Un'alleanza europea per la famiglia: l'associazionismo protagonista

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1 Un'alleanza europea per la famiglia: l'associazionismo protagonista Luigino Bruni Università di Milano-Bicocca e Istituto Universitario Sophia (Loppiano) 1. L evoluzione della famiglia nella società contemporanea Uno dei nuovi fatti di questo inizio di millennio è una nuova nostalgia dello stato sociale. Diversamente dagli anni novanta quando si parlava della fine del welfare state, c è oggi nella società una nuova e forte nostalgia dello stato sociale (anche l attuale dibattito sul reddito di cittadinanza ne è un segno). Per quale ragione? Un movimento profondo delle società attuali, forse quello più radicale, è l estensione veloce e generale dell area di azione del mercato. I mercati si sostituiscono sempre più alla famiglia e alla comunità civile nell offerta dei sistemi di welfare. Quanto, in tema di cura e di assistenza, nelle società tradizionale svolgevano la famiglia e le relazioni comunitarie (con un forte sbilanciamento sul lato delle donne, e anche per questo quel sistema di cura non poteva e doveva reggere), oggi è sempre più offerto dal mercato, che sempre più trasforma i rapporti di cura in contratti. I Paesi europei del Novecento hanno dato vita all alleanza nota come stato sociale, dove la cura, l assistenza, l educazione e i servizi alla persona sono state ripartiti tra famiglia e stato. Qualche decennio fa, anche per una particolare temperie ideologica pro-mercato, si pensò che questo modello europeo, diverso da quello americano (ma anche da quello giapponese), fosse ormai entrato nell età del 1

2 tramonto, anche, e soprattutto, per una insostenibilità sul lato dei costi, e anche su quello della sussidiarietà, e che bisognasse dunque cambiare, e presto. L ipotesi ideologica forte, che sottostava a tale cambiamento, era la fiducia che i mercati avrebbero potuto ben sostituire sia lo stato sociale, sia la famiglia-comunità. Oggi ci stiamo accorgendo che il mercato è una splendida invenzione, che però funziona bene per cose tutto sommato semplici; ma appena ci inoltriamo nella relazioni umane più complesse, il mercato da solo non è un sostituito né della comunità, né del vecchio stato sociale. Perché neanche dello stato sociale? Sono convinto che un sistema di stato sociale funziona se, e fino a quando, un Paese non è solo un insieme di individui tenuti assieme dalla forza dei soli interessi. Lo stato sociale ha bisogno di un popolo, di una comunità. Il sistema pensionistico, ad esempio, non potrà mai funzionare sulla base della sola logica del contratto, perché la sua natura è più vicina ad uno scambio solidale di doni tra generazioni che ad un nudo contratto, poiché questo contratto opera in un arco temporale troppo lungo ed incerto per essere completo ed efficace. Senza parlare della tutela dell ambiente o dei territori, che non funziona sulla logica del contratto ( Perché dovrei fare qualcosa per le future generazioni: che cosa hanno fatto loro per me?, in tanti risponderebbero, sulla base della logica del puro scambio di mercato). Quindi lo stato sociale incorpora ed esprime un legame di appartenenza, un sentirsi parte di un destino comune, che ti porta a vedere la maestra come un alleata nel difficile compito di educare le nuove generazioni (e non solo come una partner in un contratto tra soggetti mutuamente indifferenti). Il vecchio stato sociale, quindi, rispondeva a quel bisogno di sicurezza, un bisogno davvero radicale, che oggi sentono un assenza di comunità, un bisogno a cui il contratto non risponde bene: perché? perché siamo consapevoli che vivremo dei momenti della vita (vecchiaia, malattia), dove non saremo in grado di contrattare, non saremo più portatori di interessi (stakeholders) ma solo portatori di ferite e problemi (problemholders), e potremmo restar fuori dal gioco degli interessi reciproci su cui si basa la cultura del contratto. Certo un sistema assicurativo più 2

3 attento alle dimensioni della cura potrebbe, almeno, in parte supplire, ma occorrono contratti che incorporino qualche elemento sociale che non sia solo mutuo vantaggio e mutua indifferenza. Ed ecco, allora, la nostalgia e il nuovo bisogno di welfare, che oggi non può più essere solo famiglia, comunità o solo stato (come nel modello europeo precedente), ma neanche solo mercato e contratti. Come sa bene chi ha dovuto cercare una badante (non potremmo cercare una parola più rispettosa?) a cui affidare la propria madre malata di Alzheimer, con quel contratto di lavoro si vorrebbe comprare un di più che nessun contratto può assicurare; si vorrebbe che quegli atti svolti nei confronti della persona assistita siano non solo formalmente corretti, ma avessero anche quel qualcosa di veramente umano che nessuna clausola del contratto di lavoro può imporre. Ma questo di più è sempre esperienza di gratuità (solo la gratuità rende l umano capace di trascendersi), e per la gratuità non c è mercato. La vera sfida del nuovo welfare sarà quella di riuscire ad inventare dei nuovi patti e nuovi contratti, dove quel di più, non contrattabile, ci sia o ci possa almeno essere, senza che sia scacciato via dalla mutua diffidenza che spesso si nasconde dietro contratti molto dettagliati. Perché nei rapporti umani al di qua del di più non c è semplicemente il di meno, ma c è il vuoto e l infelicità che rendono la vita alla lunga insostenibile. 2. Alleanza o contratto? Il nuovo stato sociale, o il nuovo welfare society o welfare community ha dunque bisogno di una nuova alleanza, come il convegno di oggi dice. Ma che cos è un alleanza? Per rispondere a questa domanda, parto da un episodio di vita quotidiana. Un collega qualche tempo fa mi raccontava un episodio di ordinaria inciviltà, che mi ha colpito. Mentre rimproverava uno studente che stava fumando nel corridoio dell università proprio accanto al cartello divieto di fumare, questi candidamente 3

4 gli ha risposto: se mi fanno la multa, la pago. Questa risposta è importante perché, nella sua logica, è analoga all atteggiamento civile di chi, dotato di un bel conto in banca, entra in città nei giorni di blocco del traffico, pronto a pagare la multa. Questi fatti ma potremmo aggiungerne mille altri, dalla vita familiare alla politica vanno tutti nella stessa direzione: ci dicono che la vita in comune è sempre più regolata dalla logica del contratto e sempre meno da quella del patto o dell alleanza. Il patto sociale, che ci lega gli uni altri, si sta riducendo a contratto sociale, dove ciò che tiene assieme la gente è l incontro di interessi. Ciò che tiene assieme una famiglia, un associazione, un movimento, una comunità, e nella mia visione persino un impresa, non è un contratto, ma un patto, cioè un alleanza, fatta di molti legami, di cui solo una minima parte (seppur importante) è riconducibile a contratti, cioè a prestazioni vincolanti reciproche, di valore equivalente, normalmente esprimibili in moneta. La riduzione di tutti i patti a contratti è una tendenza radicale della nostra epoca, ma anche una deriva che può essere, e spesso lo è, ricca di insidie. Chi, ad esempio, infrange la legge dicendo di pagare se viene scoperto, tratta la multa come un prezzo di una merce in un contratto: pago e quindi compro (qui la merce è la libertà dai vincoli sociali ), e mi sento la coscienza a posto. Ma in una buona società, la multa non è un prezzo, poiché la sanzione associata ad una trasgressione non indica il valore (monetario) di quel comportamento trasgressivo; la somma di denaro richiesta è solo un imperfetto misuratore di un valore etico e sociale, che non ha un equivalente in denaro. L alleanza è dunque un patto eticamente, relazionalmente e civilmente più ricco e complesso di un puro contratto. Una società che riduce i contatti umani non contrattuali elimina certamente alcuni costi e dolori associati ai rapporti umani faccia a faccia; ma se supera un punto critico e arriva a mediare con contratti tutti i rapporti sociali, forse oltre quel punto si esce dal territorio dell umano. Senza contratti la vita in comune non è mai vita civile; con soli contratti lo è ancor meno, perché esistono dimensioni dell umano che non possono e non debbono essere ridotti a contratti, perché hanno un alto valore ma non hanno un prezzo. 4

5 Si passa da una economia di mercato ad una società di mercato quando tutti i patti sociali e le alleanze si trasformano in contratti. L economia di mercato è buona, la società di mercato è affascinante nel breve periodo (perché sembra ridurre i conflitti e le sofferenze relazionali), ma alla lunga non è umanamente sostenibile, perché gli esseri umani non riescono a vivere bene senza gratuità, la quale non è la nota tipica del contratto, mentre è presente e alimenta i patti sociali. E veniamo alla alleanza per la famiglia in Europa. L alleanza per la famiglia in Europa è anche un alleanza della famiglia con altri soggetti della società civile di oggi: certamente la comunità politica e lo stato sociale (che non è solo Stato ma anche gli altri corpi politici intermedi), la società civile e le sue mille espressioni, ma anche il mercato, un ambito della vita in comune che avanza sempre più occupando nuove aree. Nei confronti del mercato ci si può difendere (come tanti amanti della comunità fanno), o lo si può contaminare con altri principi, dall amicizia alla gratuità. Sono convinto che la grande sfida oggi è concepire, leggere e poi porre in essere contratti di mercato (nella cura, nell educazione, ecc.) visti come potenziali alleati della famiglia (della società civile e dello Stato) per il bene comune. Quindi parallelamente ad una alleanza per la famiglia in Europa, è altresì indispensabile un alleanza della famiglia anche con il mercato (insieme allo stato sociale e alla società civile organizzata o il cosiddetto privato-sociale), per una vita in comune che sia sostenibile e luogo di vita buona e di felicità. Il mercato è fatto umano, è quindi cultura: anche nell età della globalizzazione e dei poteri forti della finanza, le donne e gli uomini posso riempire di senso le loro relazioni, anche quelle economiche: la persona è eccedente, è più grande di qualsiasi istituzione e struttura, mercato compreso. Dobbiamo però non avere paura di contaminarci con esso, e, in linea con la grande tradizione cristiana e occidentale, rivendicare un mercato civile, regolato dalle istituzioni. La globalizzazione pone 5

6 molti nuovi problemi, ma apre anche delle nuove possibilità, come orientare dal basso le scelte delle imprese, diventando sempre più cittadini responsabili e consumatori attivi eticamente. Veniamo così ad una prima conclusione interlocutoria. L alleanza per e della famiglia in Europa deve anche essere alleanza con il mercato. Occorre, oggi, poter considerare i contratti con la baby sitter, con l asilo nido (troppi pochi ancora!), sia esso di mercato, pubblico o della società civile, con la badante, come momenti di una stessa alleanza dove siamo tutti impegnati nella difficile e dolorosa impresa di crescere un bambino, un impresa che richiede l intero villaggio. Nel villaggio c è anche il mercato, che va sempre coinvolto in questa alleanza, e non considerato un nemico. Si serve così la famiglia, ma si serve anche il mercato (ma quale mercato?), rendendolo più a misura di persona. L umanesimo europeo, che è anche umanesimo cristiano, ci ricorda con la sua ricca storia che non c è un opposizione naturale tra contratto e dono: durante il Medioevo furono il monachesimo e il francescanesimo i luoghi dove nacque la nuova economia cittadina, i primi mercati, le prime banche (Bruni e Smerilli, 2008). Fu l agape la molla che fece nascere anche le banche. L Europa ha conosciuto e ha inventato un mercato civile, che si allea con la comunità e con la fraternità. La nuova alleanza per e della famiglia deve ricollegarsi a questa grande tradizione, e far del mercato, dei contratti, degli alleati, dei compagni di viaggio. 3. La famiglia come soggetto economico globale Un operazione culturale preliminare nella nuova alleanza per la famiglia (e della famiglia con gli altri soggetti) è rivendicare per la famiglia il ruolo di soggetto economico globale: non solo agenzia di consumo, risparmio e ridistribuzione del reddito. 6

7 La visione del ruolo economico della famiglia è obsoleta, e con essa anche il sistema fiscale e retributivo. Una tale visione è quella nata nella società cosiddetta fordista, quando il confine privato e pubblico era ben stagliato: la famiglia, sfera privata, offriva lavoro alle imprese (sfera pubblica), la quale forniva reddito alle famiglie con cui consumavano e risparmiavano. La famiglia, quindi, non produceva nulla di reputato rilevante in quanto istituzione famigliare, ma consumava, offriva lavoratori (essenzialmente maschi), e risparmiava (favorendo, così, anche gli investimenti delle imprese). La sfera interna della famiglia, tutto ciò che accadeva all interno delle mura domestiche, non era di rilevanza economica (né politica). L interesse economico per la famiglia si arrestava sull uscio della porta di casa. Da qui anche tutto il sistema fiscale: si tassava il consumo (Iva), il reddito o il patrimonio individuale, poiché la famiglia come comunità non era di rilevanza economica. Da qualche decennio, in realtà, questa visione basata su questa separazione tradizionale del lavoro e di sfere, è entrata in crisi mortale, ma la cultura istituzionale e fiscale (soprattutto in Italia) è sostanzialmente rimasta quella del primo dopoguerra. Si continua, infatti, a vedere la famiglia come agenzia di consumo, risparmio e redistribuzione, come fornitrice di lavoro (ancora troppo maschile ). Non si vede invece la famiglia anche come produttrice. In che senso? Nella società tradizionale, e nella sua economia, i fattori di produzione erano lavoro e capitale, in particolare capitale fisico, tecnologia e finanziario. In una tale visione tradizionale della società, ciò che contribuisce alla produzione (gli inputs) sono capitale umano, fisico e finanziario. Ecco perché la famiglia entra solo come offerta di lavoro, e tutto il suo contributo si misura con il salario che questi individui lavoratori ricevono (e su questa ipotesi è fissata anche la tassazione). Da almeno trent anni sono emersi delle novità, in particolare un nuovo modo di vedere le cose che riconosce sempre di più la natura di beni a cose immateriali. Esso è stimolato dal fatto nuovo che queste cose immateriali (come la gratuità) sono sempre più scarse, in termini relativi e forse anche assoluti: 7

8 - Sul lato del consumo: ci siamo accorti che affinché i beni acquistati sul mercato diventino benessere, possano cioè essere effettivamente fruiti dalle persone concrete, c è bisogno di un ulteriore passaggio che avviene all interno della famiglia. E quanto messo in luce soprattutto dal Nobel per l economia Gary Becker, che negli anni settanta parlava di famiglia come produttrice. Far diventare pasta e verdura un pranzo consumabile, dei capi di abbigliamento vestiti, di quattro mura e mobili una casa abitabile, richiede lavoro di trasformazione che non è solo consumo. Da qui un nuovo riconoscimento di questo tipo di lavoro (prevalentemente femminile), un lavoro che non viene remunerato dal mercato del lavoro (ancora pensato in modo tradizionale): questo lavoro di trasformazione crea valore aggiunto non meno rilevante del processo di trasporto di un bene dal produttore al supermercato. - La felicità: esistono ormai diversi studi (Bruni e Stanca 2007) che mostrano una forte, sistematica e significativa correlazione tra vivere rapporti famigliari stabili e felicità soggettiva (vita buona). Al tempo stesso, esistono studi che mostrano come persone relativamente più felici rispettano di più le istituzioni e le leggi (Frey et al 2007), partecipano di più alla vita civile e al volontariato, e hanno anche migliori performance economiche. - Sul lato della produzione: infine, da diversi decenni sappiamo che l economia cresce non solo quando ha capitali umani, finanziari e fisici, ma anche quando possiede capitale sociale e beni relazionali. Un paese che non ha fiducia diffusa, rispetto delle regole, cultura civica, non cresce economicamente. Ma chi offre questo tipo di capitale intangibile ma preziosissimo anche per lo sviluppo economico? Non solo, ma prevalentemente la famiglia, dove le persone sono educate alla cooperazione, alla fiducia, al senso civico. Quando in una famiglia si 8

9 formano persone che hanno queste capacità (e ciò richiede famiglie con certe caratteristiche di stabilità e di relazioni), questa famiglia sta contribuendo all economia offrendo una forma di capitale non meno preziosa di tecnologia e credito. Solo riconoscendo questa natura economica globale della famiglia è possibile, nella nuova alleanza, passare da un sistema concessorio, basato sulla richiesta allo Stato da parte della famiglia di interventi di aiuto e di assistenza, ad un alleanza dove alla famiglia si riconosce il ruolo che già di fatto svolge nella nuova economia: riconoscere, cioè, il valore che queste forme di capitale hanno già per l economia. Esistono ormai molti studi scientifici che mostrano una forte correlazione tra rapporti famigliari stabili e profondi e il capitale sociale e relazionale, e quindi con la crescita economica. La famiglia non deve chiedere favori allo stato, ma solo il riconoscimento, civile ma anche economico, di quanto già fa senza riconoscimento. E una questione di giustizia, non di concessioni generose. La famiglia non è solo un bene meritorio (bene privato a rilevanza pubblica), è anche un bene che produce forme di capitale ad alta produttività e redditività in termini di Pil. La quota del Pil destinata alla famiglie (troppo bassa!) non è dunque un regalo, ma è questione di equità. Nel ruolo economico della famiglia vanno poi considerati anche i nonni. Un recente studio svolto dal mio dipartimento (Milano-Bicocca) sui dati della Banca d Italia, ha rilevato a questo proposito un dato interessante. I nonni, come è noto, esprimono al tempo stesso una domanda di cura e un offerta: sono assistiti dai figli/e, ma assistono i nipoti (e tutta la famiglia). Questo studio mostra che le donne che si trovano in questa situazione definita sandwich (tra figli e genitori) ricevono più benefici che costi: gli anziani donano più di quanto chiedono, in termini di assistenza, e fanno sì che queste donne sono avvantaggiate nel mercato del lavoro rispetto a chi ha solo figli (e non anziani). Questo per dire che anche qui occorrono 9

10 occhi nuovi: saper vedere la famiglia, e tutte le sue componenti, sempre come una rete di reciprocità, dove tutti danno e tutti ricevano, dai bambini agli anziani. Per tutte queste ragioni, credo che qualsiasi discorso sulla sussidiarietà economica, sul regime fiscale della famiglia, debba partire da una nuova teoria della famiglia come soggetto economico post-consumo/risparmio. Se infatti alla famiglia viene riconosciuto lo status di istituzione economica, allora diventa fondato e naturale riconoscere che le tasse vadano pagate non sul reddito lordo (ricavi), ma sul reddito al netto dei costi per produrre beni relazionali, capitale sociale, trasformazione dei beni, ecc. Questi beni vanno in parte a vantaggio della stessa famiglia (mutuo supporto, vita buona, felicità ), ma in parte anche a beneficio di una cerchia sociale molto più ampia. Oltre al valore civile e morale di crescere la prole (valore infinito), esiste anche un più diretto valore economico che richiede di essere più riconosciuto perché questa nuova alleanza parta su un piano di eguaglianza tra i partners coinvolti, come ogni alleanza (che non sia sudditanza) esige. Forse può essere utile dire qualcosa in più su questo punto. In una società complessa come la nostra dobbiamo inventare strumenti nuovi per portare avanti alleanze che durino nel tempo e siano sostenibili da tutti i punti di vista. Prendiamo il grande tema della conciliazione lavoro-famiglia. La conciliazione non può essere giocata solo sull asse economico ( chi paga e per quanto tempo?). Quando una donna lascia il lavoro per una maternità, non ha solo il problema di mantenere il posto di lavoro, o di riuscire ad avere congedi più lunghi salvando una quota dignitosa di stipendio; ha anche il problema (sempre più urgente) di reinserirsi nel suo posto di lavoro salvando gli investimenti relazionali e professionali fatti in passato, e non ritrovarsi a svolgere mansioni più basse e/o frammentate, che producono frustrazione e portano spesso all abbandono del lavoro. Occorre poi riconoscere la natura reciproca del problema. Da una parte la persona che chiede un congedo parentale può subire, e di fatto subisce se le maternità 10

11 sono più di una e ravvicinate nel tempo, un deterioramento del suo capitale umano. Questo è un primo problema, che può essere almeno ridotto se lo Stato (e non l impresa) offre la possibilità di aggiornamenti nel periodo di congedo. Al tempo stesso, dobbiamo prendere atto che esiste un problema oggettivo nel rapporto famiglia-impresa. I benefici che la famiglia produce (educare la prole, beni relazionali, capitale sociale ) si distribuiscono sull intera collettività e tra generazioni; i costi però di questa produzione di beni pubblici ricadono soprattutto sull impresa (soprattutto quando medio-piccola) che si trova a fronteggiare diversi problemi se vuole sostenere la famiglia nel suo ruolo: quando una persona lascia il lavoro per congedi parentali, soprattutto in lavori complessi e di alto profilo, è l intera equipe di lavoro che ne risente, non solo la singola persona. Certo quella famiglia sta contribuendo a creare futuri buoni lavoratori, ma questi lavoratori beneficeranno in futuro altre imprese, non quella che oggi sostiene i costi. L impresa deve però riconoscere che se da una parte una donna che ha avuto diverse maternità perde alcuni aspetti della sua professionalità, dall altra ne acquista altri (come la capacità di gestire organizzazioni complesse), che vanno riconosciute anche sul piano economico. Tutto ciò per dire che il problema della conciliazione non è una questione di convertire la imprese cattive o irresponsabili ; anche le imprese buone da solo non possono farcela a sostenere adeguatamente la famiglia. Ecco una ragione in più per l alleanza: solo un alleanza tra famiglie, delle famiglie associate tra di loro e altri soggetti (imprese, Stato, società civile ) può far sì che possa crescere bene un bambino nel villaggio globale. Conclusione: custodire l'albero della gratuità 11

12 Concludo con una sfida, che potrebbe essere formulata come segue: La famiglia serve davvero la famiglia quando è più grande della famiglia. Oggi chi ama e apprezza la famiglia, in primis l associazionismo familiare, deve senz'altro difendere e promuovere direttamente la famiglia, ma soprattutto deve difendere e promuovere la gratuità nella società (vedi il bell'esempio del servizio civile obbligatorio oggi in Francia): solo una società che apprezza la gratuità capisce il valore della famiglia. Un associazionismo familiare deve impegnarsi a sostegno dell economia sociale e civile, del commercio equo e solidale, della finanza etica, della lotta all indigenza (sapendo che la prima forma di lotta all indigenza è uno stile di vita sobrio, poiché in una congiuntura economico-sociale-ambientale difficile come è quella che stiamo vivendo in Occidente, se non puntiamo su stili di viti sobri, ci sentiremo soggettivamente sempre più poveri, poiché i bisogni indotti crescono sempre più velocemente dei nostri redditi e al tempo stesso impoveriremo i veri poveri). Oggi l associazionismo familiare deve impedire che si abbatta l'ultimo albero della gratuità, diversamente da come fecero gli abitanti dell'isola di Pasqua. Chi abbatté quell'ultimo albero (o gli ultimi alberi) lo fece pensando che quella loro evoluta civiltà avrebbe trovato altri strumenti tecnologici per produrre cibo e ricchezza. Invece si sbagliava, e l'abbattimento di quell'ultimo albero produsse l'estinzione di quella civiltà. Quando gli alberi furono tutti abbattuti, la storia ci dice che subito dopo i vari clan dell'isola iniziarono a distruggere l'uno i dei di pietra dell'altro, fin quando, come era accaduto all'ultimo albero, anche l'ultimo dio di pietra dell'isola fu abbattuto. Questa triste storia (troppo simile alla storia che stiamo costruendo oggi: Diamond 2007) ci può dire che quando una civiltà sradica dalla propria terra l albero gratuità, l albero della vita, subito dopo implode anche la vita civile, la cooperazione, la religione, la famiglia. La famiglia è il principale produttore di questa risorsa preziosa, la gratuità appunto, che è alla base del dono, il sale e il lievito della vita in comune. Potremmo 12

13 vivere anche senza reddito, ma si muore presto e male senza donare e ricevere doni, senza gratuità. L indigenza più grave che oggi sta colpendo le nostre società opulente è soprattutto indigenza di gratuità, di quel tocco umano che ti fa sentire una persona perché persona e basta, e non perché cliente o fornitore, votante o consumatore. Oggi la famiglia, piantatrice per vocazione degli alberi della gratuità nel mondo, serve davvero la famiglia e la società se si preoccupa non solo di piantarli, ma anche di evitare che vengano abbattuti: è questo il grande contributo che essa può dare all economia e al bene comune. Bibliografia: Bruni L. e A. Smerilli (2008), Il principio carismatico dell economia di mercato, Città Nuova, Roma (in stampa). Bruni L. e L. Stanca (2007), Famiglia e felicità: un analisi del rapporto tra condizioni, valori, relazioni familiari e benessere individuale, decimo rapporto Cisf, a cura di P. Donati, Edizioni San Paolo, Milano, Diamond L. (2008), Collasso, Einaudi, Torino. Frey B. e A. Stutzer (2007), Economia e felicità, Il sole24ore, Milano. 13

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