Intestazione di beni a nome altrui

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1 Intestazione di beni a nome altrui Illustrato il rapporto sussistente tra il contratto di donazione, le liberalità diverse dalle donazione, le donazioni miste e il negozio gratuito atipico, tratti il candidato dell intestazione di beni a nome altrui e dei negozi aventi oggetto beni futuri. L ordinamento giuridico si ispira al principio di casualità degli spostamenti patrimoniali. Secondo una concezione mercantilistica, infatti, ogni depauperamento economico dei privati deve trovare adeguata giustificazione. Assume, in tale ottica, rilevanza fondamentale la funzione svolta dalla causa dei negozi giuridici, che consente di individuare le finalità che gli atti disposizione patrimoniale intendono realizzare. In base ai recenti approdi ermeneutici, la stessa deve essere valutata in concreto, considerando gli interessi concretamente perseguiti dalle parti. La logica sottesa ai rapporti di scambio permette di delineare tre tipologie di schemi tramite cui definire gli assetti economici: l onerosità, la gratuità, e la liberalità. Invero, secondo l impostazione dominante, la liberalità rientrerebbe, quale species, nel più ampio genus della gratuità. La regola è rappresentata dal contratto stipulato a titolo oneroso, che si fonda sulla struttura sacrificio-vantaggio; ad ogni sacrificio sopportato dal soggetto deve quindi corrispondere un vantaggio diretto di carattere economico. L esempio più ricorrente di tale categoria è dato dal contratto a prestazioni corrispettive. Il contratto può essere, altresì, stipulato a titolo gratuito; in questa ipotesi ad uno svantaggio immediato della parte consegue un vantaggio economicamente valutabile indiretto o successivo (ad esempio come nel contratto di sponsorizzazione). Diverso è, invece, lo schema della liberalità, dove il soggetto agisce mosso da intenti e ragioni personali di natura altruistica, non finalizzati ad ottenere un

2 riscontro economico di alcun tipo. Allo scopo di prevenire atti di prodigalità, e coerentemente con il principio di casualità degli spostamenti patrimoniali, il legislatore circonda di opportune cautele i negozi compiuti con spirito di liberalità. A ben vedere, da un analisi sistematica si può evincere che l universo delle liberalità è ampio, contemplando al proprio interno fattispecie eterogenee. È possibile, tuttavia, individuare due elementi comuni a tutte le ipotesi di liberalità: il depauperamento di colui che dispone verso un altro un proprio diritto o assume un obbligazione, con il corrispettivo arricchimento della controparte, e l animus donandi, ossia la volontà e la consapevolezza di compiere un atto che diminuisca il patrimonio. Adottando una efficace semplificazione, le liberalità possono distinte in due categorie: la donazione diretta e le liberalità non donative (o donazioni indirette). Nel primo caso il legislatore prevede una disciplina rigida, indicando con precisione le modalità di stipulazione del contratto. Ai sensi dell art. 769 c.c., infatti, la donazione è un contratto tra due soggetti caratterizzato dallo spirito di liberalità di una delle parti. A tal proposito il legislatore stabilisce che non possa essere effettuata la donazione da coloro che non abbiano la piena capacità di disporre dei propri beni, a pena dì nullità del negozio. L orientamento prevalente sostiene che la capacità di donare rappresenti una capacità di agire sui generis, la cui insussistenza è sanzionata con la nullità e non con l annullabilità. Allo stesso modo e disposta la nullità del mandato a donare, con cui si attribuisce ad altri il potere di determinare l oggetto della donazione o di designare la persona del donatario. Di recente, la giurisprudenza ha ammesso altresì la donazione da parte delle persone giuridiche se ciò sia coerente con le finalità dello statuto sociale. L esigenza di tutelare il donante da atti di dissennati che possano incidere sulla propria sfera patrimoniale comporta che la forma della donazione debba essere quella dell atto pubblico a pena di nullità. Secondo l intentio legis, la causa debole della donazione viene bilanciata dalla previsione necessaria di una forma

3 forte. Non è richiesta la forma a pena di nullità della donazione di modico valore, purché vi sia stata la traditio. Parimenti, tale requisito non è richiesto per altre tipologie di donazione (come ad esempio quella rimuneratoria di scarso valore) in cui l animus donandi è dettato da particolari ragioni o avvenimenti. Le suddette distinzioni rilevano anche con riferimento alla disciplina della revocazione, che può essere richiesta per ingratitudine o per sopravvenienza di figli. Restano, tuttavia, escluse quelle remuneratorie e quelle fatte in occasione di un matrimonio. Parzialmente differente è, invece, la disciplina tracciata per le liberalità non donative. Queste ultime perseguono, o meglio realizzano, gli stessi scopi della donazione ex art 769 cc, ma in via indiretta mediante l utilizzo di un diverso schema. L articolo 809 cc assoggetta suddette fattispecie alla medesime norme che regolano la revocazione della donazione per caso di ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione per integrare la quota dovuta ai legittimari. La distinzione fondamentale è data dal fatto che per le libertà non donative il legislatore non richiede la forma dell atto pubblico a pena di nullità. Tuttavia, lo stesso non dispone neppure un elenco che espliciti quali siano tali fattispecie. L incertezza normativa ha determinato una frenetica attività giurisprudenziale, volta all individuazione in concreto dell ipotesi rientranti nelle donazioni indirette e, soprattutto, di un efficace criterio discretivo rispetto a quelle dirette. Secondo le recenti affermazioni giurisprudenziali, le liberalità indirette possono essere rappresentate non solo da un operazione complessa tra due negozi (mezzo e fine), ma anche da atti unilaterali e meri comportamenti materiali. Sul punto è opportuno citare i principi dettati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2017 che si sono pronunciate sulla donazione di strumenti finanziari mediante operazioni di accredito e addebito sul conto corrente. Ad avviso della corte di legittimità, tale donazione avrebbe natura di liberalità diretta ad esecuzione indiretta. Ciò in quanto l operazione avviene mediante il giroconto, mero strumento di trasferimento di valori patrimoniali, sulla base di un

4 rapporto di intermediazione gestoria e non giuridica della banca a favore del terzo. Ne consegue la necessità della forma dell atto pubblico, salvo che la donazione sia di modico valore. Il Supremo Consesso, in tale pronuncia, sembra ribadire anche un criterio discretivo tra donazioni dirette e liberalità non donative. Nelle prime la donazione rappresenta la causa del contratto, involgendolo interamente; nella seconda, invece, la stessa rappresenta un effetto. Inoltre, le Sezioni Unite fanno rientrare, anche sulla base delle suddette coordinate, le donazioni miste tra quelle indirette. La categoria del negozio misto indica un contratto con causa unitaria che però al suo interno contiene frammenti di differenti discipline contrattuali. L esempio tipico è costituito dalla vendita mista a donazione. Le recenti elaborazioni pretorie qualificano, infatti, la vendita di un bene a prezzi eccessivamente sproporzionati come donazione indiretta, non richiedendo la forma dell atto pubblico. Alcuni autori in dottrina ritengono che il problema della forma, nella donazione mista, vada risolto in base al criterio adottato per la scelta della disciplina da applicare. Aderendo alla tesi della prevalenza (o dell assorbimento), si applicheranno per intero le disposizioni del tipo negoziale che presenta la causa più forte, escludendosi quindi che possano trovare spazio che le regole sulla donazione, stante la causa debole che essa presenta. Diversamente, seguendo la tesi della combinazione, potranno essere applicate le norme sulla donazione anche in tema di forma. In ogni caso, la struttura del negozio misto va distinto da quella del negozio complesso del collegamento negoziale. Ciò, però, non osta alla circostanza che, soprattutto nell ultimo istituto, possa configurarsi una liberalità indiretta. Resta, invece, incompatibile con il fine delle liberalità il negozio gratuito atipico. La dottrina maggioritaria ritiene, infatti, che nel nostro ordinamento siano ammessi negozi gratuiti atipici, non solo ad effetti obbligatori, ma anche reali. Tale impostazione si fonda su di una interpretazione evolutiva dell articolo 1333

5 cc, secondo cui lo stesso ha la struttura di un negozio unilaterale a rilievo bilaterale immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica del terzo, fatta salva la possibilità per quest ultimo esercitare il cd rifiuto eliminativo. Può, tuttavia, accadere che lo strumento del negozio gratuito venga utilizzato per effettuare una donazione diretta ed eludere tutta la disciplina codicistica. Si deve, in tal caso, indagare in modo ampio l operazione posta in essere, valutando la causa in concreto e i possibili vantaggi economici indiretti derivanti dall atto. L eventuale lesione della forma richiesta determina inevitabilmente la nullità del negozio per mancanza di uno dei requisiti essenziali richiesti dalla legge. Il non agevole distinguo tra donazioni dirette, liberalità indirette e negozio gratutito atipico è particolarmente evidente nella fattispecie peculiare dell intestazione di beni a nome altrui. Nello specifico si dubita se in tal caso ci si trovi in presenza di una donazione diretta o indiretta. A riguardo, si sottolinea che la giurisprudenza si è già espressa con riferimento al peculiare caso di beni immobili acquistati da un soggetto con il denaro fornitogli da un terzo. Tale ipotesi costituisce per la Corte di Cassazione una donazione diretta del denaro se l acquisto del bene avviene dopo molto tempo dalla dazione dei soldi. Viceversa uno stretto collegamento funzionale tra il denaro e l acquisto configurerà una donazione indiretta dell immobile. Diversamente l acquisto del bene del terzo con intestazione diretta al beneficiario da vita ad una donazione diretta. Alla luce delle recenti coordinate ermeneutiche la questione deve essere analizzata valutando, da un lato, la causa in concreto del negozio posto in essere e dall altro la giurisprudenza che da ultima sembra aver tracciato una distinzione, almeno astrattamente, chiara tra liberalità dirette e non donative. L intestazione di beni può infatti rispondere a diverse cause giustificatrici: può rappresentare un atto a titolo gratuito che determina un vantaggio indiretto economicamente valutabile o, in sua assenza, una donazione diretta o indiretta. Inoltre, essa può costituire un obbligazione traslativa che, in deroga al principio del consenso traslativo, esegue un precedente accordo obbligatorio. Analoga problematica si individua nel contratto a favore del terzo ex art cc. Sebbene

6 recenti pronunce giurisprudenziali qualifichino lo stesso, ricorrendone i presupposti, come una liberalità indiretta, parte della dottrina ritiene che tale schema possa determinare una donazione tipica. Argomentando sulla base della nozione di interesse previsto dall articolo 1411 cc e del meccanismo del rifiuto eliminativo, che consente la produzione di un effetto diretto nei confronti del terzo, per tale tesi potrebbe configurarsi una donazione tipica, anche ad esecuzione indiretta, seguendo i principi delineati dalle Sezioni Unite del 2017 sulla donazione di strumenti finanziari. Differente è, invece, l ipotesi della simulazione relativa, che determina una mera interposizione fittizia. La questione appena trattata coinvolge anche un dibattito giurisprudenziale, che sembra oramai superato, riguardo l ammissibilità di negozi aventi ad oggetto diritti futuri ed in particolare della donazione di cosa futura ed altrui. L orientamento tradizionale negava l ammissibilità di negozi aventi ad oggetto diritti non ancora facenti parte del patrimonio del soggetto (ad esempio il contratto con cui si rinunziava ad un diritto futuro, non ancora acquisito nella sfera giuridica). Tale assunto si fondava sugli artt. 458 e 771 del cc, intesi come espressione di un principio generale dell ordinamento. L impostazione successiva ha, invece, mutato opinione, ritenendo ammissibili i contratti aventi ad oggetto diritti futuri nel nostro ordinamento. La novella concezione deriva da un interpretazione evolutiva degli artt. 1378, 1472 e 1478 cc (gli ultimi due inerenti al contratto di compravendita). Per questa tesi, infatti, le suddette norme sono espressione di un principio generale che ammette il contratto sia in caso di futurità soggettiva che oggettiva a determinate condizioni. In tal guisa gli artt. 458 e 771 c.c. rappresenterebbero solo delle eccezioni alla regola generale. Tale teoria si pone, altresì, correntemente con il principio del consenso traslativo che, sulla base dell art.1456, comma 2 del cc, ammette il negozio obbligatorio ad effetti reali differiti. E necessario, però, ai fini della validità del contratto riguardante diritti futuri, che l oggetto dello stesso sia determinato in aderenza a quanto stabilito dalla giurisprudenza con la fideiussione omnibus ed il pegno rotativo.

7 I criteri tracciati hanno influenzato anche gli orientamenti pretori sulla donazione di cosa altrui. In passato, parte della giurisprudenza riteneva tale forma di donazione nulla, poiché involgente un bene futuro ai sensi dell art 771 cc. Di recente, però, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno aderito ad una diversa ricostruzione. Secondo i giudici di legittimità, la donazione di beni altrui è valida se il destinatario è consapevole dell altruità della res, obbligandosi il donante, in tal modo, ad effettuare una futura donazione ad effetti traslativi. Nel caso inverso, in cui il donatario non sia consapevole che il bene appartenga ad un altro soggetto, la donazione sarà nulla, ma non ai sensi dell art. 771 cc, bensì per difetto di causa. L evoluzione interpretativa ha condotto ad una estensione delle ipotesi di stipulazione dei contratti con oggetto beni e diritti futuri, che coinvolge, come visto anche tutto l universo delle liberalità, e quindi si estende a quelle indirette e a maggior ragione ai negozi a titolo gratuito. Sul punto si rileva che alcuni autori in dottrina sono favorevoli ad ammettere un contratto che preveda l acquiescenza ad una sentenza non ancora emanata, ma solo se afferente ai cd errores in iudicando, affidandosi così il contraente alla decisione del singolo giudice e alla sua interpretazione del diritto. Da quanto detto si può dedurre che l espansione dell autonomia negoziale dei privati ha favorito lo sviluppo di differenti modalità attraverso cui raggiungere gli scopi delle liberalità in via indiretta. A questa attività espansiva fa da contraltare la funzione della causa in concreto, cui è affidato il compito, in un ottica paternalistica, di garantire i soggetti che compiono atti economicamente rilevanti.

8 La rilevanza penale dell attività di equipe medica tra autoresponsabilità e affidamento La Corte di Cassazione con sentenza n.27314/17 torna sul tema della responsabilità penale nell attività di equipe medica, confermando e chiarendo i suoi precedenti orientamenti. In particolare, la Corte è stata interpellata al fine di valutare la sussistenza dei presupposti del reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p., in capo all imputato, il quale, cooperando con altri medici, aveva proceduto a compiere un intervento di colecistectomia per via laparoscopica, conclusosi con la morte del paziente, causata da una lesione dell aorta avvenuta durante l operazione, la quale, successivamente, non era stata ben suturata. La questione interessa, quindi, il fenomeno della cooperazione colposa nel reato, che nell ambito dell attività medica ha da sempre suscitato forti dubbi applicativi circa la definizione del perimetro di responsabilità di ciascun concorrente. Se da un lato, il Legislatore, ha ritenuto necessario prevedere l art. 113 c.p. per incriminare condotte che per la loro atipicità rimarrebbero impunite in mancanza della stessa, dall altro si è, infatti, sempre discusso con riguardo ai suoi aspetti applicativi.[1] L attività di equipe medica è per tale motivo da sempre al centro dell attenzione degli interpreti; dubbi ermeneutici sono, infatti, sorti relativamente ai criteri ed i presupposti necessari a far valere la responsabilità penale di una condotta colposa del medico compiuta in concomitanza spazio-temporale con altre condotte altrettanto colpose. Ciò perché in astratto, già dalla disciplina generale del concorso di persone nel reato ex artt. 110 c.p. e seguenti, si desume che ciascun reo risponde della propria condotta e di quella altrui quando agisce in gruppo; nello stesso tempo, però, vi sono indici normativi e giurisprudenziali volti a differenziare ed a graduare la responsabilità, tenendo conto dell effettivo apporto causale, sia materiale che psicologico, prestato da ciascun concorrente, nel rispetto del

9 principio di responsabilità personale ex art. 27 Cost.[2] In questo senso depongono anche gli artt.112 e 114c.p. che dispongono aumenti o diminuzioni di pena in base alla gravità delle condotte poste in essere, nonché l art. 116 c.p. così come interpretato dalla giurisprudenza, nel senso che l evento diverso, oltre che essere legato dal nesso di causalità con la condotta dei compartecipi, deve anche essere attribuito al reo almeno a titolo di colpa, in quanto prevedibile. Con riguardo alla cooperazione colposa ex art 113 c.p., però, in concreto risulta difficile stabilire l effettiva responsabilità penale di ciascun concorrente, muovendosi in un ambito in cui acquistano rilevanza le regole della prudenza e della diligenza;[3] infatti, a differenza dei reati dolosi, per i quali la volontà è manifestata in modo diretto verso la lesione di un determinato bene giuridico tutelato, per quelli colposi risulta ancora più complicato individuare e provare i presupposti oggettivi e soggettivi entro cui espletare l incriminazione penale, essendo necessario fare riferimento ad indici normativi più che fattuali. Ciò ancor di più quando su una condotta colposa illecita se ne innestano anche altre, legate alla prima da un rapporto di interdipendenza. La Cassazione allora nella sentenza in commento cerca di dettare in modo chiaro i criteri da seguire al fine di individuare i presupposti della responsabilità penale in caso di attività dell equipe medica. L ipotesi in esame risulta caratterizzata sotto l aspetto oggettivo, dal compimento di un unico reato attraverso più condotte colpose compiute da diversi agenti e sotto l aspetto soggettivo dalla consapevolezza di cooperare con altri nell attività posta in essere;[4] diversamente, infatti, sussisterebbe un concorso di più condotte colpose l una indipendente dall altra che, invece, attiene più all ambito giuridico delle concause ex art. 41 c.p. e, per ciò che concerne il profilo della colpevolezza, della prevedibilità ed attribuibilità personale dell evento.[5] Entro tali termini, allora, in continuità con gli orientamenti precedenti, la Corte evidenzia che ciascun medico dell equipe, al di là delle specifiche mansioni che è tenuto a svolgere, deve osservare obblighi di diligenza ulteriori, volti a vigilare anche sull operato degli altri medici.[6] In particolare ciascun agente ha il dovere di conoscere e valutare le condotte

10 precedenti e contestuali tenute da altri colleghi ed eventualmente rimediare ai loro errori, laddove avesse le conoscenze e le competenze per farlo. Nello stesso tempo accanto al cosiddetto principio di autoresponsabilità di ciascun medico rileva, però, il generale principio di affidamento sulla correttezza dell operato altrui con riguardo a quelle attività di specifica competenza individuale che sono compiute senza l ausilio dell equipe. L operazione può, quindi, svolgersi in diverse fasi; alcune sono caratterizzate dalla compartecipazione dei medici dell equipe, altre sono svolte singolarmente da ciascuno o alcuni di essi senza che gli altri vi partecipino. Solo nello svolgimento delle prime potrà, quindi, rilevare, accanto alla colpa propria dell operatore, la culpa in vigilando del medico che non esegue materialmente l intervento o, comunque, parte delle mansioni relative allo stesso. Oltre alla rilevanza dell imperizia da parte di chi opera, valutata anche nel rispetto delle direttive dettate dalla legge Gelli-Bianco, n.24/17 e del disposto dell art.590 sexies c.p. così come riformato, in tal caso si espande, infatti, la portata delle regole di prudenza e diligenza in capo a ciascun esercente la professione sanitaria, il quale dovrà farsi carico anche delle manchevolezze dell altro componente dell equipe.[7] Ed, infatti, proprio la suddetta riforma, superando le precedenti incertezze riguardanti la formulazione dell art. 3 del D.L. 158/12 (c.d. decreto Balduzzi), ha chiarito espressamente che le linee guida che il medico è tenuto ad osservare nell esecuzione dell intervento riguardano solo l imperizia; diversamente dal passato, quindi, la nuova norma distingue gli ambiti applicativi della colpa generica e di quella specifica. In questo senso la causa di non punibilità individuata dall art. 590 sexies c.p. che esclude la punibilità del medico quando ha rispettato le linee guida definite ai sensi di legge o, comunque, le pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso concreto, riguarderà la sola colpa per imperizia del medico che esegue l operazione, riemergendo per il resto l ambito applicativo di quella generica. Questa opererà, quindi, sia con riguardo all attività eseguita materialmente dal medico, sia, nei termini evidenziati, con riguardo alla condotta dell equipe che partecipa all intervento.

11 Nello stesso tempo, nel caso in cui sussistano linee guida da osservarsi nello svolgimento di attività assistenziali e non per forza solo materiali, si può sostenere l applicabilità della disciplina dell art. 590 sexies c.p. anche nei confronti dei componenti dell equipe medica che abbiano rispettato le stesse, sempre che siano adeguate al caso concreto. Sarà, quindi, necessario tenere ben distinti gli ambiti applicativi dell imperizia, della negligenza e dell imprudenza, al fine di individuare l esatto perimetro di applicabilità della causa di non punibilità ex art. 590 sexies c.p. ovvero l operatività delle regole cautelari attinenti la colpa generica sia in capo all esecutore materiale dell operazione che al resto dell equipe medica. Diversamente nel secondo caso, quando sono distinti nettamente i ruoli ed i compiti di ciascun elemento dell equipe, dell errore o dell omissione ne può rispondere solo il singolo operatore che abbia in quel momento la direzione dell intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica.[8] In tale circostanza, quindi, si riduce la portata della colpa generica, laddove non è configurabile l onere di controllare l operato altrui da parte di ciascun componete dell equipe. La Corte di Cassazione giunge, quindi, ad affermare che l imputato non ha commesso il fatto, in quanto le modalità di effettuazione della suturazione rientrano nel proprium dell operatore che vi aveva provveduto, non potendosi trasformare l onere di vigilanza in una sorta di obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione di spazi nelle sfere di competenza altrui. In conclusione, la Corte, con la pronuncia in esame, definisce la specifica controversia dettando, in continuità con i suoi orientamenti precedenti, le direttive per risolvere, in generale, la problematica della rilevanza della responsabilità penale nell attività di equipe medica, in un ottica di bilanciamento tra principio di autoresponsabilità e principio di affidamento nella correttezza dell altrui operato. [1]Con riferimento alla c.d. lottizzazione abusiva di carattere negoziale la Cass.

12 Sez. III 27aprile 2011, n ha affermato ad esempio che l acquirente risponde a titolo di cooperazione quando omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell acquisto (da coordinate ermeneutiche di diritto penale, Santise Zunica); in tema di infortuni sul lavoro v. Cass.n.46839/11; con riguardo, invece, alla violazione delle norme sulla circolazione stradale, per costante giurisprudenza cass. Sez IV 8 ottobre 1982, circa l obbligo del proprietario di affidare il veicolo adottando le dovute cautele. [2] Cfr. Cass., sez. II, 11 maggio 2010, n , v. in Guida dir., n.42, pag. 102 [3] Per la disamina della disciplina della cooperazione colposa ex art. 113 c.p. si rinvia alle coordinate ermeneutiche di diritto penale, anno 2017, Santise- Zunica. [4] V. Cass. Sez. III, 9 gennaio 2009n.15707,Abbaneo, in Cass. Pen. 2010,p. 626; sul punto v. in particolare Cass. Sez IV2 dicembre 2008n. 1786, Tomaccio, in CED Cass.rv , secondo cui non si richiede la consapevolezza del carattere colposo dell altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio. In particolare, in un caso di omicidio colposo di un arrestato, cagionato da agenti di polizia per l imprudente gestione delle procedure di immobilizzazione, la Corte ha precisato che la disciplina della cooperazione nel delitto colposo ha funzione estensiva dell incriminazione, coinvolgendo anche condotte meramente agevolatrici e di modestia significatività, le quali, per assumere rilevanza penale, devono necessariamente integrarsi con comportamenti in grado di integrare la tipica violazione della regola cautelare interessata (v. Cass., sez. IV, 7 novembre 2007,n. 5111, D ambrosio, in CED Cass, rv ) [5] In tal senso v. Cass., Sez. IV 4 ottobre 2012 n la distinzione tra la cooperazione colposa e il concorso di cause indipendenti si riflette anche sul piano del trattamento giuridico, in quanto, nella seconda ipotesi, non è concedibile la circostanza attenuante della minima importanza di cui all art. 114 c.p.(v. Cass. Sez. IV 4 ottobre 2012 n in CED Cass.rv ). Analogamente l effetto estensivo della querela riguarda solo la cooperazione colposa, essendo escluso per il concorso di condotte indipendenti (Cass.,sez IV, 23 dicembre 2009 n in CED Cass.,rv ) [6] V. Cass., sez. IV, 26 ottobre 2011, n , in CED Cass., rv

13 [7] Cass., sez IV, 21 maggio 2017, n [8] Cass., sez IV, 21 maggio 2017, n Idoneità del voto numerico per motivare le prove dell esame di abilitazione alla professione forense Il numero fa la motivazione : l Adunanza Plenaria conferma l idoneità del voto numerico per motivare le prove dell esame di abilitazione alla professione forense. 1. Premessa L Adunanza Plenaria con sentenza nr. 7 del 20 settembre 2017 ha inteso confermare l indirizzo ermeneutico di matrice giurisprudenziale della sufficienza della espressione numerica del voto con riguardo alle procedure concorsuali precedenti all entrata in vigore dell art 46 comma 5 della legge 247/2012 per le seguenti ragioni: 1. a) il Legislatore ha dettato la norma transitoria (art. 49 l. 247/2012) con l intento di procrastinare l entrata in vigore di tutti gli aspetti innovativi della riforma (e tra essi rientra certamente quello relativo alle modalità di espressione da parte della Commissione della valutazione degli elaborati scritti) proprio in quanto l 49 della legge non introduce in proposito alcuna distinzione, né espressa, né implicita 2. b) la disciplina previgente e quella attualmente in vigore contenuta nella l. n. 247 del 2012 non sono per larghi profili identiche, se non sovrapponibili come sostenuto dal Collegio remittente : invero

14 tale riduttiva considerazione non persuade, in quanto numerose sono le novità introdotte dalla l. n. 247 del 2012 (il numero di materie oggetto dell esame orale e la modalità della scelta delle medesime da parte dei candidati, la durata della prova scritta, il punteggio minimo necessario per ottenere l ammissione all esame orale, e l obbligo incombente sulle Commissioni di annotare le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti). Ne deriva che il rinvio dell art. 49 debba riguardare tutte le suddette disposizioni di natura innovativa, fra le quali rientra certamente quella di cui all art 46 comma quinto. L Alto Consesso di Giustizia amministrativa, quindi, con riferimento alla disciplina previgente alla l. n. 247 del 2012 ribadisce il tradizionale insegnamento secondo il quale i provvedimenti della commissione esaminatrice degli aspiranti avvocati, che rilevano l inidoneità delle prove scritte e non li ammettono all esame orale, vanno di per sé considerati adeguatamente motivati anche quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione. 2) L ordinanza di rimessione Il Consiglio di Giustizia Sicilia, con ordinanza n.206 del 2017, ha rimesso all Adunanza Plenaria la questione dell idoneità, in generale, del voto numerico a sintetizzare il giudizio tecnico discrezionale della commissione esaminatrice, e ciò anche alla luce della nuova disciplina dell ordinamento della professione forense. L art. 46 della l. 247/2017, infatti, prevede un innovazione di particolare rilievo in punto di motivazione del giudizio di inidoneità dell elaborato scritto, laddove dispone che la commissione esaminatrice debba annotare le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti.

15 L applicazione di tale disposizione è posticipata nel tempo dall art. 49 il quale prevede che per i primi cinque anni [1] dalla data di entrata in vigore della predetta legge l esame di abilitazione all esercizio della professione di avvocato si effettua, sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, secondo le norme previgenti. Il CGA, per salvare dalla scure del termine dilatorio di cui all art. 49 l.247/2012 la previsione che impone un onere di annotazione di osservazione a margine degli elaborati concorsuali, fa leva sulla sostanziale identità sussistente tra la novella legislativa e il Regio decreto 1578/1933 che continua a regolare le procedure concorsuali in tema di abilitazione forense fino allo scadere del termine di cui all art. 49 l. 247/2012 (anni 5), per cui non vi sarebbe motivo di prorogare l applicazione dell articolo 46 comma 5 concernente la motivazione. Il Consiglio di Stato, invece, intervenuto sul punto, ha escluso che la disposizione dei cui l art. 46 comma 5 possa applicarsi alle procedure in corso, stante l applicazione dell art. 49 l. 247/2012 [2]. In secondo luogo l ordinanza di remissione affronta il problema più generale dell idoneità del voto numerico ad esprimere la motivazione del provvedimento della commissione esaminatrice dando atto dell orientamento pretorio prevalente che fornisce risposta positiva sul punto ma interrogandosi, contestualmente sul se l economicità e l efficacia dell azione amministrativa, sottese all utilizzo del solo voto numerico, non includa anche l esigenza di assicurare attraverso un onere limitato che consista nell annotare una frase che spieghi e giustifichi il perché di un voto positivo o negativo una par condicio fra tutti gli aspiranti che partecipano all esame di abilitazione che è nazionale ma articolato su base territoriale, potendosi immaginare che singole sottocommissioni incaricate delle valutazione delle prove si determinino sul punto in modo differente. Per tale motivi il CGA rimette all Adunanza Plenaria i seguenti quesiti: 1) se l art. 49 della legge 247/2012 escluda l applicazione dell art. 46, comma 5, della stessa legge; 2) se il voto numerico sia capace di esprimere e sintetizzare il giudizio tecnico

16 discrezionale della commissione senza ulteriori oneri motivazionali. 3) La pronuncia dell Adunanza Plenaria L Adunanza Plenaria, con sentenza n. 7 del 2017, mostra di non condividere l impostazione del CGA Sicilia. In primo luogo il Supremo Consesso di Giustizia amministrativa opera un ricognizione dei principali arresti giurisprudenziali circa l idoneità del voto numerico ad esprimere la motivazione del provvedimento. La giurisprudenza amministrativa è sempre stata pressoché univoca nel ritenere adeguatamente motivati i provvedimenti delle commissioni esaminatrici che valutano negativamente l elaborato scritto quando essi si fondano su voti numerici, attribuiti in base a criteri predeterminati [3]. Il Consiglio di Stato, inoltre, nel ribadire il proprio orientamento in ordine alla sufficienza del punteggio numerico, ha altresì chiarito che se è vero che tale attività è regolata (unicamente ) dai criteri fissati dalla Commissione di cui all art. 22 r.d.l. 27 novembre 1933, n (norma speciale rispetto ai principi statuiti dall art. 12 d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487 recante regolamento sui pubblici concorsi), la pur necessaria correlazione tra il punteggio assegnato a ciascuna prova ed i predetti criteri è comunque garantita dalla graduazione ed omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l espressione della cifra del voto (tra le tante,cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2006, n. 5894). Gli arresti predetti sono corroborati anche dalle decisioni della Corte Costituzionale che in ben due occasioni ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell art. 22, comma 9, dell ordinamento forense nonché degli art. 17-bis, 22, 23 e 24, comma 1, delle relative norme integrative e di attuazione nella parte in cui non prevedono l obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle operazioni di valutazione delle prove scritte d esame per l abilitazione alla professione forense, sollevata in riferimento agli art. 24, commi 1 e 2, 111, commi 1 e 2, 113, comma 1, e 117, comma 1, Cost. (sentenza del 30 gennaio 2009 n. 20); in tale occasione il giudice delle leggi aveva osservato che tutte le norme costituzionali invocate

17 fanno esclusivo riferimento al piano processuale, mentre la denunciata illegittimità costituzionale della norma come interpretata secondo il diritto vivente, nonostante la Corte costituzionale abbia sinora escluso la tesi secondo cui l insussistenza di un obbligo di motivazione dei punteggi attribuiti in sede di correzione e della idoneità degli stessi punteggi numerici a rappresentare una valida motivazione del provvedimento di inidoneità costituisca un interpretazione obbligata e univoca concerne un momento del procedimento amministrativo che disciplina lo svolgimento degli esami per l abilitazione alla professione forense, riguardante cioè il profilo sostanziale dei requisiti di validità del provvedimento di esclusione del candidato, conclusivo di detto procedimento. Con una seconda decisione la sentenza 8 giugno 2011, n. 175 la Corte Costituzionale ha aggiunto importanti precisazioni laddove ha affermato che la graduazione del punteggio numerico, infatti, da un lato, consente alla commissione esaminatrice di esprimere, sia pure in modo sintetico, un giudizio complessivo dell elaborato; dall altro, risponde ad esigenze di buon andamento dell azione amministrativa, che rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti alle prove. Tale granitico arresto giurisprudenziale è stato messo in dubbio proprio successivamente alla entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012, n. 247 e in, particolare, alla luce della disposizione dell articolo 46 comma V primo alinea della citata legge che prevede che la commissione annota le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma de i voti espressi dai singoli componenti. Tale disposizione ha indotto il Consiglio di Giustizia amministrativa Sicilia a rimettere all Adunanza Plenaria i quesiti sopra descritti. L Adunanza Plenaria, entrando così nel vivo della questione posta al suo vaglio, contesta la tesi esposta dal Collegio remittente per cui la disciplina contenuta nel R.D 37 e1578/1933 e la nuova legge n sono sovrapponibili, atteso il

18 numero di novità introdotte da tale legge quali il numero di materie oggetto dell esame orale e la modalità della scelta delle medesime da parte dei candidati, la durata della prova scritta, il punteggio minimo necessario delle prove scritte e l obbligo di motivazione per la Commissione di annotare positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti. Ne deriva che l intenzione espressa dal legislatore, con il meccanismo dilatorio previsto dall art. 49, è quella di procrastinare l entrata in vigore di tali aspetti innovativi della riforma ivi compresa quello concernente il nuovo tipo di motivazione introdotto. A parere dell Adunanza Plenaria, ritenere che tale previsione non si applichi alla prescrizione contenuta dall art. 46 comma quinto, dovrebbe far ritenere che allo stesso modo non si applichi a tutti gli aspetti innovativi della riforma, pervenendosi ad un interpretativa abrogans dell art. 49 che non avrebbe, a questo punto, alcun significato utile; né può essere sostenuto, a giudizio dell Adunanza Plenaria, che l art. 49 non si applichi solo alla disposizione di cui al comma quinto dell art. 46, atteso il rinvio in toto che tale articolo fa alle norme previgenti, senza distinguere quali tra le norme della l.247/2012 debba subire il meccanismo dilatorio previsto. L Adunanza Plenaria, inoltre, precisa che l innovazione legislativa volta ad integrare la votazione numerica con l annotazione di osservazioni non sia tale da minare la legittimità della previgente disciplina che è stata avallata dalla quasi unanime giurisprudenza amministrativa. Da ultimo, evidenzia come già la Corte Costituzionale con sentenza n. 175/2011 ha chiarito che la disciplina dell abilitazione all esame d avvocato non rientra nell ambito del diritto comunitario sicché non troverebbe applicazione l art. 1 del Trattato di Lisbona che ha elevato l obbligo di motivazione a principio comunitario. 4) Riflessioni conclusive L Adunanza Plenaria, con la sentenza in commento, ha sostanzialmente

19 confermato l orientamento pressoché univoco della giurisprudenza, reputando il voto numerico idoneo a ritenere assolto l onere motivazionale in capo alla commissione esaminatrice. Ciò è vero, a parere della Plenaria, nonostante l introduzione da parte della legge 247/2012 di un nuovo modello di motivazione, mostrando così di non aver dato alla novella legislativa il peso che con tutta probabilità quest ultima merita. E invero, la previsione di cui all art. 46 comma quinto non è di poco conto perché apre il varco ad un modulo composito di motivazione dato dalla somma tra voto numerico e osservazioni annotate al margine dell elaborato. Tali osservazioni non sono altro che l ulteriore esplicitazione di quello che il voto numerico si propone di sintetizzare, atteso che è proprio la norma a specificare che esse costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti Tali osservazioni, per altro, a norma dell art 46 comma quinto sembrano essere un vero proprio onere previsto a pena di nullità atteso che la norma dispone che la Commissione annota le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato. Ne deriva che il solo voto numerico non è più sufficiente a sintetizzare il giudizio tecnico discrezionale della Commissione esaminatrice. L Adunanza Plenaria sul punto evidenzia che tale innovazione legislativa non è in grado di minare la legittimità del solo voto numerico così come previsto dalla normativa previgente, attualmente ancora in vigore. La novella legislativa non può, però, passare inosservata e non esime dal ritenere che il legislatore, invece, abbia espresso un vero e proprio giudizio di inidoneità del voto numerico al punto da introdurre un meccanismo correttivo volto ad integrare tale forma di motivazione. Di questo giudizio di inidoneità unitamente alla valutazione di un sistema in cui la motivazione è principio generale cardine dell attività amministrativa, bisogna tener conto. Ne deriva che anche se l art. 49 ha differito l applicazione del nuovo modello di motivazione va comunque evidenziato come ciò non escluda una diversa interpretazione del complessivo quadro normativo previgente. Se si considera anche il d.lgs 166/06 in tema di abilitazione notarile prevede all art. 11 comma cinque che il giudizio di non idoneità sia «sinteticamente

20 motivato con formulazioni standard, predisposte dalla commissione quando definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati», si può ritenere che si sia in presenza di un sistema dove il voto numerico non assolve realmente al dovere motivazionale. Quest ultimo, invece, viene sacrificato sull altare dell esigenze di economicità e buon andamento dell azione amministrativa che si palesano come particolarmente pregnanti in procedure come quella dell esame di abilitazione forense che vede coinvolto un numero elevatissimo di candidati da esaminare. Ma tali esigenze, con tutta probabilità, e come si evince dall intento legis, devono essere meglio contemperate con quelle dell onere motivazionale sancito dall art. 3 l.241/1990. Si ritiene, quindi, che i principi sottesi alla novella legislativa dovrebbero orientare ad una diversa ermeneutica del sistema che potrebbe essere interpretato già da ora nel senso che il voto numerico necessiti di un ulteriore sforzo motivazionale da parte della Commissione esaminatrice in modo da consentire di individuare con maggiore chiarezza l iter logico- giuridico seguito all atto della correzione. [1] Articolo così modificato dal d.l. n. 192 del 2014, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2015, n. 11 (in G.U. 28/02/2015, n. 49), ha disposto (con l art. 2-ter, comma 1) la modifica dell art /12/2016 e poi dal d.l n. 244 del 2016, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2017, n. 19 (in S.O. n. 14, relativo alla G.U. 28/02/2017, n. 49), ha disposto (con l art. 10, comma 2-quater) la modifica dell art. 49, comma 1. [2] Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 settembre 2016, n [3] Cons. Stato sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2557: anche dopo l entrata in vigore dell art. 3 l. n. 241 del 1990, i provvedimenti della commissione esaminatrice che valutano negativamente le prove scritte vanno considerati di per sé adeguatamente motivati quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione

21 In tema di mediazione atipica Nota a Cass. civ., Sez. Un., 2 agosto 2017, n Premessa. 2.Il caso concreto sottoposto all attenzione della Corte. 3.Il contrasto in ordine alla disciplina applicabile. 4.La decisione delle Sezioni Unite. 5.Considerazioni conclusive. Le Sezioni Unite, a distanza di otto anni[1], tornano ad approfondire il tema della mediazione cd. atipica, chiarendo taluni profili in precedenza non trattati, al fine di verificare fino a che punto la fuoriuscita dal tipo previsto e regolato nel codice civile incida sulla disciplina applicabile, in particolare analizzando se vi siano i presupposti per la estensione dei precetti normativi della L. n. 39 del La Corte, nella pronuncia in esame, si sofferma, altresì, sulle confluenze intercorrenti con altre figure, in particolare con l attività del procacciatore d affari e con il contratto di agenzia, tracciandone i rispettivi confini. 2. Il caso concreto sottoposto all attenzione della Corte. La quaestio iuris all esame della Corte origina dalla domanda proposta in giudizio da parte del titolare di uno studio tecnico industriale cui una società si era rivolta al fine di reperire sul mercato l acquirente di taluni macchinari, al fine di ottenere la provvigione spettante per aver posto in contatto le parti del contratto, pur non essendo tale soggetto iscritto all albo dei mediatori professionali. Si trattava, dunque, di un caso di mediazione cd. atipica, dove l intermediario operava in base a un rapporto di mandato con una delle parti. Il Tribunale di Verona accoglieva la domanda attorea, ritenendo inapplicabile la disciplina prevista in materia di mediazione tipica, la quale prevede la non

22 debenza della provvigione nei confronti di colui che si pone quale mediatore ma che non sia iscritto al ruolo degli agenti di affari in mediazione (cfr. art. 6, L. 39 del 1989, secondo cui hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli ). Il Giudice di secondo grado, di diverso avviso, in accoglimento dell appello, riteneva applicabile la suddetta normativa e necessaria la iscrizione all albo dei mediatori professionali al fine di far sorgere il diritto alla provvigione. A seguito della proposizione del ricorso per Cassazione, la Seconda Sezione, rilevato un contrasto all interno delle sezioni semplici, sollecitava l intervento delle Sezioni Unite, chiamate dunque a pronunciarsi sulla applicabilità delle norme in tema di mediazione allorquando l intermediario sia legato da un rapporto di mandato con il cliente, e dunque in assenza di terzietà con i soggetti intermediati. 3. Il contrasto in ordine alla disciplina applicabile. La Suprema Corte, rilevata la sussistenza di due distinti orientamenti circa la possibilità di applicare alla fattispecie della mediazione atipica le norme che escludono il diritto alla provvigione (qualora il soggetto che pone in contatto le parti non sia iscritto all elenco di cui all art. 2 L. 39/1989), passa in rassegna i due opposti indirizzi. Secondo una prima ricostruzione, più risalente nel tempo, la disciplina di cui alla L. 39 del 1989 e, in tempi più recenti, quella ricavabile dal decreto legislativo n 59 del 2010 (c.d. decreto Bersani bis) non può essere applicata alla mediazione atipica, per la ontologica differenza tra le due figure, rinvenuta nella posizione di terzietà che assume il mediatore c.d. tipico, a differenza del rapporto che collega il procacciatore al cliente o preponente (Cass. Civ., n /2006). La ratio riposta alla base di tale ricostruzione è quella di preservare la stretta interpretazione del dettato normativo al non dichiarato fine di non lasciar sguarnito da compenso l attività che pur sempre è stata svolta. Il più recente approdo interpretativo afferma, al contrario, la applicabilità estensiva della sanzione della perdita al diritto alla provvigione in conseguenza della mancata iscrizione all elenco di cui all art. 2, L. n. 39/1989, ritenendo che,

23 ferma restando tale diversità, sarebbe pur sempre identificabile un nucleo comune alle due figure, rappresentato dalla interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto per la conclusione di un affare, tale da consentire tale estensione (Cass. Civ., n /2011). Per tale orientamento, è opportuno attrarre nell orbita della mediazione atipica anche figure ad essa eccentriche, per combattere la piaga dell abusivismo. La Suprema Corte, ai fini di un esatto inquadramento della questione, si sofferma dapprima sull esame della disciplina legislativa. In primo luogo, va ricordato che il codice civile definisce mediatore come colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcune di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza (art c.c.). La sua attività si caratterizza per il fatto di essere imparziale rispetto alle parti messe in contatto e il diritto alla provvigione sorge solo quando la conclusione dell affare è il risultato del suo intervento (art c.c.). La legge n. 39 del 1989, all art. 2, prescrive che presso ciascuna Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura è istituito un ruolo degli agenti di affari in mediazione, nel quale devono iscriversi coloro che svolgono o intendono svolgere l attività di mediazione, anche se esercitata in modo discontinuo o occasionale. All art. 6 viene statuito che hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli. La Corte premette che a seguito dell entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010, art. 73 è stato soppresso il ruolo di cui all articolo 2 della legge 3 febbraio 1989, n. 39, prescrivendo che l attività sia soggetta a dichiarazione di inizio di attività, da presentare alla Camera di commercio territorialmente competente e con conseguente iscrizione dei mediatori nel registro delle imprese, se l attività è svolta in forma di impresa, oppure diversamente nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA). Orbene, a parere della giurisprudenza prevalente, l entrata in vigore della nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 59/2010 (attuativa della direttiva UE/123/2006), non ha inciso sulla normativa che preclude la corresponsione del corrispettivo per il mediatore non iscritto al ruolo in quanto, pur sopprimendo il ruolo dei

24 mediatori, non ha abrogato la L. n. 39/1989, prescrivendo solo che l attività, soggetta a dichiarazione di inizio di attività, vada presentata alla Camera di commercio competente che provvede alla iscrizione nei registri rispettivi. Ne consegue che, ancora oggi, hanno diritto alla provvigione del mediatore solamente coloro che risultano iscritti nel registro delle imprese o nel REA. In prosieguo, la Corte traccia la coordinate di riferimento per distinguere il mediatore da altre figure, tutte accumunate dalla attività di interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto per la conclusione di un affare. In primo luogo, la figura del mediatore c.d. ordinario (art c.c.) va tenuta distinta dal procacciatore di affari per l imparzialità e per il rapporto di collaborazione che, assente nella mediazione, caratterizza la posizione del procacciatore di affari, il quale, anche senza carattere di stabilità, agisce nell esclusivo interesse del preponente, solitamente imprenditore, raccogliendo proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmettendogliele (Cass. civ. n /2010). Ove, invece, il procacciatore d affari operi stabilmente con un determinato preponente, la disciplina del rapporto risulta assimilabile piuttosto al rapporto di agenzia, le cui regole divengono applicabili in via analogica, con conseguente inapplicabilità della L. n. 39/1989. L aspetto innovativo della ricostruzione della Suprema Corte nella sentenza di agosto 2017 risiede nella assimilazione della figura del procacciatore d affari con il mediatore atipico. La Corte difatti, afferma che è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate condizioni. Orbene, proprio perché il procacciatore di affari agisce in base ad incarico di una parte, può ritenersi che la sua attività debba essere attratta nell ambito della mediazione atipica.

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