L infermiere di comunità, la presa in carico, la continuità assistenziale a partire da

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1 L infermiere di comunità, la presa in carico, la continuità assistenziale a partire da il viaggio omerico a Lussino (questo materiale è tratto dal libro L Infermiere di famiglia e di comunità che esce a gennaio 2008 con la prefazione di Danilo Massai, edizione Maggioli) Lavorare con la comunità vuol dire passare dall altra parte del microscopio e ritrovarti sul vetrino a sentire come gli abitanti (Davide Auber 1 ) Ma chi è l infermiere di comunità? Cos è la presa in carico e la continuità assistenziale? Inizio a rispondere alla prima domanda, a seguire verranno le altre risposte. Nella nostra azienda nasce nel 1999 con Health21 come infermiere di famiglia. Ben descrive questa nascita la mia collega Ofelia Altomare nel suo articolo per aiutare il cittadino a rimuovere le barriere comunicative non meno invalicabili di quelle architettoniche 2 che qui di seguito sintetizzo. Racconta che, nel 1999 il Distretto n. 3 sperimenta l infermiere di famiglia nel contesto del progetto habitat e salute delle comunità. Il progetto è integrato, nasce nel 1998 su iniziativa della nostra Azienda ed è condiviso dall ente che gestisce gli alloggi popolari (ATER) e dal Comune di Trieste. Esso seleziona, come aree d azione integrata, quattro zone con edifici di proprietà delle tre istituzioni. Prevede di applicare un modello d intervento, secondo le indicazioni del documento Health21, fatto d azioni sinergiche tra enti, associazioni, rappresentanze dei cittadini per promuovere la salute. Nell ambito del Distretto, l area individuata è quella di via Valmaura comprendente i numeri civici dal 39 al 79, con presenza d alloggi popolari, per un totale di circa mille persone. L obiettivo è il coinvolgimento dei residenti con metodi che valorizzano le loro istanze e capacità di proposta e cooperazione sociale. Ofelia evidenzia che già dai primi incontri con i cittadini, emersero molteplici problemi, non solo per la presenza di famiglie con rilevanti bisogni sociali e sanitari, ma per la pressante richiesta di migliorare l ambiente riducendo l inquinamento, ripristinando le aree verdi e il decoro degli edifici. Alle note e ripetute proteste sulla questione della vicina ferriera, si aggiunse quell unanime degli inquilini degli alloggi popolari in merito agli affitti ritenuti esosi. La zona è identificata come residenziale, ma non è vissuta come tale dai residenti. Da subito risultò necessario realizzare interventi integrati e ricostruire un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, quest ultime ritenute distanti se non latitanti. Gli incontri con la comunità hanno messo in discussione vecchie pratiche e logiche organizzative. Ogni operatore si è avvicinato e confrontato con i colleghi d altri enti abbandonando l obsoleto concetto che la salute è monopolio della sanità. Si è aperto il dibattito sulla salute della collettività in interazione con l ambiente, su come la prevenzione obbliga più attori istituzionali a dare risposte integrate e interdisciplinari, sulle infinite possibilità di cura e riabilitazione fuori le mura dell ospedale. Osserva la collega che l approccio innovativo innescò allora una rivoluzione culturale dell infermiere di distretto chiamato, dalle nuove pratiche, a confrontarsi anche con problematiche abitative, di degrado ambientale, disagio economico e inquinamento. Un infermiere a tutto tondo che si apre alla collettività in linea con il documento Health21 che raccomanda di promuovere l infermiere di famiglia con funzioni di prevenzione primaria, secondaria e terziaria e 1 Davide Auber, infermiere di comunità, referente della Microarea Valmaura del Distretto 3. 2 Ofelia Altomare, responsabile infermieristica in staff alla direzione del Distretto n.3, l articolo citato è stato pubblicato su Aretè, periodico trimestrale del Collegio IPASVI di Trieste anno 11- n.1 giugno 2001.

2 d assistenza diretta personalizzata e d urgenza. La finalità generale del documento, sottoscritto dai paesi dell area europea, è il raggiungimento del pieno potenziale di salute per tutti quale valore e diritto universale all interno di una crescita economica sostenibile. La convinzione di fondo è che sia necessario interagire con il nucleo familiare quale soggetto primario della promozione della salute. Ofelia rileva che l infermiere di famiglia nel progetto è risultato da subito strategico, favorito dall esperienza acquisita nell ambito dell assistenza domiciliare. Proprio dall esperienza del nursing personalizzato a domicilio l infermiere trae la propria evoluzione divenendo infermiere di famiglia. La convinzione di fondo è che non si fa salute curando la malattia, è necessario rapportarsi ai bisogni della famiglia e della collettività e saper sgombrare il campo da pregiudizi. L estinzione della famiglia allargata, che garantiva sostegno al componente in stato di bisogno, obbliga i servizi a trovare modi d intervento coordinati per garantire risposte adeguate a nuovi bisogni. L attività dell infermiere è dunque complessa. La visita a domicilio è il primo strumento che consente di realizzare un rapporto di fiducia, valutare globalmente i bisogni del nucleo o del singolo comprendendone le peculiarità. Nella prima fase del progetto gli infermieri hanno scelto d intervenire su una parte delle famiglie residenti nell area, quelle che comprendevano una persona anziana over75enne. Sono state così identificate e prese in carico le prime cinquanta famiglie, ciascuna con il loro infermiere. Per facilitare i contatti, l azienda ha istituito la tessera dell infermiere di famiglia nella quale, oltre al nominativo e al recapito telefonico dell infermiere, c è un recapito telefonico di distretto disponibile dodici ore al giorno durante l arco della settimana. La collega conclude osservando che l infermiere, per questi nuclei familiari, è il regista di un percorso assistenziale e non la comparsa temporanea in un momento di crisi di una persona. La narrazione di Ofelia fa comprende come sia nato l infermiere di famiglia, ma già di fatto anticipa l infermiere di comunità. L esperienza infatti ci ha portato a credere che l infermiere di comunità deve essere anche quello di famiglia e viceversa. E l andare a casa della gente che apre la nostra testa ai bisogni-diritti dei nuclei familiari e di chi vive solo. A domicilio comprendiamo anche la drammaticità di alcune storie e l urgenza di agire in certi casi. Ma è il vivere la comunità che sta attorno a quei nuclei, a quell anziano solo, che ci permette di individuare le risorse istituzionali e non che possono agire, assieme a noi, favorevolmente sui loro bisogni-diritti. Per questa ragione (ma non solo 3 ) l infermiere di comunità e di famiglia vive e lavora nello stesso territorio. Benessere delle comunità e del singolo sono i due volti della stessa medaglia, non c è l una senza l altra. Attraverso il vivere la comunità meglio si possono comprendere i determinanti di salute ed i fattori di rischio, ma anche i nessi che intercorrono tra interessi economici di taluni e reali bisogni di salute della gente e dei soggetti più fragili. Questi nessi altrimenti non si paleserebbero e noi rischieremmo di essere inconsapevoli attori di profitto e non di salute. L area di via Valmaura, dal progetto habitat descritto da Ofelia, ha tratto notevoli benefici. Quelli che prima erano nuclei isolati, persone sole ora sono una comunità (capitale sociale). Non solo sono aumentate le azioni di solidarietà tra cittadini che ben si integrano con le attività distrettuali implementandole, sono anche diminuiti i contenziosi con l ATER e gli edifici non hanno più bisogno di quella manutenzione dovuta prima ad atti di vandalismo reiterati. Il Distretto è sentito ora come qualcosa che appartiene alla comunità. Ma non basta un welfare municipale e integrato, non bastano i progetti se latitante è la politica. Infatti, nonostante dati allarmanti evidenziati dal Dipartimento di Prevenzione della nostra Azienda e da organismi indipendenti, tutt oggi resta insoluta la questione cronica dell inquinamento dovuto alla ferriera a 3 Vivere e lavorare nello stesso territorio aiuta gli infermieri a tenere insieme i tempi delle vita e quelli del lavoro e li favorisce nella gestione dei figli e della propria famiglia.

3 ridosso della via e dell intero rione storico di Servola. La riconversione o riqualificazione o chiusura della ferriera è questione trentennale nella nostra neoclassica e liberty città marittima, è un malattia con puntate febbrili ricorrenti senza che se ne venga a capo. Sul progetto habitat di via Valmaura, confluito poi nel laboratorio MircoWin Microaree, così scrive il mio collega, infermiere di comunità, Davide Auber. Da quando aprimmo l ombrellone la prima volta, lì nella via, sembra passato tanto tempo. Allora la gente che passava ci guardava con sospetto e diffidenza. Pochi salutavano, raramente qualcuno chiedeva chi fossimo. Avvicinavamo con il sorriso la gente frettolosa, ma le riposte repentine erano del tipo no me servi niente. Quella classica degli anziani triestini scaramantici, era grazie, me toco el naso ma stago ben (altrove per scaramanzia si toccano gli attributi, da noi chissà perché ci si tocca il naso). Le risposte cambiarono dopo le feste in piazza organizzate dal Distretto in collaborazione con gli enti che aderiscono ai progetti e con il tempo ci siamo interfacciati sempre più con i problemi a tutto tondo della comunità. Prima, lavorando nel Distretto appartenevi ad una bolla che ti proteggeva dalla via reale: Valmaura. Credevi di stare e lavorare con la gente ma vivevi poco la loro realtà e respiravi l aria condizionata della sede. La sede della Microarea invece è all interno di quel mondo osservato. Lavorare con la comunità vuol dire passare dall altra parte del microscopio e ritrovarti sul vetrino a sentire come gli abitanti. Gli stessi odori di cibo sulle scale, di piscio nei portoni, le grida dei vicini che litigano e dei bambini che giocano. Diventare un abitante di via Valmaura non è stato bello all inizio. E ancora oggi non lo è causa la ferriera. L olfatto è la prima cosa che sviluppi vivendo la via e il rione. Al mattino ti svegli è prima di guardare il cielo post-atomico che ti sovrasta senti gli effluvi del mostro: e sai già come sarà la giornata. La ferriera ci innervosisce c è poco da scherzare e da essere affabili mentre fai la spesa in boteghin e certo non prendi l aperitivo come si fa in piazza grande sotto il fungo riscaldante all aperto dei bar. Qui il fungo non ti riscalda, non è quello dell aperitivo del salotto della città, lo vedi uscire due, tre volte al giorno dalla ferriera, accompagnato dall inquietante sirena, roba da far impazzire Ridley Scott. Ma poi ti abitui e la sede del distretto con i suoi ambulatori diventa tua, ci porti le tue cose. Ed è l una di notte quando sbaracchi il cinema ambulante, che educa alla salute attraverso le emozioni di film scelti con oculatezza (appena in DVD o CD proietteremo anche Sicko di Moore). Allora ascolti i tuoi CD, bevi una birra con chi, degli abitanti, è voluto rimanere. Poi ti fai una doccia e ti butti a dormire sul divano del Distretto proprio come un inquilino di Valmaura. E quelle persone che all inizio non salutavano ormai hanno il volto di tuo nonno, quello rugoso e bruciato dal sole istriano. Hanno il sorriso bonario di zia Lina, ti cucinano i sardoni e ti viziano come un nipote. Questo è fantastico, specie se hai una certa età e i nonni ormai li sogni svegliandoti con malinconia. Stare con loro a cartellino stimbrato succede sempre più spesso. Portarli a fare la spesa grande al mercato coperto è sinceramente bello, ormai conoscono tuo figlio, ti fanno il regalo di natale e tu ti ricordi del loro compleanno. Fra qualche giorno porto nove dei miei nonni (non è professionale, lo so, ma li chiamo così) nella loro natia terra di Lussino (Istria ora Croazia). A dirla tutta, conto i giorni alla partenza. Il progetto iniziò per gioco quando, utilizzando il furgoncino del progetto Alzheimer, prendemmo l abitudine di andare in osmiza 4, zona franca dove non si dovrebbe proprio andare, specie con la pirola pel cuor e guai se sa el dotor, ma la moderazione è la miglior medicina. 4 Tipica trattoria carsica della comunità slovena.

4 Erano anni che non cantavano in compagnia, alcuni da anni non uscivano da casa, e tutti da decenni non uscivano da via Valmaura. L osmiza in carso fuori dalla città è già un bel traguardo. E proprio lì si scambiano ricordi ed emozioni, quasi tutti istriani ricordano che e a Lussino ci andavano in colonia coi fascisti, lì qualcuno aveva la morosa ed uno ci lavorava: che bello sarebbe ritornarci e chissà com è cambiata. Mi dico perché non provarci? I più gagliardi vengono con me in agenzia, ci informiamo sui prezzi, facciamo due conti. Poi, come per magia, la sincronicità che ti dice che fai la cosa giusta, telefona la collega Carmen Roll, il grande capo (il nostro direttore generale 5 ) offre una gita in ogni microarea! Bene, li porto tutti gratis! E da qui in poi è tutto un organizzare e immaginare questo viaggio. La strada per arrivarci ha una valenza tanto importante quanto la meta: bisogna passare per quel paese, che xe quel malvasia speciale, e andare in quela gostilna, el crudo duro come una siola e salà, altro che sto furlan che trovo al famila. (traduzione: c è il vino malvasia speciale, e in quella trattoria il prosciutto crudo è duro come la suola delle scarpe ed è salato, non è come quello friulano che trovo al famila) Andare con loro a Lussino sarà un viaggio omerico, faremo tardi, anderemo a balar, porto la trapa de tenir in camera se ne ciapa sede (traduzione: faremo tardi, andremmo a ballare, porto la grappa da tenere in camera se per caso avremmo sete). Non sarà una passeggiata: mi darà una mano la collega del comune (sul pulmino non c era posto per i ragazzi del servizio civile) e, non è che i nonni godano di ottima salute: due in carrozzella, due poliprotesizzati con le stampelle, cardiopatici, diabetici, epilettici e ciechi: avrò di che preoccuparmi. I Paesi nordici portano gli anziani a fare abilitazione nelle calde isole del mediterraneo noi intanto andiamo a Lussino, chissà poi ci sarà Argo ad aspettarci? Per chi, dopo la narrazione di Ofelia e Davide, è interessato anche agli aspetti formali che disciplinano il nursing nella mia azienda, rimando alla lettura dell allegato 1 che riporta stralcio dell Atto aziendale relativo al mandato, alle funzioni e agli obiettivi del Servizio infermieristico aziendale. Mario, il Pianista e la presa in carico Ma la presa in carico come la definiamo? E arte del compromettersi, di andare oltre alla prestazione, oltre alle necessità espresse o evidenti della persona per individuare anche quei bisogni che per pudore od altro non si palesano. E la capacità di entrare in rapporto empatico con le persone e farsi carico delle loro necessità complessive, assicurando un servizio integrato e in rete evitando di delegare questa funzione al cittadino o ai suoi familiari. E riconoscergli dei diritti, un conto è pensare l assistito ha bisogno che io faccia qualcosa, e un conto è pensare ha diritto che gli assicuri qualcosa : cambia radicalmente il rapporto di potere tra la persona e noi. L intervento assistenziale non deve essere coordinato dall idea che il diritto vada meritato o dalla capacità che ha la persona di gestirlo. Il diritto deve essere a priori assicurato. L'azione abilitante consiste nel rendere le persone capaci di esercitare i propri diritti se ancora non ne sono in grado o se hanno perduto tale capacità, e a rendere realistico e possibile l'esercizio di un diritto non ancora sostenuto dalla realtà delle cose. La questione dei diritti dell assistito così si sintetizza: la mia salute è un progetto non un prodotto. E questo progetto non è delegabile. i. 5 Franco Rotelli.

5 Si promuove l autonomia riconoscendo innanzitutto la soggettività dell altro. I nostri comportamenti tendono ad essere difformi quando un cittadino sa esigere il rispetto di un suo diritto e quando no, nel primo caso siamo decisamente più accorti mentre dovremmo esserlo in ogni caso. La presa in carico prevede l elaborazione del progetto assistenziale individuale articolato in una serie di interventi formulati a seguito dei colloqui con la persona, il medico di famiglia e gli attori o nodi della rete assistenziale: le risorse utili a soddisfare la complessiva gamma di bisogni-diritti. I nodi sono costituiti dai familiari, quando ci sono, dal personale di altri servizi specialistici o sociali, conoscenti, vicini di casa, volontari e giovani del servizio civile (servizio che a mio parere dovrebbe essere obbligatorio). La finalità del progetto è l autonomia: mantenere vitali le abilità delle persone, recuperare quelle andate perdute quando è possibile ed individuarne altre. Esso prevede obiettivi misurabili anche avvalendosi di scale di valutazioni. Nel caso di malati terminali la finalità è la buona morte senza dolore e se possibile al domicilio. Il progetto non deve essere dogmatico ma flessibile in rapporto allo sviluppo delle dinamiche relazionali, del contesto e dei risultati ottenuti. Ogni assistito è affidato ad un case manager che ha la responsabilità di verificare il buon funzionamento del progetto e tenere le fila delle relazioni con l assistito. Ma se il case manager è essenziale da solo non basta. E la cultura che si respira in azienda e nelle strutture ad assicurare un contesto idoneo al lavoro d èquipe e all integrazione. Se la cultura della presa in carico è diffusa, allora c è la garanzia che la presa in carico si realizza sempre, anche quando il case manager è assente perché ogni operatore sente proprie le responsabilità dell altro. Le storie successive raccontate da due mie colleghe, meglio di quanto faccia l Atto Aziendale della mia Azienda, rendono l idea di come si concretizzino le funzioni del Servizio infermieristico aziendale, dell infermiere di comunità e di cosa significhi fare la presa in carico. Claudia Rusgnach 6 narra così la storia del signor Mario, il nome è fittizio ma il caso è reale. Ha 68 anni, arriva in Distretto un lunedì mattina con un foglio di dimissione del pronto soccorso per effettuare medicazioni di alcune ferite al volto. La collega dell ambulatorio infermieristico lo accoglie, lo fa accomodare, legge il verbale del pronto soccorso e inizia il colloquio per valutare i bisogni (diagnosi infermieristica). Il signor Mario afferma di essere caduto accidentalmente e che al pronto soccorso lo hanno etichettato come etilista (senza effettuargli l alcolemia, sul referto si legge alito aromatico), medicato e dimesso; lo hanno consigliato di rivolgersi al Distretto per le medicazioni successive. E imbarazzato, in condizioni igieniche precarie, con una folta, lunghissima e trascurata barba. Vi è pure il sospetto di una parassitosi. Racconta di usufruire di un piccolissimo assegno di invalidità causa l amputazione di un dito della mano e di riuscire a stento a far fronte alle spese dell affitto dell alloggio popolare dell ATER e alle utenze del gas e della corrente elettrica. Prima di procedere alla medicazione, la collega rileva un ulcera alla gamba destra, trascurata da mesi, le secrezioni sono rapprese e forse infette, la situazione sembra critica e richiede immediate decisioni. Ma il signor Mario, non è facile da convincere, rifiuta categoricamente la proposta (presa in carico) di intervento a domicilio di un operatore socio sanitario, per aiutarlo a fare un bagno, e di un progetto assistenziale individuale in accordo con il suo medico di medicina generale, da realizzarsi presso 6 Responsabile infermieristica delle Cure primarie del Distretto 2 che comprendono il servizio infermieristico domiciliare: gli infermieri e gli operatori socio sanitari della domiciliare assicurano l assistenza nella Residenza Sanitaria Assistenziale con turni di lavoro mensili e a rotazione.

6 l ambulatorio infermieristico ed i medici specialisti del Distretto per trattare l ulcera. Forse rifiuta l intervento a domicilio per pudore di mostrare la sua povertà? Sembra una partita persa, ma dopo una veloce discussione tra infermieri di sede la fantasia ha il sopravvento. E il gruppo di colleghi gli propone un alternativa: un bagno e un pasto caldo nella residenza sanitaria assistenziale 7 del Distretto e a seguire il percorso ambulatoriale precedentemente ipotizzato e lui accetta. I colleghi della residenza sono avvisati e si preparano per accoglierlo: individuano l operatore socio sanitario più adatto ad entrare in sintonia con il signor Mario; acquistano con la piccola cassa uno shampoo antipediculosi; reperiscono vestiti e scarpe grazie all aiuto dei volontari di una Parrocchia. Viene accompagnato alla residenza da una collega e da una giovane del Servizio Civile con il pulmino del Distretto. L operatore socio sanitario è proprio quello giusto, dopo aver aiutato il signor Mario a fare il bagno e a cambiarsi, ottiene la sua autorizzazione a tagliare barba e capelli. Un altro uomo si presenta così alla visita del medico della struttura, che lo trova in buone condizioni generali: l ulcera, ripulita, evidenzia una situazione meno drammatica del previsto. L alitosi porta il medico ad eseguire una ispezione del cavo orale e a scoprire un voluminoso ascesso suppurante, di probabile origine granulomatosa. Oltre alla prescrizione medica, comprensiva di esami ematochimici per controllare lo stato di salute generale, al signor Mario gli infermieri consegnano un ciclo di antibiotici e lui se ne va via con vestiti puliti, scarpe intere e contento perché nel frattempo: l infermiera che lo accompagna, ha ottenuto una borsa con la spesa dalla Croce Rossa Italiana, che gli garantirà l approvvigionamento periodico anche in futuro; la collega dell ambulatorio infermieristico ha già contatto e concordato il progetto con il medico di famiglia e ottenuta la cosiddetta impegnativa 8 che un collaboratore in borsa lavoro va a ritirare. Gli esami ematochimici evidenziano valori nella norma. Il progetto assistenziale individuale ambulatoriale consiste in due visite infermieristiche settimanali e consulti specialistici su necessità individuate dall infermiera di concerto con il medico di famiglia. L ulcera è trattata con le medicazioni secondo il protocollo aziendale, senza consulto dermatologico: la situazione migliora a vista d occhio. E in calendario una visita stomatologia per il granuloma dentale e un colloquio con l assistente sociale del servizio comunale per valutare la possibilità di integrare l assegno di invalidità. Cosa sarebbe successo se avessimo pensato in modo prestazionale anziché globale? Se non avessimo fatto la presa in carico assicurandogli il diritto all integrazione dei servizi pubblici e delle risorse della comunità? Ci saremmo limitati a medicarlo al volto e poi ad inviarlo: al servizio sociale per i bisogni economici, dell igiene del corpo e dell abitazione; al suo medico di famiglia per avere la prescrizione necessaria ad effettuare il percorso di cura. Ammesso e non concesso che sia corretto affidare al signor Mario la funzione di integrazione dei servizi: sarebbe stato in grado di gestirla o non avrebbe piuttosto rinunciato? Da anni disertava il suo medico curante 7 La Residenza assistenziale sanitaria del distretto è utilizzata per deospedalizzati che necessitano interventi riabilitativi intensivi, è a decorso breve, la degenza media è di 30 giorni. 8 Richiesta del medico di medicina generale.

7 ed il servizio sociale del comune. Per questo è importante a nostro avviso cercare l assistito quando non si fa vivo o acchiapparlo quando si fa vivo solo per una medicazione al volto. La situazione è ora sotto controllo, senza rischio di ricoveri. Non vi sono stati costi particolari. Federica Sardiello 9, racconta la storia di un assisto la cui povertà non è il reddito ma la solitudine ed è utile a comprendere i positivi effetti dell empatia. Giulia e Paolo sono nomi fittizi dietro ai quali si celano i veri protagonisti. Necessita di medicazioni per ulcera, così recita la prescrizione del medico che la collega porta con sé quella mattina assieme al suo zaino pieno di tante cose, tutto quello che potrebbe servire per curare quella lesione, tutto quello che è servito in altre occasioni per curarne altre, tutto quello che di solito i parenti premurosi amano accumulare con cura sui comò oltre ad altre cose come, forse, surrogati di attenzioni mancate in passato. Mentre percorre quelle strade così note, viene assalita da quell ansia fisiologica che accompagna sempre i primi accessi a domicilio di un assistito ancora anonimo. La prescrizione, che stringe tra le mani, dice poco sulla lesione e nulla su chi ce l ha, e fa sperare ad un caso da manuale. Un ulcera magari granuleggiante, adagiata e circoscritta, senza odore, senza dolore, senza contesto, senza una storia e un perché. Ma non può essere così. Da uno sguardo ai campanelli alla ricerca di quel nuovo nome che più tardi dovrà inserire nel programma settimanale. E un condominio dove abitano molti anziani soli già noti al servizio. A più di un nome associa un volto, una storia, una patologia, ma anche immagini di una casa, odori e ricordi personali legati magari alla stagione, al clima lavorativo di quel momento, ai colleghi di lavoro, e a qualcosa di importante che forse in quel periodo stava accadendo nella sua vita. E così che tutte le volte quella comunità l accoglie e la proietta in una dimensione così familiare da farla sentire parte di essa, forse più Giulia e un po meno infermiera. Quando Paolo apre la porta, viene assalita da un odore stantio di cose vecchie, misto a fumo e urina. Ha settant anni, un corpo segnato da trascuratezza e cattive abitudini e negli occhi lo sguardo di chi non ha vissuto. Sembra un paradosso, non è solo, vive con la madre, una donna molto anziana che in qualche modo si prende cura di lui. Giulia ci mette poco a capire che l ulcera tibiale, così circoscritta e poco secernente, è solo la punta di un iceberg. Gli arti inferiori sono molto edematosi e il suo respiro è affannoso, Paolo è cardiopatico. Lui conferma e dice ero in ospedale, mi davano tante medicine, ma non potevo stare lì a lungo dovevo tornare a casa, da mia madre e dal mio pianoforte! Racconta con semplicità che non gli importa nulla di quelle gambe gonfie che gli impediscono di muoversi e di quel respiro che la notte lo tiene sveglio e nemmeno di quei farmaci che dovrebbe prendere e che invece non prende. Gli basta arrivare al pianoforte e avere la forza nelle dita per suonarlo e raccontare con la musica di sé, della sua vita vuota, di quelle emozioni che né i sui occhi né la sua voce tradiscono. E quel suono familiare a scandire le sue giornate. Giulia potrebbe barricarsi dietro a quel muro, così alto e così facile da innalzare, fatto di dati clinici indiscutibilmente preoccupanti, chiamare l ambulanza e farlo ricoverare e continuare il suo giro cercando di convincersi di aver fatto il meglio. Inizia invece con Paolo un percorso non facile, fatto di domande e offerte, di discussioni e compromessi, di fiducia che arriva, si perde e poi ritorna, di amor proprio e consapevolezza. Il progetto assistenziale individuale parte dalla necessità di risolvere in modo rapido ed efficace un problema di salute mettendo in campo le risorse per arrivare però anche al soddisfacimento di un bisogno più intimo, sempre celato, il desiderio di ampliare, almeno ancora un po, il senso della propria vita. 9 Federica Sardiello è infermiera di comunità del Distretto 2 ed è referente di Microareea.

8 Paolo oggi si fida, ha accettato la visita del cardiologo a domicilio e prende i farmaci che gli ha prescritto, c è qualcuno che lo aiuta a tenere pulita e profumata la casa ed esce tutti i giorni perché il suo umore è migliorato. Ma si può fare di più? Dalla discussione quotidiana dei casi con i colleghi arriva un idea e Giulia mette nello zaino di servizio, oltre al suo consueto armamentario, un nuovo pianoforte e un appuntamento fisso alla Residenza sanitaria assistenziale del Distretto dove Paolo suona ogni giovedì e dove tutti lo chiamano, come sempre avrebbe voluto, Il Pianista. La storia di Mario vale più della teoria, testimonia che la presa in carico non può essere realizzata da un infermiere libero professionista e neppure da un servizio privato perché non avrebbero le conoscenze e neppure la forza per attivare e mettere in rete con efficienza ed efficacia le risorse istituzionali e non, che nel caso narrato sono: personale, logistica e attrezzatura della residenza, medico specialistica di distretto, assistente sociale del comune, giovane del Servizio Civile e volontari della Croce Rossa Italiana e della parrocchia. Quella del Pianista evidenza la necessità di pensare ad un autonomia non solo fisica ma anche sociale e affettiva. Seppure in taluni casi la solitudine è un aguzzino dietro a una porta blindata, si può trovare il modo per farsi dare la chiave dall assistito. Il diritto di vivere a casa anche quando sembra impossibile La cartella di Distretto, che raccoglie la documentazione della presa in carico di Boris, è corposa, ciò nonostante molte attività sono rimaste non scritte, ma impresse nella testa dei miei colleghi. Questa storia ricca di emozioni e competenze, di anima e non solo tecnica, di creatività e non solo prestazioni, questa storia, come molte altre gestite da colleghi della nostra Azienda, non entrerà mai nel sistema informativo-informatico della nostra Regione. Non ci potrebbe entrare proprio. E in fondo, se ciò fosse possibile, sarebbe quasi un sacrilegio. E una storia che meriterebbe di essere descritta, non da me, ma da Claudio Magris in un romanzo. Vera è la storia ma non il nome. Boris è giovane ed è affetto da tetraplegia spastica completa causa un grave politrauma della strada. E giunto all attenzione dei miei colleghi del Distretto su richiesta di deospedalizzazione protetta dell ospedale Gervasutta di Udine - Istituto di Medicina Fisica e Riabilitativa - presso il quale era ricoverato da un anno. Il personale del servizio di riabilitazione 10 e del servizio infermieristico domiciliare 11 lo ha raggiunto in reparto a Udine per programmare con lui il suo rientro a casa. Durante l incontro Boris è lucido e collaborante, ma molto spaventato all idea di rientrare a casa. E assillato da mille dubbi, teme che non si possa far fronte alle sue complesse necessità. La paura è di non poter avere un futuro fuori dall ospedale. Il padre di Boris ha lasciato la famiglia quando lui era piccolo. La madre ha notevoli problemi di salute ed è in carico ai servizi del Distretto, può contribuire solo in piccola parte alle faccende domestiche. La nonna è la più gagliarda. Il reddito familiare è costituito dalla pensione della nonna e da quella di invalidità di Boris (in seguito si è aggiunto l assegno di accompagnamento). Il padre di Boris non contribuisce alle spese della famiglia. 10 La fisiatra Maria Elena Magro, i fisioterapisti Ivan Lo Vullo-Peruggini e Gabriella Cernigoi e il neuropsicologo Cristiano Stea. 11 I colleghi sono Marino Zanuttigh, Dario Cortese e Gabriella D Ambrosi Responsabile infermieristica.

9 L'abitazione di proprietà aveva ostacoli strutturali. Per adeguarla sono stati installati un servoscala e un impianto di riscaldamento e condizionamento. Gli spazi interni sono stati riorganizzati per rendere possibile la mobilità autonoma con carrozzina elettrica e l uso degli ausili quali il sollevatore elettrico, il letto elettrico, la barella doccia. Finito l adeguamento della casa e forniti gli ausili, il Comune di Muggia ha assicurato l assistenza sociale fornita da una cooperativa nelle fasce orarie dalle ore 22 alle 10 del mattino e dalle ore 15 alle Cosicché con Boris, la sua fragile famiglia ed il servizio sociale del Comune si è programmata la data del suo rientro a casa. Il Comune ha messo a disposizione un furgone attrezzato e l autista e gli infermieri sono andati a prenderlo a Udine. Il progetto individuale riabilitativo e infermieristico iniziale prevedeva la rieducazione respiratoria, motoria, funzionale e sfinterica, la terapia occupazionale, la prevenzione delle lesioni da decubito e un regime alimentare controllato. Sorvolo sugli aspetti clinici e tecnici del progetto appena sintetizzato (che sono ovviamente cruciali e determinanti per Boris) per mettere a fuoco il laborioso processo successivo che ha consentito di ridare significato alla vita del giovane. L equipe sin dall inizio è multidisciplinare e integrata. Ivan, fisioterapista, è il case manager; Marino è il referente infermieristico. Dal momento del rientro a domicilio, l équipe ha assicurato: la carrozzina elettrica e quella manuale, un compressore d aria per gonfiare le gomme; l addestramento del personale della cooperativa, della madre e della nonna; la gestione del catetere, dell alvo e delle crisi disreflessiche risolte con l aumento del calibro del catetere e ravvicinando i tempi della sua sostituzione; il bagno settimanale con l affiancamento di un infermiere; il materasso antidecubito, la mobilizzazione e la ginnastica respiratoria; la visita di controllo all ospedale Gervasutta di Udine e all ospedale triestino (con gli infermieri dell équipe). Il personale del distretto era disponibile 24 ore su 24, per eventuali consigli, emergenze o altre necessità. Tale disponibilità ha effettivamente comportato un carico di lavoro straordinario in più occasioni, in orario sia diurno che notturno, a cavallo tra il 2005 e il Il progetto individuale in seguito si è arricchito di altre attività finalizzate al reinserimento nella vita sociale e relazionale. Sono proprio queste attività ad aver ridato al giovane la voglia di rimettersi in gioco; di provare ad avere un lavoro ed osare a chiedere di andare a vivere da solo. Boris aveva manifestato il desiderio di poter uscire con gli amici anche a tarda sera, ma era frenato dal timore di non essere assistito correttamente. Necessita di assistenza nei passaggi posturali dalla carrozzina elettrica a quella manuale e da questa al sedile dell auto, nonché di una corretta gestione del catetere vescicale. L équipe ha addestrato alcuni suoi amici ed Ivan e Marino si sono resi disponibili in caso di bisogno tutto il giorno anche fuori orario di lavoro. La presenza dell infermiere si è effettivamente resa necessaria in alcuni episodi al suo rientro a casa, non essendo presente in quel momento il personale della cooperativa. In seguito Ivan attraverso internet, ha tentato di recuperare un telefonino Blue-tooth, ma la ricerca non ha dato i frutti sperati, non c è ancora sul mercato un apparecchio idoneo; inoltre ha contattato varie 12 Le spese del budget di cura di Boris ammontano annualmente a euro e sono equamente sostenute dalla nostra Azienda e dal Comune.

10 concessionarie automobilistiche per trovare un automezzo adeguato. Alla fine gli infermieri hanno accompagnato Boris ad una concessionaria che ha effettuato gli adattamenti di un furgone per l acquisto del quale ha chiesto e ottenuto l agevolazione finanziaria. Boris è appassionato di disegno a mano libera, già al Gervasutta aveva iniziato, sotto la guida della terapista occupazionale, a sperimentare la pittura con la bocca utilizzando dei pennelli ancorati ad un boccaglio. Ma non aveva dato seguito a questa esperienza poiché non ne vedeva una ricaduta pratica e perché le sue preoccupazioni erano rivolte prevalentemente al rientro a domicilio. Ivan lo ha messo in contatto con la Associazione Internazionale degli Artisti che Dipingono con la Bocca o con il Piede (VDMFK) per trovare uno sbocco pratico ed utile a questa sua passione. L associazione è presente in quarantatre Paesi con partner editori, acquista i diritti d autore delle riproduzioni delle opere e le distribuisce sotto forma di stampe, cartoline e calendari e promuovendo la vendita degli originali attraverso l organizzazione di mostre internazionali. Boris, seppur scettico inizialmente, ha accettato di utilizzare l attrezzatura procuratagli da Ivan: un boccaglio adatto ad ancorarci i pennelli e ad essere tenuto in bocca per lungo tempo 13 ed un tavolo regolabile in altezza per permettergli di infilarsi sotto con la carrozzina. Così sono iniziate le prime prove di pittura con la bocca. Nel contempo Ivan ha contattato la SPAM S.R.L. casa editrice referente per la VDMFK in Italia, alla quale il 7 febbraio 2006 ha portato in visione a Verona alcuni lavori di Boris. Durante l incontro si è prospettata la possibilità che Boris entrasse a far parte dell associazione come borsista ed in quell occasione è stato fissato un incontro con il presidente della VDMFK, Eros Bonamini a casa di Boris il 30 aprile Nell attesa di tale incontro si è deciso di investire sul miglioramento della tecnica pittorica e le assistenti della cooperativa si sono rese disponibili ad assisterlo nella pittura durante le due ore pomeridiane di assistenza. Ma Ivan, non ha pace, il 12 aprile 2006 incontra Giorgio Cisco, socio fondatore della United Nations of the Arts Academy (UNA), un associazione triestina no-profit, per sondare la disponibilità ad intraprendere con Boris un breve percorso, a titolo gratuito, di insegnamento delle arti grafiche e della storia dell arte. Il 20 aprile 2006, dopo aver conosciuto Boris, Giorgio Cisco si è dimostrato entusiasta all idea di poterlo seguire in un percorso di crescita artistica, rendendosi disponibile ad effettuare una decina di lezioni gratuite con cadenza settimanale e sono iniziate il mese successivo con reciproca soddisfazione. Il 30 aprile 2006 Boris ha incontrato il presidente della VDMFK, disabile anch egli, ricevendone un ottima impressione e la conferma della possibilità di usufruire di una borsa triennale messa a disposizione dall associazione per i nuovi iscritti. Boris ha comunque voluto prendersi del tempo per decidere, preoccupato di trasformare una passione in un lavoro. Dal 25 al 31 Agosto 2006 Boris ha preso parte al 6 Simposio Internazionale d Arte Figurativa Socrate Stavropulos 2006, organizzato dall UNA e tenutosi a Trieste. L iniziativa ha visto la partecipazione di artisti triestini e sloveni che hanno dato vita ad un opera collettiva dal titolo Una Comune Casa Europea, presentata al pubblico ed alla stampa presso la Camera di Commercio di Trieste, dove è rimasta esposta per circa tre settimane. Per garantire la partecipazione di Boris all evento, Ivan, con l aiuto di Marino, ha effettuato un sopralluogo della struttura che ospitava il simposio. Avendo trovato barriere architettoniche che avrebbero impedito 13 Beccuccio di un Camel-Pack.

11 l accesso alla carrozzina ha contattato il titolare di una ditta di apparecchiature montascale, che si è offerto di fornire un Jolly a titolo gratuito per l intera settimana. Il Comune di Muggia ha messo a disposizione il furgone attrezzato e l autista per portarlo e riaccompagnarlo a casa nelle giornate del simposio. Gli infermieri hanno garantito una presenza costante al rientro a domicilio per aiutarlo nei trasferimenti carrozzina manuale- carrozzina elettrica. Ivan e Marino si sono alternati al simposio per gestire eventuali emergenze (fortunatamente non verificatesi). Stimolato dall esperienza, Boris ha partecipato il 3 settembre 2006 ad una mostra d arte di un artista slovena conosciuta al simposio. Per tale evento è stato organizzato il trasporto oltre confine con il mezzo e il personale del Comune. Da dicembre 2006 ha l aiuto di due giovani del Servizio Civile per l attività di pittura per alcune ore, tre giorni a settimana. Alla fine ha deciso di iscriversi all associazione VDMFK ricevendo così una borsa triennale di 1500 euro al mese. In qualità di artista, ha partecipato alla Mostra Artisti Muggesani, tenutasi dal 23 giugno al 7 luglio 2007 al Centro Culturale del Comune di Muggia. Ma non c è solo la pittura: il 16 settembre 2006 Ivan lo ha accompagnato, assieme ad un suo amico, all Arena di Verona, al concerto dei Pearl Jam di cui è un fan accanito. Il 3 ottobre 2006 Boris ha preso parte al Tim Progetto Italia lo Spirito di Stella effettuando un uscita in barca a vela su un catamarano privo di barriere architettoniche. L occasione ha visto la partecipazione dei fisioterapisti, degli infermieri e del Direttore del Distretto. Boris aveva già iniziato ad usare il personal computer durante il ricovero ospedaliero, tramite sistema tracker-pro (a raggi infrarossi) con comando sulla carrozzina elettrica. Per permettergli di utilizzarlo anche a casa, Ivan ha fatto acquistare e montare, un idoneo tavolo da computer, che tenesse conto degli spazi stretti di manovra nella stanza e della necessità di infilarsi sotto il tavolo con la carrozzina e non essere distante dallo schermo. Cosicché il personale d assistenza ed i giovani del servizio civile lo affiancano quando lo utilizza per ricerche internet. Boris in seguito ha manifestato il desiderio di andare a vivere da solo. La richiesta è stata subito accolta dall équipe che ne ha valutato la fattibilità. Si è prospettata la necessità di reperire un abitazione: nel Comune di Muggia per consentirgli di mantenere i legami affettivi e sociali; vicina ai servizi socio sanitari per assicurargli risposte veloci in caso di necessità; priva di barriere architettoniche interne ed esterne e con spazi adeguati alle necessità di mobilità autonoma e d assistenza; con una stanza ampia che possa ospitare l operatore di supporto necessario ad assicurargli l assistenza sociale nell arco delle 24 ore. Unica via percorribile è sembrata quella di rivolgersi all ente che gestisce gli alloggi popolari (ATER). La collega Carmen Roll, ha ottenuto dall ente l elenco completo degli alloggi del Comune di Muggia. Un giovane del servizio civile ha effettuato un sopralluogo esterno degli alloggi in elenco, per evidenziare la presenza di barriere architettoniche e l idoneità della zona circostante. I dati raccolti sono poi stati condivisi con le assistenti sociali del Comune conoscitrici delle realtà abitative locali. Si sono così identificati alcuni stabili che gli garantirebbero una buona accessibilità e fruibilità. Oggi è in corso la trattativa tra la nostra Azienda, il Comune di Muggia e l A.T.E.R. per acquisire l alloggio individuato.

12 Il nido terapeutico per i nostri piccoli malati Non è stato semplice convincere infermieri e assistenti sanitari, abituati a lavorare nella sicurezza di un ambulatorio e fuori da quella che è l assistenza diretta, a rimettersi in gioco e a realizzare l assistenza specialistica e coinvolgente ai piccoli malati a domicilio. Così racconta Lorena Castellani 14 la storia di un servizio che è riuscito ad integrare l attività di prevenzione e la presa in carico, immaginando che il bambino, quando si ammala, deve restare in carico al servizio che lo conosce e non già delegato ad altri. Nel 2002 è partito il progetto ed abbiamo iniziato a collaborare con il reparto di emato-oncologia del IRCCS Burlo Garofolo. Dopo la stesura del protocollo d intesa con la nostra Azienda, gli infermieri delle unità operative Bambini e Adolescenti dei quattro Distretti hanno effettuato uno stage di addestramentoformazione presso il reparto. Ciò ha consentito una conoscenza reciproca che si è rivelata preziosissima per facilitare i rapporti tra ospedale e territorio. Il primo caso che il mio servizio ha avuto in carico era una bambina che all epoca aveva poco più di due anni, quando l abbiamo conosciuta era molto impaurita, la chemioterapia l aveva privata anche delle ciglia così che i suoi occhi sembravano ancora più grandi. Inizialmente ci guardava con sospetto, eravamo in due bardate con camice, mascherina e cuffia: ci presentavamo nella sua stanza la mattina presto a fare il prelievo e la medicazione, pratiche purtroppo per lei normali in ospedale ma anomale in casa sua. Andavamo a trovarla due tre volte a settimana a seconda del programma concordato con lo specialista che la seguiva e in base ai risultati degli esami che aspettavamo con ansia. Pian pianino si è abituata alla nostra presenza tanto che ci aspettava contenta di mostrarci l ultimo giocattolo o il disegno appena finito e noi gratificate facevamo le pagliacce pur di conquistarla e di farla ridere; poi più avanti, era diventato un rito irrinunciabile salutarci dalla finestra in braccio alla sua mamma. Solo in seguito ho realizzato che finalmente, dalla finestra, ci vedeva in faccia come eravamo, senza mascherina e turbante e una volta di più mi stupì di quanto fantastici siano i bambini. Non posso però dimenticare la capacità ammirevole di questi genitori nel reagire e nel saper gestire in modo invidiabile quella che era una tragedia. Oggi è una bambina con dei bellissimi boccoli biondi, un caratterino tutto pepe che allegra e spensierata gioca con la sua sorellina, ignara per fortuna di quanto abbiamo tenuto il fiato sospeso fino al giorno in cui la sua mamma ci ha comunicato che l incubo era finito. Ricordo ancora con commozione quel momento liberatorio dove nessuna di noi è riuscita a non farsi scappare una lacrima. Poi è arrivato un bambino di nove anni, sicuramente più collaborante nell'espletamento delle attività tecnico assistenziali, ma molto più impegnativo sul piano psicologico perché consapevole della gravità della sua malattia, ricettivo e attento agli umori e agli atteggiamenti di chi gli stava intorno. Come da protocollo inizialmente ci siamo recate in reparto per conoscere lui ed i suoi genitori. Siamo state immediatamente colpite dalla particolarità dell esagerata compostezza mantenuta dalla madre, anche in seguito durante le nostre visite a casa ci appariva sempre fredda, distaccata a volte avevamo la sensazione che fosse incapace di reagire alla situazione, che delegasse volutamente tutto al marito più attivo, sempre controllato e presente. E qui che il lavoro diventa più complicato perché quando entri in una casa ti guardi attorno e percepisci tutte le sfumature di quella realtà. Relazioni con i piccoli ma anche con gli adulti che prima ti studiano, ti valutano 14 Responsabile infermieristica del servizio Bambini e Adolescenti del Distretto 1.

13 professionalmente e umanamente e poi se riesci ad instaurare una relazione positiva ti parlano, ti raccontano, diventi un punto di riferimento e tu non ti soffermi solo sul caso clinico, guardi oltre, instauri delicati rapporti di fiducia, involontariamente cogli le dinamiche familiari. Ci è voluto un bel po per far sciogliere quella donna pietrificata dal dolore e terrorizzata di essere giudicata inadeguata davanti ad un problema più grande di lei. Ogni mattina alla fine del nostro intervento trovavamo sul tavolo due tazzine di caffè, era il suo modo di cercare un contatto, di ringraziarci. Quel semplice rito ha consentito brevi attimi durante i quali abbiamo instaurato un dialogo, prima riempito di convenevoli poi la signora ha imparato a conoscerci, a fidarsi di noi ed è riuscita ad esternare i suoi pensieri, le sue insicurezze, le sue paure, sempre attenta a non farsi sentire dal bambino. Con il passare del tempo l abbiamo vista più attiva e reattiva, fiduciosa delle sue capacità, era il nostro piccolo successo. Il papà più forte, determinato e sempre presente, passa a salutarci ancora oggi e collabora attivamente con l'associazione dei genitori dei bambini leucemici. Con la Prima Comunione ed i confetti è arrivata anche la splendida notizia della remissione della malattia. E' stata poi la volta di un bambino di sei anni. Prima di lui è arrivato il suo papà agitato e sconfortato dopo aver ricevuto la notizia della diagnosi, era disperato e confuso e non sapeva a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Non abbiamo mai capito per quali vie sia arrivato a noi, non era importante saperlo, ma averlo lì con noi. E accaduto che l ospedale in quel momento fosse sprovvisto di un'assistente sociale incaricato di indirizzare ed accompagnare questi genitori nel lungo e burocratico percorso per chiedere le facilitazioni ed i riconoscimenti fiscali, sociali e scolastici. Ricordo benissimo quella mattina, quando si è affacciato titubane alla porta del nostro servizio. Ha esordito con una frase che non dimenticherò mai: a mio figlio è stata diagnosticata una leucemia cosa devo fare?. Non ti capita tutti i giorni una domanda del genere men che meno in questo modo; lo abbiamo immediatamente accolto per capire quello che stava succedendo. Durante il colloquio la psicologa è riuscita a dargli un primo sostegno. In seguito lo abbiamo accompagnato nelle varie fasi amministrative, grazie a questa presa in carico multiprofessionale siamo riusciti a diventare un punto di riferimento e l aggancio è andato immediatamente a buon fine. Lo stesso giorno abbiamo preso contatto con la caposala ed il medico del reparto di emato-oncologia; ci siamo informate sullo stato effettivo della malattia e sulla tempistica necessaria per arrivare alla dimissione e alla presa in carico. Prenderlo in carico non è stato semplice né da un punto di vista clinico né da quello familiare. La madre per stare accanto al bambino ha dovuto chiudere un attività in proprio. Quando si è ammalato frequentava la prima elementare, durante questi mesi, con l aiuto dei suoi genitori ed il sostegno delle maestre, ha eseguito i compiti con diligenza ed ha mantenuto i contatti con i compagni di scuola. In tutta la casa sono appesi i suoi disegni e con orgoglio, quando arriviamo, ci mostra i lavoretti che costruisce assieme al papà. Nel frattempo le terapie hanno dato inevitabilmente i loro effetti collaterali, il cortisone in dosi massicce oltre a modificare i lineamenti del suo volto ha creato uno squilibrio tale da dar luogo ad un diabete insulino dipendente per fortuna ora compensato. Dopo l ultimo ciclo lo abbiamo trovato più stanco, svogliato quasi rassegnato alla ripresa di queste nostre visite; abbiamo notato l automatismo dei gesti che si compiono in ospedale: dritto disteso nel letto, maglietta del pigiama sollevata, pronto per la medicazione o il prelievo. Per sviarlo da questa routine ogni volta

14 cerchiamo di inventare qualcosa di diverso per rubargli un sorriso, sappiamo che la strada è ancora lunga ed in salita ci sono ancora altri cicli di chemioterapia da affrontare, ma i medici comunque sono fiduciosi. Oggi in emato-oncologia abbiamo incontrato un altro bambino con la sua mamma ed un altro in clinica pediatrica: sempre più spesso veniamo chiamati per la continuità assistenziale e la presa in carico anche da altri reparti come ad esempio la neonatologia, la neuropsichiatria. L assistenza domiciliare per i bambini per fortuna non ha una grande casistica, ciò non di meno richiede notevoli energie ed una presa in carico molto impegnativa. i Rotelli F., Direttore Generale dell A.S.S. n.1 Triestina, Nodi documento del 10 novembre 2004.

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