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1) Corte di cassazione n. 4984 del 28 febbraio 2013 domanda di ricongiungimento familiare formulata dal figlio a beneficio della madre situazione di poligamia rigetto della domanda Va accolto il ricorso dell Amministrazione e, in riforma del provvedimento impugnato, si rigetta l opposizione al diniego del visto d ingresso per ricongiungimento familiare. Il procedimento di riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare ha natura complessa ed è a formazione complessiva, di talché lo scrutinio dei requisiti deve essere eseguito alla stregua della norma applicabile all esito dell iter procedimentale. Nel caso di specie, l iter amministrativo è iniziato prima dell entrata in vigore della norma novellata, ma il rilascio del visto d ingresso, cui bisogna riferirsi al fine di stabilire la disciplina applicabile, è ampiamente successivo a tale data. Stabilito ciò, la norma applicabile, ovvero l art. 29, comma 1 ter, del D.Lgs. n. 286/1998 stabilisce un divieto che opera oggettivamente nei confronti delle richieste di ricongiungimento familiare proposte in favore del coniuge di un cittadino straniero già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, non distinguendo soggettivamente la provenienza della domanda, e al contrario mirando ad evitare l insorgenza nell ordinamento di una condizione di poligamia, contraria all ordine pubblico anche costituzionale. Riferimenti normativi art. 29, comma 1 ter, TU 2) Corte di cassazione n. 4721 del 25 febbraio 2013 autorizzazione ex art. 31, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998 insussistenza del quadro probatorio rigetto della domanda E rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di appello, che ha respinto l autorizzazione alla permanenza in Italia, ex art. 31 comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998, avanzata dal ricorrente al fine di poter vivere con i propri figli minori e con la loro madre. Nonostante l ampliamento delle condizioni di applicazione della norma, sulla scorta dell apertura offerta nelle pronunce del 2010 e 2011, e la riduttiva interpretazione della stessa da parte della Corte di appello, il ricorso non merita accoglimento attesa la mancanza di deduzioni specifiche riguardanti il grave disagio psichico dei minori, non essendo sufficiente al riguardo la mera indicazione della necessità di entrambe le figure genitoriali. Riferimenti normativi art. 31, comma 3, TU 3) Corte di cassazione n. 4230 del 20 febbraio 2013 richiedente protezione internazionale decreto di espulsione applicabilità del divieto di espulsione per ragioni umanitarie mancata valutazione da parte del giudice di pace del materiale probatorio offerto a sostegno della domanda cassazione del provvedimento impugnato e rinvio al giudice di pace in diversa persona In accoglimento del ricorso, si cassa il provvedimento impugnato e si rinvia al giudice di pace in diversa persona. In caso di diniego di riconoscimento dello status di rifugiato, che non venga impugnato dal richiedente, l opposizione all espulsione proposta ai sensi dell art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 286/1998, deve fondarsi su ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle che hanno formato oggetto del procedimento relative alla domanda di protezione internazionale. In tal sede, pertanto, il giudice di pace è tenuto ad accertare, mediante l esercizio dell obbligo di cooperazione istruttoria cui è assoggettato al pari del giudice della protezione internazionale, circostanze non emerse davanti alla Commissione territoriale perché il richiedente non è stato in grado di indicarle o allegarle e la Commissione non è stata in grado di accertarle. Riferimenti normativi art. 19, comma 1, TU 18/03/2013 1/47

4) Corte di cassazione n. 7912 del 18 febbraio 2013 condanna per violazione del divieto di reingresso ininfluenza della direttiva rimpatri nonché della sentenza della Corte di giustizia nel caso El Dridi matrimonio con cittadina italiana assenza del requisito di convivenza conferma della condanna E respinto il ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di appello ha confermato la condanna di primo grado, alla pena di anni uno e mesi quattro, per il delitto previsto dall art. 13, comma 13, del D.Lgs. n. 286/1998. La condotta di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino extracomunitario, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio, ha conservato rilevanza penale pur dopo l emissione della direttiva rimpatri e la conseguente pronuncia della Corte di giustizia nel caso El Dridi, perché i principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della condotta di reingresso in assenza di autorizzazione. Per quanto attiene poi all altro motivo di censura, si osserva che il matrimonio con una cittadina italiana, contratto dopo la terza espulsione dal territorio nazionale, non giustifica il rientro del ricorrente in Italia senza alcuna autorizzazione nell anno successivo, essendo necessario l ulteriore presupposto della convivenza col coniuge, come si ricava dal sistema e dall esigenza di evitare matrimoni solo formali, strumentali ad ottenere il permesso di soggiorno. Riferimenti normativi artt. 13, comma 13, 19, comma 2, lettera c) e 30, comma 1 bis, TU art. 28, comma 1, lettera b), Regolamento 5) Tribunale di Reggio Emilia del 9 febbraio 2013 straniero transessuale coniugato con cittadina italiana domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari diniego motivato dall asserita insussistenza della convivenza more uxorio e dall utilizzo strumentale che sarebbe stato fatto del matrimonio al fine esclusivo di ottenere il rilascio del titolo di soggiorno non fondatezza della tesi portata avanti dall Amministrazione illegittimità del diniego E accolto il ricorso e si dispone, a beneficio del ricorrente, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. Nel caso di specie, occorre sottolineare come sia pacifico che il ricorrente sia legalmente coniugato con cittadina italiana, non sussistendo dubbi in ordine alla celebrazione del loro matrimonio. Risulta altresì pacifico che i coniugi siano tuttora di diverso sesso anagrafico, posto che il ricorrente, pure assumendo di fatto le sembianze dell altro genere, non ha mai richiesto la rettificazione anagrafica del sesso a norma della legge n. 164 del 14 aprile 1982. Quanto poi a sostenere, a detta dell Amministrazione, che si sia in presenza di un matrimonio di convenienza, non può non considerarsi, come a fronte di un matrimonio legalmente celebrato e d una stabile relazione e convivenza coniugale, durata, oramai, da oltre cinque anni, ogni ulteriore indagine sulla natura del rapporto tra i coniugi finalizzata a verificare se il rapporto sia simulato appaia ultronea tanto da apparire una inammissibile intrusione nella sfera personale dei coniugi. Riferimenti normativi artt. 19, comma 2, lettera c) e 30, comma 1 bis, TU art. 28, comma 1, lettera b), Regolamento 6) Tribunale di Reggio Emilia del 31 gennaio 2013 minore nato in Italia richiedente cittadinanza italiana entro un anno dal compimento della maggiore età diniego formulato dal Sindaco del Comune in ragione della mancata iscrizione anagrafica per quasi un triennio dimostrazione dell effettiva permanenza continuativa in Italia, nel periodo contestato, attraverso documentazione di evidenza pubblica applicabilità dell indirizzo estensivo fatto proprio dal Ministero dell interno nelle circolari diramate nel 2007 illegittimità del rifiuto E accolto il ricorso avverso l accertamento negativo opposto dal Sindaco del Comune di R., all istanza avanzata dal ricorrente nato in Italia, ai fini dell acquisto della cittadinanza, fatto discendere dalla circostanza della mancata iscrizione anagrafica per un lasso temporale. Nel caso di specie, pur in assenza dell iscrizione anagrafica per un periodo di quasi tre anni, risulta comunque provato, dalla documentazione versata in atti, che non si è interrotta in tale periodo la presenza effettiva del richiedente sul territorio italiano. Infatti, egli era formalmente domiciliato col suo nucleo familiare al Comune di A., frequentava la locale scuola, veniva promosso alla classe successiva, nonché vaccinato periodicamente. Ne consegue che, stante l assenza di elementi contrari, non appare conforme alle linee interpretative, contenute nelle circolari del Ministero 18/03/2013 2/47

dell interno emanate nel 2007, il richiamo al concetto di brevità del periodo di mancata iscrizione per escludere, a prescindere dall apprezzamento qualitativo delle emergenze risultanti dalla documentazione allegata, il riconoscimento del possesso dei requisiti di cui all art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992 per l acquisto della cittadinanza italiana. Riferimenti normativi art. 4, comma 2, legge n. 91/1992 7) Tribunale di Reggio Emilia del 6 dicembre 2012 cittadina comunitaria richiesta di convalida del provvedimento di immediata esecuzione dell allontanamento dal territorio nazionale interpretazione della norma alla luce dei principi della normativa comunitaria valutazione caso per caso impugnazione del primo provvedimento di allontanamento omessa convalida da parte del giudice Si nega la convalida del provvedimento del Questore, con cui è stata disposta l immediata esecuzione dell allontanamento dal territorio nazionale nei confronti della cittadina comunitaria, di nazionalità rumena. L art. 21, comma 4, del D.Lgs. n. 30/2007 va interpretato in senso conforme ai principi generali di proporzionalità ed attualità oltre che in linea con la fonte europea primaria, con la direttiva e con la carta costituzionale ed in particolare con l art. 13 Cost. in punto di riserva di giurisdizione rispetto ai provvedimenti che attengono alla libertà personale. Nel caso di specie è emerso incontestatamente che l interessata ha proposto ricorso avverso il primo provvedimento di allontanamento e che il Tribunale all attualità non ha ancora provveduto sullo stesso. Tale circostanza non è stata valutata nel provvedimento del prefetto né nel decreto del questore di esecuzione immediata che lo richiama integralmente. Si ritiene invece che essa possa fornire elementi idonei a quella valutazione caso per caso richiesta dall art. 20 del D.Lgs. n. 30/2007, comma 11, così come quella di cui al comma 12, essendo la permanenza sul territorio dell interessata oggettivamente giustificabile dall attesa del provvedimento giurisdizionale e dal diritto costituzionale di difesa. Riferimenti normativi artt. 20, commi 11 e 12, 21, comma 4 e 22, comma 2, D.Lgs. n. 30/2007 8) Tribunale di Roma del 26 novembre 2012 domanda di rilascio della carta di soggiorno di familiare extracomunitario di cittadino UE diniego motivato sulla pregressa irregolarità del richiedente illegittimità del diniego E accolto il ricorso avverso il provvedimento di diniego della domanda di rilascio della carta di soggiorno di familiare extracomunitario di cittadino UE, fatto discendere dalla pregressa irregolarità del richiedente. L art. 10 del D.Lgs. n. 30/2007 va inquadrato in una lettura costituzionalmente orientata e comunque conforme al diritto comunitario, trattandosi di attuazione della direttiva 2004/38/Ce relativa al diritto dei cittadini dell unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri. Soggiunge, in proposito, la sentenza CGCE Metock del 2008 che ha stabilito il principio in base al quale il cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell Unione che soggiorna in uno stato membro di cui non ha la cittadinanza, il quale accompagni o raggiunga il detto cittadino dell Unione, gode delle disposizioni di detta direttiva, a prescindere dal luogo e dalla data del loro matrimonio nonché dalla modalità secondo la quale il detto cittadino di un paese terzo ha fatto ingresso nello Stato membro ospitante. Quanto, infine, all altra censura mossa dalla Questura, secondo cui il richiedente non sarebbe familiare a carico della compagna né dei figli minori, si osserva che la Corte di giustizia ha chiarito che quando il cittadino comunitario sia un minore in tenera età lo stesso abbia comunque il diritto di soggiornare in un Paese dell Unione europea prescelto dai genitori purché risulti a carico degli stessi e non gravi sulle finanze pubbliche. Da ciò discende per il genitore di un paese terzo un diritto derivato al soggiorno presso lo Stato ospitante. Riferimenti normativi art. 10, D.Lgs. n. 30/2007 18/03/2013 3/47

9) TAR Lazio n. 2057 del 25 febbraio 2013 domanda di conversione del permesso di soggiorno da stagionale a subordinato diniego motivato dal mancato rientro in patria del richiedente illegittimità E illegittimo il provvedimento di diniego della domanda di conversione del primo permesso stagionale in quello di lavoro subordinato, fatto discendere dal mancato rientro in patria dello straniero richiedente. L art. 24, comma 4, secondo periodo, del D.Lgs. n. 286/1998 prevede in via generale che il lavoratore stagionale possa convertire il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato qualora se ne verifichino le condizioni, senza ribadire la necessità del rientro in patria a questi fini. La norma sembra pertanto semplicemente richiamare sul punto quanto previsto in via generale dall art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998, secondo il quale in sede di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno deve essere dato rilievo ai nuovi elementi sopraggiunti nel frattempo. Peraltro, non si vede perché il lavoratore extracomunitario non possa immediatamente ottenere la conversione del titolo di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato ma dovrebbe invece, alla scadenza del primo permesso, comunque rientrare in patria per poi nuovamente tornare in Italia, col rischio più che evidente di perdere il lavoro appena ottenuto. In conclusione, la conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso per lavoro subordinato non può essere rigettata a causa del mancato previo rientro in patria dello straniero richiedente, fermo restando comunque l obbligo di ancorare la possibilità di conversione alla sussistenza delle quote di accesso, annualmente definite dal decreto flussi, da considerarsi presupposto per il rilascio di qualsiasi permesso di soggiorno. Riferimenti normativi art. 24, comma 4, TU art. 38, comma 7, Regolamento 10) TAR Lazio n. 1374 del 7 febbraio 2013 emersione 2009 rigetto della domanda per plurimi provvedimenti di condanna per furto legittimità del rigetto E respinto il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di emersione, motivato dalla presenza in capo alla ricorrente di condanne ostative per i reati di furto aggravato e di ricettazione. L Amministrazione, una volta riscontrata la sentenza di condanna per uno dei reati rientranti nell art. 380 c.p.p., considerato dal legislatore come ostativo al conseguimento del beneficio dell emersione e del rilascio del titolo autorizzatorio alla permanenza in Italia, non è tenuta a svolgere alcuna ulteriore attività istruttoria in merito all effettiva pericolosità sociale dell istante o all inserimento lavorativo dello stesso, risultando dette circostanze del tutto irrilevanti, atteso il carattere automatico della preclusione in questione e la conseguente natura di atto vincolato del provvedimento di diniego. Ad ogni buon conto, l Amministrazione ha provveduto, proprio in considerazione delle circostanze invocate dal difensore di parte a valutare la pericolosità sociale dell interessata, riscontrando l esistenza di 30 provvedimenti di condanna per furto, anche di tipo aggravato, indicativi anche della tendenza a vivere di proventi di fonte illecita. In tale frangente, il provvedimento di rifiuto risulta immune dalle censure dedotte atteso che, l Amministrazione, una volta riscontrati i precedenti penali aventi automatica valenza ostativa al conseguimento del beneficio dell emersione, non poteva disattendere la previsione normativa e rilasciare comunque il titolo richiesto, al fine di tutelare l unità del nucleo familiare della ricorrente. Riferimenti normativi art. 1 ter, comma 13, lettera c), legge n. 102/2009 18/03/2013 4/47

. Omissis Corte di Cassazione Sesta Sezione Civile Ordinanza 28 febbraio 2013, n. 4984 Rilevato che il relatore designato, ha depositato la seguente relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ. nel procedimento n. 3152 del 2012 : "Rilevato che con provvedimento della Corte d'appello di Venezia, di conferma della sentenza di primo grado, veniva respinto il ricorso proposto dal Ministero degli affari esteri, avverso il rilascio di visto d'ingresso per ricongiungimento familiare, richiesto dal ricorrente e riconosciuto dal giudice di primo grado, in favore della propria madre, in applicazione dell'art. 29 del d.lgs n. 286 del 1998, così come modificato dall'art. 1 del d.lgs n. 160 del 2008, in quanto priva di mezzi di sostentamento e di altri figli nel paese d'origine (il Marocco). Quest'ultima, tuttavia, risultava coniugata con il padre del ricorrente, soggiornante in Italia, il quale aveva richiesto il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare in favore di un'altra moglie. A causa della situazione di poligamia, vietata nel nostro ordinamento, che si sarebbe determinata con l'ingresso e il soggiorno nel nostro paese della madre del ricorrente, il Consolato Generale di Casablanca aveva negato il visto e il Ministero degli Esteri aveva resistito in primo grado e proposto appello; considerato che la Corte d'appello aveva respinto il ricorso osservando a) che la norma di cui all'art. 29, comma primo ter del d.lgs n. 286 del 1998, la quale vieta il ricongiungimento familiare in favore di chi sia regolarmente coniugato con coniuge residente in Italia con altro coniuge, è entrata in vigore dopo la proposizione della domanda in questione; b) tale norma, ai fini della sua applicazione richiede la prova della proposizione della domanda per interposta persona al fine di eludere il divieto di cui al citato art. 29; e) nella specie la domanda è formulata dal figlio e non dal coniuge già convivente con altro coniuge; considerato, altresì, che avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso per cassazione dal Ministero degli esteri fondato sui seguente motivi - 1) violazione dell'art. 29, comma primo ter del d.lgs n. 286 del 1998, così come modificato dall'art. 22, lettera b) della I. 94 del 2009. Il divieto espresso di ricongiungimento familiare previsto nella norma è entrato in vigore prima della conclusione dell'iter amministrativo destinato all'accertamento dei requisiti per il ricongiungimento familiare. Pertanto, anche alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la domanda deve essere scrutinata alla luce della norma applicabile al momento finale del rilascio del visto d'ingresso. - 2) il divieto introdotto nella norma, peraltro preesistente, in via sistematica nell'ordinamento interno, opera oggettivamente ogni qual volta possa verificarsi una situazione di poligamia, contrastante con il diritto familiare italiano. Risulta, conseguentemente, irrilevante che a formulare la domanda sia stato il figlio e non il coniuge, già soggiornante in Italia con altra moglie. - Considerato, altresì, che ha resistito con controricorso A. A. ritenendo,in ordine al primo motivo che dovesse essere applicabile la norma in forza al momento della presentazione della domanda e non invece quella vigente al momento del rilascio del visto d'ingresso, anche in considerazione del fatto che all'autorità consolare non è attribuita alcuna discrezionalità ma esclusivamente il compito di verificare l'autenticità dei documenti forniti dal richiedente. Su! secondo motivo che, come accertato nei gradi di merito, la madre del richiedente è da venti anni separata di fatto dal coniuge e lo scopo della richiesta è di ravvicinarsi al figlio dal quale dipende economicamente; Ritenuta in ordine al primo motivo che è consolidato, nella giurisprudenza di questa sezione, il principio secondo il quale il procedimento di riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare è procedimento complesso, a formazione progressiva, nel quale le valutazioni accertative della Questura o dello Sportello Unico vengono seguite dagli accertamenti della Rappresentanza diplomatica, le prime sfocianti nel nulla osta e i secondi nel visto di ingresso, o nel suo diniego, quest'ultimo provvedimento impugnabile come atto terminativo innanzi al G.O. ed ex art. 30 comma 6 del T.U. (Cass. n. 209/2005; 18/03/2013 5/47

15247/2006; 12661/2007); 2) è incontestato che gli atti dell'amministrazione in materia sono privi di alcun profilo di discrezionalità perché attinenti alla verifica della sussistenza/insussistenza dei requisiti delineati dalla legge per l'insorgenza del diritto al ricongiungimento, come risulta confermato dal radicamento, ex art. 30 d.lgs n. 286 del 1998, in capo al G.O. della cognizione su di essi; 3). è coerente con le premesse sub 1) e 2) che, alla luce della articolazione procedimentale destinata al riconoscimento del diritto al ricongiungimento la cui concreta esistenza viene accertata solo all'esito del procedimento, la sopravvenienza normativa sui requisiti di insorgenza sia di immediata applicazione ove essa intervenga nel corso della procedura; 4. L'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il procedimento di riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare ha natura complessa ed è a formazione progressiva coinvolgendo l'attività valutativa dell'autorità amministrativa, quella dell'autorità diplomatica e l'eventuale ricorso al giudice ordinario, per cui lo scrutinio dei requisiti deve essere eseguito alla stregua della norma applicabile all'esito dell'iter procedimentale, ha trovato, peraltro, ulteriore recente conferma proprio con riferimento alla novella dell'art. 29 d.lgs n. 286 del 1998, affrontata nel presene giudizio (Cass. ord. 7218 e 7219 dei 2011, 3493 del 2012); Ritenuta, pertanto, la fondatezza del motivo, derivante dal fatto che nella specie l'iter amministrativo è iniziato prima dell'entrata in vigore (8/8/2009) della norma novellata ma il rilascio del visto d'ingresso, cui bisogna riferirsi al fine di stabilire la disciplina applicabile, è ampiamente successivo a tale data, essendo intervenuto il (7/9/2010); ritenuto, in ordine al secondo motivo, che la norma applicabile (art. 29 comma primo ter d.lgs 286 del 1998) stabilisce un divieto che opera oggettivamente nei confronti delle richieste di ricongiungimento familiare proposte in favore del coniuge di un cittadino straniero già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, non distinguendo soggettivamente la provenienza della domanda, e al contrario mirando ad evitare l'insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria al nostro ordine pubblico anche costituzionale, ritenuto, pertanto, che non è necessario che l'amministrazione dimostri che il richiedente abbia agito per conto del proprio genitore perché il divieto di poligamia non è condizionato da condizioni di fatto quali la coabitazione o la vivenza a carico, ma opera in sé e perdura fino alla cessazione legale di uno dei vincoli coniugali; ritenuto, inoltre, che non è stata neanche dedotta l'impossibilità di sciogliersi dal vincolo coniugale per la richiedente nel proprio paese d'origine; ritenuto, in conclusione che anche questo motivo di ricorso risulta fondato e che, ove vengano condivisi i predetti rilievi, il ricorso può essere deciso nel merito ai sensi dell'art. 384, secondo comma cod. proc. civ. con la reiezione della domanda di ricongiungimento familiare avanzata dal richiedente"; Ritenuto che il Collegio aderisce alla relazione e che in ordine al regime delle spese di lite reputa di compensare le spese di lite nei gradi di merito perché ancora non consolidato il nuovo orientamento di legittimità e di applicare il principio della soccombenza nel presente procedimento, trattandosi per questa fase di indirizzo affermato; P.Q.M. Accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione al diniego del visto d'ingresso per ricongiungimento familiare e condanna la parte controricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento che liquida in E 1300 oltre S.P.A.D, compensando le spese dei giudizi di merito.. Omissis 18/03/2013 6/47

Ordinanza n. 4721 del 25 febbraio 2013 Corte di Cassazione CORTE DI CASSAZIONE Rilevato che con provvedimento della Corte d'appello, sezione minorenni, di Milano veniva respinta, l'autorizzazione alla permanenza in Italia, ai sensi dell'art. 31, terzo comma, d.lgs n. 286 del 1998, avanzata dal ricorrente al fine di poter vivere con i propri figli minori e con la loro madre, sulla base della seguente motivazione: nella specie non ricorreva la sussistenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psico fisico del minore, da ritenersi integrati esclusivamente in presenza di condizioni di assoluta o comprovata emergenza ovvero di circostanze contingenti ed eccezionali che pongano in grave pericolo lo sviluppo normale della sua personalità, Considerato che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione ***** deducendo che con il provvedimento impugnato sono stati violati il superiore interesse del minore cui dovevano essere ispirati tutti i provvedimenti che lo concernevano ed il diritto all'unità familiare, entrambi positivamente riscontrabili alla luce della considerazione che la mancanza di una figura genitoriale determina un grave danno per lo sviluppo psico fisico del figlio minore; Ritenuto che la Corte a sezioni unite ha recentemente ridefinito le condizioni di accoglimento della richiesta formulata ai sensi dell'art. 31, terzo comma d.lgs n. 286 del 1998, affermando che "la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall'art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 in presenza di gravi motivi connessi ai suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto ai proprio rimpatrio o a quello di un familiare. (S.U. 21799 del 2010; 7516 del 2011); Ritenuto, tuttavia, che, nonostante l'ampliamento delle condizioni di applicazione della norma e la riduttiva interpretazione della stessa da parte della Corte d'appello, il ricorso non merita accoglimento attesa la mancanza di deduzioni specifiche riguardanti il grave disagio psichico dei minori, non essendo sufficiente al riguardo la mera indicazione della necessità di entrambe le figure genitoriali; Ritenuto, infine che ove si condividano i predetti rilievi il ricorso deve essere respinto Ritenuto che parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Ritenuto, tuttavia, che nella memoria in oggetto non vengono indicati fattori specifici di grave disagio psico fisico per i minori, diversi da quelli che normalmente conseguono ad un rimpatrio dei minori medesimi, o ad un allontanamento paterno, 18/03/2013 7/47

Ritenuto, pertanto, di dover confermare il contenuto e la proposta di soluzione della relazione; Rigetta il ricorso. Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2013 P.Q.M. 18/03/2013 8/47

Sentenza n. 4230 del 20 febbraio 2013 Corte di Cassazione CORTE DI CASSAZIONE Il cittadino straniero aveva impugnato il provvedimento di espulsione emesso nei suoi confronti con decreto del prefetto di Chieti del 27/7/2011, deducendone l'illegittimità per violazione dell'art. 19, primo comma del T.U. n. 286 del 1998, (divieto di espulsione per ragioni umanitarie) dal momento che il rimpatrio nel proprio paese di origine, la Nigeria, lo avrebbe esposto a pericolo di vita per essere evaso dalle carceri del suo paese ove era stato ristretto a seguito dei disordini da cristiani e mussulmani; il giudice di pace respingeva il ricorso ritenendo non provate le condizioni dedotte ed evidenziando l'intervenuta reiezione, da parte della Commissione territoriale competente, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato; il provvedimento è ricorribile per cassazione e non ha resistito l'intimata amministrazione; nell'unico motivo del ricorso per cassazione, il provvedimento impugnato è stato censurato sotto il duplice profilo della violazione e falsa applicazione dell'art. 19 del T.U. n. 286 del 1998, e del vizio di motivazione su un fatto decisivo per il giudizio quale il pericolo di persecuzione e di vita del ricorrente, perché il giudice di pace avrebbe ritenuto inapplicabile il divieto dì espulsione per ragioni umanitarie senza aver svolto alcun esame del materiale probatorio offerto a sostegno della domanda ed adottando una motivazione meramente formale del rigetto, fondata sulla mancanza di documenti di soggiorno e di fonti di reddito nonché sull'intervenuto rigetto della Commissione territoriale il ricorso risulta manifestamente fondato perché nel provvedimento impugnato è del tutto omessa la motivazione relativa all'assenza del rischio di persecuzione in caso di rimpatrio del cittadino straniero, essendosi, il giudice di pace, limitato ad affermare "tali circostanze (le condizioni di pericolo di vita per il ricorrente) non sono affatto provate in atti mentre con certezza l'istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato veniva motivatamente rigettata dalla Commissione territoriale (...)" secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito, in materia di protezione internazionale, è tenuto ad effettuare un'indagine fattuale ampia e rigorosa, fondata sull'esame critico del materiale probatorio offerto dalla parte nonché sull'esercizio di poteri/doveri istruttori officiosi (Cass. S.U. 17318 del 2008), trattandosi dell'accertamento della titolarità di posizioni giuridiche soggettive appartenenti al rango dei diritti umani (Cass. S.U. 19393 del 2009), il divieto di espulsione o di respingimento previsto dall'art. 19, primo comma del d.lgs n. 286 del 1998 appartiene, incontestatamente, all'area della protezione internazionale (Cass. 10636 del 2010), conseguendone l'obbligo per il giudice di pace, in sede di opposizione alla misura espulsiva, di esaminare e pronunciarsi sul concreto pericolo, prospettato dall'opponente, di essere sottoposto a persecuzione o a trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio nel paese d'origine, in quanto la norma di protezione introduce una misura umanitaria a carattere negativo, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale, qualora tale condizione venga positivamente accertata dal giudice (Cass. 3898 del 2011) 18/03/2013 9/47

nella motivazione del provvedimento impugnato è integralmente mancato il riscontro della concreta valutazione delle risultanze probatorie offerte dal ricorrente, né tale omissione può essere sanata con il mero riferimento, privo di alcuna indicazione delle ragioni della decisione, al rigetto della domanda di rifugio politico da parte della Commissione territoriale, atteso che i presupposti per la concessione dello status di rifugiato ed i requisiti per l'operatività del divieto ex art. 19 primo comma del d.lgs n. 286 del 1998 (sostanzialmente corrispondenti ai "seri motivi di carattere umanitario" che giustificano il rilascio di un permesso temporaneo ex art. 5 comma sesto d.lgs n. 286 del 1998) non coincidono ed inoltre, il diniego della misura tipica non determina automaticamente il rigetto anche della misura atipica minore e residuale (Cass. 4139 del 2011); per le ragioni svolte il provvedimento impugnato deve essere cassato con rinvio al giudice di pace di Chieti, in diversa persona, affinché nel verificare l'applicabilità del divieto di cu allo art. 19 primo comma d.lgs n. 286 del 1998 valuti concretamente e si pronunci sulla condizione di pericolo prospettata dal cittadino straniero di essere sottoposto a persecuzione o a trattamenti inumani o degradanti; ove si condividano i richiamati rilievi la causa può essere trattata in camera di consiglio e decisa con accoglimento cui segua al cassazione con rinvio del provvedimento impugnato" Il Collegio condivide la proposta di soluzione indicata nella relazione ma ritiene necessaria la seguente integrazione: secondo l'orientamento della prima sezione della Corte (tra le più recenti Cass. n. 7572 del 2009, 824 del 2010 e 15296 del 2012), in caso di diniego di riconoscimento, da parte della Commissione territoriale competente, dello "status" di rifugiato, che non venga impugnata dal richiedente, l'opposizione all'espulsione proposta ai sensi dell'art. 19, primo comma, del d.lgs n. 286 del 1998, deve fondarsi su ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle che hanno formato oggetto del procedimento relative alla domanda di protezione internazionale. La novità non deve essere valutata in senso rigorosamente oggettivo, potendo anche trattarsi di una circostanza soggettivamente nuova, perché appresa medio tempore, integrante un non evidenziato fattore di rischio od un fatto non emerso davanti alla Commissione riguardante, tuttavia una ragione di pericolo per il rientro (es. sottoposizione a tortura o trattamenti inumani o degradanti), già esposta davanti alla Commissione, senza essere suffragata dalla nuova allegazione di fatto. Integrano, di conseguenza, il requisito della "novità" non soltanto i fatti cronologicamente sopravvenuti alla decisione di rigetto non impugnata, ma anche quelli ignorati in sede di valutazione della Commissione territoriale perché non allegati dal richiedenti o non accertati officiosamente dalla autorità decidente. Ne consegue che, in sede di opposizione all'espulsione fondata sul divieto di espulsione contenuto nell'art. 19 primo comma, d.lgs n. 286 del 1998, il giudice di pace è tenuto ad accertare, mediante l'esercizio dell'obbligo di cooperazione istruttoria cui è assoggettato al pari del giudice della protezione internazionale, circostanze non emerse davanti alla Commissione territoriale perché il richiedente non è stato in grado d'indicarle o allegarle e la Commissione non è stato in grado di accertarle. Occorre, inoltre, osservare che le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato sono diverse da quelle poste a base del riconoscimento della protezione sussidiaria ed in particolare, i requisiti della protezione sussidiaria non coincidono con quelli che consentono l'adozione di una misura atipica di protezione umanitaria ex art. 5 del d.lgs n. 286 del 1998, (Cass.4139 dei 2011; 24544 del 2011; 10686 del 2012). Pertanto, occorre, in primo luogo, verificare se il diniego della Commissione territoriale sia stato adottato nella vigenza del d.l. n. 416 del 1989 convertito nella I. n. 39 del 1990 e del correlato regolamento di attuazione nella versione anteriore alla modifica dovuta all'introduzione nel testo normativo dell'art. 1 quater (ex art. 32, comma primo lettera b della I. n. 189 del 2002, vigente dal 20/4/2005), ovvero quando alle predette Commissioni territoriali non era attribuito alcun potere 18/03/2013 10/47

diverso da quello di accogliere o negare il riconoscimento della misura del rifugio politico. In tale originano contesto normativo, ancorché di difficile attuale concreta verificabilità, la cognizione sull'opposizione all'espulsione ex art. 19, primo comma del d.lgs n. 286 del 1998, può fondarsi sulle circostanze di fatto emerse davanti alla Commissione territoriale da valutarsi alla stregua dei diversi parametri, posti a base del riconoscimento del diritto ad una misura atipica di protezione umanitaria, che costituiscono il fondamento dell'applicazione del principio di non refoulement su cui si fonda l'inespellibilità ex art. 19 d.lgs n. 286 del 1998. Il passaggio da un sistema monista di misure di protezione internazionale ad un sistema pluralista ( quale quello attuale dì derivazione comunitaria) non può essere trascurato dal giudice dell'opposizione all'espulsione perché l'oggetto e i poteri delle Commissione territoriali si sono coerentemente ampliati rispetto alla condizione originaria. Dall'esclusiva cognizione sul rifugio politico le Commissioni come sopra illustrato (a partire dal 20/4/2005, cfr. Cass. 11535 del 2009) sono passate a conoscere anche dei permessi umanitari essendo tenute a richiedere al Questore il rilascio dei medesimi in presenza delle condizioni, nettamente diverse da quelle poste a base del rifugio, nell'art. 5 sesto comma del d.lgs n. 286 del 1998. Con l'entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi delle Direttive europee 2004/83/CE e 2005/85/CE, le Commissioni sono tenute a verificare l'esistenza delle condizioni per il riconoscimento delle due misure tipiche e di quella atipica, così espandendo ulteriormente la loro cognizione. Nel quadro normativo attualmente vigente si colloca la fattispecie dedotta nel presente giudizio, nella quale al decisione sul diniego del rifugio politico non risulta essere stata impugnata davanti ai giudice della protezione internazionale. Nel provvedimento del giudice di pace non risultano neanche genericamente indicati quali siano stati i fatti posti a base della decisione della Commissione territoriale, se siano stati i medesimi " riprodotti nell'impugnazione dell'espulsione; se la Commissione abbia agito nella vigenza della normativa attuale o di quella in vigore dal 21 aprile 2005 (con conseguente obbligo di verifica quanto meno dell'esistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso umanitario ex art. 5, sesto comma, d.lgs. n. 286 del 1998); se siano state allegate circostanze nuove o diverse da quelle formanti oggetto della verifica della Commissione territoriale, sia perché sopravvenute, sia perché non conosciute, non prese in esame o non officiosamente accertate. La motivazione, come già evidenziato nella relazione che precede, si limita a riferire dell'esistenza di un provvedimento di rigetto della Commissione sul rifugio e della mancanza di prove sulle circostanze addotte dall'opponente, così rimanendo non comprensibile se il rigetto sia dovuto alla natura delle circostanze di fatto in quanto già formanti oggetto del provvedimento non impugnato della Commissione territoriale o dalla carenza di sostegno probatorio, essendo tenuto il giudice di pace, in quest'ultima ipotesi, ove i fatti possano sostenere il divieto di espulsione ex art. 19 d.lgs n. 286 del 1998 e, conseguentemente, integrare quanto meno le condizioni per il rilascio di un permesso umanitario ex art. 5, comma sesto d.lgs n. 286 del 1998, ad esercitare il proprio potere dovere di cooperazione istruttoria, stabilito negli art. 3 del d.lgs n. 251 del 2007 e 10 del d.lgs n. 25 del 2008. Si condivide in conclusione la proposta di cassazione con rinvio al giudice di pace in diversa persona perché si attenga ai principi di diritto sopraesposti; P.Q.M. Accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Giudice di Pace di pace di Chieti, in diversa persona, anche per le spese del giudizio di legittimità. 18/03/2013 11/47

DEPOSITATO IN CANCELLERIA il 20 febbraio 2013 18/03/2013 12/47

SICUREZZA PUBBLICA Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2013) 18-02-2013, n. 7912 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CHIEFFI Severo - Presidente - Dott. SIOTTO Maria Cristina - Consigliere - Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere - Dott. CAPOZZI Raffaele - Consigliere - Dott. MAZZEI Antonella - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente: sul ricorso proposto da: H.E., nato in (OMISSIS); sentenza avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 1 dicembre 2011 nel procedimento n. 11194/2010; Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei nella pubblica udienza del 4 febbraio 2013; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale, Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso. Fatto Diritto P.Q.M. 18/03/2013 13/47

Svolgimento del processo 1. Con sentenza in data 1 dicembre 2011 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Caserta, il 27 maggio 2010, con la quale H.E., cittadino albanese, è stato condannato, all'esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, con la contestata recidiva reiterata e specifica infranquinquennale e con la sola riduzione per il rito, per il delitto previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, con successive modifiche. L' H. è stato dichiarato responsabile del suddetto reato, perchè, materialmente espulso, con accompagnamento alla frontiera di Bari a seguito di decreto di espulsione emesso dal Prefetto della Provincia di Caserta il 24 luglio 2009 e del provvedimento del Questore a lui notificato nella stessa data, aveva fatto rientro nel territorio dello Stato senza l'autorizzazione del Ministro dell'interno. L' H. fu sorpreso, il (OMISSIS), da agenti della Questura di Napoli mentre, scalzo, si dava alla fuga dall'abitazione di una cittadina rumena, A.R.N., all'interno della quale era stata segnalata la presenza di armi che non furono rinvenute. Immediatamente bloccato e identificato dagli agenti, l' H. recuperò le sue scarpe, rimaste nell'abitazione, e indicò ai verbalizzanti le chiavi della cassaforte presente nell'appartamento, le quali erano riposte in un cassetto dell'armadio tra la sua biancheria. Nella cassaforte fu rinvenuta la somma di Euro 15.000 di cui il prevenuto si dichiarò proprietario, senza fornire alcuna indicazione circa la sua provenienza. Davanti al Tribunale l' H. giustificò la rilevante somma di denaro posseduta attribuendola ai guadagni propri e di alcuni congiunti, destinata all'acquisto di un'autovettura di grossa cilindrata da rivendere in (OMISSIS) ad un prezzo superiore a quello di acquisto; aggiunse di essere rientrato in Italia per le maggiori opportunità di lavoro esistenti nel nostro paese; precisò, su richiesta del difensore, di aver contratto matrimonio in (OMISSIS), il (OMISSIS), con una cittadina italiana, Ar. M., residente in (OMISSIS), come da certificato di matrimonio registrato presso l'ufficio di stato civile di (OMISSIS) su richiesta della stessa Ar.. La Corte di appello ha respinto le conformi richieste del pubblico ministero e della difesa di assoluzione dell'imputato perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato, sulla base della direttiva dell'unione Europea (U.E.) 2008/115/CE del 16/12/2008 in tema di rimpatri e della sentenza della Corte di giustizia della U.E. in data 28 aprile 2011 (El Dridi), sopravvenuta nelle more del giudizio di appello. 18/03/2013 14/47

La Corte territoriale ha rilevato che l' H., già condannato alla pena di mesi quattro di reclusione con applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dallo Stato, per il reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, cit., commesso in Tarvisio il 2 marzo 2006, era stato colpito da ulteriore provvedimento di espulsione del prefetto di Caserta, in data 9 giugno 2006, e coattivamente accompagnato alla frontiera marittima di Bari, dove era stato imbarcato per l'(omissis); successivamente, il (OMISSIS), era stato sorpreso presso gli uffici dello stato civile di (OMISSIS) in procinto di contrarre matrimonio con la cittadina italiana, Ar.Ma.; era stato, quindi, nuovamente arrestato per rientro illegale e, all'esito del giudizio di condanna, rimesso in libertà con contestuale nulla osta all'espulsione, disposta ed eseguita il 24 luglio 2009 con accompagnamento alla frontiera marittima di Bari ed imbarco per l'albania, in esecuzione del coevo decreto del Prefetto della provincia di Caserta e del relativo ordine del locale Questore. Tanto premesso in fatto, la Corte di appello ha osservato che l'ultimo decreto di espulsione del 24 luglio 2009 con contestuale imposizione del divieto di ingresso per un periodo di dieci anni, costituente il presupposto del reato contestato, non era nè sostanzialmente nè proceduralmente incompatibile con i principi fissati dalla direttiva rimpatri, la quale espressamente prevede la possibilità per gli Stati membri di astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria, procedendo direttamente all'allontanamento coattivo nei casi di cui all'art. 7, paragrafo 4, e art. 8, paragrafo 1; e, nel caso in esame, il provvedimento del 24 luglio 2009 aveva esaurientemente rappresentato il rischio di fuga e la pericolosità dell' H., più volte inosservante dei precedenti divieti di ingresso. Non poteva, inoltre, omologarsi la condotta meramente omissiva di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, di violazione dell'ordine di rimpatrio, sanzionata con pena detentiva nella precedente formulazione della norma e, perciò, ritenuta incompatibile con le disposizioni di cui agli artt. 15 e 16 della direttiva rimpatri dalla sentenza della Corte di giustizia U.E. del 28/4/2011, con la positiva condotta trasgressiva del cittadino straniero, già espulso, il quale rientri in Italia senza la speciale autorizzazione prevista dall'art. 13, comma 13, dello stesso D.Lgs., e, in ogni caso, dovendo ritenersi legittimo il presupposto provvedimento amministrativo di espulsione con immediato accompagnamento coattivo alla frontiera, trattandosi di misura coercitiva proporzionata e non eccedente l'uso ragionevole della forza, tenuto conto della resistenza più volte manifestata dall' H. a rispettare le decisioni di rimpatrio. L'unica incompatibilità rilevabile era pertinente alla durata del divieto d'ingresso, fissata in dieci anni mentre la direttiva prevede che essa, tranne casi particolari, non possa eccedere i cinque anni, ma tale discrasia era irrilevante nel caso concreto, avendo l' H. fatto rientro in Italia meno di un anno dopo il più recente provvedimento di espulsione. Male invocate erano, inoltre, le disposizioni sul ricongiungimento familiare, posto che l'imputato non era stato autorizzato a tale ricongiungimento ai sensi 18/03/2013 15/47

del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29, di cui neppure sussistevano i presupposti, nè vi era la prova che l' H. avesse richiesto ed ottenuto il visto di ingresso per motivi familiari, senza tacere che lo stesso non risultava convivente con la moglie e, anzi, aveva dichiarato di abitare col fratello in (OMISSIS), Comune diverso da quello di (OMISSIS) dove risiedeva Ar.Ma.. La Corte ha, infine, ritenuto infondate le censure relative al trattamento sanzionatorio, considerate la gravità del reato e la capacità a delinquere dimostrata dall'imputato, rilevando che l'aumento per la recidiva era stato determinato in misura inferiore a quella imposta dal tipo di recidiva contestata e l'entità della pena base era prossima al minimo edittale; le circostanze attenuanti generiche, infine, non erano giustificate dai precedenti penali dell'imputato e dalla sua pregressa condotta caratterizzata da una costante e pervicace riluttanza all'osservanza di obblighi e prescrizioni. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte l'imputato personalmente, il quale, deduce sette motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 6, 7, 14, 15 e ss. della direttiva 2008/115/CE, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 13 e 13 bis, e art. 14, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste, previa disapplicazione dell'atto amministrativo complesso (decreto di espulsione con divieto di reingresso in Italia per dieci anni), costituente il presupposto della violazione contestata. 2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 6, 7, 14, 15 e ss. della direttiva 2008/115/CE, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 13 e 13 bis, e art. 14, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato, per carenza di dolo ed errore scusabile sulla conoscibilità della norma penale, in ragione dell'illegittimità dell'atto amministrativo presupposto. 2.3. Con il terzo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 13 e 13 bis, artt. 14 e 19, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato, essendo rientrato in Italia per un giustificato motivo costituito dal ricongiungimento con la moglie, cittadina italiana. 2.4. Con il quarto motivo denuncia l'inosservanza od erronea applicazione dell'art. 62 bis c.p., e il vizio della motivazione nonchè il travisamento della prova con riguardo al negato riconoscimento delle attenuanti generiche. 2.5. Con il quinto motivo lamenta l'inosservanza od erronea applicazione degli artt. 132 e 133 c.p., il vizio della motivazione e il travisamento della prova con riguardo ai criteri di commisurazione della pena. 2.6. Con il sesto motivo deduce i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 99 c.p., comma 4, in tema di recidiva, essendo raggiunto da sole due condanne: la prima per reato sanzionato con pena 18/03/2013 16/47

pecuniaria e la seconda per ricettazione di un'autovettura di scarsissima rilevanza economica. 2.7. Con il settimo motivo denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in tema di omesso riconoscimento dell'attenuante dei motivi di particolare valore sociale o morale, mancata concessione delle attenuanti generiche da bilanciare con le aggravanti, eccessiva entità della pena inflitta. Motivi della decisione 1. Il ricorso non merita accoglimento. 1.1. Il primo motivo è infondato. Come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la condotta di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino extracomunitario, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio, ha conservato rilevanza penale pur dopo l'emissione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell'unione Europea del 16 dicembre 2008 e la conseguente pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel caso El Dridi, perchè i principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della condotta di reingresso in assenza di autorizzazione (Sez. 1, n. 35871 del 25/05/2012, dep. 19/09/2012, Mejdi, Rv. 253353). Non sussiste, pertanto, alcuna illegittimità dell'atto amministrativo complesso, contenente decisione di rimpatrio e divieto di ingresso, emesso dal Prefetto di Caserta il 24 luglio 2009, ad eccezione della durata del divieto, fissata nel provvedimento in anni dieci mentre la citata direttiva (v. l'art. 11, par. 2) prevede, tranne casi particolari non esplicitati nella fattispecie, che essa non possa superare i cinque anni. Tale difformità, peraltro, non assume rilevanza scriminante nel caso in esame, essendo stato l' H. sorpreso in Italia, in violazione del divieto intimatogli, il 26 maggio 2010, meno di un anno dopo la sua espulsione eseguita il 24 luglio 2009. 1.2. Il secondo motivo è inammissibile. Il delitto previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), con successive modifiche, postula il dolo generico ovvero la consapevole volontà di entrare in territorio italiano senza la speciale autorizzazione imposta al cittadino straniero da esso già espulso, e la sentenza impugnata, con motivazione puntuale e coerente, ha ravvisato tale 18/03/2013 17/47

elemento psicologico nella condotta dell'imputato, già inottemperante ai divieti di ingresso precedentemente intimatigli negli anni 2006 e 2009. La legittimità dell'ultimo provvedimento di espulsione, in data 24 luglio 2009, esclude poi l'errore scusabile sulla regolarità del proprio rientro in Italia determinato dalla presunta illegittimità dell'atto amministrativo di espulsione contenente anche il divieto di ingresso, secondo l'ulteriore censura manifestamente infondata del ricorrente. 1.3. Il terzo motivo è infondato. Il matrimonio con una cittadina italiana, contratto dall' H. in Albania il 7 settembre 2009, dopo la terza espulsione dal territorio nazionale, non giustifica il suo rientro in Italia senza alcuna autorizzazione nell'anno successivo, essendo necessario l'ulteriore presupposto della convivenza con il coniuge, come si ricava dal sistema e dall'esigenza di evitare matrimoni solo formali, strumentali ad ottenere il permesso di soggiorno v. il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, lett. c), e art. 30, comma 1 bis, e il D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, art. 28, lett. b), contenente il regolamento di attuazione del T.U. approvato col suddetto D.Lgs.. Nel caso in esame la Corte ha puntualmente indicato che le emergenze istruttorie escludevano il detto rapporto di convivenza e, in ogni caso, come si è detto, esso non avrebbe giustificato, da solo, il rientro clandestino in Italia senza la prescritta autorizzazione. 1.4. Il quarto, quinto, e settimo motivo, tutti pertinenti alla determinazione della pena, sono inammissibili perchè postulanti rivalutazioni di merito non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondati: la sentenza impugnata, invero, ha dato ampia e coerente giustificazione della negazione delle circostanze attenuanti generiche in ragione della capacità a delinquere dimostrata dall'imputato (motivo n. 4); ha compiutamente illustrato i criteri di determinazione della pena commisurandola alla ritenuta gravità del fatto e alla capacità a delinquere dell' H. (motivo n. 5); ha giustificato come adeguata l'entità della pena inflitta, sottolineandone l'applicazione in misura prossima al minimo edittale (motivo n. 7), e, pertanto, inequivocabilmente escludendo ogni spazio al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 1, che non risulta neppure oggetto di specifico motivo di appello. 2. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, a norma dell'art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. 18/03/2013 18/47

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 18/03/2013 19/47

TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA n. 8354/2012 r.g. Il giudice designato, a scioglimento della riserva assunta nel procedimento ex art. 20 d.lgs 150/2011 e 702 bis c.p.c. promosso da nonché letti gli atti eà i àocumenti i dalle parti, emette la seguente l. Con ricorso in data 23 novembre 2012 il ricorrente cittadino brasiliano, chiedeva al Tribunale di all_._lj.ul!are il ùi Reggio ou.t;t; u uu per motivi familiari, allegando d'essere coniugato con la cittadina italiana sin dal 28 ottobre 2007, d'avere ottenuto in passato il rilascio del permesso parte della medesima Questura di Reggio Emilia in ottemperanza ad un provvedimento di questo Tribunale del 17 dicembre 2008, d'essere tuttora coniugato e stabilmente convivente con la cittadina italiana. 2.Dalla lettura del provvedimento di diniego della Questura di Reggio Emilia si rileva come lo stesso sia motivato sull'assunto della carenza di effettiva convivenza tra i coniugi, atteso che il ricorrente risulta, pacificamente, essere persona transessuale, che assume comunemente sembianze femminili, il che escluderebbe in radice la possibilità di ritenere sussistente una convivenza more uxorio intesa quale effettiva comunità di vita materiale e spirituale tra i coniugi, dovendosi ritenere che il matrimonio abbia avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all'interessato di soggiornare nel territorio dello Stato 1 3.Dall'esame degli atti si rileva come dopo la celebrazione del matrimonio in data 28 ottobre 2007, il permesso di soggiorno sia stato già negato una prima volta dalla Questura di Reggio Emilia nel corso dei 2008, provvedimento che fu dichiarato iìlegittimo da questo Tribunale con decreto del 17 dicembre 2008, in atti. Dal decreto di questo Tribunale si rileva come, essendo il matrimonio «legalmente valido», non potesse dubitarsi nella specie della sussistenza anche del requisito della convivenza - intesa quale «dato obiettivo» che «non richiede la continuativa permanenza dei coniugi tra le stesse mura, dovendosi tener conto delle attività lavorative dei medesimi che possono imporre periodi di assenza prolungata purché dopo si torni nella residenza familiare e la si ritenga come tale, manifestando all'esterno i segni di una comunione effettiva di vita» -, poiché la stessa doveva ritenersi riscontrata nella specie sulla base dell'ampia attività istruttoria espletata, di talché non si poteva «revocare in dubbio, per concordi e plurime dichiarazioni di soggetti attendibili in quanto estranei alla coppia, che il ricorrente abbia la sua base stabile nell'appartamento della 1 Articolo 30 comma l-bis. Il permesso di soggiorno nei casi di lite al.c.qmrna uno, lettera b), è immediatamente revocat? qualora. sia accertato che al matrimonio non è seguita l'effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata pfole. La richiesta di Ti lascio di rinnovo del permess:o di soggiorno dello straniero di cui al comma uno, lettera a) è rigettata e il permesso di.soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio~ o l'adozione hanno avuto luogo lo scopo esclusivo di permettere l'interessato di soggiornare nel territorio dello Stato. 18/03/2013 20/47