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1 Edizione Speciale Rivista telematica di informazione, attualità e cultura - taccuinorosso@gmail.com N. 1 / 2011 Il Sud Italia prima dell unità L editoriale di Matita Rossa I 150 anni di una Nazione incompiuta Il 17 marzo 2011 si festeggerà il 150 anniversario dell Unità d Italia, un evento nato con l obiettivo di far scaturire una riflessione sul nostro senso di appartenenza al popolo italiano in un momento di valutazione e di retrospettiva e di retrospezione profonda diverso dalle solite manifestazioni culturali. Riflettere oggi sulle condizioni dell Italia dopo 150 anni di storia unitaria, si presta anche ad un consuntivo che riguarda al tempo stesso le condizioni economiche e politiche del paese e i suoi valori culturali e morali. Ma quanti cittadini italiani davvero sono interessati a questo avvenimento? Secondo alcuni sondaggi due italiani su tre non lo sanno. L italiano vive nel presente, quindi non ha memoria storica afferma il presidente del Censis Giuseppe De Rita intervistato da tg24. E nemmeno il senso di appartenenza a una Nazione. D altra parte sia il governo di centro- Sommario L emigrazione, la diaspora meridionale L insabbiamento culturale della questione meridionale (Segue a pag. n. 2) 2 3 Come risultò dalla Esposizione Internazionale di Parigi del 1856, le Due Sicilie erano lo Stato più industrializzato d'italia ed il terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia. Dal censimento del 1861 si deduce che, al momento dell'unità, le Due Sicilie impiegavano nell'industria ad una forza-lavoro pari al 51% di quella complessiva italiana. I settori principali erano: cantieristica navale, industria siderurgica, tessile, cartiera, estrattiva e chimica, conciaria, del corallo, vetraria, alimentare. Nel periodo borbonico ( ) la popolazione si era triplicata ad indicare l'aumentato benessere, relativamente ai livelli di quei tempi. Nel 1860 vi erano poco più di nove milioni d'abitanti e la parte attiva era circa il 48%. Le Due Sicilie erano lo Stato italiano preunitario più esteso: comprendeva tutto il Sud dell'italia, la Sicilia, l'abruzzo, il Molise e la parte meridionale dell'attuale Lazio. La sua storia era cominciata nel 1130 con l'unificazione compiuta da Ruggero II d'altavilla. Il regno durò quindi 730 anni, durante i quali i suoi confini rimasero in pratica invariati. Le dinastie che si susseguirono ebbero origini straniere e questo avvenne per l'oggettiva incapacità di generarne una propria, ma occorre rilevare che i sovrani divennero in breve dei Meridionali a tutti gli effetti, assumendone la lingua e le usanze. Dopo l'unità, la classe liberale meridionale contribuì a seppellire sotto una valanga di mistificazioni gli aspetti positivi del Regno delle Due Sicilie, per giustificare la propria adesione alla causa unitaria. Francesco Saverio Nitti ai primi del 1900 rilevava: "Una delle letture più interessanti è quella dell'almanacco Reale dei Borboni e degli organici delle grandi amministrazioni borboniche. Figurano quasi tutti i nomi di coloro che ora esaltano più le istituzioni nostre [del regno d'italia] o figurano, tra i beneficiati, i loro padri, i loro figli, i loro fratelli, le loro famiglie". In realtà l'opera dei sovrani meridionali fu per molti versi meritoria: con loro il Sud non solo riaffermò la propria indipendenza ma vide un indiscutibile progresso dell'economia, lo sviluppo del commercio ed il fiorire dell'industrializzazione. All'epoca di Francesco II, l'ultimo re, l'emigrazione era sconosciuta, le tasse molto basse come pure il costo della vita, il tesoro era floridissimo. In campo culturale Napoli contendeva a Parigi la supremazia europea. "La storiografia ufficiale continua ancora a sostenere che, al momento dell'unificazione della penisola, fosse profondo il divario tra il Mezzogiorno d'italia e il resto dell'italia: Sud agricolo ed arretrato, Nord industriale ed avanzato. Questa tesi è insostenibile a fronte di documenti inoppugnabili che dimostrano il contrario, ma gli studi in proposito, già pubblicati all'inizio del 1900 e poi proseguiti fino ai giorni nostri, sono considerati dai difensori della storiografia ufficiale, faziosi, filoborbonici, antiliberali e quindi non attendibili".in realtà la Questione Meridionale, tutt'oggi irrisolta, nacque dopo e non prima dell'unità. La politica economica dei sovrani meridionali fu improntata a diversificare l'economia, allora prevalentemente agricola come nel resto d'italia e di gran parte d'europa, favorendo lo sviluppo dell'industria, dell'artigianato e del terziario. Passiamo ora ad esaminare le varie fonti di ricchezza economica del Sud. Industria metalmeccanica e siderurgica Nei pressi di Napoli, a Pietrarsa, era attiva la più grande industria metalmeccanica (Segue da pag. n. 8)

2 Pagina 2 L emigrazione, la diaspora meridionale Fu una delle più grandi ondate migratorie di tutti i tempi: alle popolazioni meridionali, sconfitte e colonizzate altro non rimaneva che battere la via dell oceano: Partetemmo pè mmare, eravamo sciumme! [partimmo per mare ed eravamo un fiume]: i porti di Napoli e Palermo diventarono i più grandi centri di espatrio dei meridionali (Genova lo fu per gli emigranti settentrionali). Pasquale D Angelo così descriveva il suo commiato dalla madre: Mi gettò le braccia al collo singhiozzando e mi strinse a sè. Serrato nel buio di quell abbraccio stretto, chiusi gli occhi e piansi. Piangevamo entrambi, fermi sui gradini, ed ella mi baciava e ribaciava le labbra. Sentivo le sue lacrime calde irrigarmi il volto. Tornerò presto, le dicevo singhiozzando Tornerò presto. Ma non fu così. I timori della mamma presagivano la verità. Non ritornai più. Mi strinse ancora fra le braccia, quasi volesse farmi addormentare sul suo petto. E tornò a baciarmi. Così rimanemmo a lungo finchè su di noi discese una gran pace 519. Disse lo statista lucano Nitti: Io vorrei fare, io farò forse un giorno una carta del brigantaggio e una dell emigrazione, e l una e l altra si completeranno e si potrà vedere quali siano le cause di entrambi la miseria non ha ucciso le intime energie della razza, l anima essenziale della stirpe; il brigante e l emigrante con la rivolta e l esodo sono la prova di una mirabile forza espansiva. Che cosa farai? io chiedeva al vecchio contadino che partiva, Chi lo sa! egli mi rispondeva; non chiedeva nulla, non voleva nulla, andava a lottare, a soffrire: aspirava alla sazietà. In altri tempi sarebbe stato brigante o complice; ora andava a portare la sua forza di lavoro, il suo misticismo doloroso nella terra lontana, a costituire forse con i suoi compagni quella che dovrà essere la nuova Italia. 520 Gli emigranti arrivavano sulla costa orientale degli Stati Uniti dopo trenta giorni di navigazione a vapore (prevalentemente in terza classe), in terre assai luntane di cui ignoravano la lingua parlata; la maggior parte di loro non aveva mai visto una grande città e l 85% dichiarava all ufficio dell immigrazione di essere agricoltore. Nonostante ciò la gran parte si trasformò in operaio dell industria, delle miniere o delle ferrovie (che erano in rapidissima espansione) per due motivi: spesso erano quasi completamente privi di denaro (il costo del viaggio in nave poteva già costituire un problema) e impossibilitati ad acquistare le terre che le numerose leggi fondiarie americane mettevano a disposizione a buon mercato, inoltre nel decennio le retribuzioni offerte dalle fabbriche e dalle miniere superarono quelle offerte dalla media azienda agricola americana 521. Una parte degli emigrati si adattò a fare i lavori più disparati di prestatori d opera, compresi i più umili, che però rendevano, come salario, il triplo di quello d Italia, con un costo della vita solo di poco superiore. Ma le origini non si dimenticavano per cui, dopo qualche anno, un buon numero di loro lasciò le grandi metropoli della costa orientale americana portando con sé la classica valigia piena dei pochi effetti personali comprese pentole, piatti di stagno e posate; fece il gran salto verso le terre sconfinate del Far West perchè la cosa di cui gli italiani più si struggevano era di diventare padroni del loro pezzetto di terra e della loro casa. Diventare proprietario di terra significava dare la prova del proprio valore. Non c era sacrificio troppo grave per uno scopo simile. Frugale all eccesso, l italiano non sprecava niente (si diceva che risparmiavano religiosamente il denaro ) sa vivere di tanto poco che chiunque, salvo forse il cinese, morirebbe di fame quando l italiano acquista un pezzo di terreno incolto, impiega il suo tempo a zapparlo e a prepararlo per la coltura tutta la sua (Segue a pag. n. 7) (Segue da pag. n. 1) I 150 anni di una Nazione incompiuta sinistra guidato da Prodi che quello attuale di centro-destra del bungabunga Berlusconi non si sono minimamente posti il problema di una ricorrenza cosi importante e che meritava ben altro in occasione dell Unità d Italia, la quale non deve essere enunciata solo come una mera espressione geografica. Lasciando così naufragare miseramente l anniversario come tutte le cose alle quali non si crede fino in fondo. Questo dimostra come la questione dell identità nazionale è stata persa di vista dalle classi politiche, dalle istituzioni e dal mondo intellettuale. Non ha mai interessato a nessuno e oggi riconoscersi in una certa idea dell Italia è maledettamente sempre più difficile. Mancano le forme e i modi per restituire una identità a un Paese che sembra brancolare nel buio alla ricerca di un destino per se stesso e per le generazioni future. Ma allora bisogna celebrarla questa ricorrenza se mancano i presupposti della celebrazione stessa? Abbiamo invece bisogno di un riconoscimento dell unità d Italia da parte di tutti nel sentimento di appartenenza ad una comunità intessuta di ideali, di storie e di tradizioni. Non possono bastare solo alcune iniziative a ridare pregio ad un progetto che è andato sbiadendo tra l indifferenza dei parlamentari e dagli attuali governanti molto simile ad un accozzaglia di potentati che se ne disputano le vesti e di cui la querelle tra nordisti e sudisti è la forma politica più evidente. Da un ventennio la Lega e il suo capo rione Bossi annuncia a giorni alterni propositi di separatismo salvo poi al grido di Roma ladrona non disdegnare di occupare con le relative prebende tutte le poltrone romane disponibili. Una secessione è un costo molto alto, francamente impensabile. Ma se non vi sono cambiamenti, appare l ipotesi più probabile. (Segue a pag. n. 6)

3 Pagina 3 "Abbiamo fatto l'italia, adesso bisogna fare gli Italiani" L'INSABBIAMENTO CULTURALE DELLA "QUESTIONE MERIDIONALE" Molti storici in epoca moderna hanno fatto luce sugli eventi che hanno caratterizzato l'unità d'italia dimostrando, con certezza, che la cultura di "regime" stese, dai primi anni dell'unità, un velo pietoso sulle vicende "risorgimentali" e sul loro reale evolversi. Tutte le forme d'influenza sulla pubblica opinione furono messe in opera, per impedire che la sconfitta dei Borboni o la rivolta del popolo meridionale si colorasse di toni positivi. Si cercò di rendere patetica e ridicola la figura di Francesco II - il "Franceschiello" della vulgata arrivando alla volgarità di far fare dei fotomontaggi della Regina Maria Sofia in pose pornografiche, che furono spediti a tutti i governi d'europa e a Francesco II stesso, il quale, figlio di una "santa" e allevato dai preti, con ogni probabilità non aveva mai visto sua moglie nuda nemmeno dal vivo. Risultò, in seguito, che i fotomontaggi erano stati eseguiti da una coppia di fotografi di dubbia fama, tali Diotallevi, che confessarono di aver agito su commissione del Comitato Nazionale; la vicenda suscitò scalpore e, benché falsa, servì allo scopo di incrinare la reputazione dei due sovrani in esilio. La memoria di Re Ferdinando II, padre di Francesco, fu infangata da accuse di brutalità e ferocia: gli fu scritto dal Gladstone interessatamente - d'essere stato - lui cattolicissimo - "la negazione di Dio". Soprattutto si minimizzò l'entità della ribellione che infiammava tutto il l'ex Regno di Napoli, riducendolo a "volgare brigantaggio", come si legge nei giornali dell'epoca (giornali, peraltro, pubblicati solo al nord in quanto la libertà di stampa fu abolita al sud fino al 31 dicembre 1865); nasce così la leggenda risorgimentale della "cattiveria" dei Borboni contrapposta alla "bontà" dei piemontesi e dei Savoia che riempirà le pagine dei libri scolastici. Restano a chiarire le motivazioni che hanno indotto gli ambienti accademici del Regno d'italia prima, del periodo fascista e della Repubblica poi, a mantenere fin quasi ai giorni nostri, una versione dei fatti così lontana dalla verità. A mio parere le ragioni sono composite, ma riconducibili ad un concetto che il D'Azeglio enunciò nel secolo scorso "Abbiamo fatto l'italia, adesso bisogna fare gli Italiani", e possono essere e- semplificate nel seguente modo: a. Il mondo della cultura post-unitaria si adoperò per sradicare dalla coscienza e dalla memoria di quelle popolazioni che dovevano diventare italiane, il modo piratesco e cruentisissimo con il quale l'unità si ottenne, ammantando di leggende "l'eroico" operato dei Garibaldini (che sarebbero stati, nonostante tutto, schiacciati prima o poi dall'esercito borbonico), sminuendo il fatto che la reale conquista del meridione fu ottenuta, in realtà, dall'esercito piemontese, attraverso le vicende della guerra civile - nonostante la formale annessione al Regno di Piemonte - e tacendo, soprattutto, la circostanza che le popolazioni del sud, salvo una minoranza di latifondisti ed intellettuali, non avevano nessuna voglia di essere "liberate" e anzi reagirono violentemente contro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori. Per contro si diede della deposta monarchia borbone un'immagine traviata e distorta, e del '700 e '800 napoletano la visione, bugiarda, di un periodo sinistro d'oppressione e miseria dal quale le genti del sud si emanciperanno, finalmente, con l'unità, liberate dai garibaldini e dai piemontesi dalla schiavitù dello "straniero". b. Il Ministero della Pubblica Istruzione e della cultura popolare del periodo fascista, proteso com'era al perseguimento di valori nazionalistici e legato a filo doppio alla dinastia Savoia, non ebbe, per ovvi motivi, nessuna voglia di tipo "revisionista", riconducendo anzi l'origine della nazione al periodo romano e saltando a piè pari un millennio di storia meridionale. Il governo fascista ebbe l'indiscutibile merito di cercare di innescare un meccanismo di recupero economico della realtà meridionale, ma da un punto di vista storico insabbiò ancor di più la questione meridionale, ritenendola inutile e dannosa nell'impianto culturale del regime. c. La Repubblica Italiana, nel dopoguerra, mantenne intatto, in sostanza, l'impianto di pubblica istruzione del periodo fascista. La nazione emergeva, non bisogna dimenticarlo, da una guerra civile, nella quale le fazioni in lotta avevano, con la Repubblica di Salò, diviso in due l'italia, il movimento indipendentista siciliano era in piena agitazione (erano gli anni delle imprese di Salvatore Giuliano), non era certamente il momento di sollevare dubbi sulla veridicità della storia risorgimentale e alimentare così tesi separatiste. Si è arrivati in questo modo ai giorni nostri, dove ancora adesso, in molti libri scolastici, la storia d'italia e del meridione in particolare è vergognosamente mistificata. In campo economico la visione che si dette del Regno delle due Sicilie fu, se possibile, ancora più lontana dalla realtà effettuale. Il Sud borbonico, come ci riporta Nicola Zitara era: "Un paese strutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a quel tempo, gli scambi con l'estero facilitati dal fatto che nel settore delle produzioni mediterranee il pae- (Segue a pag. n. 4)

4 Pagina 4 "Abbiamo fatto l'italia, adesso bisogna fare gli Italiani" (Segue da pag. n. 3) L'INSABBIAMENTO CULTURALE DELLA "QUESTIONE MERIDIONALE" se meridionale era il piú avanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarre tutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e di proteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistente surplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamento d'industrie, le quali, erano sufficientemente grandi e diffuse, sebbene ancora non perfette e con una capacità di proiettarsi sul mercato internazionale limitata, come, d'altra parte, tutta l'industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni). (...) Il Paese era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismo territoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, ma sicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche e preferiva misurare la crescita in relazione all'occupazione delle classi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affari non era la classe egemone, a cui gli interessi generali erano ottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe al servizio dell'economia nazionale". In realtà il problema centrale dell'intera vicenda è che nel 1860 l'italia si fece, ma si fece malissimo. Al di là delle orribili stragi che l'unità apportò, le genti del Sud patiscono ancora ed in maniera evidentissima i guasti di un processo di unificazione politica dell'italia che fu attuato senza tenere in minimo conto le diversità, le esigenze economiche e le aspirazioni delle popolazioni che venivano aggregate. La formula del "piemontismo", vale a dire della mera e pedissequa estensione degli ordinamenti giuridici ed economici del Regno di Piemonte all'intero territorio italiano, che fu adottata dal governo, e i provvedimenti "rapina" che si fecero ai danni dell'erario del Regno di Napoli, determinarono un'immediata e disastrosa crisi del sistema sociale ed economico nei territori dell'ex Regno di Napoli e il suo irreversibile collasso. D'altronde le motivazioni politiche che avevano portato all'unità erano come sempre accade in subordine rispetto a quelle economiche. Se si parte dall'assunto, ampiamente dimostrato, che lo stato finanziario del meridione era ben solido nel 1860, si comprendono meglio i meccanismi che hanno innescato la sua rovina. Nel quadro della politica liberista impostata da Cavour, il paese meridionale, con i suoi quasi nove milioni di abitanti, con il suo notevole risparmio, con le sue entrate in valuta estera, appariva un boccone prelibato. L'abnorme debito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politica bellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!) doveva essere risanato e la bramosia della classe borghese piemontese per la quale le guerre si erano fatte (e alla quale il Cavour stesso apparteneva a pieno titolo) doveva essere, in qualche modo, soddisfatta. Descrivere vicende economiche e legate al mondo delle banche e della finanza, può risultare al lettore, me ne rendo conto, noioso, ma non è possibile comprendere alcune vicende se ne conoscono le intime implicazioni. Lo stato sabaudo si era dotato di un sistema monetario che prevedeva l'emissione di carta moneta mentre il sistema borbonico emetteva solo monete d'oro e d'argento insieme alle cosiddette "fedi di credito" e alle "polizze notate" alle quali però corrispondeva l'esatto controvalore in oro versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie. Il problema piemontese consisteva nel mancato rispetto della "convertibilità" della propria moneta, vale a dire che per ogni lira di carta piemontese non corrispondeva un equivalente valore in oro versato presso l'istituto bancario emittente, ciò dovuto alla folle politica di spesa per gli armamenti dello stato. In parole povere la valuta piemontese era carta straccia, mentre quella napolitana era solidissima e convertibile per sua propria natura (una moneta borbonica doveva il suo valore a se stessa in quanto la quantità d'oro o d'argento in essa contenuta aveva valore pressoché uguale a quello nominale). Quindi cita ancora lo Zitara: "Senza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l'italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degli Stati Sardi. La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d'oro e d'argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d'emissione sarda - che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni - avrebbe potuto costruire un castello di cartamoneta bancaria alto tre miliardi. Come il Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori della banca, che sarebbe poi divenuta Banca d'italia) non tessevano e non filavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l'unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s'erano messi". A seguito dell'occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete per trasformarle in carta moneta così come previsto dall'ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e avrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano (benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancora per qualche anno). Quell'oro, invece, attraverso apposite manovre passò nelle casse piemontesi. Tuttavia nella riserva della nuova Banca d'italia, non risultò esserci tutto l'oro incamerato (si vedano a proposito gli Atti Parlamentari dell'epoca). Evidentemente parte di questo aveva preso altre vie, che per la maggior parte furono quelle della costituzione e finanziamento di imprese al nord operato da nuove banche del nord che avrebbero investito al nord, ma con gli enormi (Segue a pag. n. 5)

5 Pagina 5 (Segue da pag. n. 4) "Abbiamo fatto l'italia, adesso bisogna fare gli Italiani" L'INSABBIAMENTO CULTURALE DELLA "QUESTIONE MERIDIONALE" capitali rastrellati al sud. Ancora adesso, a ben vedere, il sistema creditizio del meridione risente dell'impostazione che allora si diede. Gli istituti di credito adottano ancora oggi politiche ben diverse fra il nord ed il sud, effettuando la raccolta del risparmio nel meridione e gli investimenti nel settentrione. Il colpo di grazia all'economia del sud fu dato sommando il debito pubblico piemontese, enorme nel 1859 (lo stato più indebitato d'europa), all'irrilevante debito pubblico del Regno delle due Sicilie, dotato di un sistema di finanza pubblica che forse rigidamente poco investiva, ma che pochissimo prelevava dalle tasche dei propri sudditi. Il risultato fu che le popolazioni e le imprese del Sud, dovettero sopportare una pressione fiscale enorme, sia per pagare i debiti contratti dal governo Savoia nel periodo preunitario (anche quelli per comprare quei cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull'esercito borbonico), sia i debiti che il governo italiano contrarrà a seguire: esso in una folle corsa all''armamento, caratterizzato da scandali e corruzione, diventò, con i suoi titoli di stato, lo zimbello delle piazze economiche d'europa. Scrive ancora lo storico Zitara: "La retorica unitaria, che coprì interessi particolari, non deve trarre in inganno. Le scelte innovative adottate da Cavour, quando furono imposte all'intera Italia, si erano già rivelate fallimentari in Piemonte. A voler insistere su quella strada fu il cinismo politico di Cavour e dei suoi successori, l'uno e gli altri più uomini di banca che veri patrioti. Una modificazione di rotta sarebbe equivalsa a un'autosconfessione. Quando, alle fine, quelle "innovazioni", vennero imposte anche al Sud, ebbero la funzione di un cappio al collo. Bastò qualche mese perché le articolazioni manifatturiere del paese, che non avevano bisogno di ulteriori allargamenti di mercato per ben funzionare, venissero soffocate. L'agricoltura, che alimentava il commercio estero, una volta liberata dei vincoli che i Borbone imponevano all'esportazione delle derrate di largo consumo popolare, registrò una crescita smodata e incontrollabile e ci vollero ben venti anni perché i governi sabaudi arrivassero a prostrarla. Da subito, lo Stato unitario fu il peggior nemico che il Sud avesse mai avuto; peggio degli angioini, degli aragonesi, degli spagnoli, degli austriaci, dei francesi, sia i rivoluzionari che gli imperiali". Per contro una politica di sviluppo, fra mille errori e disastri economici epocali (basti pensare al fallimento della Banca Romana, principale finanziatrice dello stato unitario o allo scandalo Bastogi per l'assegnazione delle commesse ferroviarie), fu attuata solo al Nord mentre il Sud finì per pagare sia le spese della guerra d'annessione, sia i costi divenuti astronomici dell'ammodernamento del settentrione. Il governo di Torino adottò nei confronti dell'ex Regno di Napoli una politica di mero sfruttamento di tipo "colonialista" tanto da far esclamare al deputato Francesco Noto nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861: "Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra come conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perú e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala". La politica dissennatamente liberistica del governo unitario portò, peraltro, la neonata e debolissima economia dell'italia unita a un crack finanziario. Le grandi società d'affari francesi ed inglesi fecero invece, attraverso i loro mediatori piemontesi, affari d'oro. Nel 1866, nonostante il considerevole apporto aureo delle banche del sud, la moneta italiana fu costretta al "corso forzoso" cioè fu considerata dalle piazze finanziarie inconvertibile in oro. Segno inequivocabile di uno stato delle finanze disastroso e di un'inflazione stellare. I titoli di stato italiani arrivarono a valere due terzi del valore nominale, quando quelli emessi dal governo borbonico avevano un rendimento medio del 18%. Ci vorranno molti decenni perché l'italia postunitaria, dal punto di vista economico, possa riconquistare una qualche credibilità. L'odierna arretratezza economica del Meridione è figlia di quelle scelte scellerate e di almeno un cinquantennio di politica economica dissennata e assolutamente dimentica dell'ex Regno di Napoli da parte dello stato unitario. Si dovrà aspettare il periodo fascista per vedere intrapresa una qualche politica di sviluppo del Meridione con un intervento strutturale sul suo territorio attraverso la costruzione di strade, scuole, acquedotti (quello pugliese su tutti), distillerie ed opifici, la ripresa di una politica di bonifica dei fondi agricoli, il completamento di alcune linee ferroviarie come la Foggia-Capo di Leuca, - iniziata da Ferdinando II di Borbone, dimenticata dai governi sabaudi e finalmente terminata da quello fascista. Ma il danni e i disastri erano già fatti: una vera economia nel sud non esisteva più e le sue forze più giovani e migliori erano emigrate all'estero. Nonostante gli interventi negli anni '50 del XX secolo con il piano Marshall (peraltro con nuove sperequazioni tra nord e sud), '60 e '70 con la Cassa per il Mezzogiorno e l'aiuto economico dell'unione Europea ai giorni nostri, il (Segue a pag. n. 6)

6 Pagina 6 (Segue da pag. n. 5) "Abbiamo fatto l'italia, adesso bisogna fare gli Italiani" divario che separa il Sud dal resto d'italia è ancora notevole. La popolazione dell'ex Regno di Napoli, falcidiata dagli eccidi del periodo del "brigantaggio", stremata da anni di guerra, di devastazioni e nefandezze d'ogni genere, per sopravvivere, darà vita alla grandiosa emigrazione transoceanica degli ultimi decenni dell''800, che continuerà, con una breve inversione di tendenza nel periodo fascista e una diversificazione delle mete che diventeranno il Belgio, la Germania, la Svizzera, fin quasi ai giorni nostri. Il Sud pagherà, ancora una volta, con il flusso finanziario generato dal lavoro e dal sacrificio degli emigranti meridionali, lo sviluppo dell'italia industriale. Ritengo, in conclusione, che sia un diritto delle gente meridionale riappropriarsi di quel pezzo di storia patria che dopo il 1860 le fu strappato e un dovere del corpo insegnanti dello stato favorire un'analisi storica più oggettiva di (Segue da pag. n. 2) L'INSABBIAMENTO CULTURALE DELLA "QUESTIONE MERIDIONALE" quei fatti che tanto peso hanno avuto ed hanno ancora nello sviluppo sociale del Paese, anche attraverso una scelta dei testi scolastici più oculata ed imparziale. La guerra fra il nord ed il sud d'italia non si combatte più sui campi di battaglia del Volturno, del Garigliano, sugli spalti di Gaeta o nelle campagne infestate dai "briganti", ma non per questo è meno viva; continua ancora oggi sul terreno di una cultura storica retriva e bugiarda che, alimentando una visione del sud "geneticamente" arretrato, produce un'ulteriore frattura tra due "etnie" che non si sono amate mai. Il dibattito ancora aperto e vivace sull'ipotesi di una Italia federalista, i toni accesi del Partito della Lega Nord, una certa avversione, subdola ma reale, tra la gente del nord e quella del sud, nonostante il "rimescolamento" dovuto all'emigrazione interna, testimoniano quanto queste problematiche, nate nel 1860, siano ancora attualissime. Oggi l'unità dello stato, in un periodo dove il progresso passa attraverso enti politico-economici sopranazionali come la Comunità Europea, è certamente un valore da salvaguardare, ma al meridione è dovuta una politica ed una attenzione particolari, una politica legata ai suoi effettivi interessi, che valorizzi le sue enormi risorse e assecondi le sue vocazioni, a parziale indennizzo dei disastri e delle ingiustizie che l'unità vi ha apportato. L'enorme numero di morti che costò l'annessione, i 23 milioni di emigrati dal meridione dell'ultimo secolo, che hanno sommamente contribuito, a costo di immani sforzi, alla realizzazione di un'italia moderna e vivibile, meritano quel concreto riconoscimento e quel rispetto che per 140 anni lo Stato, attraverso una cultura storica mendace, gli ha negato e che oggi gli eredi della Nazione Napoletana reclamano. (di CARLO COPPOLA da "Controstoria dell'unità d'italia" - M.C.E. Editore) I 150 anni di una Nazione incompiuta Al Nord non manca, chi deplora come sconsiderata la spedizione dei Mille. Al Sud, oltre a deprecarla, si aggiunge che la monarchia sabauda ha trattato il Regno delle Due Sicilie come terra di conquista, soffocando nel sangue i tentativi separatisti dei militari fedeli ai Borboni, accomunati al brigantaggio, malattia endemica meridionale. La questione è controversa e, non di rado, giornali e televisione dibattono sulla natura della monarchia borbonica e sulle cause del sottosviluppo del meridione, iniziato indubbiamente dopo l Unità d Italia con la più imponente emigrazione che la storia italiana ricordi. Possiamo aggiungere che è difficilmente contestabile che il Piemonte abbia fatto pagare alle regioni meridionali annesse dopo il 1861 i debiti accumulati con le Guerre d Indipendenza, mentre la regal Torino conobbe il suo maggiore sviluppo. Le aspirazioni allora erano diverse. I Savoia e Cavour volevano un regno del nord Italia, i Lombardi volevano l autonomia e l indipendenza, Carlo Cattaneo voleva il federalismo dei municipi, Mazzini voleva la Repubblica unitaria in un Europa pacifica e democratica, Garibaldi voleva un Italia unita. Oggi, non possiamo, però, far finta di non vedere oggi, che in realtà l Unità d Italia non è mai stata fatta. Questo, e tutte le altre cose che conosciamo, vogliono dire che ci sono almeno due Italie, che seguono diverse regole di vita e diverse leggi. Quando un terzo dei giovani sono e- sclusi dal lavoro, quando la distanza tra Nord e Sud raggiunge livelli del per cento per quanto riguarda l occupazione, il reddito,, le infrastrutture, la criminalità, gli sprechi amministrativi, l assistenza sanitaria, l educazione, l economia sommersa, occorre che l allarme sia lanciato contro l indifferenza e la delusione. Mentre si celebra l unità d Italia, la separazione tra le istituzioni e il popolo ha ormai superato i livelli di guardia e non è un caso che la sola istituzione che raccoglie il massimo consenso sia il Quirinale. Allora occorre riscoprire il senso della Nazione e la sua bandiera con i principi di: libertà, uguaglianza e fraternità. Appartenere ad una nazione significa parlare una stessa lingua, avere le stesse strutture sociali: ospedali, scuole, ordine pubblico, burocrazia, eccetera. Cosi come condividere gli stessi diritti e gli stessi doveri.

7 Pagina 7 (Segue da pag. n. 2) famiglia lavora spesso da mattina a sera e per parecchie ore della notte...paga in contanti lo scavo della cantina e la pompa per l acqua, e al costruttore che gli tirerà su la casa dà una o più cambiali. Il sogno della terra, coltivato in Patria per secoli, finalmente diventava realtà e con esso arrivava il benessere economico tanto che i meridionali riuscivano, insieme ai pacchi alimentari e di vestiario, ad inviare in Italia parte dei risparmi per aiutare le famiglie di origine il successo è così normale, fra gli italiani, che pochi sono quelli che non hanno un conto in banca e non mandano regolarmente del denaro in Italia. L'emigrazione non era, quindi, solo una valvola di sfogo per liberare la Penisola da un numero eccessivo di disoccupati ma anche uno strumento che permetteva di rastrellare denaro all'estero per far fronte ai problemi di bilancio dello Stato italiano, sono cifre alte: due miliardi di lire all'anno dal 1896 al 1900, più di quattro miliardi all'anno dal 1909 al Molti di essi giunsero in vetta: ricordiamo i fratelli Di Giorgio che diventarono i più grandi distributori di frutta del mondo; Amadeo Pietro Giannini che da venditore ambulante e possessore di un primo banco formato da un asse poggiato su due barili, riuscì tramite prestiti a bassi interessi a conquistarsi la fiducia dei disperati e dei piccoli risparmiatori; essi, una volta raggiunta la ricchezza, rimasero legati alla sua persona, sinonimo di onestà contro la rapacità diffusa dei profittatori, e aumentando continuamente i loro depositi bancari fecero diventare la Bank of Italy di Giannini l istituto più grande della California, poi degli Stati Uniti ed infine del mondo sotto il nuovo nome di Bank of America. Anche in politica gli italiani fecero strada e ci furono momento in cui i sindaci delle principali città delle due sponde degli Stati Uniti (S.Francisco e New York) erano emigranti della Penisola. Non era, però, tutto rose e fiori perchè il successo degli immigrati italiani era inevitabilmente destinato ad alimentare l invidia e i rancori degli americani indigeni e delle altre nazionalità L emigrazione, la diaspora meridionale emigrate in America; ci furono molti episodi di violenza xenofoba e alla fine si costruì lo stereotipo dell Italiano mafioso. La massima parte degli italiani detestava e respingeva con sdegno questa immeritata nomea, di cui ben presto gli Al Capone e i Lucky Luciano li avrebbero bollati. I molti immigranti onesti e ossequienti alla legge consideravano i sindacati della violenza come un prodotto degli slum americani.l americano medio non si rese mai conto del fatto che la percentuale di condanne per cause criminali fra gli immigrati italiani degli Stati Uniti era e rimase a lungo suppergiù eguale a quella degli altri gruppi nazionali e addirittura inferiore a quella dei nativi. Questo non impedì che i delitti commessi dagli italiani ricevessero particolare pubblicità da parte della stampa. In qualche modo gli italiani e soprattutto i meridionali, sembravano più drammatici nel commettere i loro delitti, e così evocavano lo spauracchio dell italiano assetato di vendetta e di sangue. Le differenze somatiche, di usi e costumi tra gli emigranti italiani provenienti dalle varie regioni della Penisola erano marcatissime Fra italiani del Nord e italiani del Sud continuavano a manifestarsi secolari e non sopiti conflitti agli italiani del Nord non piaceva che l immagine dell italiano tipico, che andava formandosi nella mente degli americani, corrispondesse a quella dell italiano del Sud, piccolo e bruno...e l italiano del Sud, che si vedeva trattato con alterigia dall italiano del Nord, lo chiamava tight (spilorcio), e mean (meschino e con la puzza sotto il naso).la United States Immigration Commission era solita tenere distinte le cifre degli immigrati del Nord e del Sud d Italia, mentre non usava fare altrettanto per nessuna delle altre nazionalità. Per quanto riguarda il numero degli emigrati, sebbene vi siano dati ufficiali solo a partire dal 1875, le tabelle Nitti ci offrono, comunque, per il periodo precedente, una eloquente panoramica: 1861: 5.525; 1862: 4.287; 1863: 5.070; 1864: 4.879; 1865: 9.742; 1866: 8.790; 1867: ; 1868: ; 1869: ; 1870: ; 1871: ; 1872: ; 1873: Percentualmente, in quei primi anni, l 85% degli emigrati proveniva dalle regioni del Nord d Italia, fu solo dopo la crisi agraria degli anni 80 che i meridionali presero il sopravvento raggiungendo il 56% nel Nell anno 1900 l'emigrazione italiana complessiva aveva già raggiunto la enorme cifra di 8 milioni di individui di cui 5 milioni provenivano dalle ex Due Sicilie (di essi 3.4 milioni andarono oltreoceano); espatriò dal Sud oltre il 30% della popolazione. Nel 1901 il sindaco di Moliterno, in Lucania, porgendo il saluto della città al capo del governo, venuto a visitarla, diceva: La saluto in nome di ottomila concittadini, tremila dei quali risiedono in America, mentre gli altri cinquemila si preparano a seguirli. Nel 1898 l Italia era già balzata al primo posto, tra tutti i paesi, per numero di emigranti in America; nel successivo decennio partirono per nave più di persone all'anno, poi aumentarono negli anni successivi e nel solo 1913, che fu l'anno della più forte emigrazione, lasciarono l'italia per le Americhe persone, cui si devono aggiungere partenze per Paesi europei. Ancora negli anni '50 e '60 del Novecento altri sei milioni di meridionali emigrarono, ai giorni nostri la diaspora continua e, dopo più di 140 anni dall unità, ben 90mila meridionali sono costretti a lasciare ogni anno le loro terre: la eterna questione meridionale. (fonte: Il Sud e l unità d Italia di Giuseppe Ressa)

8 Pagina 8 (Segue da pag. n. 1) Il Sud Italia prima dell unità d'italia, estesa su una superficie di oltre tre ettari. Tra l'altro, era l'unica fabbrica italiana in grado di costruire motrici a vapore per uso navale. A Pietrarsa fu istituita anche la "Scuola degli Alunni Macchinisti" che permise alle Due Sicilie, unico Stato della Penisola, ad affrancarsi dalla necessità di disporre di macchinisti navali inglesi. A Pietrarsa venivano costruiti cannoni ed altri armamenti; venivano realizzati prodotti meccanici per uso civile, vagoni, locomotive ed i binari ferroviari (di cui in Italia solo Pietrarsa disponeva della tecnologia costruttiva). Lo stabilimento, inaugurato nel 1840, precedeva di 44 anni la costruzione della Breda e di 57 quella della Fiat. Era uno stabilimento rinomato in tutta Europa e lo Zar Nicola I, dopo averlo visitato, lo prese come esempio per la costruzione del complesso di Kronstadt. Accanto a Pietrarsa sorgevano la Zino ed Henry (poi Macry ed Henry) e la Guppy, entrambe con 600 addetti. Quest'ultima fornì, tra l'altro, il supporto delle 350 lampade per l'illuminazione a gas di Napoli (che fu la terza città europea ad averla, dopo Londra e Parigi).Viceversa al Nord, alla vigilia dell'unità, solo l'ansaldo di Genova era a livello di grande industria (aveva 480 operai contro i di Pietrarsa). Nel 1861, al momento dell'unità, vi erano tre fabbriche in Italia in grado di produrre locomotive: Pietrarsa e Guppy nelle Due Sicilie ed Ansaldo a Genova: l'efficienza e la concorrenzialità delle aziende del Sud è comprovata dal fatto che prima dell'unità esportassero in Toscana e anche in Piemonte (nel 1846 nelle Officine di Pietrarsa furono realizzate sette locomotive per il Regno di Sardegna: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope). La ferriera di Mongiana sorgeva nei dintorni di Serra San Bruno, nel cuore dell'aspra montagna calabra ricca di minerale di ferro, ed occupava un'area di più di un ettaro. Poco distante, fu più tardi costruita Ferdinandea: oggi Mongiana è un borgo di pochi abitanti e Ferdinandea è spopolata, ma nel trentennio che precedette la fine del Regno il fermento era vivissimo. Nel marzo del 1861, quando fu proclamato il Regno d'italia, gli addetti allo stabilimento di Mongiana erano 762 e si produceva ghisa e ferro malleabile d'ottima qualità che servì per la realizzazione delle catene, da circa 150 tonnellate, dei due magnifici ponti sul Garigliano e sul Calore (realizzati rispettivamente nel 1832 e nel 1835). Il complesso siderurgico calabrese di Mongiana e Ferdinandea era, fino al 1860, il maggiore produttore d'italia di ghisa e semi-lavorati per l'industria metalmeccanica: produsse a pieno regime cantaja di ghisa annue (circa tonnellate). Altri impianti metallurgici erano attivi in tutti il Sud ma è "impossibile elencare tutti i piccoli e medi opifici metalmeccanici sorti grazie all'intraprendenza degli artigiani locali o di imprenditori del settore tessile interessati ad acquistare le macchine necessarie". Flotta Mercantile e Cantieristica Navale Le Due Sicilie disponevano di una flotta mercantile pari ai 4/5 del naviglio italiano ed era la quarta del mondo: ne facevano parte oltre 9800 bastimenti ed un centinaio di questi (incluse le militari) erano a vapore; fu la prima flotta italiana a collegare l'italia con l'america ed il Pacifico. Con circa quaranta cantieri di una certa rilevanza, era nettamente in testa rispetto al resto d'italia. Il primo vascello a vapore del Mediterraneo fu costruito nelle Due Sicilie nel 1818 e fu anche il primo al mondo a navigare per mare e non su acque interne: era il Ferdinando I, realizzato nel cantiere di Stanislao Filosa al Ponte di Vigliena presso Napoli. l'inghilterra dovette aspettare altri quattro anni per metterne in mare uno, il Monkey, nel All'epoca fu tanto grande la meraviglia per quella nave, che fu riprodotta dai pittori in numerosi quadri, ora sparsi per il mondo, come ad esempio quello della Collezione MacPherson e l'altro della Camera di Commercio di Marsiglia. Il cantiere di Castellammare di Stabia, con operai, era il più grande del Mediterraneo. Al momento della conquista piemontese stava attrezzandosi per la costruzione di scafi in ferro. L'arsenalecantiere di Napoli, con operai, era l'unico in Italia ad avere un bacino di carenaggio in muratura lungo 75 metri. Sono patrimonio delle Due Sicilie anche: la prima compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo (1836), che svolgeva un servizio regolare e periodico compreso il trasporto della corrispondenza; navi come il "Real Ferdinando" che potevano trasportare duecento passeggeri da Palermo a Napoli; la prima convenzione postale marittima d'italia; la stesura del primo codice marittimo italiano del 1781 (ad opera di Michele De Jorio di Procida, che fu copiato da Domenico Azuni il quale se ne assunse la paternità), frutto di una tradizione che risaliva ai tempi delle Tavole della Repubblica Marinara di Amalfi e delle legislazioni meridionali successive. Le principali scuole nautiche erano a Catania, Cefalù, Messina, Palermo, Riposto (CT), Trapani, Bari, Castellammare, Gaeta, Napoli, Procida, Reggio. Fu riattivato il porto di Brindisi (1775) che era chiuso da secoli. Nel 1831 entrò in servizio la nave "Francesco I" che copriva la linea Palermo, Civitavecchia, Livorno, Genova, Marsiglia. La stessa nave anche effettuò la prima crociera turistica del mondo, nel 1833, in anticipo di più di 50 anni su quelle che seguirono: durò tre mesi con partenza da Napoli, arrivo a Costantinopoli (dove destò l'ammirazione del sultano) e ritorno con diversi scali intermedi. La crociera fu così splendida per comodità e lusso che fece dire " Non si fa meglio oggi" e " Il Francesco I è il più grande e il più bello di quanti piroscafi siansi veduti fin d ora nel Mediterraneo, gli altri sono inferiori, i pacchetti francesi "Enrico IV" e " Sully" hanno le macchine di forza di 80 cavalli (mentre la macchina del Francesco I è di 120) (...) i due pacchetti genovesi si valutano poco, il "Maria Luisa" (del Regno di Sardegna) è piccolo, la sua macchina non oltrepassa la forza di 25 cavalli, e quantunque una volta siasi fatto vedere nei porti del Mediterraneo, adesso è destinato per la sola navigazione del Po.". Nel 1847 fu introdotta per la prima volta in Italia la propulsione a elica con la nave "Giglio delle Onde". Erano operativi regolari servizi passeggeri che collegavano i principali porti delle Due Sicilie: isole come Ponza, Ustica, Lam- (Segue a pag. n. 9)

9 Pagina 9 (Segue da pag. n. 8) Il Sud Italia prima dell unità pedusa, Linosa furono ripopolate affrancando la popolazione residente dall'incubo delle incursioni dei pirati barbareschi. Produzione tessile Prima dell Unità il settore cotoniero vantava quattro stabilimenti con o più operai (1425 alla Von Willer di Salerno, 1160 in un altra filanda della provincia, 1129 nella filanda di Pellazzano, 2159 in quella di Piedimonte e un migliaio nella Aninis- Ruggeri di Messina); nello stesso periodo gli stabilimenti lombardi a stento raggiungevano i 414 operai della filatura Ponti. Tutto il Salernitano divenne il comprensorio in cui si concentrò per eccellenza l industria tessile, che fiorì anche ad Arpino nella valle del Liri, nel circondario di Sora. "Un particolare riferimento va fatto per il lino e la canapa: con quest industria, nella quale trovavano impiego ben tessitrici e telai, fu così dato lavoro a tutto un mondo rurale prevalentemente femminile". Il medesimo sviluppo coinvolse la produzione della lana grazie all'introduzione di capi razza "merino", conservando la manifattura i caratteri di industria domestica. Il Sud era inizialmente indietro nella produzione della seta, che incideva solo per il 17,5% della produzione complessiva italiana. In seguito all incremento delle piantagioni di gelsi ed all allevamento del baco si ebbe dal 1835 un rinnovato sviluppo dell industria della seta e nuove filande sorsero in Calabria, in Lucania, in Abruzzo. Molto famoso in tutta Europa era l opificio di San Leucio, che godeva di un particolare statuto, redatto da re Ferdinando I. Ricordiamo anche gli stabilimenti di Nicola Fenizio che davano lavoro a più di 4 mila persone e che esportavano in tutto il mondo, tanto che i concorrenti arrivarono a contraffarne il marchio. Cartiere Le cartiere meridionali erano fiorenti a livello internazionale. Ricordiamo quella di Fibreno, la più grande d'italia e una delle più note d'europa con 500 operai, oltre a quelle del Rapido, della Melfa, della costiera amalfitana. Nella sola valle del Liri il giro d'affari delle nove cartiere della zona era di mila ducati annui, grazie anche agli ingenti investimenti fatti per dotarle delle migliori tecniche dell'epoca. Le cartiere avevano destato l ammirazione dei maggiori industriali del ramo: nel 1829 Niccolò Miliani, proprietario delle note cartiere di Fabriano, visitò la Valle del Liri e si meravigliò di vedere "un foglio di carta grande come un lenzuolo", e si chiese "come diavolo si potevano ottenere formati così grandi". Le cartiere del Sud, grazie all elevata qualità del prodotto esportavano sia nell Italia settentrionale che all'estero. L Industria conciaria Era un settore sviluppato e di gran pregio: a Napoli, a Castellammare, a Tropea, a Teramo; in Puglia erano sorte concerie per i cuoi che giungevano nel Regno per l ultima finitura. Venivano prodotti finimenti di cavalli e carrozze, selleria, stivali, cuoi di lusso, esportati in Inghilterra, Francia, America. Nell ambito della lavorazione delle pelli ci si specializzò nella produzione di guanti. A questa lavorazione e dovuto il nome ad uno dei più centrali quartieri di Napoli: "I guantai nuovi". I guanti napoletani erano reputati i migliori d Europa (se ne producevano il quintuplo di Milano, Torino e Genova messe assieme) e costavano meno di quelli prodotti in Francia: per questo si e- sportavano ovunque, anche in Inghilterra dove l Arsay, redigendo le leggi del perfetto gentiluomo, asseriva la necessità dell uso di sei diverse paia di guanti al giorno. L Industria del corallo Particolarmente pregiati i coralli del mare in prossimità di Trapani, della penisola sorrentina, di Capri. Erano dei più vari colori, dal bianco marmoreo, al rosso, al nero d ebano ed erano destinati all oreficeria e all ornamento di arredi e oggetti sacri. La pesca, faticosa e pericolosa, era effettuata calando delle speciali reti lanciate in mare dalle barche in movimento. I più arditi erano i corallari di Trapani, seguiti da quelli di Torre del Greco che vantavano dalle tre alle quattrocento feluche con sette uomini ognuna. Michele di Iorio, insigne autore del "Codice di navigazione" sotto Ferdinando IV, redasse anche un "codice corallino". Fu istituita la "Compagnia del corallo" per facilitare il credito, e furono fondate fabbriche-scuola per la lavorazione a Torre del Greco ed a Napoli. L industria del corallo era così fiorente che si arrivò in breve a quaranta fabbriche con operai. Fu istituita anche un apposita fiera, dal primo all otto maggio di ogni anno, molto frequentata da compratori stranieri. Saline Situate in Puglia ed in Sicilia erano le più importanti d Europa. Le prime erano considerate dai Borbone "la perla della loro corona", soprattutto da Ferdinando II che le visitò più volte e migliorò le condizioni di vita dei salinari. Nel 1847, in località San Cassiano, fondò la colonia agricola di San Ferdinando di Puglia (nel 1879 ribattezzata "Margherita di Savoia"), popolandola con i lavoratori delle Saline e distribuendo gratuitamente i terreni ed i capitali per le case popolari. Così, in vent anni, la popolazione locale raddoppiò di numero. Il sale della Puglia era molto apprezzato, tanto da essere preferito a quello spagnolo ed era sfruttato sia per scopi alimentari sia per usi industriali. Di straordinaria importanza erano anche le saline siciliane "nella sola area di Stagnone (bacino marino antistante Trapani) si trovavano trentuno saline con centinaia di mulini a vento (quelli a sei pale in legno di tipo olandese) che davano una produzione annua di ben 110mila tonnellate di sale". Vetri e Cristalli A Napoli sorgevano due grandi fabbriche di vetri e cristalli, per le quali si erano fatti venire operai e macchine dall estero; in breve la produzione del Regno poté competere con quella di Francia e Germania e i quattro quinti della richiesta nazionale erano soddisfatti dall industria napoletana, parte dei vetri prodotti era esportata a Tunisi, ad Algeri e persino in America. Ci sembra poi superfluo soffermarsi sulla fabbrica di porcellane di Capodimonte, voluta da Carlo III e famosa in tutto il mondo. (Segue a pag. n. 10)

10 (Segue da pag. n. 9) Il Sud Italia prima dell unità Agricoltura ed allevamento I dati indicano che nel 1860 il Sud, che conta il 36.7 % della popolazione d Italia, pur non avendo nulla che si possa paragonare alla pianura padana produce il 50.4% di grano; l 80.2% di orzo e avena; il 53% di patate; il 41.5% di legumi; il 60% di olio, favorito in questo anche dal clima che consente spesso due raccolti l anno; si svilupparono le coltivazioni di agrumi e di piante idonee al suolo arido: l'olivo, la vite, il fico, il ciliegio ed il mandorlo. Nelle Due Sicilie l ultima vera grande carestia fu negli anni e successivamente, dai dati complessivi si ricava che un meridionale, tra grano e granaglie aveva una razione quotidiana di 418 grammi di carboidrati. Nella restante parte della Penisola la razione si riduceva a 270. La dieta del meridionale dell epoca era quella tipica mediterranea, ricca di verdura, ortaggi, frutta, pesce, latte e derivati, pane e pasta. Particolare risalto è da dare all opera di Carlo di Borbone che introdusse riduzioni delle tasse per i proprietari che avessero coltivato i loro terreni ad uliveto. Fu così che nella buona terra pugliese misero radici gli ulivi: oggi su 180 milioni di alberi italiani ben 50 milioni sono localizzati in Puglia, la regione olivicola più importante del mondo con il 10% della produzione totale di olio. Un decreto emanato il 12 dicembre 1844 da Ferdinando II prescriveva la necessità di un "certificato di origine" per l olio di oliva che era esportato in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. L industria alimentare era legata all'ottima produzione di grano duro e vantava i migliori pastifici d Italia, circa cento (provincia di Napoli, Crotone e Catanzaro) che esportavano in molti paesi stranieri, compreso Russia, America, Svezia e Grecia. Un accenno alla pizza che, pur presente da secoli sulle tavole mediterranee, ha celebrato i suoi trionfi proprio nella Napoli capitale delle Due Sicilie; presente anche nella mensa dei re Borbone, questi l apprezza-rono ma non imposero nessun nome di famiglia. Per quanto riguarda l allevamento, considerando il numero dei capi, il Sud era in testa in quello ovino, caprino, equino e dei maiali, poco al di sotto del resto dell Italia per quello caprino e molto al di sotto per quello bovino. Tra gli Abruzzi e la Puglia continuava, come fin dall epoca romana, la transumanza delle greggi che si svolgeva su sentieri chiamati tratturi e che era regolata da un codice molto particolareggiato che prevedeva il pascolo nel Tavoliere dal 29 settembre all otto maggio. In quel mese si svolgeva la grande fiera zootecnica di Foggia alla quale era tradizione partecipasse il Re, vestito alla maniera paesana. Vivacissima era anche l attività dei caseifici la cui lavorazione riguardava particolarmente il latte di pecora, ma il cui fiore all occhiello era naturalmente la mozzarella di bufala; numerosissimi gli stabilimenti ittici (ad e- sempio le tonnare di Favignana), del pomodoro, famose le fabbriche di liquirizia in Calabria e dei confetti a Sulmona. Infine segnaliamo la coltivazione e la lavorazione del tabacco dove il Sud era all'avanguardia con la importante manifattura di Napoli che occupava agli inizi degli anni 1850 più di operaie (poi ridotte per introduzione di macchinari più moderni), e che esportava in tutta Europa. Inoltre dal primo censimento della popolazione d Italia del 1861 (a pochi mesi dall Unità) si ricava che il Sud, che contava 36.7% della popolazione italiana, aveva il 56,3% dei braccianti agricoli e il 55,8% degli operai agricoli specializzati. Quando nel il protezionismo chiuderà gli sbocchi esteri, l agricoltura del Sud subirà un colpo mortale. Quella non era, infatti, solo un agricoltura di sussistenza e autoconsumo, bensì mercantile, destinata all esportazione: a quel punto la enorme massa di operai agricoli non ebbe più lavoro e non poté far altro che emigrare. Il sistema monetario, il costo della vita, la tassazione Il 20 aprile del 1818 Ferdinando I emanò una direttiva che uniformava il sistema monetario della parte continentale ed insulare del regno delle Due Sicilie. La moneta, la più solida d Italia, era il Ducato, presente in circolazione in coni aurei da 3, 4, 6, 15, 30. Il Ducato era suddiviso in 10 Carlini, che equivaleva a sua volta a 10 Grana. Vi era poi il Tornese (2 tornesi equivalevano a un grano, cioè ad un centesimo di Ducato) e infine il Cavallo (6 cavalli equivalevano ad un Tornese). In Sicilia la moneta era l'oncia, circolante in coni da 1 e da 2, e valeva 3 Ducati. Era suddivisa in 30 Tarì, ovvero in 300 Baiocchi. Il Grano (pari a mezzo Baiocco, o a 6 Piccioli) valeva quindi 2 Grana napoletani. Il cambio nel 1859 era 1 Ducato = 4,25 Lire. Il coefficiente d'aggiornamento ISTAT, opportunamente ricalcolato per tener conto dell'anno 1860, è pari a 7.346,7. Pertanto, un Ducato Napoletano equivale a lire ,47, pari ad Euro 16,13. L'Oncia siciliana valeva 48, 39 Euro. Le monete erano coniate in oro, argento e rame. I maestri incisori della Regia Zecca a S. Agostino Maggiore erano così rinomati in Europa, per la bellezza delle realizzazioni, che i saggi di conio dell istituto d emissione inglese erano spesso inviati a Napoli per un parere tecnico. Tutto il sistema monetario nel suo complesso era garantito in oro nel rapporto uno ad uno, la lira piemontese invece era garantita nel rapporto tre ad uno (ogni tre lire in circolazione erano garantite da una sola lira oro). La storia numismatica delle Due Sicilie risaliva a 2500 anni prima con le zecche della Magna Grecia, quando in molte parti d Italia e del mondo era ancora in uso il baratto in natura! Ci pensò Garibaldi con il decreto del 17 agosto 1860 a sopprimere il millenario sistema monetario siciliano e successivamente il governo unitario mise fuori corso il Ducato con la legge del 24 agosto 1862, triplicando in un sol colpo la massa monetaria incamerata con l'annessione del Sud. Il costo della vita era basso rispetto agli altri Stati preunitari e lo si può dimostrare paragonando i salari con il costo dei generi di prima necessità: la giornata di lavoro di un contadino era pagata il corrispondente odierno di 3 (15-20 Grana di allora), quella degli operai generici valeva in media 5 che salivano a 6,50 per quelli specializzati (dai 20 ai 40 grana); 13 spettavano ai maestri d opera (80 grana). A tali retribuzioni veniva aggiunto un soprassoldo giornaliero di grana per il vitto. Un impiegato statale percepiva 15 ducati al mese, la paga di un colonnello di fanteria era di 105 ducati (1680 ), quella di un tenente di fanteria 23 ducati (370 ). Sul versante dei costi riportiamo che un rotolo di pane (800 grammi) costava 6 grana (1 ), un equivalente di maccheroni 8 grana (1,30 ), di carne bovina 16 grana (2,5 ), un litro di vino 3 grana (0.50 ), tre pizze 2 grana (0,32 ). Il livello impositivo era il più mite di tutti gli Stati Italiani (sulla tomba di Tanucci, ministro delle finanze per 40 anni, troviamo scritto che non impose nuovi balzelli). La contribuzione diretta era praticamente basata solo sull imposta fondiaria, quella indiretta solo su quattro tributi. (fonte: ancinale.altervista.org) Il taccuino rosso - Rivista telematica di informazione, attualità e cultura - taccuinorosso@gmail.com

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