IL DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI DISTEMI DEL MONDO. (prof. Stefano Colli)

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1 IL DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI DISTEMI DEL MONDO (prof. Stefano Colli) Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo è probabilmente l opera più nota di Galileo e quella che gli procurò la condanna da parte del Sant Uffizio. L opera fu pubblicata nel 1632 e l astronomo pisano, sia nel proemio che nelle conclusioni, era stato estremamente cauto, nel senso che egli aveva sostenuto l ipoteticità dell eliocentrismo, come suggeritogli anni prima dal cardinal Bellarmino e come sostenuto dallo stesso Osiander nella prefazione (anonima) al De rivolutionibus di Copernico. Con questo Galileo intendeva restare fedele alla promessa fatta a papa Urbano VIII (l amico di lunga data cardinal Maffeo Barberini) nel 1624, allorché questi gli aveva concesso di scrivere un opera in cui si paragonassero i due sistemi in discussione, purché essi venissero presentati come ipotesi equidistanti, su cui cioè lo scienziato non dovesse prendere posizione. In realtà, Galileo non mostrò la stessa prudenza nel corso del dialogo, in cui la tesi copernicana espressa da Salviati non veniva affatto presentata in quanto ipotesi, ma come vera descrizione della struttura del cosmo, per la quale lo scienziato pisano propende in modo inequivocabile, adducendone chiara dimostrazione. L accusa rivolta a Galilei dal Sant Uffizio non era quella di aver fatto pubblicare il Dialogo, ma di essersi esposto troppo: i detrattori di Galileo convinsero il papa che dietro la figura di Simplicio, aristotelico legato alla tradizione e difensore del sistema tolemaico, ci fosse lui stesso, il pontefice in persona (confutato in modo netto da Salviati Galilei). Formalmente, tuttavia, l accusa si fondava su un altra motivazione: l opera sarebbe probabilmente stata stampata a Roma, preceduta da alcune osservazioni cautelative, mentre Galileo anticipò i tempi e la fece pubblicare a Firenze, estorcendo, a detta dell accusa, l imprimatur senza far presente alle autorità religiose che dovevano concederlo l esistenza del precetto (l ammonizione) del 1616, che vietava di insegnare e difendere la dottrina copernicana. Dunque, un accusa sostanziale e una di carattere formale. Veniamo agli argomenti del Dialogo, diviso in quattro giornate, dove Simplicio rappresenta come già accennato le ragioni del sistema tolemaico e Salviati quelle del sistema copernicano, mentre il patrizio veneziano Sagredo è il moderatore. Nella prima giornata, Salviati critica la distinzione aristotelica tra mondo celeste e mondo terrestre. L uso del telescopio da parte di Galileo ha portato alla scoperta delle macchie lunari e delle macchie solari: egli dimostrò che la superficie della luna non è liscia e levigata, come sostenuto dalla tradizione, ma scabra e rugosa. Anche le macchie solari sono fenomeni di alterazione e mutamento e dunque ciò smentisce la perfezione e incorruttibilità, non soggetta al divenire, affermata dai difensori del sistema tolemaico. In tale contesto, di rilievo è anche la distinzione tra l intelletto divino e quello umano. Tra i due intercorre un enorme differenza dal punto di vista dell estensione (extensive), in quanto Dio conosce tutte le infinite verità, mentre l uomo ne conosce solo alcune; viceversa dal punto di vista dell intensità (intensive) le verità matematiche sono conosciute altrettanto bene dall uomo che da Dio (che ha infuso nella natura i caratteri matematici che le sono propri). La seconda giornata è quella fondamentale, perché più gravida di conseguenze. Galilei vuole dimostrare la validità dell eliocentrismo. Si noti che l esperienza, come ricordato da Simplicio, sembrava dare ragione a Tolomeo e non a Copernico: ad occhio nudo, il sole sembra muoversi e non la terra; soprattutto, tirando un corpo in aria e facendolo cadere verso il basso, questo dovrebbe cadere spostato verso ovest, se la terra girasse ( essendo il suo moto antiorario) e invece lo stesso cade perpendicolarmente verso il basso (appunto perché la terra sta ferma). Invece, se gettiamo un sasso dalla cima dell albero di una nave 1

2 in movimento, esso non cade ai piedi dell albero, bensì verso poppa. Salviati (e con lui Galileo) risponde domandando a Simplicio se abbia mai fatto questo esperimento ed egli risponde di no. Allora, prendiamo in esame la situazione della nave: se consideriamo il sasso prima che venga lasciato cadere, esso viaggia per forza di cose alla stessa velocità della nave. Quando cade, tale velocità si conserva e con essa dunque il moto, per cui il sasso continuerà a seguire la nave e cadrà ai piedi dell albero, indipendentemente dalla velocità dell imbarcazione. Questo è il punto cruciale della nuova fisica: il ragionamento di Simplicio si fondava sulla concezione aristotelica del moto, in base alla quale ogni movimento presuppone un motore in atto, per cui il sasso, una volta lasciato cadere, non ha più alcun moto, a differenza della nave, proprio perché il moto appartiene al motore e viene meno non appena cessa la sua azione sul mobile (è sulla base di questo principio che Aristotele aveva sostenuto che la natura non si muove da sola ma necessita di un motore esterno che la muova). Invece, Galilei sostiene che il moto, una volta impresso, appartiene al corpo e si conserva finché non intervengano cause contrarie: ha scoperto il principio di inerzia o di conservazione del movimento. Pertanto, un corpo può essere considerato in moto o in quiete a seconda del sistema di riferimento adottato. Veniamo all applicazione di questa legge agli esempi esposti sopra. Simplicio è costretto a riconoscere che, qualora la terra si muovesse, il grave (nel nostro caso la pietra) tirato giù dalla torre avrebbe due tipi di moto: quello provocato dalla caduta dall alto verso il basso per effetto della gravità, per cui la pietra cade verticalmente verso il centro della terra; e quello per cui la pietra partecipa al movimento della torre, che si muove a sua volta con la terra. Il moto del grave è dunque composto di questi due movimenti, ed è misto di un moto rettilineo e circolare. Pertanto, la sua traiettoria sarà trasversale per effetto della composizione tra il moto di caduta verticale con quello di rotazione della terra. Ecco spiegato perché la pietra cade alla base della torre e non verso ovest (ma anzi impercettibilmente spostata verso est) anche nel caso in cui la terra si muova. Naturalmente, l osservatore (e questo vale anche per la pietra gettata dall albero di una nave) può vedere solo la componente verticale del moto, non quella dovuta al moto circolare della terra, che sfugge all osservazione sensibile, perché l osservatore stesso fa parte dello stesso sistema di riferimento (torre o nave) e non può accorgersi del moto comune a tutte le cose inerenti a quel sistema (in virtù appunto del principio di relatività del moto, che anticipa le scoperte di Einstein). L altro celebre esperimento che Galilei cita è quello del naviglio: appartatevi in una stanza posta sotto coperta di una nave in movimento e fate in modo di avere mosche, insetti di ogni genere, oltre a un vaso d acqua con dentro i pesci; sospendete in alto un secchiello, che versi gocce di acqua su un altro vaso dalla bocca stretta che sia posto in basso. Ebbene, sia che la nave si muova ad alta velocità (purché il moto sia rettilineo uniforme), sia che stia ferma, noi non noteremo la minima variazione nella nostra stanza: i pesci continueranno a muoversi nello stesso modo, le goccioline a cadere nel vaso inferiore e le farfalle a volare ugualmente. Ciò avviene, come visto sopra, proprio sulla base del principio della relatività del moto, per cui all interno di un sistema chiuso, senza cioè potersi riferire a qualcosa di esterno, un osservatore non può stabilire se il sistema stesso sia in quiete o in moto rettilineo uniforme, proprio perché tutte le parti del sistema partecipano del moto generale. Il punto di vista fondamentale della nuova fisica non sta in fantomatiche sostanze, in sostrati metafisici che costituiscono il fondamento degli eventi. Non conta ciò che sta sotto gli eventi e neanche gli eventi presi di per sé: conta ciò che accade tra gli eventi, ossia le relazioni che li riguardano. E le cause efficienti, cioè meccaniche, che ne determinano posizione nello spazio e nel tempo, figura, grandezza, numero. Una prospettiva che non sta né solo in terra o in cielo, ma che abbraccia l intero universo; un universo di relazioni matematiche e perciò misurabili. Ecco 2

3 le tre leggi fondamentali della nuova fisica: principio di inerzia (di cui però solo Cartesio darà una trattazione completa e generale), di composizione e di relatività del moto. Nella terza giornata, il tema è il moto di rivoluzione della terra intorno al sole: per dimostrarlo Galilei si riferisce alle osservazioni astronomiche degli anni precedenti, quali per esempio quelle sulle fasi di Venere: tale osservazione testimonia che la luce solare colpisce il pianeta con intensità diversa a seconda del moto di rivoluzione del pianeta stesso e dunque questo può essere applicato anche alla terra. Il sistema fondamentale di riferimento diviene dunque l universo. Il quarto libro si occupa del fenomeno delle maree, che secondo Galileo dimostrerebbe inconfutabilmente le sua tesi del moto della terra: tale fenomeno, infatti, sarebbe dovuto all azione congiunta della rotazione terrestre intorno al proprio asse e di rivoluzione intorno al sole. Qui, com è noto, Galilei si sbagliava: le maree sono causate dall attrazione lunare (come ipotizzò Bacone). Concludendo, fermo restando il contributo decisivo che lo scienziato pisano dette allo sviluppo della nuova scienza, tuttavia le sue scoperte confermano solo indirettamente l eliocentrismo; Galilei, infatti, non arrivò mai ad una dimostrazione scientifica diretta della rotazione terrestre. Una prova inconfutabile della stessa verrà fornita solo nel 1851 da Foucault con il suo esperimento di oscillazione di un pendolo: il piano di oscillazione di un pendolo non resta costante, ma compie una rotazione completa a causa del movimento terrestre. L ODIERNA RIABILITAZIONE DI GALILEI DA PARTE DELLA CHIESA CATTOLICA: UN CASO DI RECIPROCA INCOMPRENSIONE TRA SCIENZA E FEDE? La storiografia ottocentesca ha costruito l immagine di un Galilei martire del libero pensiero e anticipatore del positivismo e quella di una Chiesa oscurantista e nemica del progresso scientifico. Nel 1981, Giovanni Paolo II istituì una Commissione pontificia per lo studio della controversia tolemaico copernicana, all interno della quale si inserisce lo stesso caso Galilei. Già nel discorso tenuto alla Pontificia Accademia delle Scienze nel 1979, il papa polacco aveva sostenuto, riferendosi alla Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto e deplorato certi indebiti interventi ( ), certi atteggiamenti mentali ( ) derivati dal non aver sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra di loro. (cit. da Abbagnano, nuova ed., pag. 131 vol. 2A). Pertanto papa Woityla auspicava un leale riconoscimento dei torti da qualunque parte provengano. Nel suo discorso egli si era soffermato nel mettere in luce gli aspetti che accomunano la posizione galileiana e quella cattolica: in primo luogo, la tesi della complementarietà di ragione e fede, secondo cui i risultati della prima non potranno mai contraddire le verità della seconda (e ciò è sostenuto sia da Galilei che dal Concilio Vaticano II). In secondo luogo, lo scienziato pisano avverte nella sua ricerca scientifica la presenza del Creatore, che stimola e aiuta le sue intuizioni: nel Sidereus nuncius egli menziona il carattere illuminante della Grazia divina. Infine, pur riconoscendo che l interpretazione della Bibbia debba andare al di là del suo senso letterale, Galilei afferma la Verità della Scrittura. La commissione istituita da Giovanni Paolo II documentò come, all interno della Chiesa, già ai tempi di Galilei vi fossero posizioni diversificate e non una massiccia e indiscutibile condanna del Copernicanesimo (per esempio, i Gesuiti erano rimasti molto prudenti e del resto i loro astronomi avevano confermato le scoperte galileiane riportate nel Sidereus nuncius). Inoltre, la Commissione affermò che Galileo non era riuscito a provare in modo inconfutabile il doppio moto della Terra, pur avendo la convinzione di 3

4 averla trovata nelle maree oceaniche, di cui solo Newton avrebbe dimostrato la vera origine (va però ricordato che le prove indirette erano sicuramente schiaccianti e, in quanto tali, non riconosciute dalla Chiesa dell epoca). Allo stesso tempo, la commissione ammise che anche gli avversari di Galilei non avevano scoperto nulla che potesse confutare in modo convincente l astronomia copernicana. Alla luce di tali considerazioni, il papa concluse che la Chiesa, per limiti storici insormontabili, aveva sbagliato nei confronti di Galilei. In tale contesto il pontefice ribadiva la tesi tomista dell autonomia tra scienza e fede, secondo cui la ragione, se ben condotta, non può contraddire la Rivelazione e sostenne così che l autentica dottrina della Chiesa è sempre pienamente compatibile con la scienza moderna. In un altro discorso di fronte alla Pontificia Accademia delle scienze nel 1992, Giovanni Paolo II asseriva. Se la cultura contemporanea è segnata da una tendenza allo scientismo, l orizzonte culturale dell epoca di Galileo era unitario e recava l impronta di una formazione filosofica particolare ( ). La maggioranza dei teologi non percepiva la distinzione formale tra Sacra Scrittura e la sua interpretazione, il che li condusse a trasporre indebitamente nel campo della dottrina della fede una questione di fatto appartenente alla ricerca scientifica ( ). A partire dal secolo dei Lumi fino ai giorni nostri, il caso Galileo ha costruito una sorta di mito, nel quale l immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, oppure dell oscurantismo dogmatico opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana dall altro. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato. (ivi, p.133). Recentemente, anche Benedetto XVI ha ricordato Galilei sia durante l Angelus del 21 dicembre 2008, data del solstizio d inverno, che durante l Epifania, quando ha parlato della stella dei Magi. Da parte della Chiesa il riconoscimento ufficiale degli errori commessi si accompagna alla volontà di cancellare le strumentalizzazioni che, soprattutto a partire dall illuminismo, hanno usato il caso Galileo come un arma contro la fede e la stessa Chiesa cattolica. La nuova valutazione complessiva dello scienziato vede la sua figura, proprio per il fatto di essere stato vittima di un incomprensione causata, a detta della chiesa, dai limiti storici in cui si dibattevano gli uomini dell epoca, come simbolo di una ricerca e di un dialogo fecondo tra scienza e fede. Il dibattito storiografico è gravido di ulteriori sviluppi, se si pensa che è stata pubblicata da parte del Vaticano una nuova edizione degli atti del processo, curata da monsignor Sergio Pagano, prefetto dell Archivio segreto vaticano, e che contiene venti documenti inediti, ritrovati dopo il Da parte di chi scrive, siano consentite alcune conclusioni personali. Ferma restando la lodevole buona fede della Chiesa cattolica nel riaprire il processo a Galileo e nello stigmatizzare gli errori commessi a suo tempo, noto tuttavia alcune incongruenze tipiche di una visione di parte quale è quella cattolica. Riferendomi alle parole di Giovanni Paolo II sopra citate, è vero che Galilei sosteneva la complementarietà di ragione e fede, ma nel contesto di una reciproca autonomia (non riconosciuta, all epoca, dalla Chiesa). Una domanda è lecita: oggi la stessa Chiesa riconosce questa reciproca autonomia? Apparentemente sì, quando i pontefici citano Tommaso d Aquino; tuttavia, come interpretare il discorso secondo cui la ragione, se ben condotta, non può contraddire la Rivelazione (per cui l autentica dottrina cattolica è sempre compatibile con la scienza moderna)? In altri termini, chi stabilisce se la ragione sia ben condotta e in virtù di quali criteri, se non quelli determinati dalla stessa Chiesa cattolica e dunque dalla 4

5 fede? Mi pare di poter sostenere che, mentre qui siamo di fronte, in linea con la posizione tomistica, ad un adeguamento della ratio ai canoni della fides (allontanandosi dai quali la ragione sbaglia e deraglia dai suoi compiti), con Galilei incontriamo l autentica posizione di un cattolico laico per il quale la ragione deve essere autonoma e libera di esaminare da sé, senza ingerenze, il gran libro della natura. E vero che anche per Galilei la scienza non contraddice le Sacre Scritture, nel senso che conosciamo; ma un conto è sostenere questo dal punto di vista di uno scienziato che vive nel 600, altro è farlo da parte di un istituzione ecclesiastica che si ricrede secoli dopo. Inoltre, la Chiesa sa bene che oggi l indagine scientifica non può né smentire, né confermare la metafisica e qualunque concezione che riguardi il senso della vita e il posto dell uomo nel cosmo, semplicemente perché scienza e fede, più che complementari, corrono su binari decisamente paralleli, nel senso che si occupano di ambiti del tutto opposti. Oggi nessuno scienziato degno di tal nome si sognerebbe di sostenere, come faceva Galilei nel 600, che la natura ha caratteri matematici perché Dio ve li ha infusi. E questo perché lo scienziato sa benissimo che quanto indaga, a livello di pure leggi meccaniche, non ha nulla a che vedere con la concezione dell esistenza che egli stesso ha, in quanto uomo. Quand anche si giungesse a dimostrare, ad esempio, che l universo è nato dal Big Bang, a livello filosofico tale scoperta non ci direbbe nulla sull annosa diatriba tra eternità del mondo e creazione dal nulla. Semplicemente, perché non lo può fare. Da Kant in poi ( e non certo da Galilei, che è dopotutto uno scienziato e non un filosofo) scienza e metafisica, ragione e fede sono nettamente separate e le tesi a cui uno scienziato giunge non hanno un rapporto necessario con le sue convinzioni filosofiche o religiose (come era ancora per Galilei). Conseguenza, questa, di un processo storico culturale lungo e complesso, che approda a conclusioni un po diverse dal tentativo mai sopito che ha la cultura cattolica di controllare e di egemonizzare a livello filosofico quella cultura che si è invece ormai (purtroppo o per fortuna) emancipata dal suo alone protettivo. Il discorso cambia nel momento in cui ci addentriamo nel contesto della bioetica e della manipolazione della vita, che è però un ambito scientifico ben diverso da quello dell astrofisica (visto che molto più da vicino riguarda l uomo). E come è noto, Galilei era un astronomo e un fisico. E anche un cattolico, ovviamente figlio del suo tempo. 5

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