comunità 13 mi appartenenti a livelli più bassi, come il microsistema, il mesosistema e l esosistema. Esso è costituito da forme organizzative e culturali più ampie, a cui appartengono ideologie, norme e valori specifici. Le teorizzazioni di Brofenbrenner (1986) propongono una visione più soggettiva dell ambiente sociale, che l individuo costruisce e modifica in base alle proprie esigenze; inoltre, tale funzionamento del sistema ruota attorno alla vita dell individuo e alle sue caratteristiche bio-psico-sociali che intervengono a determinare alcuni dei contesti con cui egli stesso interagisce, da quello presente al più lontano nel tempo. Ripercorrere, seppur in linee generali, le teorie che fondano la psicologia di comunità contribuisce a rafforzare l idea che proprio queste teorie, ormai del tutto consolidate, costituiscano un punto di forza. Ed è proprio da queste che bisogna partire per comprendere tutti i passaggi che l evoluzione della psicologia di comunità ha compiuto e tutto ciò che si può, ancora oggi, progettare per migliorare la qualità della vita degli individui e della comunità di riferimento, mettendo in evidenza quali aspetti dell ambiente influiscano sui comportamenti delle persone e li orientino verso interventi di prevenzione mirati ed efficaci. Tuttavia, rimangono ancora oggi alcuni problemi metodologici irrisolti, dalle difficoltà relative allo studio del cambiamento su livelli più complessi della comunità, allo iato ancora esistente tra ricerca e intervento. Infatti, le politiche di intervento che vengono realizzate nel contesto italiano, paradossalmente, soffrono a causa di un problema: la maggior parte delle diagnosi sociali che vengono effettuate raramente viene seguita da interventi adeguati e all altezza della situazione osservata; viceversa, l attuazione di un intervento importante, spesso, è l esito di un analisi non adeguata del contesto. La psicologia di comunità, alla luce di questi errori metodologici, propone un azione sociale che si distacchi da forme di dipendenza politica che causano tali problematiche, attivando forme di partecipazione sociale e interventi di ricerca che devono essere seguiti da una valutazione costante e sistematica della situazione in esame, al fine di rendere la comunità e i suoi membri consapevoli e protagonisti del proprio processo di cambiamento. Queste riflessioni si ripercuotono ogni giorno sul lavoro di uno psicologo di comunità, sempre più impegnato: a rispondere in modo adeguato al suo ruolo di teorico partecipante, ruolo profondamente diverso da quello di uno psicologo clinico o di un accademico, per i quali l attività scientifica deve considerarsi sciolta da qualsiasi commistione personale; ad assumere un approccio e un modello formativo di tipo multidisciplinare, che si alimentino delle interconnessioni con le altre scienze sociali, per la progettazione del cambiamento; a fare ricerca in modo assiduo e al passo con i tempi, in sinergia con tutti quei settori emergenti che si propongono l interesse scientifico di migliorare il rapporto tra l uomo e l ambiente circostante.

14 Psicologia in azione IL SETTING DI UNA COMUNITÀ: ASPETTI INVARIATI E VARIABILI DINAMICHE L intervento psicologico e di comunità si sviluppa all interno di uno spazio avente caratteristiche definite: il setting, che rappresenta il tempo, lo spazio, le teorie e le azioni dell intervento di comunità. Le definizioni date in ambito clinico descrivono il setting come l insieme delle caratteristiche del campo psicologico-dinamico in cui si struttura la relazione tra professionista e richiedente e da cui dipende tutto ciò che avviene. Esso è l insieme di tutte le variabili stabili e dinamiche che appartengono alla situazione in cui l intervento si sviluppa e che sono realmente presenti e influenti nell ambito in cui si colloca il processo dinamico della relazione. Se volessimo darne una definizione, il setting rimanda all insieme di elementi tenuti fissi in una situazione (luogo, tempo e condizioni) oppure allo scenario complessivo e alle regole del gioco che delineano un risultato potenzialmente aperto (Kaneklin e Olivetti Manoukian, 1990). L ambito della psicologia di comunità, come quello entro cui si svolge qualsiasi altra disciplina, è costituito da variabili invarianti (set) che guidano l evolversi del processo dinamico di cambiamento fino al raggiungimento di un risultato finale (ing). L assetto in cui si evolve un intervento di comunità e l azione che lo determina dipendono, come visto in precedenza, da forze tra loro interagenti in un sistema di equilibri e disequilibri che difficilmente rendono espliciti e immediati gli oggetti psicologici che regolano e orientano il lavoro. Già la stessa definizione di comunità ci riporta a una dimensione piuttosto ampia dell agire, che non ha dei limiti precisi e delle regole fisse. Lo psicologo di comunità agisce in un contesto in cui non entra in contatto diretto con tutti i membri che compongono la comunità: non li incontra tutti e, dunque, non interagisce con tutta la comunità; inoltre, né una persona, né un organizzazione all interno della quale si esplica il lavoro di comunità possono essere ritenute rappresentative della comunità intera. Piuttosto, è nella comunità che vengono a sovrapporsi differenti variabili, che nell insieme formano il setting di comunità. Il setting formale è rappresentato dai confini territoriali, dalla realtà di appartenenza, dai contesti di cura; il setting informale è, invece, costituito dai confini relazionali e dalle reti di aiuto informali; nel setting immaginario ritroviamo i valori religiosi e culturali; infine, nel setting non esplicitato rientrano le aspettative, i bisogni, i disagi e le risorse presenti nella comunità (Lavanco e Novara, 2002). La multidimensionalità del modello proposto dalla psicologia di comunità deriva non solo dal suo essere una disciplina a ponte con altre discipline, ma anche dall ampiezza dei suoi contenuti e degli oggetti psicologici che la descrivono. Ancora oggi, non possiamo definire completa l opera di individuazione delle variabili che delimitano un setting di comunità; piuttosto, l evolversi dei processi sociali, economici, politici e culturali tende a includere aspetti che intervengono a influenzare le situazioni in cui l intervento di cambiamento si sviluppa. Inoltre, il lavoro

Per una psicologia di comunità 15 dello psicologo di comunità non si sofferma all interno di un unico setting individuato, ma si struttura su una pluralità di setting su cui l individuo e la comunità chiedono di intervenire. Proveremo di seguito a fornire una descrizione dettagliata di tutti quegli elementi che intervengono a definire il setting strutturale entro cui la psicologia di comunità fonda il suo agire, che possiamo identificare come l ambiente di comunità, o spazio necessario alla realizzazione del benessere individuale e sociale. Lo sviluppo di comunità Il Community Development (CD) o sviluppo di comunità è una strategia che si avvicina in modo sostanziale all approccio psicologico di comunità per tre fattori: l approccio sistemico, che permette di leggere la comunità nei suoi differenti livelli di strutturazione; il carattere interdisciplinare dell intervento, che deve fare riferimento all impostazione teorica; la crescita psicologica e sociale del cittadino inserito in un contesto democratico di azione di cui egli stesso è il protagonista (Lavanco e Novara, 2002). L obiettivo dello sviluppo di comunità è unico e fondato sulla realizzazione di progetti di sviluppo che nascono nella comunità e vengono da essa messi in opera, sulla base di forme di auto-sviluppo che le garantiscono al contempo responsabilità e libertà di azione. Sicuramente, un approccio di tal genere è fortemente strutturato e il processo è legato al contesto in cui esso si evolve, per cui un intervento di sviluppo di comunità sarà diverso a seconda del Paese in cui si attua, poiché dipenderà dal grado di sviluppo socioeconomico, dal progresso, dai bisogni e dalle esigenze che lo caratterizzano. Da ciò si evince che anche la scelta degli strumenti operativi da adottare per la realizzazione del cambiamento, sarà differenziata a seconda della realtà e dei problemi che caratterizzano la comunità. I programmi di sviluppo vengono elaborati, oggi, attraverso un approccio di sostegno alla comunità, in cui le autorità si preoccupano solamente di garantire e gestire un piano finanziario ed economico adeguato alla realizzazione dell intervento, mentre la comunità si occupa di elaborare e realizzare il progetto attraverso la partecipazione attiva (approccio assisting). Questo atteggiamento, rispetto a quanto avveniva in passato, si distingue per il carattere innovativo fondato sul processo di partecipazione sociale da parte della comunità; in precedenza, invece, intorno agli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, la comunità assisteva in modo passivo al proprio processo di cambiamento, vivendo nell ombra di un assetto autoritaristico e direttivo, da parte di un governo centrale che si occupava di approvare, finanziare e gestire i piani di sviluppo (approccio directing). I due modelli si collocano su due livelli differenti di azione: nell approccio directing, attraverso l azione direttiva, i progetti vengono offerti alla comunità al fine di soddisfare i suoi bisogni; nell approccio assisting, invece, l azione di accompagnamento e di supporto permette che la comunità possa progettare e realizzare in modo autonomo i propri progetti di sviluppo, a misura dei propri bisogni.

16 Psicologia in azione Gli elementi che possono essere rintracciati nei programmi di sviluppo sono: il miglioramento delle condizioni di vita di tutta la comunità: sono progetti che vengono realizzati in modo autonomo da tutti i membri di una comunità, secondo i principi della responsabilità e della partecipazione attiva; la valorizzazione delle risorse e delle potenzialità umane dei membri della comunità e l utilizzazione delle tecniche e degli strumenti acquisiti attraverso l esperienza: si tratta di riconoscere le competenze e le capacità che spingono ogni soggetto a intervenire attivamente nella comunità, ad avere capacità di cambiamento, disponibilità alla cooperazione e volontà di auto-promozione del proprio sviluppo; le risorse locali: queste vengono utilizzate qualora la comunità lo richieda; esse sono rintracciabili nel personale occupato o disoccupato e nella leadership locale, nonché in tutte quelle altre risorse presenti sul territorio che non sono direttamente coinvolte nell intervento di sviluppo; le risorse governative: sono rintracciabili nelle risorse finanziarie e nel personale specializzato, e vengono attivate solo nel caso in cui le risorse locali siano già state coinvolte; i diversi settori della vita di una comunità: l agricoltura, la sanità, l assistenza sociale, l economia domestica, l ambiente; l attuazione dei programmi: consiste nella presentazione di uno schema organizzativo in cui possono essere rintracciati gli elementi funzionali alla realizzazione di nuovi progetti. Tra questi, i canali di comunicazione tra gli enti pubblici, precedenti forme di coordinamento di progetti, gli interventi pubblici realizzati ai vari livelli di governo; i gruppi locali: in particolare, le attività che essi esplicano al fine di sviluppare l iniziativa locale e la leadership funzionale alla realizzazione dello sviluppo della comunità (Noto e Lavanco, 2000). Dunque, le strategie per lo sviluppo di comunità sono l esito di diversi fattori che agiscono simultaneamente al fine di costruire il cambiamento: un fattore educativo, che spinge gli individui a prendere consapevolezza delle proprie capacità, dei limiti e delle risorse che ognuno possiede, per utilizzarli in modo autonomo (educazione alla scoperta di sé e del ruolo svolto all interno della comunità); un fattore operativo, che aiuta la comunità a mettere in evidenza i bisogni, gli strumenti e le risorse umane e materiali, per avviare processi di scelta orientati a produrre il cambiamento; un fattore valutativo, necessario a monitorare sistematicamente il cambiamento sulla base del programma di sviluppo proposto, così da mettere in relazione e fare comunicare i differenti sistemi e le azioni attivate; un fattore democratico, attraverso cui la gente partecipa in modo attivo, contribuendo al progresso o al fallimento del programma di sviluppo; infine, un fattore politico-sociale, in cui trovano la parola le forze locali e governative, per una riorganizzazione dei sistemi in cui il cambiamento prende forma (Noto e Lavanco, 2000). Di fronte a questa situazione, il cittadino consapevole dell opportunità che la comunità gli offre dovrebbe agire e partecipare al programma di sviluppo sin dalle prime fasi di progettazione dell intervento. Tuttavia, questa è una realtà ancora trascurata, e la cultura della partecipazione non è ancora strutturata nell atteggiamento

Per una psicologia di comunità 17 della vita comunitaria di un soggetto. Pertanto, chi opera programmi di sviluppo di comunità dovrebbe rivolgere l attenzione alle motivazioni di fondo che spingono il cittadino verso forme di disinteresse nei confronti della partecipazione sociale, al fine di comprendere gli aspetti peculiari della non-partecipazione, dietro cui si nasconde un self-empowerment non adeguato e causa di processi di svalorizzazione e di disfacimento delle risorse individuali. L indifferenza è, spesso, sintomo di credenze erronee riguardo alla (non) capacità di riuscire e al (non) possedere le capacità e le qualità idonee a partecipare. Compito di un operatore di comunità dovrebbe essere allora quello di rendere la gente consapevole delle proprie capacità e risorse, prendere coscienza del problema dell indifferenza in termini quali-quantitativi al fine di comprenderne la portata e le ragioni e, successivamente, attivare un intervento di ricognizione dei bisogni emersi, rendendo la comunità cosciente e competente, ovvero capace di leggere i propri bisogni e attivare le risorse necessarie al loro soddisfacimento. Nella concezione dello sviluppo di comunità l obiettivo è quello di mirare alla valorizzazione delle competenze e delle risorse umane che compongono la comunità; in questo senso è auspicabile che l intervento sia orientato a promuovere sviluppo, piuttosto che a rimuovere una condizione negativa già esistente. La comunità, allora, viene a configurarsi come comunità competente, in grado di leggere e comprendere i propri bisogni, mobilitando le risorse in essa presenti per trovare una soluzione efficace, che risponda alla richiesta di un livello superiore di benessere. Il senso di comunità La comunità intesa come fatto relazionale suggerisce una modalità di approccio alla vita comunitaria fondata su un legame affettivo-sentimentale, che si instaura tra i membri e li spinge a rimanere insieme attraverso la percezione di una forza per cui ognuno si sente parte di un insieme interrelato. Ovvero, ognuno sente quello che Sarason (1974) definì come psychological sense of community (senso di comunità). Si tratta di un costrutto che è al contempo consapevolezza e sentimento e si estende, dunque, su due livelli: cognitivo ed emotivo-affettivo. La definizione di senso di comunità fornita da Sarason indica il senso di comunità come la percezione di similarità con gli altri, una riconosciuta interdipendenza, una disponibilità a mantenere questa interdipendenza offrendo o facendo per gli altri ciò che ci si aspetta da loro, la sensazione di appartenere a una struttura pienamente affidabile e stabile (Sarason, 1974). McMillan e Chavis (1986), a tal proposito, danno una definizione del senso di comunità che ben si avvicina alle teorizzazioni di Saranson, sia per la presenza del legame affettivo tra i membri, sia per l importanza che ogni membro riveste per l intera comunità e viceversa: la certezza soggettiva che i membri hanno di appartenere e di essere importanti gli uni per gli altri e per il gruppo e una fiducia condivisa nella possibilità di soddisfare i propri bisogni come conseguenza del loro essere insieme (McMillan e Chavis, 1986).

18 Psicologia in azione L attenzione è posta, oltre che sul sentimento di appartenenza a un gruppo e alla consapevolezza di esserne parte, anche sulla fiducia verso l altro. Scabini (2004) mette in evidenza come la fiducia possa rappresentare l elemento prioritario di una relazione di condivisione, che non si propone vincoli utilitaristici come, invece, accade nella relazione fondata sullo scambio. La fiducia nell altro consiste nello scommettere non solo sulla relazione interpersonale, ma anche in una relazione di reciprocità. Il vincolo utilitaristico dà una risposta immediata che non implica una dimensione futura della relazione, viceversa l investimento emotivo-affettivo nel legame interpersonale determina una relazione che si prolunga nel tempo e include una dimensione simbolico-valoriale che va oltre il bene materiale e si fonda sullo scambio simbolico. La relazione e il legame affettivo-emotivo diventano in tal senso una risorsa per la comunità. La possibilità di appartenere ed essere intimamente legati a una comunità allontana l individuo dal senso di solitudine che, oggi, a causa della mobilità e dell allentamento dei legami familiari, colpisce in maniera invasiva la vita di una comunità, facendo emergere un vissuto quanto mai disperso. Piuttosto, la ricerca costante di legami interviene a colmare tale vuoto restituendo alla comunità la percezione di sé, il sentirsi un tutto al di sopra delle singole parti. Perché il senso di comunità possa strutturarsi è necessario fare riferimento a due elementi fondamentali: l identificazione e la distintività dalla comunità. L identificazione è la percezione di sé all interno della comunità, il bisogno di identificarsi con essa; viceversa, la distintività è la capacità di sentire i limiti di una comunità, i suoi confini territoriali e suoi confini psicologici. McMillan e Chavis (1986) individuano quattro elementi fondamentali del senso di comunità: l appartenenza, l influenza, la soddisfazione dei bisogni e la connessione emotiva condivisa. Questi elementi definiscono la natura affettivo-emotiva e motivazionale del legame presente in una comunità. L appartenenza, intesa come sentimento di connessione personale ai membri di una comunità, delimita il senso del Noi e i confini della comunità, decretando, in tal modo, chi sta dentro e chi sta fuori (ingroup e outgroup). Questo processo facilita l insorgere della sicurezza emotiva per vivere in un clima protetto dalle relazioni significative e favorire lo scambio affettivo reciproco al fine di soddisfare i propri bisogni (membership e groupship). Più specificamente, la membership (essere membro di) fa riferimento a una rappresentazione mentale per cui il gruppo di appartenenza viene identificato come l unico in grado di soddisfare i bisogni personali; la groupship (essere gruppo) è un modo nuovo di percepirsi, attraverso una dimensione sovraindividuale, che fa riferimento al bisogno di essere un Noi piuttosto che un essere singolo. Dunque, necessita la presenza di alcuni elementi: i confini del gruppo e la possibilità di esperire all interno di questi un adeguata sicurezza fisica, emotiva ed economica; un sistema valoriale di riferimento (credenze, religione, miti, usi e costumi) che le persone possano condividere e su cui costruire rappresentazioni collettive, che rafforzano il senso del Noi; l impegno personale, la volontà di investire affettivamente sulla comunità.

Per una psicologia di comunità 19 Il secondo fattore individuato dagli autori è l influenza, ovvero la consapevolezza dei membri della comunità di influenzare le regole di funzionamento della stessa e viceversa. L influenza è legata al concetto di potere di influenzamento dell individuo sul gruppo e del gruppo sull individuo, nonché al potere che ha la comunità di intervenire sull ambiente circostante. Il potere è inteso in senso non coercitivo, non di superiorità e di comando. Bensì, l idea è quella di esercitare un potere di influenzamento che rimanda ai principi della partecipazione e della convivenza civile, un potere con, attraverso cui la comunità può agire il cambiamento. L integrazione dei bisogni consiste nella certezza che lo stare insieme agli altri può garantire il proprio e l altrui benessere, attraverso la soddisfazione dei bisogni indivi - duali e di gruppo e l accesso alle risorse che derivano dall appartenere a un gruppo. Infine, la connessione emotiva condivisa è l elemento più importante, quello che fa la comunità e la differenzia dall insieme di individui. È la storia della comunità, gli eventi più significativi che ne hanno segnato la vita e ne hanno rafforzato il legame. La connessione emotiva condivisa mette in evidenza l interdipendenza tra i membri, soprattutto in quei momenti in cui accadono eventi importanti come guerre, catastrofi, danni ambientali, che sconvolgono l assetto strutturale della comunità. Dunque, sentirsi emotivamente connessi significa mettersi nei panni dell altro, provare i suoi stessi sentimenti e avere una spiccata sensibilità nei confronti delle problematiche che affliggono l altro. Perché il senso di comunità possa essere utilizzato come strumento di cambiamento sociale, deve essere studiato e misurato, così da garantirne una strutturazione efficace (lavorando sui legami) oppure un incremento (rafforzando le reti di relazioni già stabilite). Lo strumento attualmente più conosciuto è l Indice del Senso di Comunità (SCI), che si presenta in una versione ridotta di 12 item. Tale strumento di indagine si fonda sulla teoria proposta da McMillan e Chavis (1986), ponendo attenzione alla comunità da un punto di vista non solo dei confini territoriali, ma anche relazionale. Altri strumenti che è opportuno ricordare sono: la Scala del Senso di Comunità di Davidson e Cotter (1986) e la versione italiana della stessa per adulti (Prezza et al., 2002) e per adolescenti (Zani et al., 2001). L empowerment Il quadro complessivo delineato finora, stimola una riflessione sul significato della partecipazione sociale, sull atteggiamento attivo dei membri di una comunità e, infine, sulla possibilità che la comunità possiede di accedere alle risorse rese disponibili dal sentimento di appartenenza. In tal senso, lo psicologo di comunità dovrebbe occuparsi di agire e favorire la partecipazione consapevole dei soggetti alla vita della comunità e di stimolare le loro competenze (Zani, 2005). Questo importante processo di attivazione delle risorse individuali e sociali è definito empowerment. Consiste nella possibilità di guardare in modo critico alle diverse dimensioni della vita sociale, attraverso l impegno attivo dei membri della comunità, in particolar modo di coloro che sono isolati o marginalizzati.

20 Psicologia in azione Il concetto di empowerment si struttura all interno di un processo attraverso il quale gli individui incrementano la possibilità di esercitare un controllo attivo sulla propria esistenza all interno della comunità, sviluppando specifiche abilità per l assunzione di strategie adeguate al raggiungimento di obiettivi personali e sociali. L empowerment è un concetto multilivello, che può essere declinato a un livello individuale o psicologico, a uno organizzativo e a uno sociale e di comunità. In modo più specifico, l empowerment è il risultato della sinergia dell empowerment psicologico, che regola il controllo sul soggetto e sulla sua relazione con il mondo esterno, con l empowerment oggettivo-ambientale, ovvero con quelle risorse messe a disposizione dall ambiente (ibidem). Piccardo (1995) definisce l empowerment come un concetto poliedrico che può essere applicato a differenti campi della vita sociale: politico, pedagogico, medico, aziendale, psicologico. L empowerment psicologico si applica a una situazione di passività appresa (learned helplessness), che indica un sentimento di impotenza messo in atto da un individuo di fronte a delle esperienze frustranti in cui prende consapevolezza di non riuscire a gestire in modo adeguato la situazione. Questa situazione di impossibilità di controllo di sé costituisce una situazione di partenza, che dovrebbe concludersi nell acquisizione di fiducia in sé (learned hopefullness) attraverso cui il soggetto acquisisce un maggior grado di controllo sulla propria vita, riuscendo a padroneggiare le situazioni difficili sulla base delle risorse interne in suo possesso (Zimmerman e Rappaport, 1988). La definizione fornita da Bruscaglioni (1994), per cui l empowerment è un processo di ampliamento delle potenzialità e delle possibilità di un individuo, richiama quanto appena specificato e mette in evidenza l aspetto intrapsichico di tale concetto. Nella sua complessità, l empo wer ment psicologico è dato dall integrazione di tre ambiti differenti della di men sione personale: 1. la personalità: riguarda l attribuzione a se stessi dei risultati delle proprie azioni; 2. i processi cognitivi: relativi all autoefficacia, ovvero alla capacità di scegliere di mettere in atto specifici comportamenti per affrontare le situazioni; 3. la motivazione: indica la consapevolezza di partecipare all azione e alla gestione delle situazioni, nonché la consapevolezza di poter cambiare l esito degli avvenimenti (Zani, 1996). Il concetto di empowerment si struttura attorno a una parola, potere. Chi, infatti, utilizza tale costrutto e struttura interventi per il suo evolversi parte da una situazione, come specificato, di mancanza di potere, imputabile a differenti fattori: soggettivi e oggettivi. In particolare, sono i gruppi in cui emergono processi di etichettamento (stereotipi negativi) che risentono del senso di impotenza a fare e gestire la propria esistenza. Allora, è lecito chiedersi, quali interventi di empowerment è possibile realizzare? La risposta ricade sulla individuazione di tre obiettivi (Bruscaglioni, Capizzi e Gheno, 1996): 1. la promozione del senso di autostima; 2. la possibilità di fornire strumenti per incrementare le competenze; 3. lo sviluppo della creatività al fine di produrre cambiamento.