INFORTUNI SUL LAVORO USCIRE DAI LUOGHI COMUNI

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1 F r i u l i V e n e z i a G i u l i a INFORTUNI SUL LAVORO USCIRE DAI LUOGHI COMUNI Documento della segreteria della CISL Regionale relativo alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (presentato all audizione in Consiglio regionale il 22/05/2007) Solo da un po di tempo e in particolare dopo la presa di posizione del Presidente della Repubblica sul grave fenomeno infortunistico e delle malattie professionali, i mass media informano di più, vari organismi istituzionali e non, si occupano più intensamente del problema, ma le denuncie, le prese di posizione, pure opportune, non scavano quasi mai in profondità, salvo le pubblicazioni specializzate; ci si limita ad analisi superficiali, che il più delle volte non fanno comprendere le complessità e neppure forniscono una corretta lettura di quanto sta accadendo. Ma come hanno affermato autorevoli commentatori, quello della sicurezza sul lavoro è un tema troppo importante e delicato per essere affidato alla retorica e alle dichiarazioni di rito che non mancano mai ed anzi abbondano in questi casi. Si dice: manca una cultura della sicurezza, ed è certamente vero, ma l affermazione è troppo generica e da sola non è in grado di mobilitare le coscienze, comunque è più opportuno parlare di mancanza di cultura della prevenzione. Si dice, mancano i controlli adeguati e diffusi e anche questo è vero, più sopralluoghi, hanno certamente un ruolo deterrente ma non è garantito di giungere alla radice del fenomeno, stante l attuale situazione, che analizzeremo più avanti, ed è tutto da dimostrare che più ispezioni, della durata di qualche ora, per ovvie ragioni, inducano le aziende alle pratiche di prevenzione primaria, come sarebbe necessario, ci si limita, nella stragrande maggioranza dei casi a sanzionare quanto riscontrato non a norma, ma prevenire l accadimento degli infortuni è un altro discorso. Si dice: le leggi sono buone, ma non vengono applicate, e anche questo è giustissimo, ma un po troppo vago, le leggi sono tante, anche troppe, ma non si dice quasi mai su quali effettivamente si debba vigilare affinché siano correttamente applicate, inoltre, l applicazione, deve consolidarsi nel tempo; quali e quante ispezioni ci garantiscono che le tutele si protraggano nel tempo meglio di chi ci lavora all interno della azienda? La questione la si può così sintetizzare: certamente servono più ispettori per esercitare la vigilanza, ma per controllare che cosa? Vedremo più avanti che la domanda non è retorica e qual è il senso di questa affermazione, anche perché l esercizio delle funzioni di vigilanza devono, sempre più, essere improntate alla prevenzione.

2 Inoltre è auspicabile che si realizzi al più presto, la razionalizzazione, ai fini della sua migliore efficienza, del sistema pubblico di controllo, come previsto nella delega al Governo per l emanazione del Testo unico per il riassetto normativo dell intera materia. Comunque sull argomento della carenza di personale nelle UOPSAL, (unità operative sicurezza negli ambienti di lavoro), il confronto è aperto da tempo e per non essere costretti, come ogni anno, ad una infinita discussione sulla adeguatezza o meno, delle dotazioni umane, si approvi una normativa su quante devono essere le risorse di ogni singola UOPSAL e di ogni dipartimento di prevenzione, in rapporto a quelle destinate a ciascuna ASS, l ultimo dato disponibile quantificava rispettivamente nello 0,29 e 3,10 la percentuale di risorse sul totale del costo per le aziende sanitarie, un po pochino, sicuramente molto al di sotto di quanto necessita. Pertanto chiediamo venga stabilito per legge, una volta per tutte, un parametro adeguato, come del resto ha proposto un illustre esperto il prof. Carlo Smuraglia nel corso di un convegno nazionale. Inoltre, per una questione di maggior comprensione nell ambito di questa udienza conoscitiva, cercheremo di evidenziare le situazioni più urgenti ed emblematiche sulla questione oggi in discussione. Il nostro Paese, in questi anni è stato a più riprese condannato e richiamato dalla Corte di giustizia europea ad un più puntuale rispetto della normativa comunitaria e ciò non solo in riferimento ad aspetti generali di fondamentale rilievo, ma anche su questioni tecniche estremamente dettagliate, in genere riservate alla competenza regolamentare. Gli atti di accusa erano precisi: insufficiente tutela, della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, per il cattivo recepimento delle direttive europee a suo tempo emanate. Ricordiamo brevemente le più rilevanti: le disposizioni italiane, non richiedevano con chiarezza ai datori di lavoro, di valutare tutti i rischi presenti sul luogo di lavoro, e una circolare ministeriale emanata è stata considerata insufficiente dal punto di vista giuridico per il recepimento di un obbligo vincolante; in secondo luogo si è contestato il fatto che le nostre disposizioni prevedevano per il datore di lavoro l opzione di impiegare o meno servizi esterni qualora la perizia del personale interno non sia sufficiente, una possibilità di scelta considerata chiaramente contraria alla direttiva, che obbliga invece il datore di lavoro a ricorrere a servizi esterni per lo svolgimento di attività di tutela della sicurezza, se queste non possono essere effettuate nell azienda per mancanza di personale competente, inoltre, le nostre disposizioni non definivano con sufficiente chiarezza le capacità e le competenze richieste per appunto alle persone che devono svolgere l attività di prevenzione e di tutela della salute. Delle varie sentenze, quella richiamata per prima, è certamente la più rilevante, la più importante, per le implicazioni che sottintende, infatti e fuor di dubbio che valutare tutti i rischi, rappresenta un punto cardine e il fatto che figuri al primo posto tra le misure generali di tutela nel Decreto 626, non è meramente casuale. Per altro, la valutazione del rischio oltre ad essere essa stessa una misura di tutela, costituisce il presupposto dell intero sistema di prevenzione. La valutazione del rischio è lo strumento fondamentale che permette al datore di lavoro di individuare le conseguenti misure di prevenzione e di pianificarne l attuazione, il miglioramento e il controllo, al fine anche di verificarne l efficacia e l efficienza. Nel nostro ordinamento l obbligo della valutazione era esplicitamente riconosciuto e sanzionato dal D.Lgs. 277/91, solo con riguardo al piombo, all amianto ed al rumore. Con il D.Lgs.626/ 94 tale obbligo acquista una valenza generale.

3 L aver recepito la direttiva in modo incompleto, ha determinato per molti anni una ridotta visione dei rischi da valutare, ed ha portato la stragrande maggioranza delle imprese a considerare i soli fattori di rischio legati alle cosiddette condizioni pericolose, ovvero a quei fattori di rischio fondamentalmente tecnici, dovuti a mancanza di difese nel rapporto uomo-macchina, uomo-ambiente, uomo-sostanze pericolose, cioè sostanzialmente carenze tecniche di protezione. Ci siamo quasi esclusivamente occupati di questi rischi, sottovalutando il fatto che le macchine, gli impianti, le attrezzature danno luogo ad una quota di incidenti sempre più contenuta, in quanto progressivamente rese più sicure, costruite sempre più nell ottica della produttività ma anche della tutela della salute, allontanando l uomo dal rischio. Di converso, sono in continuo aumento i fattori di rischio organizzativi e comportamentali. Per molti anni e perdura tutt ora, non si è assolutamente tenuto conto che l Unione Europea aveva, fra le altre cose, più volte segnalato che l incidenza infortunistica dovuta alle condizioni pericolose è del 35%, mentre il 65% e in alcuni comparti il 70%, è dovuta alle azioni pericolose. Per azioni pericolose, si intendono tutti i fattori di rischio per la salute derivanti da una non adeguata organizzazione del lavoro e dal non corretto comportamento dei lavoratori, dovuto, nella maggior parte dei casi, alla mancanza o non completa azione informativa e formativa nei loro riguardi. L analisi della maggior parte dei documenti sulla valutazione del rischio, hanno evidenziato la pressoché totale assenza di quelli legati alle azioni pericolose che lo ribadiamo, sono la causa della maggioranza degli infortuni. Se consideriamo che circa 25 anni fa gli infortuni potevano essere imputati per il 50% a cause relative alle condizioni e per l altro 50% alle azioni pericolose, lo spostamento di queste ultime al 65-70% ci fa capire che il deciso e continuo miglioramento delle condizioni tecniche di lavoro rese possibili anche grazie all evoluzione scientifica applicata ai processi produttivi, alle macchine e agli impianti, aumenterà ancora di più il divario fra condizioni e azioni pericolose. A maggior ragione e al contrario di oggi, è necessario procedere con decisione e fermezza nel considerare sempre più i pericoli connessi con le attività comportamentali determinate da stress, ritmi di lavoro, precarietà, differenze di genere, non adeguata organizzazione del lavoro, assenza di razionali piani di movimentazione dei carichi e delle persone all interno delle aziende ecc. La giurisprudenza, si è mossa in numerose sentenze, per specificare che la valutazione del rischio non solo deve essere tecnicamente preparata dal Servizio di prevenzione e protezione, ma è principalmente e obbligatoriamente un compito non delegabile del datore di lavoro proprio perché è al centro della piramide della sicurezza. Senza una corretta valutazione del rischio non puoi stabilire le misure conseguenti, non puoi stabilire se sono appropriate e fare una vera formazione e informazione, perché la formazione e l informazione ha per oggetto il rischio che lì è presente e se non l hai valutato, la formazione diviene solo una attività burocratica, formale e non sostanziale che serve solo per documentarla in quanto l assenza è sanzionata, ma non serve a nulla. Non si può dimenticare che la più grande tragedia recente, legata alla violazione delle norme in materia di sicurezza del lavoro e cioè la strage di Linate con 118 morti, nasce da un problema organizzativo, come ha ricordato il magistrato del Tribunale di Milano, Bruno Giordano in un importante recente convegno. Se, come abbiamo richiamato, la valutazione del rischio è carente, tutta l attività di formazione e informazione per i lavoratori sarà compromessa, poiché, il D.M. del 16/1/1997,

4 stabilisce che l attività formativa, per la prevenzione, deve essere strettamente legata alle risultanze della valutazione del rischio. A questo proposito, è particolarmente gradito il richiamo agli studi ed alle elaborazioni a suo tempo effettuate dall UOPSAL dell Azienda del Medio Friuli sugli infortuni accaduti, i quali attestavano che la maggior parte degli incidenti erano determinati da comportamenti e procedure inadeguate e più recentemente l UOPSAL dell Alto Friuli ha rilevato notevoli carenze nell elaborazione della valutazione del rischio, cioè l esatto riscontro di quanto finora evidenziato. Come è doveroso richiamare le considerazioni di Vittorio Vedovato, esperto della materia e del procuratore Guariniello, i quali ci ricordano che: mentre per anni siamo stati abituati a tracciare il nesso di causalità tra la macchina e la lesione, tra l impianto e la morte, oggi sappiamo che vi è una infinità di infortuni, di malattie professionali, di danni che vengono cagionati non dall oggetto, ma dall organizzazione e alcune volte addirittura non dalla mancata organizzazione, ma da una voluta organizzazione. Ora, premesso che restano nella sfera delle autonome determinazioni del datore di lavoro l individuazione e l adozione dei criteri di impostazione e di attuazione della valutazione dei rischi, -della quale è chiamato a rispondere in prima persona-, significa che il datore di lavoro che effettui la valutazione del rischio in modo non corretto, inadeguato, parziale o incompleto, per questo, non c è una sanzione diretta (non c è una contravvenzione prevista dal D.Lgs. 626/94), semmai risponderà per la violazione dell obbligo di attuare specifiche misure di sicurezza che sono state omesse per l erronea valutazione del rischio, ma non per l errore di merito. In pratica, la valutazione incompleta è certamente sanzionabile ma la si può contestare solo a posteriori, solo ad infortunio avvenuto, quando si interviene per ricostruire l accaduto, ma allora è troppo tardi; in buona sostanza uno strumento nuovo, formidabile come la valutazione del rischio, fondamentale per la prevenzione, elaborato così, si rivela inefficace. E questo è il problema, un bel problema a cui và data una risposta. Quel che si può affermare da subito è che sempre più il processo di valutazione del rischio dovrà essere necessariamente realizzato (cosa che purtroppo oggi avviene raramente), con il contributo dei lavoratori, dei propri rappresentanti (RLS), dei capi intermedi e dei dirigenti, che nelle aziende vivono la quotidianità del rischio stesso, nonché, in alcuni casi, anche attraverso il contributo di appositi esperti per ogni specifico settore di rischio; cioè, una corretta valutazione non potrà e non dovrà mai prescindere dalla partecipazione attiva al processo di analisi ed individuazione dei rischi da parte dei soggetti esposti ai rischi stessi, anche per una doverosa pratica di controllo. Quando fu promulgato il Decreto 626 e anche successivamente, le aziende furono invase da molteplici e disparati schemi per effettuare tale valutazione, purtroppo la stragrande maggioranza dei criteri e dei metodi proposti hanno omesso di prendere in considerazione le indicazioni finora richiamate; in questa sede formuliamo una precisa richiesta: è opportuno che della questione venga ufficialmente coinvolto il Comitato regionale di coordinamento, (art 27 del D.L. 626) per discutere la problematica affinché sia possibile individuare la soluzione più opportuna e se del caso elaborare indirizzi o linee guida per la redazione del documento di valutazione da parte dello stesso comitato. Non è nostra consuetudine associarci a quanti pretendono che sempre gli altri debbano fare qualcosa, crediamo effettivamente che anche il sindacato, oltre a quello che fà, debba impegnarsi di più, ad esempio, a diffondere maggiormente la presenza dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, (RLS), non sempre ciò è agevole, per la miriade di piccole imprese, ma, per le potenzialità che gli stessi possono rappresentare proprio per il ruolo di

5 pungolo, di stimolo ma anche di collaborazione che possono assumere, vanno certamente aumentati magari con un ruolo territoriale, insieme al rilancio degli organismi paritetici, previsti dalla normativa, ed effettivamente alquanto trascurati. Ma un problema importante è rappresentato dalla formazione per questi soggetti, da poco si è provveduto ad aumentare nella normativa, i requisiti e la professionalità degli RSPP (Responsabili del servizio di prevenzione e protezione) cioè gli interlocutori primari degli RLS. Gli attuali accordi interconfederali, prevedono una durata della formazione obbligatoria per gli RLS, in sole 32 ore, quando uno studio approfondito dell ISPESL (Ist. Superiore di prevenzione), ha valutato in circa 70 ore il minimo indispensabile per una loro efficace presenza: ci impegneremo affinchè la contrattazione territoriale, ora piuttosto carente, aumenti questo monte-ore, fra l altro, la presenza dell RLS nelle aziende, che come noto ha diritto di essere consultato, con particolare riferimento alla valutazione del rischio, può rappresentare quel soggetto in grado di analizzare, consigliare o se del caso segnalare le eventuali carenze proprio sulle valutazioni del rischio, e quindi, portare un decisivo contributo. Ma questa figura, effettivamente, ha bisogno di essere seguita, consigliata con competenza, guidata e in alcuni casi confortata, per aiutarla ad uscire da un isolamento in molti casi voluto dalle controparti. Solleciteremo la Regione, affinché siano istituiti i cosiddetti SIRS (Servizio informativo per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) nell ambito di ciascuna UOPSAL, già istituiti in altre regioni del nostro Paese. A suo tempo in alcune UOPSAL esistevano già degli sportelli dedicati, ma più per la buona volontà dei dirigenti e degli operatori, che per la effettiva normativa. L operatività dovrebbe articolarsi nella produzione di materiale informativo e documentale specifico, nella promozione di momenti di formazione e ricerca mirati a migliorare le competenze degli RLS nel campo dell informazione documentazione e comunicazione, accesso guidato a documentazione qualificata ed aggiornamento sulle novità legislative e tecniche legate in particolare alla prevenzione nei luoghi di lavoro, in collaborazione con le organizzazioni sindacali e gli organismi paritetici per favorire l applicazione della normativa, in particolare il D.Lgs Realizzare ciò, significa dare un grande contributo per la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, perché gli infortuni non accadono per fatalità, e come ha ricordato l Associazione naz.mutilati ed invalidi del lavoro non si può solo contare i morti e i feriti ma tutti, per quanto gli compete, devono fare urgentemente la propria parte. Trieste, 21/7/2007 La Segreteria CISL Regionale FVG

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