Capitolo 2 Il punto di partenza: la dichiarazione di fallimento

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1 Edizioni Simone - Vol. 9/1 Compendio di diritto fallimentare Parte prima La principale procedura concorsuale Capitolo 2 Il punto di partenza: la dichiarazione di fallimento Sommario 1. L iniziativa per la dichiarazione di fallimento Il tribunale competente L audizione obbligatoria del debitore L istruttoria Il provvedimento che respinge l istanza di fallimento Accoglimento dell istanza: la sentenza dichiarativa del fallimento Impugnazione della dichiarazione di fallimento La revoca del fallimento. 1. L iniziativa per la dichiarazione di fallimento A norma dell art. 6 L.F. «il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero». Da ciò si deduce che l iniziativa per la dichiarazione di fallimento può partire da soggetti diversi ed ha forma e natura giuridica differenti a seconda del soggetto da cui proviene (richiesta o ricorso). La riforma del 2006 ha soppresso la dichiarazione di fallimento d ufficio ed ha previsto, nell ultimo comma dell art. 6 L.F., che nel ricorso presentato dal creditore l istante possa indicare il recapito telefax o l indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla legge. Esaminiamo le singole ipotesi, ricordando che l istanza dei creditori costituisce l ipotesi più comune. A) Ricorso di uno o più creditori Qualsiasi creditore dell imprenditore, sia chirografario che privilegiato, anche se non munito di titolo esecutivo ed anche se vanta un credito che non è ancora scaduto, può presentare ricorso al tribunale perché venga dichiarato il fallimento dell imprenditore. Il ricorrente è tenuto a fornire, sia pure in forma sommaria, la prova del suo credito. Va tuttavia rilevato, in merito, che non è necessario che il credito vantato sia di natura commerciale nè che la prova sia rigorosa, anzi l eventuale insufficienza o la mancanza di tale prova non giustificano di per sé il rigetto dell istanza: infatti il tribunale è sempre tenuto a svolgere indagini al riguardo.

2 34 Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento Giurisprudenza Se il tribunale accerta che il ricorrente non è titolare di un credito nei confronti del debitore, deve pronunciare l inammissibilità del ricorso per mancanza di legittimazione, senza alcuna possibilità di ulteriore esercizio della giurisdizione (Cass., 11 febbraio 2011, n. 3472). Inoltre, è stato affermato dalla Suprema Corte che perseguendo un «interesse privatistico e particolaristico», il creditore può sempre rinunciare al ricorso. Parte della dottrina, peraltro, ha precisato che, in tal caso, la rinuncia non impedisce la successiva riproposizione della domanda, né l accoglimento della richiesta di altro legittimato. Dato che chi propone un ricorso per la dichiarazione di fallimento può rinunciarvi in ogni momento, in questo caso secondo la Suprema Corte il tribunale deve dichiarare estinta la procedura, non potendo effettuare autonomi accertamenti né dichiarare il fallimento d ufficio, essendo questo potere venuto meno (Cass., 26 febbraio 2009, n. 4632). B) Richiesta dello stesso debitore Anche il debitore può chiedere il proprio fallimento. Questi è tenuto, insieme alla richiesta di fallimento, a presentare le scritture contabili e fiscali obbligatorie relative alla gestione dei tre esercizi precedenti (o dell intera esistenza dell impresa se questa ha avuto una durata inferiore), lo stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività, l elenco nominativo dei creditori con l indicazione dei rispettivi crediti, l indicazione dei ricavi lordi per ciascuno degli ultimi tre anni, l elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto (art. 14 L.F.). In ogni caso il tribunale deve accertare la obiettiva esistenza dello stato di insolvenza, che non è surrogabile dalla sola dichiarazione del debitore, anche avvalendosi di altre fonti e, eventualmente, delle deposizioni rese, in sede di interrogatorio, dagli stessi creditori. È, infatti, innanzitutto sulla base di questi elementi che il tribunale accerterà direttamente l eventuale stato di insolvenza. C) Istanza del P.M. Anche il P.M. può presentare richiesta di fallimento. Per molteplici ragioni, comunque, il P.M. nella pratica fa un uso assai scarso di tale sua facoltà. Il P.M. deve proporre istanza di fallimento se l insolvenza risulti nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dall irreperibilità o dalla latitanza dell imprenditore, dalla chiusura dei locali dell impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell attivo; oppure qualora nel corso di un qualsiasi procedimento civile l insolvenza sia rilevata dal giudice che ne dia segnalazione al P.M. (art. 7 L.F.). Nelle ipotesi anzidette, pertanto, la legge stabilisce un vero e proprio obbligo del P.M. di domandare la dichiarazione di fallimento. Nella disciplina anteriore alla riforma del 2006 era prevista la dichiarazione di fallimento d ufficio: l abrogato art. 8 L.F. disciplinava l ipotesi dell insolvenza risultante nel corso del giudizio civile, stabilendo l obbligo del giudice di riferire al tribunale competente per la dichiarazione di fallimento. La riforma ha quindi sostituito l intervento d ufficio del giudice con l affidamento al P.M. del potere di dar corso all istanza di fallimento su segnalazione qualificata proveniente dal giudice.

3 Capitolo 2 Il punto di partenza: la dichiarazione di fallimento 35 D) La soppressa dichiarazione d ufficio La riforma del 2006 ha soppresso la dichiarazione di fallimento d ufficio del giudice. La soppressione risolve, dopo lunghe dispute e ripetuti interventi della Corte Costituzionale, ogni contrasto di tale previsione con il principio del giusto processo sancito dall art. 111 della Costituzione. A partire dal 16 luglio 2006, dunque, il fallimento può essere richiesto solo dal debitore, dai creditori e dal P.M. Tuttavia, il giudice ha il dovere di segnalare al P.M. l insolvenza eventualmente rilevata nel corso di un giudizio civile in cui l imprenditore sia parte, affinché il P.M. possa richiedere il fallimento. 2. Il tribunale competente Competente alla dichiarazione di fallimento è il tribunale del luogo ove l imprenditore ha la sede principale dell impresa (art. 9 L.F.): trattasi di competenza funzionale e, perciò, inderogabile. In concreto Per sede principale dell impresa si intende il luogo ove l imprenditore ha posto il centro dei propri affari ed interessi e cioè la località dalla quale l attività è diretta: tale località non deve necessariamente coincidere con il luogo in cui si trova l azienda o lo stabilimento, essendo rilevante soltanto il luogo da cui provengono le direttive per l attività dell impresa, in cui cioè l imprenditore svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa, trattando gli affari inerenti all impresa, raccogliendo, coordinando ed organizzando i diversi fattori della produzione. Per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, la sede effettiva si presume coincidente, ai fini della norma in commento, con la sede legale a meno che non emergano prove univoche tali da smentire la presunzione suddetta: in tal caso, ai fini della determinazione della competenza territoriale, si ha riguardo alla sede effettiva dell impresa, cioè a quella ove l impresa è stata di fatto esercitata, anche se non coincidente con quella dichiarata, nel caso di impresa individuale, o con quella statutaria, nel caso di impresa collettiva. A) Il trasferimento della sede dell impresa Ai fini della competenza territoriale a decidere sul fallimento, la sede principale o effettiva dell impresa deve essere individuata alla data di presentazione (deposito in cancelleria) dell istanza di fallimento, ovvero, in caso di richiesta da parte del P.M., alla data del provvedimento con cui si dispone la comparizione del debitore in camera di consiglio, con la conseguenza che in base al principio della perpetuatio iurisdictionis diviene irrilevante ogni successivo spostamento di sede. La riforma del 2006 ha precisato, al 2 comma dell art. 9 L.F., che «il trasferimento della sede intervenuto nell anno antecedente all esercizio dell iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza». In questo modo, è stato sancito normativamente il principio, già affermato più volte dalla Cassazione, dell ir-

4 36 Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento rilevanza del cambiamento della sede effettuato dall imprenditore nell imminenza della dichiarazione di fallimento, rimanendo radicata la competenza territoriale del tribunale della sede di provenienza. Il significato di tale formulazione va rinvenuto nella creazione, da parte del legislatore, di una sorta di presunzione di fraudolenza del trasferimento operato nell anno anteriore al deposito dell istanza di fallimento. Giurisprudenza La Corte di Cassazione ha ritenuto che la ratio dell art. 9 L.F. non consente di applicare sic et simpliciter il principio dell irrilevanza di ogni decisione societaria che comunque comporti uno spostamento della sede, e quindi anche degli atti di fusione o di incorporazione, in quanto in tali casi la modifica della sede non costituisce normalmente la finalità dell operazione, ma la conseguenza necessitata ed eventuale di scelte economiche discrezionali. Tuttavia, se l esclusione dall ambito di operatività dell art. 9 L.F. degli atti societari che hanno come effetto indiretto lo spostamento della sede si giustifica con il carattere eccezionale della norma e con la necessità di dare prevalenza allo scopo effettivo degli atti stessi, la disposizione è invece pienamente applicabile quando la fusione o l incorporazione mascherino, in realtà, la volontà di eludere la disposizione stessa (quindi la volontà di allontanare l impresa dal luogo in cui aveva operato nel periodo precedente il giudizio sull insolvenza). In tal caso non può parlarsi di trasferimento come effetto secondario della fusione, ma come atto autonomamente rilevante ai fini del giudizio sulla competenza, che resta radicata dove era la sede principale nell anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, senza che possa essere dato rilievo all eventuale effettivo spostamento come conseguenza dell incorporazione (Cass., 1 aprile 2010, n. 8056). Lo stesso principio (irrilevanza del cambiamento di sede) vale nel caso in cui l imprenditore abbia trasferito all estero la sede dopo il deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento da parte dei creditori o del debitore (ai sensi dell art. 6 L.F.) o dopo la presentazione della richiesta da parte del pubblico ministero (ex art. 7 L.F.): il trasferimento non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana (art. 9, ult. comma, L.F.). Giurisprudenza In proposito la Suprema Corte ha sostenuto che il trasferimento della sede all estero esclude la giurisdizione italiana se è avvenuto prima del deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento ad opera dei creditori o prima della presentazione della richiesta da parte del P.M., a meno che non sia provata la fittizietà del mutamento della sede o, comunque, la non decorrenza di almeno un anno dalla cancellazione della società in Italia (Cass., 13 ottobre 2008, n ; Cass., 9 febbraio 2009, n. 3057). Il trasferimento si presume fittizio, ad esempio, se non è accompagnato da alcun reale trasferimento di attività imprenditoriale, se l istanza di fallimento riguarda crediti scaduti prima del momento del trasferimento, se l attività imprenditoriale è cessata contestualmente al trasferimento oppure ancora se l ubicazione della nuova sede è presso una mera casella postale e, infine, nel caso in cui la società con sede in Italia trasferisca la propria sede legale in Spagna nell imminenza della presentazione dell istanza di fallimento, se la situazione d insolvenza era gà ampiamente in atto, senza che tale trasferimento trovi riscontro nell iscrizione nel registro delle imprese dello Stato estero (Cass., Sez. Un., 18 maggio 2009, n ).

5 Capitolo 2 Il punto di partenza: la dichiarazione di fallimento 37 B) Il fallimento pronunciato dal tribunale incompetente per territorio Prima dell intervento della riforma del 2006 molto discusso era il problema della validità ed efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento emessa da tribunale incompetente. La maggioranza della dottrina tradizionale e la giurisprudenza, partendo dal principio che la competenza territoriale è in questo caso funzionale, e perciò inderogabile, aveva ritenuto nulla una sentenza siffatta. La riforma è intervenuta sul problema con l art. 9bis L.F., stabilendo che se il tribunale che ha pronunciato il fallimento si dichiara incompetente (o se sia dichiarato incompetente da altra autorità giudiziaria) deve disporre con decreto l immediata trasmissione degli atti al tribunale dichiarato competente. Quest ultimo, entro 20 giorni dal ricevimento degli atti, se non richiede d ufficio il regolamento di competenza ai sensi dell art. 45 c.p.c., poiché reputa di essere incompetente, dispone la prosecuzione della procedura fallimentare, provvedendo alla nomina del nuovo giudice delegato e del curatore (potendo anche confermare il precedente curatore). Gli effetti degli atti precedentemente compiuti restano salvi. Giurisprudenza In riferimento al principio introdotto dalla norma in esame, per cui non è rilevante che il fallimento sia stato dichiarato da un tribunale o da un altro ma solo che questo sia stato dichiarato in modo corretto, ossia in presenza di tutti i presupposti sostanziali di legge, la Corte di Cassazione ha ribadito che nel caso in cui ad una prima dichiarazione di fallimento da parte di tribunale incompetente segua una seconda dichiarazione da parte di altro tribunale indicato come competente dalla Corte di Cassazione, ad essere invalidati sono solo gli effetti della regolazione della prima pronuncia, mentre rimangono fermi, benché ribaditi dalla seconda pronuncia, gli effetti di accertamento dei presupposti oggettivi e soggettivi accertati dalla prima e ciò in virtù del principio dell unitarietà della procedura concorsuale e della stabilità degli effetti dell accertamento della sentenza di fallimento anche ai fini dell esercizio dell azione revocatoria (Cass., 28 maggio 2008, n ). I giudizi promossi ai sensi dell art. 24 L.F. dinanzi al tribunale dichiarato incompetente possono essere riassunti davanti al giudice competente, ai sensi dell art. 50 c.p.c., e a tal fine il giudice incompetente assegnerà alle parti un termine per la riassunzione del giudizio e ordinerà la cancellazione della causa dal ruolo (art. 9bis, ult. comma, L.F.). Si precisa, inoltre, che il decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007) ha modificato il primo comma dell art. 9bis L.F., sostituendo il termine sentenza con quello di provvedimento, in quanto si è rilevato come l incompetenza territoriale possa essere dichiarata non soltanto con atti aventi forma di sentenza, ma anche con atti diversi come nel caso di una decisione sulla competenza emessa al termine dell istruttoria fallimentare. C) Conflitti di competenza Nel caso in cui si manifesti un conflitto positivo di competenza, vale a dire qualora il fallimento della stessa persona fisica sia stato dichiarato da più tribunali (imprenditore individuale titolare di più imprese con sedi diverse; socio illimitatamente re-

6 38 Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento sponsabile di due società fallite; imprenditore individuale socio illimitatamente responsabile di società fallita), la riforma del 2006 ha previsto, all art. 9ter L.F., che il procedimento prosegua avanti al tribunale competente che si è pronunciato per primo. Di conseguenza, il tribunale che ha dichiarato per secondo il fallimento dispone la trasmissione degli atti a quello che si è pronunciato per primo. Si applica, in quanto compatibile, l art. 9bis L.F.: tale richiamo fa sì che restino salvi gli effetti degli atti compiuti dal tribunale che abbia trasmesso gli atti all altro tribunale. 3. L audizione obbligatoria del debitore L art. 15 L.F., completamente riscritto dal decreto di riforma e successivamente modificato dal decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007), regolamenta il procedimento per la dichiarazione di fallimento che si svolge davanti al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. Il legislatore del 2006 ha in primo luogo stabilito l obbligo della previa convocazione dell imprenditore fallendo (nonché dei soci illimitatamente responsabili cui si estende il fallimento della società di persone), in modo da garantirgli il diritto alla difesa ed al fine di consentire il pieno contraddittorio tra le parti. Il debitore ed i creditori istanti devono quindi essere convocati avanti al tribunale, con decreto apposto in calce al ricorso per la dichiarazione di fallimento, sottoscritto dal presidente del tribunale o dal giudice relatore se la trattazione del procedimento è stata a lui delegata e notificato a cura della parte; per assicurare al debitore congrui termini di difesa, in accordo con le esigenze di speditezza e di celerità del procedimento, è disposto che tra la data della notifica e quella dell udienza debba intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni (il decreto correttivo ha soppresso la loro precedente qualifica di «giorni liberi»). Giurisprudenza Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che il termine di 15 giorni per la notificazione del decreto di convocazione dell udienza per la dichiarazione di fallimento, apposto in calce al ricorso, è dilatorio e «a decorrenza successiva», e, quindi, va computato secondo il criterio di cui all art. 155, comma 1, c.p.c., escludendo il giorno iniziale (data della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione) e conteggiando quello finale (data dell udienza di comparizione). I giudici di legittimità hanno motivato la pronuncia facendo presente che l attuale stesura del comma 3 dell art. 15 L.F. non presenta l aggettivo «liberi» davanti al numero dei giorni fissati per il termine, e, quindi, vale il principio del dies a quo non computatur in termino (Cass., sez.un., 1 febbraio 2012, n. 1418). Il decreto di convocazione deve contenere l indicazione che il procedimento è volto all accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e deve fissare un termine, non inferiore a sette giorni prima dell udienza, per permettere al fallendo la presentazione di memorie ed il deposito di documenti e relazioni tecniche; egli deve in ogni caso depositare una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata nonché, come ha aggiunto il decreto correttivo, i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, ferma la possibilità per il tribunale di richiedere eventuali informazio-

7 Capitolo 2 Il punto di partenza: la dichiarazione di fallimento 39 ni urgenti. I termini possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. Per tali casi eccezionali, il decreto correttivo ha previsto che lo stesso presidente possa disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, vale a dire anche con forme diverse ed alternative di comunicazione, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi. È stata prevista, inoltre, la possibilità di esperire mezzi di prova anche di una certa complessità, nonché la possibilità di nominare consulenti tecnici. Prima della riforma del 2006, l art. 15 L.F. prevedeva solo la possibilità, attribuita al tribunale, di convocare e di sentire in camera di consiglio, prima della dichiarazione di fallimento, l imprenditore anche in confronto dei creditori istanti. Con sentenza 16 luglio 1970, n. 141, la Corte Costituzionale ne aveva dichiarato l illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedeva l obbligo del tribunale di disporre la comparizione dell imprenditore in camera di consiglio per l esercizio del diritto di difesa. Secondo la Corte, infatti, la norma censurata pregiudicava sostanzialmente il diritto di difesa del debitore, il quale era profondamente colpito nella sua sfera giuridica dalla futura sentenza dichiarativa di fallimento. La sentenza dichiarativa di fallimento pronunziata senza che sia stato assicurato il diritto di difesa del debitore, o del legale rappresentante della società debitrice, è nulla. La nullità in questione può essere fatta valere soltanto proponendo reclamo alla dichiarazione di fallimento (art. 18 L.F.), anche se non espressamente dedotta con l atto introduttivo del giudizio. In mancanza di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento, invece, la nullità viene sanata. 4. L istruttoria Iniziata la procedura in uno dei modi visti, il tribunale deve convocare il debitore in camera di consiglio e sentirlo, anche in confronto dei creditori istanti. L istruttoria prefallimentare si svolge avanti al tribunale in composizione collegiale, con le modalità del procedimento in camera di consiglio (art. 15 L.F.). Il tribunale può delegare al giudice relatore l audizione delle parti, ed, in tal caso, il giudice delegato provvede all ammissione ed all espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d ufficio (possibilità in pratica ammessa anche nella precedente disciplina, malgrado il silenzio della legge). Le parti possono nominare, oltre ad un difensore di fiducia, anche propri consulenti tecnici (novità introdotta dalla riforma). L intervento del P.M. è richiesto solo qualora egli abbia assunto l iniziativa per la dichiarazione di fallimento. Al procedimento non si applicano le regole relative alla sospensione, interruzione e all estinzione del giudizio (PICARDI). In primo luogo, deve essere accertata l esistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento. Spetta, pertanto, al tribunale valutare i requisiti necessari per poter qualificare il debitore stesso imprenditore commerciale assoggettabile a fallimento (presupposto soggettivo), nonché la verifica della sussistenza dello stato di insolvenza (presupposto oggettivo).

8 40 Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento La riforma del 2006 ha introdotto nella fase prefallimentare un importante novità: la possibilità per il tribunale di emettere, ad istanza di parte, provvedimenti cautelari e conservativi, a tutela del patrimonio o dell impresa. Tali provvedimenti hanno un efficacia limitata alla durata del procedimento, in quanto saranno confermati o revocati dalla sentenza dichiarativa di fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l istanza. Ricordiamo, infine, che l art. 15, ultimo comma, L.F. ha introdotto una barriera di non fallibilità, stabilendo che il fallimento non è dichiarabile se l ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a trentamila euro (importo elevato dal decreto correttivo in luogo dei precedenti venticinquemila euro). Tale cifra è aggiornabile a cadenza triennale con decreto del Ministro della giustizia sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo. All esito delle indagini, il tribunale può o respingere l istanza o accoglierla, dichiarando il fallimento. Esaminiamo tali due ipotesi. 5. Il provvedimento che respinge l istanza di fallimento Innanzitutto il tribunale, prima di accertare nel merito la esistenza dei presupposti, può ritenere, anche d ufficio, la propria incompetenza enunciandola con sentenza dichiarativa. In questo caso, il tribunale dichiaratosi incompetente dispone con decreto l immediata trasmissione degli atti a quello competente, secondo la stessa procedura determinata in caso di fallimento dichiarato dal tribunale incompetente (art. 9bis L.F.). Fuori dall ipotesi di incompetenza, il tribunale può rigettare nel merito il ricorso del creditore, con decreto motivato, quando ritenga l insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge (art. 22 L.F.). Il decreto di rigetto è impugnabile con reclamo alla Corte di appello, entro trenta giorni dalla sua comunicazione: con tale reclamo la Corte viene investita dell esame di merito del ricorso rigettato dal tribunale. Il termine di trenta giorni previsto per il reclamo contro il provvedimento di rigetto è stato così modificato dal decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007), per cui è applicabile ai soli procedimenti di dichiarazione di fallimento iniziati dopo il 1 gennaio 2008 o già pendenti a tale data. Il precedente termine era di quindici giorni. La riforma del 2006, recependo la precedente decisione della Corte Costituzionale (sentenza n. 328/1999), ha precisato che legittimato al reclamo è anche il debitore, qualora il tribunale, pur rigettando l istanza, non abbia accolto le domande di condanna, formulate dal debitore stesso, volte ad ottenere la rifusione delle spese ed il risarcimento del danno per responsabilità aggravata (ai sensi dell art. 96 c.p.c.). Il debitore, infatti, non può chiedere tali condanne in un separato giudizio.

9 Capitolo 2 Il punto di partenza: la dichiarazione di fallimento 41 La Corte di appello decide in camera di consiglio e la sua decisione, che assume la forma del decreto, può essere: di rigetto; di accoglimento, nel qual caso la Corte rimette di ufficio gli atti al tribunale, per la dichiarazione di fallimento, salvo che, su segnalazione di parte, accerti che sia venuto meno alcuno dei presupposti necessari (art. 22 L.F.). Il provvedimento della Corte di appello sia che respinga sia che accolga il reclamo proposto ex art. 22 L.F. non è suscettibile di ricorso per Cassazione. Le parti, ad ogni modo, non restano prive di tutela: infatti in caso di accoglimento del ricorso e rimessione degli atti al tribunale fallimentare il debitore potrà impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento ai sensi dell art. 18 L.F.; in caso, invece, di rigetto del ricorso con conferma della non procedibilità dell iniziativa atta a far dichiarare il fallimento, il creditore potrà comunque proporre una nuova istanza di fallimento, adducendo nuovi mezzi probatori. 6. Accoglimento dell istanza: la sentenza dichiarativa del fallimento Se il tribunale riscontra l esistenza dei presupposti previsti dalla legge, dichiara il fallimento con sentenza. La sentenza dichiarativa del fallimento ha contenuto complesso; essa infatti, oltre a dichiarare il fallimento del debitore, contiene: la nomina dei principali organi della procedura (giudice delegato e curatore); l ordine al fallito di depositare, entro tre giorni, bilancio e scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché l elenco dei creditori; la fissazione del luogo, del giorno e dell ora della prima udienza di verifica dei crediti (accertamento dello stato passivo), che deve avvenire entro 120 giorni dal deposito della sentenza. Sul punto è intervenuto il decreto correttivo il quale, al fine di consentire un più lungo termine per la fissazione dell adunanza per l esame dello stato passivo nei casi di procedure particolarmente complesse, e quindi con numerosi creditori, ha previsto che il termine possa essere di 180 giorni; l assegnazione ai creditori ed ai terzi che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito del termine perentorio di 30 giorni prima dell udienza di accertamento del passivo, per la presentazione delle domande di insinuazione allo stato passivo. Dottrina Discussa è la natura giuridica di tale sentenza. Per alcuni Autori (INVEA) si tratterebbe di un provvedimento di cognizione; per altri (DE SEMO, SATTA) di un accertamento costitutivo; per altri ancora (CALAMANDREI, CANDIAN) di un provvedimento cautelare, oppure di un provvedimento esecutivo (AZZOLINA). Alcuni autori sostengono, infine, che, per la molteplicità e diversità degli effetti che le sono ricollegati, la sentenza dichiarativa del fallimento non sarebbe riconducibile ad una

10 42 Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento definizione unitaria (FERRARA, BORGIOLI, ZOPPELLARI) potendosi invece riconoscerle una triplice natura: di accertamento, costitutiva, esecutiva (RIGHETTI). Attualmente sembra prevalere la tesi che la considera sentenza costitutiva (o di accertamento costitutivo) (PAJARDI - PALUCHOWSKY) in quanto, accertato lo stato di insolvenza, dà inizio alla procedura concorsuale e determina effetti di notevole importanza nella sfera giuridica del fallito, che comportano un vero e proprio mutamento della situazione preesistente (così TEDESCHI). Quanto alla pubblicità, dispone l art. 17 L.F. che la sentenza, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria: è notificata al debitore (per intero), su richiesta del cancelliere (ex art. 137 c.p.c.), eventualmente presso il domicilio eletto nel corso dell istruttoria prefallimentare; è comunicata per estratto, tramite biglietto di cancelleria o a mezzo telefax o posta elettronica (ex art. 136 c.p.c.), al P.M. (novità aggiunta dal decreto correttivo), al curatore ed al richiedente il fallimento, indicando i nomi del debitore e del curatore, il dispositivo e la data del deposito della sentenza; è annotata presso l ufficio del registro delle imprese ove l imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la procedura è stata aperta. A tal fine, il cancelliere trasmette l estratto della sentenza al registro delle imprese, anche per via telematica. La sentenza dichiarativa di fallimento viene ad esistenza dalla data della sua pubblicazione (momento che coincide con il deposito in cancelleria) e produce i suoi effetti tra le parti da tale momento, pur se diverso da quello della sua deliberazione; nei confronti dei terzi, invece, gli effetti si producono dalla data di iscrizione della stessa nel registro delle imprese. La sentenza è provvisoriamente esecutiva. Subito dopo la pubblicazione della sentenza (cioè dopo il deposito della stessa in cancelleria), è formato dal cancelliere un fascicolo, anche con modalità informatiche, nel quale devono essere contenuti tutti gli atti attinenti al procedimento, esclusi quelli che, per ragioni di riservatezza, devono essere custoditi separatamente. Possono consultare il fascicolo il comitato dei creditori e ciascun suo componente (senza alcuna limitazione), nonché il fallito (ad eccezione della relazione del curatore e dei documenti per i quali il giudice delegato ha stabilito la custodia separata). Gli altri creditori ed i terzi hanno diritto di prendere visione e di estrarre copia degli atti e dei documenti per i quali sussiste un loro specifico ed attuale interesse, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il curatore (art. 90 L.F.). 7. Impugnazione della dichiarazione di fallimento Contro la sentenza che dichiara il fallimento possono fare reclamo il debitore e «qualunque interessato» (art. 18 L.F.), cioè chiunque abbia interesse, non solo patrimoniale ma anche semplicemente morale, ad ottenere la revoca del fallimento (ad esempio, il coniuge del fallito, il suo erede e il curatore dell eredità giacente, un creditore che abbia interesse contrario al fallimento e tutti coloro che possono temere di essere colpiti da azioni revocatorie).

11 Capitolo 2 Il punto di partenza: la dichiarazione di fallimento 43 L art. 18 L.F., già sensibilmente toccato dalla riforma del 2006, è stato parzialmente modificato dal decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007). La formulazione contenuta nella riforma prevedeva infatti il procedimento dell appello per l impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Il correttivo, invece, in coerenza con il rito camerale, ha sostituito il precedente procedimento di appello con quello del «reclamo»: il rito camerale viene dunque adottato non solo per la decisione di primo grado, ma anche per la fase di gravame, in quanto mezzo tipico di impugnazione dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio. Il ricorso deve essere depositato entro 30 giorni presso la Corte d appello e non sospende gli effetti della sentenza impugnata (salvo quanto diremo in merito alla sospensione della liquidazione dell attivo). Il termine, che il decreto correttivo ha precisato essere «perentorio», decorre per il debitore dalla data della notifica della sentenza e, per tutti gli altri interessati, dall iscrizione nel registro delle imprese. Indipendentemente dalla notificazione, l appello non è più proponibile dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza (ex art. 327, 1 comma, c.p.c.). Il decreto correttivo ha altresì specificato il contenuto del ricorso, il quale deve comprendere l indicazione della Corte d appello competente, le generalità dell impugnante e l elezione del domicilio nel comune in cui ha sede la Corte, l esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l impugnazione con le relative conclusioni, nonché l indicazione dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente intende avvalersi. È stata inoltre prevista una più compiuta e precisa disciplina, applicabile alle dichiarazioni di fallimento aperte dopo il 1 gennaio 2008 o già pendenti a tale data. In particolare: il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso, fissa con decreto l udienza di comparizione, da tenersi entro sessanta giorni dal deposito stesso; il ricorso e il decreto devono essere quindi notificati dal reclamante al curatore e alle altre parti entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto. La notifica deve avvenire in modo che tra di essa e l udienza intercorra un termine di almeno trenta giorni, per garantire il diritto di difesa delle controparti; le parti resistenti devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell udienza, depositando una memoria contenente l esposizione delle difese in fatto e in diritto ed indicando i mezzi di prova ed i documenti prodotti; l intervento di qualunque interessato non può avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti e con le stesse modalità. All udienza il collegio, sentite le parti, assume, anche d ufficio, nel rispetto del contraddittorio, i mezzi di prova che ritiene necessari. La Corte d appello decide sul reclamo con sentenza, ricorribile in Cassazione entro il più breve termine di trenta giorni dalla sua notificazione. È stata invece esclusa la possibilità di utilizzare per la decisione il rito previsto dall art. 281sexies c.p.c. (trattazione orale della causa ed immediata pronuncia della sentenza), in quanto incompatibile con la struttura camerale del procedimento.

12 44 Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento Giurisprudenza In ordine alla impugnazione della sentenza della Corte d appello la Suprema Corte si è pronunciata affermando che nei procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore della riforma di cui al D.Lgs. 169/2007, al ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d appello, depositata successivamente al 1 gennaio 2008, data di entrata in vigore del predetto decreto, e resa sull appello proposto avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, si applica l art. 18, comma 14, del testo riformato, per cui il termine di trenta giorni per l impugnazione decorre dalla notificazione ovvero dalla comunicazione della sentenza impugnata (Cass., 19 novembre 2010, n ) La sentenza con cui si chiude il giudizio di appello può accogliere il ricorso, disponendo la revoca del fallimento. In tal caso la sentenza è notificata al curatore, al creditore che ha chiesto il fallimento e al debitore, e deve essere pubblicata, comunicata ed iscritta a norma dell art. 17 L.F. In alternativa, la Corte può rigettare il reclamo, confermando pertanto il fallimento; la decisione è, in questo caso, notificata al reclamante. La riforma del 2006, riscrivendo l art. 19 L.F., ha previsto ex novo la possibilità per la parte che propone l impugnazione o per il curatore di richiedere alla Corte la sospensione, in tutto o in parte, o anche solo temporaneamente, della liquidazione dell attivo eventualmente già iniziata. Il collegio può accogliere l istanza quando ricorrono gravi motivi, previa comparizione delle parti in camera di consiglio. Non è invece prevista, per cui non ammissibile, la sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza. 8. La revoca del fallimento Secondo la previsione dell art. 18 L.F., l accoglimento del ricorso con cui è stata impugnata la sentenza dichiarativa di fallimento comporta la «revoca» del fallimento stesso. Effetti della revoca della sentenza di fallimento A seguito della revoca della sentenza di fallimento: a) restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento; b) riacquistano la pienezza dei loro effetti quegli atti la cui inefficacia si sia automaticamente attuata con la dichiarazione di fallimento (artt. 64 e 65 L.F.) o sia stata giudizialmente dichiarata attraverso l esperimento della revocatoria fallimentare; c) permangono gli effetti degli atti di diritto sostanziale frattanto realizzatisi a favore dei terzi, come l interruzione o il compimento della prescrizione, ovvero il verificarsi dell usucapione; d) l «ex fallito» riacquista tutte le libertà personali e le capacità già limitatesi o perdute, ivi compresa la capacità processuale, per cui egli può esercitare in proprio le azioni a tutela del suo patrimonio, relative sia a rapporti che già gli appartenevano, sia a rapporti posti in essere dal curatore. I giudizi in cui era costituito il curatore, pertanto, devono interrompersi a norma dell art. 300 c.p.c., per essere poi eventualmente riassunti da o contro l «ex fallito»; mentre diventano improcedibili le azioni che trovano causa nel fallimento;

13 Capitolo 2 Il punto di partenza: la dichiarazione di fallimento 45 e) vengono eliminati tutti gli effetti negativi per i creditori (es.: la sospensione degli interessi dei loro crediti), in quanto non è più necessario realizzare gli scopi peculiari del concorso ed attuare la par condicio; f) le spese della procedura ed il compenso al curatore sono liquidati dal tribunale con decreto, su relazione del giudice delegato. Mentre la riforma del 2006 aveva espressamente escluso il reclamo del decreto di liquidazione, il decreto correttivo ne ha previsto la reclamabilità ai sensi dell art. 26 L.F.; g) le spese della procedura ed il compenso del curatore sono posti a carico del creditore istante, qualora questi sia stato condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa, mentre sono posti a carico del fallito persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa e adito alla dichiarazione di fallimento (art. 147, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115). Appare opportuno ricordare, infine, che mentre la revoca del fallimento di un socio non ha effetti sul fallimento della società, la revoca del fallimento sociale determina normalmente anche quella dei fallimenti personali dei soci illimitatamente responsabili, pure se solo alcuni di loro abbiano proposto impugnazione, salvo che la dichiarazione di fallimento sia stata emessa anche in relazione ad un attività imprenditoriale individuale del socio. Questionario 1. Cosa accade se il tribunale adito per il fallimento si dichiara incompetente? (par. 1) 2. Quali sono i soggetti a cui spetta l iniziativa per la dichiarazione di fallimento? (par. 2) 3. Cosa stabilisce l art. 15 L.F. in tema di audizione obbligatoria del fallito e qual è la differenza rispetto al previgente regime normativo? (par. 3) 4. Il decreto di rigetto dell istanza di fallimento è impugnabile? (par. 5) 5. Qual è il contenuto della sentenza dichiarativa di fallimento? (par. 6)

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