Corso annuale in pratica psicomotoria 25 novembre 2006 Cracco Martina 1 gruppo di formazione personale RIFLESSIONI SULL INTERVENTO DEL PROF. MAURO POLACCO, LA FATICA DI CRESCERE. INTRODUZIONE Partendo da un tema fondamentale della pratica psicomotoria, il Gioco, il docente ha affrontato un aspetto importante del percorso evolutivo del bambino: il processo di separazione- individuazione, definendo il suo raggiungimento un prerequisito per poter parlare di gioco. PROCESSO DI SEPARAZIONE-INDIVIDUAZIONE Il termine fu introdotto da Mahler e colleghi a seguito di una ricerca effettuata tra il 1962-1968 su coppie madre-figlio; si riferisce a quel percorso che porterà il bambino gradualmente a conoscere se stesso e a distinguersi dagli altri. Nel primo mese di vita il bambino si trova in uno stato di totale (o quasi) indifferenziazione ( autismo primario ) : non distingue fra ciò che è dentro e ciò che è fuori di lui, fra ciò che gli appartiene e ciò che appartiene alla madre, fra i piaceri che provengono dall interno e quelli che provengono dall esterno. Egli non sa che è una persona diversa da lui quella che soddisfa i suoi bisogni. Intorno il secondo-terzo mese di vita ( fase simbiotica ) i comportamenti del bambino sembrano mostrare la consapevolezza che qualcuno soddisfa i suoi bisogni, ad esempio si stringe o si allontana dal corpo della madre, tocca la madre con le proprie mani e progressivamente le sue azioni sul mondo esterno diventano più attive e gli consentono di uscire da questa fase fusionale con la madre. Verso i 12 mesi il bambino raggiunge una tappa fondamentale, la deambulazione, che gli permette di procedere in una fase di intensa sperimentazione ed esplorazione. Qui i suoi tentativi di separazione dalla figura materna: il bambino sembra deciso e sicuro di sé, ma dopo un po di tempo questa sicurezza sembra diminuire e il bambino torna a cercare la madre, per rassicurarsi della sua presenza, per verificare di non essere solo nelle sue esperienze. Infatti queste esperienze sono varie e diversificate e non sempre il bambino si sente adeguato. Egli cerca l autonomia, ma vuole sempre avere la possibilità di rifugiarsi presso l adulto.
Il terzo anno di vita si caratterizza per il consolidamento del senso della propria individualità. Il bambino, in assenza della figura materna è in grado di portare con sé, con fiducia, l oggetto d amore (la madre). Gli studi e le ricerche condotte da Spitz completano la descrizione dello sviluppo affettivo: il suo impegno è rivolto alla descrizione di quello che in psicoanalisi viene chiamato oggetto libidico. Spitz focalizza tre tappe fondamentali in questo processo fatto di continuità e discontinuità e le chiama momenti organizzatori: 1. Il sorriso, che compare proprio verso i 2-3 mesi di fronte a un viso umano. Il bambino inizia ad avere un comportamento attivo nei confronti di ciò che è a lui esterno. Questo sorriso testimonia una prima possibilità di riconoscere l esistenza di un non Sé, che ancora non è un Altro, non è il vero e proprio riconoscimento di una persona: infatti il bambino sorride anche ad una maschera. 2. angoscia dell ottavo mese: testimonia il riconoscimento della madre come oggetto altro da Sé, con la possibilità della separazione e con il contemporaneo riconoscimento che non tutto il mondo esterno è la madre. Il bambino non solo non sorride più a tutte le persone, ma può, di fronte ad un estraneo (soprattutto se la madre non è presente) scoppiare in lacrime. In altri casi può limitarsi a girare la testa, cercare un familiare con lo sguardo, abbassare gli occhi. Tutto ciò significa che il bambino differenzia molto bene la madre e i familiari dagli estranei e che nel momento in cui non la vede ha paura che ella non torni più. Una volta superato questo momento, il bambino sarà sempre più disponibile ad instaurare relazioni affettive anche con altri adulti, senza aver paura di perdere il proprio oggetto d amore 3. verso i 15 mesi il bambino acquisisce la capacità di affermare il no : dimostra una più elevata coscienza di Sé, testimonia la consapevolezza di essere separato dall Altro. SCHEMA CORPOREO Parte fondamentale della coscienza di Sé è la coscienza del proprio corpo, il Sé corporeo: infatti, l identità è data dall essere in un corpo, tutt uno con la psiche. Il bambino di pochi mesi vede il suo piede e non lo vive diversamente dal giochino appeso in movimento sopra la culla. Solo più avanti integra quel piede nel suo schema corporeo, cioè sente che è il suo piede. In seguito, attraverso l immagine riflessa nello specchio, il bambino vede e conosce il suo corpo, integrando con la vista il senso interno propriocettivo. Attraverso le cure corporee e i rimandi relazionali ognuno di noi accetta e investe affettivamente il proprio corpo, e lo vive come parte fondante della propria identità.
Il corpo è il punto di partenza per la crescita fisiologica, cognitiva, affettiva e relazionale. Attraverso l esperienza vissuta (e quindi motricità corporea): si elaborano le strutture fondamentali del pensiero astratto, si sviluppano le senso-percezione esterocettive (visive, tattili, uditive, olfattive, gustative) e propriocettive (percepire la forma e la posizione del proprio corpo, controllare come si muove, la sua posizione nello spazio, il suo rapporto con l ambiente) che permettono di costruire l immagine corporea, si migliorano gli schemi motori di base si sviluppa la percezione dell orientamento e delle distanze si prende coscienza delle proprie emozioni si realizzano l equilibrio e l identità personale si sviluppa l apprendimento, l organizzazione, il controllo delle azioni (coordinazione) La presa di coscienza della propria corporeità avviene tramite l agire, l esplorare, il comunicare (non verbale), l ascolto delle sensazioni che il corpo invia. La conoscenza e l organizzazione del proprio corpo relativamente a se stesso e nel rapporto con il mondo (cose e persone) porta ad una crescita conoscitiva individuale e sociale. L attività del bambino è all origine di ogni conoscenza, di ogni relazione, di ogni comunicazione. Negli anni 60 questo principio divenne fondamentale nella prospettiva educativa: l unità dell azione educativa è condizionata dall unità dell essere; il corpo (e non solo la mente) ha un ruolo fondamentale (Vayer, Lapierre, Aucouturier, Le Booulch, Perlebas). L educazione psicomotoria è il principio stesso dell azione educativa, in quanto considera determinanti i rapporti tra: azione corporea- intelligenza movimento- intenzionalità gestualità-linguaggio organizzazione tonico emozionale- attività conoscitiva (Io-psicologico- Io biologico; mente-corpo; psico-motricità). Tenendo presenti le argomentazioni fin qui esposte (le dinamiche di conquista della propria identità personale, dunque il processo di separazione-individuazione, e il rapporto tra fattori fisici e psicologici) possiamo riflettere sul senso del gioco del bambino e, ripercorrendo le situazioni che più facilmente si osservano durante una seduta di pratica psicomotoria, capirne il senso più profondo. IL GIOCO Giocare per il bambino è vivere il piacere di agire, è vivere il piacere del proprio corpo in movimento, proiettando il proprio mondo interno psichico nelle relazioni che egli stabilisce con il mondo esterno. Il gioco mette in relazione il mondo interno del bambino con il suo mondo esterno.
Il bambino investe sul materiale, lo trasforma, agisce per cercare rassicurazione. In particolare, il gioco permette al bambino di rassicurarsi in ordine alla mancanza/assenza dell oggetto primario (la madre) attraverso la via del piacere. Attraverso la via del corpo, dunque il bambino parla del proprio mondo interno, del proprio vissuto rispetto le figure genitoriali, rispetto all assenza dell oggetto primario; ci parla della sua angoscia di perdita, dei suoi mezzi di rassicurazione Nello specifico della seduta di pratica psicomotoria, distinguiamo giochi di rassicurazione profonda e giochi di rassicurazione superficiale. Nel primo caso osserviamo giochi di equilibrio e disequilibrio: abbattimento di una torre : questa azione attenua le tensioni toniche del bambino, ma soprattutto abbattere implica la possibilità di ricostruire; la torre andata in pezzi non è persa, può essere ricomposta. L abbattimento del materiale è mosso dal piacere di distruggere, polo opposto ma complementare al piacere di costruire. In questo gioco possiamo ritrovare simbolicamente la separazione e il ricongiungimento con la madre. Attraverso la via del movimento, il bambino drammatizza ciò che dentro di sé può procurare una certa angoscia e ciò che può rassicurarlo: allontanarsi dalla madre, temere di averla persa, sentirsi a pezzi, proprio come la torre, ma ritornare da lei, ri-sentirsi in un unità con l oggetto d amore primario, ri-costruire un contatto fisico, di nuovo come la torre. Il ripetersi di questa esperienza permette al bambino di interiorizzare l idea che la torre può essere distrutta per essere ricostruita, i pezzi non spariscono, ma si ricompongono la madre può allontanarsi o essere allontanata, ma per ritornare, per ricongiungersi al figlio secondo lo stesso principio osserviamo nel bambino il gioco dell arrampicarsi, dell elevarsi dal pavimento. Vengono usati a questo scopo spalliere, materassi, ponti, scale elevarsi è allontanarsi da una situazione di stabilità, di equilibrio certo, per cercare situazioni di lontananza. Nell arrampicarsi il bambino sperimenta la possibilità di essere da solo e di sentirsi onnipotente. Solitamente, dal punto più alto che riescono a raggiungere, i bambini cercano la conferma dell adulto, hanno bisogno di essere riconosciuti nella loro azione coraggiosa, hanno bisogno di essere visti anche se lontani da noi e dal terreno. È l affermazione della loro identità: il bambino esiste anche da solo, senza di noi, senza il suo oggetto primario. E se rassicurati dal nostro linguaggio (verbale o non verbale) trovano la spinta e la sicurezza per proseguire nella loro azione. Anche nei giochi in cui il bambino compie azioni quali scivolare, dondolarsi, rotolarsi, riempire e svuotare, apparire e scomparire, prendere e lasciare ritroviamo lo stesso significato e lo stesso senso di rassicurazione: nell allontanarsi da una situazione di certezza, di equilibrio, il bambino ha sempre la possibilità di ritornarvi e di rassicurarsi: nulla va perduto! Quando chiudiamo uno spazio di gioco rassicuriamo il bambino che la prossima volta potrà ritrovare tutto nuovamente a sua disposizione. L aver fatto esperienze
di separazione-ricongiungimento gli permetterà di essere certo e sereno nell interrompere quell attività. Inoltre forniamo al bambino un contenitore di spazio e tempo. Nei giochi di rassicurazione superficiale i bambini traducono in azioni quelle immagini inconscie che la libera espressione del corpo ha evocato. Utilizzando lo spazio, i materiali a disposizione, il linguaggio verbale e gli Altri, il bambino per lo più imita i gesti della vita quotidiana: l andare al lavoro, il mangiare, il dormire classico è l esempio dell orsacchiotto: il bambino si prende cura di lui (lo copre, lo nutre, lo addormenta) e ri-attualizza le cure materne a sua volta ricevute (oggetto transizionale). Attraverso il gioco, dunque, il bambino ha la possibilità di parlare di Sé, delle proprie emozioni, dei suoi fantasmi e delle sue angoscie. Attraverso il gioco di rappresentazione ha la possibilità di porre all esterno il proprio interno e di prenderne distanza. Si tratta di un graduale processo di decentramento che permetterà al bambino di accedere al pensiero operatorio. È necessario che il bambino si trovi nella libertà di azione, pur essendo in un quadro di contenimento e rassicurazione. RELAZIONE CON L OPERATORE Il ruolo dell operatore, e il nostro ruolo di educatori durante tutto il corso della giornata, è importante. Il nostro principio basilare deve essere il rispetto per la persona: ci consente di accettare la diversità di ciascuno e di farne valore e conoscenza. Questo si traduce in un atteggiamento di ascolto dell Altro. Ma non è sufficiente limitarsi ad un osservazione silenziosa. Il bambino ha bisogno di un nostro ritorno. Ci chiede conferma e rassicurazione e il dialogo che instauriamo con lui deve svolgere questa funzione: mettiamo parole sulle azioni del bambino, ma non per limitare, né per giudicare. Le nostre parole (ma anche l intero linguaggio non-verbale) servono a descrivere e a dare significato alle azioni che il bambino sta compiendo, servono a creare una circolarità che gli permette di sentirsi riconosciuto e incoraggiato. Il professor Polacco ha parlato di questa dinamica come nonsaturazione della relazione, sottolineando l importanza di intervenire per permettere al bambino di progredire, a livello fisico e mentale, per creare interessi e curiosità che lo inducano ad andare oltre e non per dare risposte definitive. Noi siamo per lui uno specchio, nel quale guardarsi e riconoscersi. Questo tipo di relazione ricorda il rapporto diadico madre-bambino nel momento dell allattamento, nel momento dell accudimento: l alternarsi di suzione e riposo in cui si inseriscono le stimolazioni della madre è considerato il prerequisito della comunicazione: si tratta di un ritmo in cui parlano due protagonisti e in cui ciascuno ascolta l altro. Crescendo il bambino trasferirà questa modalità di relazione con l Altro nel gioco di dare e ricevere; inizierà inoltre ad indicare un oggetto, prima con il solo obiettivo di ottenerlo, ma poi anche per il piacere di condividere un interesse con l Altro (attenzione condivisa). Si tratta
di una capacità tipicamente umana poichè implica la possibilità di rappresentarsi ciò che l Altro a sua volta si rappresenta (teoria della mente). La definizione del nostro compito può ispirarsi al concetto di madre sufficientemente buona descritto da Winnicott: ella possiede quella preoccupazione materna primaria che le consente di intervenire in modo puntuale alle richieste del figlio. Questa madre ha la capacità di presentare il mondo al bambino favorendo la sua crescita: sa quando intervenire tempestivamente e quando differire il soddisfacimento dei suoi bisogni. Lo fa istintivamente. La madre non deve essere perfetta, anzi, deve avere delle carenze affinché il bambino possa avere la possibilità di uscire dal silenzio della fusione con lei per tentare la via della comunicazione, dello scambio sociale. Da qui la necessità per il bambino di trovare strategie di rassicurazione e consolazione. Nel passaggio dallo stato dipendenza assoluta a quello di indipendenza (conquista dell autonomia) entrano in gioco gli oggetti transizionali : si tratta di oggetti che per le loro caratteristiche tattili rappresentano e sostituiscono le cure materne (un pezzetto di stoffa, un cuscino, un peluche ). Il loro compito è aiutare il bambino a rendersi indipendente dalla madre. Nel corso dello sviluppo l oggetto transizionale perde la sua rilevanza emotiva lasciando il posto a veri oggetti d amore interiorizzati ( per star soli, dobbiamo essere in compagnia ). Allo stesso modo, nel corso della seduta, e fuori dalla sala, all educatore è richiesto di essere garante di un Holding, di un contenimento, in cui ciascun bambino possa sentirsi libero di agire il proprio vissuto interno, ma protetto e rassicurato della possibilità di ritrovare tutto sé stesso. L operatore ha una funzione importante: la preparazione dell ambiente. Non si tratta solo dell allestimento fisico della sala (disposizione di materiale duro e morbido), ma della creazione di un ambiente psicologico in cui il bambino possa sentirsi contenuto, avvolto, e allo stesso tempo libero. L operatore deve assumere un atteggiamento maternante, ma anche strutturante; deve essere malleabile e trasformabile, ma anche garante e detentore di legge e limiti. I bambini necessitano di contenimento, e il setting della pratica psicomotoria lo assicura. Le pareti in sé sono un confine, ma soprattutto il rituale che scandisce i diversi momenti della seduta: l accoglimento di ciascuno, il gioco libero, la storia, la rappresentazione e il saluto finale. Ogni gesto ha un significato e il suo ritornare fornisce ai bambini certezza. La seduta infatti è anche un dispositivo spazio-temporale che aiuta il bambino ad orientarsi rispetto questi concetti astratti. Nei primi mesi di vita spazio (spazio sensomotorio) e tempo sono binari (luce/ombra, pancia piena/pancia vuota, contrazione/rilassamento); in seguito iniziano a complicarsi: con la deambulazione il bambino inizia ad esplorare il mondo e ad averne una prospettiva diversa; la percezione del tempo viene legata all andamento della giornata. Esistono un tempo del Mondo e un tempo dell Io; quest ultimo ovviamente è soggettivo, è legato al tipo di esperienza che il soggetto sta facendo. Nella seduta di pratica
psicomotoria l integrazione dei due aspetti è garantita dall operatore. Egli scandisce i tempi, annuncia l inizio e la fine di un esperienza, preavvisa la chiusura di un attività Inoltre, durante il rituale di inizio e fine, parlando con i bambini l operatore li aiuta a rappresentarsi ciò che avverrà e ciò che è già avvenuto. Parla con loro del prima e del dopo. E soprattutto dà loro un appuntamento per il ritorno di questa esperienza. È proprio la regolarità, il ritorno del piacere che permette al bambino di situarsi nel tempo. L educatore ha la possibilità di svolgere questo compito anche in altri spazi della giornata, al di là della seduta di psicomotricità: ogni volta che apriamo e chiudiamo un gioco, un attività, spieghiamo ai nostri bambini che qui e ora è possibile questo gioco, questa azione e, al termine, li rassicuriamo della possibilità di ritrovare in un altro momento lo stesso materiale. Diamo ai bambini l opportunità di vivere spazi diversi, attività diverse, in tempi diversi. È importante però precisare sempre i contenitori di riferimento (limiti e libertà). BIBLIOGRAFIA: Vianello, R.(1995). Psicologia dello sviluppo. Edizioni junior Drigo, M.L., e Borzaga L., e Mercurio A., e Satta E. (2006). Clinica e nursing in psichiatria. Casa editrice ambrosiana. Appunti dal Seminario sulla pratica psicomotoria Bernard Aucouturier: il piacere di giocare e il piacere di apprendere, Bassano del Grappa, 18-19 febbraio 2006.