Cosa sta succedendo al settore lattiero-caseario? Dott. Alberto Menghi, CRPA Spa



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Transcript:

Cosa sta succedendo al settore lattiero-caseario? Dott. Alberto Menghi, CRPA Spa Il costo delle materie prime è andato alle stelle, i prezzi al consumo hanno avuto aumenti di due cifre percentuali, le piccole aziende o chiudono oppure diventano sempre più grandi Cosa è successo, e cosa sta succedendo al settore lattiero caseario mondiale e nazionale? Come si è arrivati a tutto questo? Abbiamo chiesto chiarimenti al dottor Alberto Menghi del Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) di Reggio Emilia e membro IFCN in rappresentanza dell Italia, il quale ci riferisce del congresso dell EDF (European Dairy Farmers) dove gli allevatori di molti Paesi europei (pochi gli italiani!), hanno discusso della situazione attuale e di quale sarà il loro futuro. Un analisi illuminante, che dovrebbe servire a far riflettere - ancora una volta - sulla incapacità tutta italiana di affrontare i problemi come collettività e non sempre solo come singoli. 54 Secondo le stime dell Istituto Federale di Economia Agraria tedesco (VTI), nel periodo 2007-08 i prezzi all origine dei prodotti delle coltivazioni erbacee sono cresciuti dal 30 al 60%, mentre le carni sono aumentate dal 10 al 20% e i prodotti lattiero-caseari dal 50 al 60%. Ciò ha riportato al centro dell attenzione dell opinione pubblica e dei media il settore agricolo, ma anche il tema della politica agricola comune. In momenti come questo, la PAC diventa facile bersaglio di critiche, avallate dal suo astronomico peso percentuale sul bilancio comunitario. Il più delle volte, però, ci si dimentica che quella agricola è una delle poche attività che l UE sostiene in termini finanziari. Infatti, se la UE gestisse la sanità, la difesa ecc., il budget comunitario sarebbe di ben altri numeri e l incidenza dell agricoltura verrebbe fortemente ridimensionata. Per capire meglio gli avvenimenti di oggi e le possibili prospettive, in particolare per il settore lattiero-caseario, è invece necessario comprendere come è nata la PAC, facendo un passo indietro al 1957 quando, col Trattato di Roma, furono scritti gli articoli fondamentali della politica agricola dell UE, che sono: aumentare la produttività sviluppando il progresso tecnico; assicurare un tenore di vita equo agli agricoltori; stabilizzare i mercati; garantire la sicurezza degli approvvigionamenti; assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori. Come si vede, nel Trattato si mettono insieme obiettivi in un certo senso antitetici, e cioè: tutelare i redditi dei produttori e allo stesso tempo le tasche dei consumatori; aumentare la produttività assicurando però la stabilità dei mercati. Si tratta quindi di raggiungere e mantenere dei difficili equilibri, soprattutto perché, come sappiamo, è difficoltoso fare delle previsioni accurate nel settore agricolo viste le numerose variabili coinvolte. Ad esempio, nel tempo l aumento della produttività è stato tale che, da Paesi deficitari che uscivano dalla

seconda guerra mondiale, i Paesi dell UE si sono trovati ad essere eccedentari per molti prodotti agricoli. Così, al fine di mantenere gli obiettivi del Trattato di Roma, nel corso degli anni è stata introdotta una serie di correttivi, tra i quali il contingentamento dei prodotti, il ritiro dei terreni dalla coltivazione, i prezzi garantiti, le restituzioni alle esportazioni, gli stoccaggi. Questi meccanismi economici si sono però spesso scontrati con la disapprovazione dei cittadini europei, che in alcuni periodi hanno dovuto assistere al ritiro di prodotti dal mercato per sostenerne il prezzo all origine, e in molto casi anche alla loro distruzione. Questo modo di operare, seppure ineccepibile sotto il profilo delle teorie economiche, è certamente inaccettabile dal punto di vista etico, come pure è inaccettabile per i produttori (in particolare quelli di latte) limitare la produzione nazionale e poi essere costretti ad importare. Questi elementi hanno reso poco gradita la PAC, facendo dimenticare come in realtà questa stessa politica (scritta in un periodo post-bellico) abbia raggiunto gli obiettivi prefissati. Il periodo di tempo relativamente lungo che ha attraversato alcune generazioni ha fatto sì che, ad esempio, divenissero scontati la sicurezza degli approvvigionamenti, il livello di reddito degli agricoltori e i prezzi ragionevoli per i consumatori. Una situazione ancora oggi non realizzata per ampie fasce di popolazione mondiale. Per come erano stati scritti, gli obiettivi PAC erano già difficili da raggiungere, ma forse la fase più complessa è stata quella del mantenimento dei risultati. I cambiamenti nel mondo sono stati numerosi e a volte così veloci che la politica non sempre è riuscita a recepirli e a tradurli in misure economiche. Basti pensare all allargamento della UE ai Paesi dell ex blocco sovietico, del tutto impensabile fino a pochi anni fa. L Europa ha promosso un processo di integrazione difficilissimo che in una più ampia politica di stabilità politica e di scambi economici ha portato l UE dei 27 ad essere il maggiore produttore mondiale di latte, con 150 milioni di tonnellate prodotte (di cui 134 milioni di tonnellate consegnate) quando il secondo produttore, l India, è a quota 95 tonnellate e il terzo (gli USA) a 85. Il mutato quadro politico internazionale ha anche intensificato il commercio, liberalizzando i mercati e rendendo reale la parola globalizzazione. Cerchiamo quindi di vedere quali sono state le conseguenze nel settore lattiero-caseario, per le diverse categorie sociali. I consumatori L aumento a due cifre percentuali dei prezzi al consumo di alcuni dei principali prodotti alimentari verificatosi negli scorsi mesi ha destato le preoccupazioni dei consumatori, anche perché si è trattato di rialzi generalmente inattesi, visto che, come appena spiegato, i consumatori si erano abituati a prezzi dei prodotti alimentari di base abbastanza stabili, se non addirittura decrescenti. Per fare un esempio, secondo i dati UNA (Unione Nazionale Avicoltura) il prezzo al consumo di un uovo (a prezzi costanti) è passato dai primi anni del 1900 al 2007 da 0,70 a 0,23, mentre nello stesso periodo 1 kg di carne di pollo è passata da 12 a 4,4 /kg. In pratica, ai primi del 1900 mangiare carne per la maggior parte della popolazione era considerato un lusso, mentre oggi per fortuna non lo è più. Lo stesso non è successo per un litro di latte fresco, che nel 1900 costava 1,42 /l e ora è arrivato attorno a 1,60 euro. Secondo i dati della Commissione Europea, in Italia la spesa per cibo, bevande e tabacco incidevano nel bilancio delle famiglie italiane per il 18% nel 1998; sette anni dopo, nel 2005, questa percentuale era scesa al 17,1%. Ciò significa che se una famiglia >>> Il Dott. Alberto Menghi è un economista agrario che dal 1998 lavora nel settore economia del Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) di Reggio Emilia. Tra le principali attività svolte a livello nazionale c è il monitoraggio della redditività delle aziende da latte nei principali distretti lattiero caseari in collaborazione con ISMEA e UNALAT. Le maggiori attività sono però quelle svolte a livello internazionale con la gestione di progetti europei come ad esempio il: www.welfarequality.net sul benessere animale e le attività specifiche del settore latte svolte nell ambito di network internazionali come partner scientifico dell IFCN e dell EDF (European Dairy Farmers). 55

monoreddito in Italia percepisce sui 18.000 euro all anno, ne spende circa 3.078 in spese alimentari, bevande e tabacco. Nel caso questa famiglia consumasse 1 litro di latte fresco ogni 2 giorni spenderebbe circa 300 l anno (1,6% del reddito) e se il latte aumentasse del 20%, arrivando a 2 euro al litro, la spesa annua salirebbe a 365, pari al 2% del reddito (nell ipotesi che il reddito rimanga costante). Ma ancora non basta, secondo l ultimo Dairy Report dell IFCN, l Italia è tra i pochi Paesi al mondo in cui il prezzo al consumo del latte fresco raggiunge livelli così alti (mediamente attorno a 1,4-1,5 /l), contro prezzi inferiori all euro per la maggior parte dei Paesi europei. Oltre che sui consumi in termini economici, la globalizzazione ha effetto anche sui comportamenti di acquisto e sugli stili di vita. Basti pensare alla Cina, dove proprio l aumento dei consumi pro capite di latte e derivati (+2,9 kg/anno nel periodo 2001-2006, IFCN), ha portato la previsione di crescita dei consumi di prodotti lattiero-caseari da 28 milioni di tonnellate nel 2005 a 58 milioni di tonnellate nel 2015, con un incremento medio annuo del 7,6% (Rabobank). L aumento della domanda in Asia come abbiamo visto può però creare una carenza di prodotto in un altro continente e un relativo aumento del prezzo. I produttori italiani Oltre che per il prezzo del latte al consumo tra i più alti al mondo, l Italia è anche il Paese in cui il rapporto tra prezzo alla produzione e prezzo al consumo è nell ordine del 30%, quando nella maggior parte degli altri Paesi nel mondo è tra il 40 e il 60%. Questo nonostante il nostro sia un Paese fortemente deficitario. A cavallo tra il 2006 e il 2007, l aumento della domanda mondiale di latte ha fatto sì che l offerta non potesse essere soddisfatta, tanto da incrementare i listini sul mercato mondiale fino a 46,3 $/t nel 2007 contro i 26,4 $ del 2006 (+75%) (stime IFCN). La produzione di latte in Europa, e in particolare in Italia, è fortemente condizionata dal sistema delle quote, che sono state la principale misura correttiva alle eccedenze dei derivati del latte (latte in polvere e burro) degli anni 70-80. Il contingentamento della produzione introdotto a partire dal 1984 è rimasto per molti anni un grosso punto interrogativo, nonostante il complesso sistema messo in piedi a tutela dei prezzi alla produzione e quindi dei redditi agricoli. Se si osserva il periodo che va dal 1995 al 2007, nei Paesi della vecchia UE dei 15 si è passati da 1.045.489 aziende da latte a 449.349, e ciò induce a pensare che il meccanismo di tutela dei redditi non sia stato efficace come si era sperato. La chiusura di molte aziende è avvenuta in particolare a partire dal 2001, quando ha avuto inizio una pericolosa discesa del prezzo del latte alla stalla, che si è interrotta solo nella seconda metà del 2006, quando si è passati da un Unione eccedentaria a un UE deficitaria. I mercati internazionali Operando in un mercato globalizzato, il peso delle singole economie e la loro reazione sui tassi di cambio hanno una grossa influenza a livello locale. Basti pensare al caso del dollaro, valuta in cui avvengono gli scambi sul mercato internazionale, che dai suoi massimi del 2005 è arrivato ai minimi del 2008, realizzando una svalutazione del 43% contro l euro. Ciò ha comportato ad esempio che mentre il prezzo del latte sul mercato mondiale valutato in dollari cresceva, in Europa i prezzi alla stalla calavano, nonostante il contingentamento della produzione. Se si osservano le quotazioni del prezzo del latte sul mercato mondiale si può notare che il prezzo europeo non fa altro che adattarsi in modo simmetrico alle oscillazioni del prezzo sul mercato mondiale con una tendenza >>> IFCN (Network per il confronto internazionale delle aziende da latte) da dieci anni controlla la produzione ed il mercato del latte mondiale (copre 1.400 regioni del mondo) 57

< Cosa sta succedendo al settore lattiero-caseario? 58 alla convergenza negli ultimi tempi. Questo è un segnale chiaro che l autoregolazione della produzione realizzata dalla sola UE non basta ad influenzare il mercato lattiero-caseario e che questo è assolutamente dipendente dal mercato mondiale. Evidentemente le misure adottate dall Unione Europea non sono più in grado di proteggere le produzioni comunitarie in un epoca in cui si cerca di liberalizzare i mercati, quindi si è capito che era il momento di cambiare direzione. Un altro segnale forte e chiaro di questa situazione si è avuto nei primi mesi del 2006, quando le enormi quantità di latte in polvere stoccate per decenni nei magazzini europei si sono esaurite. Difficoltà di approvvigionamento, speculazione, panico hanno fatto sì che i prezzi del latte in polvere e di conseguenza del latte alla stalla si impennassero, contraddicendo i più sofisticati modelli previsionali. Ancora più preoccupante è il fatto che secondo le analisi dell IFCN la reazione sarebbe stata generata da una carenza di offerta a livello mondiale di 2 milioni di tonnellate, pari cioè a produzioni di Paesi come il Portogallo o la Finlandia o meglio, pari a quanto è l importazione media di latte liquido da parte dell Italia dai Paesi confinanti. Diventa quindi chiaro che il mercato e la globalizzazione sono più forti delle politiche che l UE ha faticosamente costruito per tutelare il settore. E questo nonostante nel tempo si sia avuta una sottoutilizzazione delle quote disponibili a livello europeo, tanto che nella campagna lattiero-casearia 2006/07 solo 7 dei 27 Paesi membri hanno prodotto quanto o più della quota disponibile a livello nazionale, originando una sovrapproduzione di 770.000 tonnellate (Italia in testa con 437.000 t), a fronte di una mancata utilizzazione globale di 1.919.000 tonnellate (Francia in testa). Ciò ha portato all attribuzione di una multa per i nostri allevatori stimata per il 2007-08 in 149 milioni di euro, mentre nella maggior parte dell UE non si è prodotto quanto previsto. Questo trend di inutilizzo delle quote, già evidente a partire dal 2004, mette in rilievo come il settore lattierocaseario europeo risulti in parte perdente nella competizione globale e come i livelli di redditività delle aziende da latte italiane, del resto ben documentati nel caso italiano da ISMEA (www.ismea.it) e CRPA con il monitoraggio della redditività della aziende da latte nell ultimo quinquennio, siano stati tali da non consentire a molti allevatori di operare in questo settore in modo proficuo. Dal 2003 hanno chiuso in Italia 16.000 stalle. Tutti questi elementi hanno dato la spinta necessaria all UE per andare verso il graduale smantellamento del sistema delle quote, favorendo inoltre un graduale aumento della loro disponibilità del 7% circa, in modo da arrivare a un cosiddetto atterraggio morbido al termine del sistema previsto nel 2015. Lo smantellamento delle quote non è stata una scelta indolore perché nel tempo gli allevamenti che hanno voluto crescere hanno dovuto investire nell acquisto di quote, pagandole spesso a caro prezzo, in particolare in Olanda dove le quotazioni erano arrivate a 2 /kg. Non è facile quindi dire a qualcuno che ha speso centinaia di migliaia di euro in un pezzo di carta che dal 2015 questo non avrà più valore per il mercato, mentre continuerà ad averlo per le banche che gli hanno finanziato l investimento. Per rendere meno doloroso questo passaggio, si è cercato di compensare almeno in parte gli allevatori con un premio disaccoppiato nel periodo di transizione, fino all abolizione del sistema. Le prospettive per gli allevatori europei Un quadro economico, politico e sociale mondiale così complesso è evidente che renderà sempre più volatili i mercati agricoli. I nostri concorrenti europei hanno iniziato ad interrogarsi sul futuro del settore latte par-

tendo dal livello globale per scendere poi a livello locale. Al congresso EDF tenutosi in Olanda nel giugno scorso sono state presentate alcune di queste analisi. Una ricerca condotta da ricercatori dell Università olandese di Wageningen ha individuato le tre aree europee che a seguito di un abolizione del sistema delle quote nel 2015 potranno avere le migliori potenzialità di crescita produttiva: regioni che si affacciano sul Mare del Nord (Belgio, Olanda, Lussemburgo, Germania del nord e Danimarca); Bretagna, Normandia e Paesi della Loira; Pianura Padana. Queste aree, secondo l EDF, hanno prospettive di crescita produttiva di oltre il 10% nell arco di tempo che va dal 2006 al 2020 grazie a una serie di combinazioni di elementi favorevoli quali le capacità imprenditoriali, la redditività, la posizione competitiva delle industrie lattiero-casearie, la capacità produttiva dei suoli ecc. Con la stessa metodologia è stato stimato che nel centro-sud Italia la produzione diminuirà fino al 5%, mentre nell arco alpino incrementerà di circa il 5%. Un altro dato interessante che emerge da un altra ricerca presentata sempre al congresso EDF e effettuata dall EDF stessa su un campione di aziende, è che gli allevatori italiani sono tra quelli che nel biennio 2008-09 investiranno di meno nelle loro aziende, con circa 1.000 /vacca mentre in altre aree europee (Belgio, Olanda e Germania) sono a livelli 3-4 volte superiori. Questo vuol dire che i nostri diretti competitori si stanno attrezzando per far fronte al libero mercato. Gli allevatori europei sentono il bisogno di approcci pragmatici, mentre nel nostro Paese non sembra sia stato ancora capito il fatto che si tratta di imprenditori a tutti gli effetti, che oramai gestiscono budget importanti, hanno dipendenti ed esposizioni finanziarie, che alimentano un indotto e una fetta importante dell industria del made in Italy. Come in tutti i settori, anche questi imprenditori hanno bisogno di capire quali siano gli orientamenti generali e di sapere che il sistema che ruota intorno all azienda è in grado di favorire l impresa. Così, mentre in Italia siamo ancora avvitati e divisi sulle quote latte, in Olanda si discute la fusione dei due colossi cooperativi Campina e Friesland Food, che in termini di fatturato sono singolarmente ai livelli di Parmalat. Dalla loro fusione nascerebbe la terza industria del settore alle spalle della svizzera Nestlè e della francese Danone, forte di circa 20.000 soci conferenti; al di là di ogni divisione storica, questi vedono nell unione dei produttori la via migliore per competere nel sistema globale in cui operano. L unica timida reazione al mercato da parte del mondo produttivo italiano è ancora di tipo individualistico, con il tentativo di sorpassare latterie e distribuzione rivolgendosi direttamente al consumatore con i distributori di latte crudo. Il fenomeno, unico in Europa con queste dimensioni, al momento interessa circa 760 distributori su tutto il territorio nazionale. Ipotizzando una vendita unitaria di 80 litri al giorno, si arriva a circa 22.000 tonnellate di latte all anno per un fatturato di 22 milioni di euro. Ancora una piccola quantità (1%) se si considera che il consumo annuale di latte alimentare è di 2.400.000 tonnellate. Forse bisognerà pensare a qualcosa di più efficace per far fronte al futuro che ci aspetta. 59