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On.li Deputati, amici e colleghi di Euromil, che la questione dei negati diritti associativi di tutela prof.le dei militari italiani stenti a trovare un coerente ancoraggio nella più evoluta legislazione europea è purtroppo, per la cronicità che la caratterizza, una constatazione amara che la dice lunga sulle infinite resistenze che incontra e sulle tante responsabilità politiche che in concorso ne hanno sino ad oggi imbrigliato ogni ipotesi di superamento. Il veto di esercizio dei diritti associativi di tutela prof.le dei militari italiani è stato introdotto dal legislatore nel 1978 attraverso l approvazione della Legge 382/78 ed in particolare mediante le previsioni di cui all art. 8. In buona sostanza si decise che i militari italiani non potevano costituire associazioni professionali a carattere sindacale né aderire ad altre associazioni sindacali, e inoltre che la costituzione di associazioni o circoli fra militari sarebbe stata subordinata al preventivo assenso del Ministro della Difesa. E per la compressione di questi fondamentali diritti previsti, garantiti e protetti dalla Costituzione italiana (art. 18 e 39), che alcune non irrilevanti formazioni politiche non votarono nel 1978 a favore della approvazione della Legge 382/78. Essa, partorita dopo un lungo travaglio parlamentare ed un appassionato e partecipato dibattito politico/sociale, fu il risultato normativo determinato dalla contrapposizione fra il rinnovamento che traeva ispirazione e linfa dalla lettura più rigorosa della Carta Costituzionale, i conservatorismi degli apparati militari e la moderazione delle maggiori forze politiche dell epoca. L equilibrio finale vide assestarsi la riforma alle soglie vere del previsto garantismo costituzionale in materia di esercizio dei diritti di cui qui ci occupiamo. In surroga ai diritti associativi di tutela professionale, per i militari italiani la stessa Legge del 1978 previde la istituzione delle Rappresentanze Militari come organi elettivi interni all Ordinamento Militare, deputati alla tutela collettiva dei rappresentati in affiancamento delle corrispondenti autorità militari territoriali. Tutela prof.le affidata ad uno strumento che, carente della indipendenza dalla autorità pubblica, della autonomia gestionale e dei mezzi finanziari idonei a supportarne la indispensabile progettualità e da dovuta operatività, si è rivelata presto essere un obiettivo difficilmente raggiungibile. E dalla presa d atto di questi congeniti limiti strutturali delle RR.MM - che con tutta evidenza depongono a sfavore della incisività dell azione di tutela di quanti in esse operano - che agli inizi degli anni 90 cominciarono a manifestarsi robuste e motivate richieste di riforma del modello di tutela professionale dei nostri militari. 1

In risposta ad una sentita, diffusa e condivisa esigenza di tutela, espressa da larga parte della società militare italiana, da ormai 20 anni restano impantanate nelle aule parlamentari proposte di riforma mai trasformate in legge; ipotesi di riforma che al netto dell opportunistico riformismo di circostanza manifestatosi nel 1999 - in prossimità del pronunciamento della Corte Costituzionale sfociato nella sentenza N 449/99 in tema di costituzionalità dei divieti associativi dei militari previsti dall art.8 della Legge 382/78 -, continuano ancora a prevedere nelle RR.MM interne all Ordinamento Militare l inamovibile strumento di tutela dei militari, infischiandosene con ciò delle numerose raccomandazioni europee e della più evoluta legislazione in materia emanata dall O.I.L. Per la tirannia del tempo dentro il quale questo intervento deve essere compreso, le considerazioni dell Associazione che rappresento - in merito alla sopra richiamata sentenza n 449/99 della Corte Costituzionale confermativa dei divieti associativi dei militari italiani - sono rinvenibili nel materiale messo a disposizione di questo consesso tramite l Euromil (vedesi in particolare l articolo intitolato UN ABBAGLIO COLLETTIVO?) che comprende tra l altro sul punto l interessante commento dell Avvocato Antonino Romeo di Padova. Comprese ed evidenziate le cause strutturali che rendono inefficace lo strumento di tutela dei militari italiani, è d obbligo rappresentarne l anacronismo rispetto allo scenario europeo e alla più evoluta legislazione dell O.I.L che in materia si occupa della definizione identitaria delle organizzazioni di tutela dei lavoratori pubblici, delle protezioni da accordare loro, della indipendenza di cui debbono godere rispetto alla autorità pubblica e della NON ingerenza nella loro attività che deve essere assicurata e bandita. Da innumerevoli anni il Parlamento Europeo tramite risoluzioni e raccomandazioni esorta gli Stati membri a riconoscere in tempo di pace ai militari i diritti associativi per finalità di tutela professionale; inviti che nell ottica della costituzione di strutture militari sovranazionali contenevano l esigenza di evitare fra gli appartenenti ad esse disarmonie in tema di diritti di tutela, ritenendole un pericolo per la stabilità e la coesione delle stesse. In sintesi il veleno delle diversità dei trattamenti derivanti da provvedimenti governativi, concertativi o negoziali come causa di differenziati modelli di tutela, doveva essere prevenuto attraverso la costruzione di una sostanziale omogeneità strutturale dei soggetti rappresentativi degli interessi dei militari. Le raccomandazioni europee in materia, in quanto interpretazione di un necessitato equilibrio da costruire, trovano luce e ispirazione in una legislazione sovranazionale 2

che non ammette dubbi circa i connotati da conferire agli strumenti di tutela dei lavoratori pubblici, militari compresi. In particolare è dal combinato delle disposizioni di cui alla Convenzione N 151/78 dell O.I.L e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell Unione Europea che si ricavano le indicazioni per unificare in positivo le condizioni di tutela dei militari europei. La Convenzione N 151/78 dell O.I.L. inerente le relazioni di lavoro nella funzione pubblica, ratificata dal Parlamento Italiano con la Legge N 862/84, spiega e chiarisce che la legislazione nazionale determinerà la misura in cui le garanzie previste dalla stessa si applicheranno alle Forze Armate e di Polizia (art.1 c, 3). Misura di esercizio che a pena di decadenza dei diritti che la Convenzione introduceva nell ordinamento legislativo italiano non poteva essere, come invece è stato, pari allo zero. La motivazione politica, ovvero l espediente usato dal legislatore per aggirare l obbligo di estendere ai militari italiani le nuove libertà di tutela associative previste dalla richiamata Convenzione è, come meglio si vedrà, quanto di più beffardo si potesse dichiarare. Si disse, senza provare alcun imbarazzo, che le libertà di tutela professionale derivanti dalla Convenzione N 151/78 dell O.I.L. relativamente alla sfera militare italiana erano già assicurate e garantite dalla normativa che aveva introdotto nell Ordinamento militare le Rappresentanze militari come Organismi di tutela collettiva; pertanto allo stato non esisteva alcuna esigenza di aggiornamento della legislazione nazionale a favore del personale delle Forze Armate. Per capire che i fatti si incaricano di dimostrare che quelle argomentazioni furono un falso scadente, occorre ricordare che la Convenzione N 151/78 dell O.I.L. stabilisce che Le organizzazioni dei pubblici dipendenti dovranno godere di una completa indipendenza nei confronti della autorità pubblica (art.5 c. 1) ; da ciò la loro autonomia organizzativa, funzionale ed economica. E inoltre che Le organizzazioni dei pubblici dipendenti dovranno godere di un adeguata protezione contro ogni atto di ingerenza da parte delle autorità pubbliche nella loro formazione, funzionamento e gestione (art. 5 c. 2). Ed ancora, che Vengono in particolare assimilati ad atti di ingerenza, ai sensi del presente articolo, le misure tendenti a promuovere la creazione di organizzazioni di pubblici dipendenti sotto un autorità pubblica, o a sostenere delle organizzazioni di pubblici dipendenti con mezzi finanziari o altri, con l obiettivo di porre tali organizzazioni sotto il controllo di un autorità pubblica (art.5 c. 3). 3

C è quanto basta per capire che è la storia dei sindacati gialli di emanazione totalitaria che si voleva rendere irripetibile e da mettere al bando nonostante le nostalgie di qualche generale col colbacco o con il fez. Chi avrà la bontà di mettere a raffronto la legislazione italiana che nel 1978 introdusse le RR.MM nell ordinamento militare con le previsioni normative della richiamata Convenzione dell O.I.L, si accorgerà che in Italia le organizzazioni di tutela dei militari, ovvero le RR.MM., sono la più rigorosa espressione di ciò che era proibito realizzare. E infatti vero che esse nell essere collocate all interno dell Ordinamento militare non godono del pluralismo di scelta opzionale che ogni lavoratore potrebbe esercitare; che la loro conformazione essendo stata decisa ope-legis rappresenta la più classica interferenza nella sfera della loro autonomia organizzativa e che nell essere sostenute economicamente dallo Stato Datore di Lavoro sono private di fatto della loro indipendenza, che è fattore che ne mina la libertà di azione e la capacità di espressione rappresentativa. A dimostrazione di ciò, ovvero a conferma della mancanza di indipendenza delle RR.MM. dal potere pubblico, l ingerenza del superato Governo Berlusconi circa la durata dell attuale mandato delle stesse, prorogate per ben due volte; e il richiamo in servizio dalla posizione di congedo del Presidente di una Sezione della rappresentanza centrale, utile alla continuità nello svolgimento dell incarico rappresentativo. Il tutto nel silenzio della politica e della magistratura contabile nazionale che sul punto molto potrebbe rilevare. Ingerenze governative che, in dispregio delle regole democratiche che informano il funzionamento delle RR.MM e il loro sistema elettorale, nel procrastinare illegittimamente il termine di esercizio delle stesse, si trasformano in consenso politico da un lato e vantaggi economici personali a favore degli accondiscendenti rappresentanti dall altro; questo assurdo accade mentre ai militari elettori è vietata la possibilità di sfiduciare i propri ossequiosi rappresentanti che proseguono bellamente nell incarico per esclusivo volere governativo. Al cospetto di tanto debordante interessato interventismo è la democrazia che, attraverso la violazione delle regole che sottendono alla sua efficace azione relativamente al punto in trattazione, ne esce mutilata ed umiliata. Voltare pagina tuttavia è ancora possibile; oggi si tratta di capire se l integrazione europea delineata dal Trattato di Lisbona e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell Unione Europea è una aspirazione capace di rimuovere arretratezze, pregiudizi e steccati ideologici oppure se essa debba ancora arrestare il passo rispetto ai particolari interessi degli stati membri. 4

In tal senso l AS.SO.DI.PRO. non mancherà di fornire il suo particolare contributo che nel 2012, in occasione delle celebrazioni del ventennale della sua fondazione, sarà offerto a quanti vorranno degnarla di attenzione nella circostanza delle diverse manifestazioni. In conclusione per quanto sin qui affermato, riteniamo che il tempo dei particolarismi, delle furbizie, delle rendite di posizione e dei veti che hanno sino ad oggi impedito ai militari italiani di godere appieno dei diritti associativi di tutela professionale possa e debba considerarsi esaurito; sono gli orizzonti, le sfide e gli impegni europei che in tal senso agiscono, richiamando ognuno alla responsabilità dell utile concorso. Grazie. AS.SO.DI.PRO. Il Presidente Emilio Ammiraglia Bruxelles 29 Novembre 2011 5