I PREFETTI DEL REGNO NEL VENTENNIO FASCISTA
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- Ottavio Marrone
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1 PUBBLICAZIONI DELLA SCUOLA SUPERIORE DELL'AMMINISTRAZIONE DELL'INTERNO I QUADERNI DELLA SCUOLA ALBERTO CIFELLI I PREFETTI DEL REGNO NEL VENTENNIO FASCISTA ROMA 1999
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3 INDICE GENERALE Presentazione Prefazione Introduzione Profili biografici Movimento dei prefetti dal luglio Elenco dei prefetti non di carriera nominati nel ventennio Indice dei nomi
4 PRESENTAZIONE Nel corso del ventennio fascista furono nominati 322 prefetti sui 450 in servizio. Di essi - ci dice Alberto Cifelli furono di provenienza politica, e fra questi 59 reduci da importanti incarichi in seno al Partito Nazionale Fascista. Basterebbe questo primo dato, condensato nell introduzione, per testimoniare dell implicita rilevanza storiofrafica di questo bel lavoro di Alberto Cifelli. La storiografia del personale amministrativo in Italia può vantare ormai forse uno o due decenni di studi operosi, ma sconta ancora l assenza di quei plafond di ricerche di base, repertori, banche dati, riscontri seriali su vasti complessi di fonti che in altri Paesi ha da tempo consentito agli storici di lavorare sistematicamente e produttivamente su un accumulazione originaria di conoscenze solida e rassicurante. Niente o poco di tutto questo nel caso italiano: al di là dei due preziosi repertori di Mario Missori (l uno dedicato a Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d Italia, l altro a Gerarchie e statuti del PNF), e dell eccellente lavoro coordinato da Fabio Grassi Orsini su La formazione della diplomazia nazionale (sino al 1915, però: sebbene sia annunciata la pubblicazione di un secondo volume che prosegue la ricerca), le anagrafi del personale amministrativo da noi quasi non esistono. Studi parziali (come quelli di Romano Ugolini sul Ministero della Pubblica Istruzione dopo l unità o quella di Gabriella Ciampi per un breve periodo di vita del Consiglio superiore della pubblica istruzione o lo stesso lavoro precedente di Cifelli su I Prefetti della Repubblica tra il 1946 e il 1956, pubblicato nel 1990), o anche la serie pure significativa ma non sistematica di biografie di alti funzionari della quale ormai disponiamo non 5
5 PRESENTAZIONE valgono ancora, a riscattare la grave lacuna che deve scontare chi voglia invece avviare, basandosi su serie complete di informazioni, una storia generale del personale amministrativo dello Stato italiano. È dunque assai meritoria l opera di Cifelli, il quale, avvalendosi specialmente dei fascicoli personali dei funzionari e prima ancora dei registri della matricola del Ministero, ha pazientemente ricostruito l identikit di gruppo di quello che, durante il periodo fascista, fu senza dubbio, per molti aspetti, uno dei pochi grands corps presenti nell amministrazione italiana. Di ogni funzionario la scheda messa a punto da Cifelli consente di conoscere: data e luogo di nascita, estremi della carriera, data della nomina a prefetto di 2ª e di 1ª classe, onorificenze ricevute, destinazioni di servizio con relativi estremi cronologici, data e motivazione del collocamento a riposo, eventuale data della morte se avvenuta in servizio. Emerge così una sequenza di dati che, di per sé eloquenti, possono ulteriormente diventarlo per lo storico dell amministrazione. È infatti possibile sin d ora (tanto più sulla scorta delle risorse che offre l informatica) leggere in trasparenza il repertorio di Cifelli secondo varie chiavi di lettura. La prima riguarda la provenienza geografica del campione censito. Una certa interpretazione del fascismo come rivoluzionario movimento del Nord fu propagandata sin negli anni Venti dallo stesso regime (e del resto si parlò appunto di conquista di Roma ), nell intento di avvalorare la tesi della modernizzazione fascista contro la continuità burocratico-meridionale dello Stato ministerialista e delle sue strutture: la riarticolazione dei dati per luoghi di nascita offre spunti significativi per una geografia del reclutamento prefettizio che, ove fosse ricostituita, magari in comparazione con altri periodi storici, darebbe certo su questo piano risposte storiograficamente interessanti. Una seconda chiave di lettura è quella anagrafica. L impressione, solo a scorrere i dati, è che le tappe della carriera (concorso di accesso, promozioni intermedie, nomina a sottoprefetto, poi a prefetto di 2ª e 1ª classe, sequenza delle sedi, tempi più o meno lunghi del mantenimento in sede rispetto ad altre destinazioni, collocamento a riposo) si mantengano nel periodo studiato da Cifelli nello standard dei periodi precedenti. Si giunge cioè all apice della carriera (salvo naturalmente eccezioni) tra i 50 e i 60 anni; si percorre il cursus honorum secondo un passo cadenzato abbastanza unifor- 6
6 PRESENTAZIONE memente; si viene destinati alle sedi più importanti solo dopo una sequenza piuttosto lunga di altre destinazioni in sedi minori. Quest ultima considerazione seggerisce subito la terza chiave di lettura, che riguarda la presenza e il ruolo dei prefetti cosiddetti fascisti. Questi funzionari, reclutati soprattutto dalla fine degli anni Venti, provenienti dal partito o dai suoi organismi collaterali, sono in effetti più giovani (trentenni), non hanno alle spalle la carriera, accedono lateralmente alla nomina, spesso mancano anche di quello (lo si vedrà subito) che costituisce uno dei requisiti culturali, la laurea in giurisprudenza. Se però si compie una verifica anche rapida sui loro percorsi non è difficile riscontrare come le sedi di destinazione siano le meno impegnative e le più periferiche e come raramente questi funzionari- politici giungano negli incarichi di maggior prestigio e responsabilità. Gli studi compiuti dai prefetti sono, appunto, un ulteriore possibile chiave di lettura dei dati. Predomina largamente la laurea in giurisprudenza, il che conferma ulteriormente che la giuridicizzazione (e cioè l emarginazione o espulsione di formazioni culturali diverse da quella giuridica) è integralmente avvenuta anche nel corpo prefettizio. Ancora: meriterebbe un indagine a sé (e i dati di Cifelli lo consentono) la minore o maggiore lunghezza delle permanenze nelle varie sedi, il turn over e la sua costanza (anche comparato con altri periodi storici), le eccezioni - e ve ne è più d una - alla regola dei due-tre anni di permanenza in provincia. Sotto questo profilo una storia della manovra dei prefetti, con l occhio rivolto anche ai cambi di gestione nel Ministero dell Interno e al ruolo giocato in essa, oltre che dai ministri dai sottosegretari, dai direttori generali, offrirebbe - credo - più di una suggestione utile a quella storia complessiva del Ministero che ci auguriamo tutti possa essere presto approfonditamente ricostruita. Un ultima possibile chiave di lettura, infine (ma naturalmente altre se ne potrebbero individuare, tanta è la ricchezza delle informazioni raccolte), riguarda la presenza nel campione di un gruppo di prefetti provenienti dalle questure e dall esperienza della pubblica sicurezza (pochi, mi pare, a conferma di quanto osservato per esempio da Giovanna Tosatti nel suo importante saggio sull organizzazione della polizia in Studi storici 1997, n. 1), presenza che tuttavia apre un interessante spaccato su quella che dovette essere, anche durante il fascismo, la discussione circa la funzione, la forma- 7
7 PRESENTAZIONE zione professionale e la fisionomia del prefetto nel regime di polizia. Come tutti i lavori solidi e seriamente basati su una ricerca archivistica, anche questo libro interviene, pur forse senza pretenderlo (Cifelli anzi presenta il suo lavoro con intelligente understatement) nel vivo di discussioni storiografiche in corso. Per quanto riguarda il tema della fascistizzazione dell amministrazione ad esempio, mi pare che si debba prendere atto della presenza corposa dei prefetti fascisti (103 su 450), ma anche della loro sostanziale marginalità: il meccanismo regolatore delle carriere, la manovra dei prefetti, restò - a me sembra - saldamente nelle mani del Viminale e di quel gruppo di funzionari più anziani che, entrati in carriera sotto Giolitti, perpetuavano, pur tributando omaggi formali al regime, la tradizione amministrativa dell Interno. Ciò naturalmente non esclude che avvenissero invadenze del partito fascista nell amministrazione, né che i prefetti in sede guardassero con rispetto al segretario federale e che - nei casi di conflitto in provincia - potesse talvolta soccombere il funzionario dello Stato piuttosto che non quello del partito. Ma nella generalità dei casi le carriere prefettizie si svolsero secondo ritmi non dissimili da quelli dei decenni precedenti e un corposo reclutamento dalla carriera continuò a predominare sul più esile canale del reclutamento per meriti politici. Cifelli richiama giustamente nella sua introduzione la limitazione, introdotta nel 1937, a soli due quinti dei posti in organico per le nomine fasciste, il che costituisce, da una parte, il sintomo delle preoccupazioni della carriera rispetto agli accessi laterali e dall altra, a me pare, anche la conferma della capacità del corpo prefettizio di difendersi dalla politicizzazione. Su questo punto, comunque, come su molte altre prospettive e suggestioni aperte dal repertorio, toccherà alla storiografia (magari, mi auguro, allo stesso Cifelli) approfondire la ricerca. Va dato intanto atto ad Alberto Cifelli di averci dato uno strumento prezioso: tanto più se si tiene conto della difficoltà di rintracciare le fonti, armonizzarle e di ordinarle, e di editarle con rigore filologico. Di questa fatica la storiografia italiana non potrà che essergli grata. GUIDO MELIS 8
8 PREFAZIONE La mancanza, più volte evidenziata dagli studiosi, di una ricerca sistematica sui prefetti del Regno ha rappresentato la principale motivazione per la stesura di questo lavoro, nel quale vengono presi in esame i profili biografici dei prefetti in carriera dal 28 ottobre 1922 al 25 luglio Nelle singole schede vengono riportate le generalità del funzionario, la qualifica o la carica ricoperta prima della nomina a prefetto, il periodo di permanenza nella relativa funzione e i successivi incarichi sino al collocamento a riposo. Se rilevanti o connessi con la cessata funzione vengono riportati anche gli incarichi attribuiti successivamente al collocamento a riposo. In taluni casi, dopo l'indicazione del provvedimento di collocamento a disposizione o a riposo per ragioni di servizio, viene indicata la data del decesso come chiave di lettura dell'adozione del provvedimento di esonero. Sono stati, inoltre, riportati gli incarichi conferiti nelle province cedute o annesse dopo i due conflitti mondiali (Fiume, Zara, Cattaro e Spalato). Per i prefetti a disposizione, gli eventuali incarichi vengono riportati come risultano dagli atti. In alcuni casi non è stato possibile rilevare l'indicazione precisa dell'incarico ricoperto, sostituita dall'espressione generica "collocato a disposizione con incarico", in altri, pur risultando individuato l'incarico stesso, ne viene omessa la durata. Anche per quanto attiene ai dati relativi alle benemerenze fasciste, non sempre è stata possibile una completa rilevazione. Per le località citate nei dati anagrafici si è usata la denominazione attuale, lo stesso criterio è stato seguito per la denominazione delle vecchie province (Apuania, Littoria) sostituita con la denominazione attuale di Massa Carrara e Latina. La ricerca, condotta esclusivamente su materiale di archivio, avrebbe dovuto suddividersi in tre grandi sezioni; la prima contenente l elenco dei prefetti in servizio presso il Ministero con le funzioni di Capo di Gabinetto, Capo della Polizia e di Direttore Generale o di Ufficio Centrale; la seconda le schede bio- 9
9 PREFAZIONE grafiche, la terza alcune note sullo status di prefetto. Dovevano completare la ricerca delle tavole sinottiche riguardanti l organizzazione del Ministero e delle prefetture, il movimento effettuato nel luglio 1929, l elenco dei Direttori Generali del Ministero dell Interno Sede del Nord, l elenco di tutti i prefetti non di carriera nominati nel ventennio ed infine l elenco dei reggenti di talune prefetture, ai quali non era sta conferita la nomina a prefetto. Per questione di tempo si sono riportate solo le tavole relative al movimento del 1929 e ai prefetti non di carriera nominati nel ventennio. 10
10 INTRODUZIONE Dopo la pubblicazione del lavoro I prefetti della Repubblica 1946/56, poteva ritenersi conseguenziale, volendo proseguire la ricerca sul tema, prendere in esame un ulteriore decennio. Esaminare il periodo successivo al 1956, avendo già a disposizione criteri di ricerca e metodologie di studio, non presentava grandi difficoltà ma non offriva, neppure, spunti di particolare interesse. L analisi di un ulteriore decennio avrebbe comportato, in sostanza, l esame di circa cento profili biografici, tenuto conto che quelli considerati nel volume già pubblicato si sarebbero poi ritrovati, anche se in parte, nel decennio successivo. Si sarebbe potuto ampliare l arco di tempo dello studio esaminando, ad esempio, un ventennio ma, al di là del fatto che si tratta di un periodo troppo recente ( ), la ricerca non avrebbe suscitato interesse anche perché, in tale periodo, al corpo prefettizio per una serie di fatti connessi al particolare momento storico non furono attribuite funzioni diverse da quelle istituzionali. Si era formata, infatti, una vasta corrente di pensiero contraria al ricorso al Prefetto per funzioni che non fossero quelle previste in sede e al Ministero dell'interno. Anche per questo suo ruolo tradizionale soprattutto per l avvento delle regioni la figura del prefetto non attraversava uno dei suoi momenti migliori. Sembrava, anzi, che dovesse concretizzarsi l orientamento emerso in seno alla II Sottocommissione dell Assemblea Costituente propensa alla soppressione dell istituto prefettizio. Ma, a parte queste considerazioni, la scelta di esaminare il ventennio fascista è nata anche dalla constatazione che il periodo non è stato oggetto di approfondite osservazioni. Se esistono biografie relative al periodo post-unitario per il ventennio fascista manca, salvo che per singoli personaggi, una ricerca 11
11 INTRODUZIONE sistematica sui profili biografici dei prefetti del Regno. La ricerca è, altresì, affascinante non soltanto per il singolare periodo storico e per la forma di Governo che ha finito con l infiltrarsi nell istituto prefettizio ma, in particolare, per la scelta delle persone chiamate a svolgere l importante e delicato ruolo di prefetto. Proprio in questo periodo si assiste ad una utilizzazione del corpo prefettizio nei posti più delicati della vita politico-amministrativa. Si è fatto ricorso ai prefetti per ricoprire cariche in enti pubblici, per la carica di Podestà e di organo straordinario per la amministrazione dei Comuni Capoluoghi e delle Province 1 ma, soprattutto, per le interrelazioni con il Partito. Dal punto di vista metodologico, l esame del ventennio, oggetto di studio, offre aspetti di grande rilevanza storica, non soltanto perché attiene necessariamente anche all analisi del periodo di passaggio dal sistema liberale a quello fascista e da questo a quello repubblicano, ma soprattutto perché, in questo momento di transizione muta la classe prefettizia, nelle persone, negli incarichi e nella utilizzazione. Lentamente, ma incessantemente, operò il Partito per permeare e plasmare il corpo prefettizio, agendo sui singoli uomini affinché potessero corrispondere alle esigenze del Governo: un primo risultato fu raggiunto nel luglio 1929 con un vasto movimento dei prefetti, che riguardò ben 67 posizioni. In particolare, 5 prefetti vennero collocati a disposizione dalle rispettive sedi, 19 a riposo per ragioni di servizio, un numero ragguardevole - ben 9 - vennero nominati tra persone estranee alla carriera 2. Dalla costituzione del Regime, una immissione di prefetti politici, in numero così elevato, si osserva soltanto nel 1926, anno in cui ci fu anche un ampio movimento di prefetti (anche se movimenti, in verità, si ebbero già dal finire del 1922 e negli anni , senza che, tuttavia, nessuno eguagliasse per portata quello del luglio 1929). Dall esame del periodo preso in considerazione si rilevano quegli stessi aspetti già posti in risalto e che hanno caratterizzato la scelta dello studio relativo al decennio , un epoca di profondo rinnovamento politico e sociale. E suggestivo osservare come reagisce l istituto prefettizio ai grandi mutamenti storici e alle sofferte trasformazioni politiche e amministrative. L analisi del periodo fascista è certamente più avvincente e la scelta è nata proprio dall esame del periodo Osservando questo decennio si è 1 Per la carica di Vice Podestà si è fatto ricorso alla figura del Vice Prefetto. 2 Al movimento furono interessati 17 prefetti politici. 12
12 INTRODUZIONE constatato come molti prefetti, già in carriera nel periodo fascista, furono poi chiamati, in epoca successiva, a ricoprire importanti incarichi in vari settori della Pubblica Amministrazione, o, come prefetti, nominati ovvero in servizio nel periodo repubblicano, avessero già nel periodo fascista, rivestito delicate funzioni. In sostanza molti prefetti, oltre ad aver svolto la loro attività durante il ventennio, hanno finito, nel loro percorso di carriera, con l operare in tre diversi e distinti momenti storici: il periodo liberale, quello fascista e quello repubblicano. E non mancano casi di prefetti chiamati a svolgere delicati incarichi in due distinti e contrastanti periodi come quello liberale e quello fascista, o quello fascista e quello repubblicano. In tale periodo si sono, poi, verificati casi di prefetti che non hanno mai ricoperto incarichi in sede o di personalità che, dopo la nomina a prefetto, sono state immediatamente riammesse nei ruoli di provenienza o sono state collocate a disposizione del Ministero e, successivamente, a riposo. Tali nomine non sono facilmente rilevabili se non consultando i fascicoli personali, dal momento che spesso non ne esiste traccia negli stessi ruoli del Ministero. E il caso del Consigliere di Stato Carlo Bozzi Segretario Generale presso il Governatorato della Dalmazia (1941) nominato prefetto il 1 dicembre 1942 e il successivo 2 dicembre riammesso nei ruoli della Magistratura del Consiglio di Stato. Identici i casi del Consigliere di Stato dott. Guido Ruberti e del professor Domenico Marotta. Il provvedimento appare evidentemente mirato a creare soltanto un vantaggio economico. Il panorama storico del periodo fascista offre l opportunità di esaminare circa 450 biografie di prefetti in servizio dall ottobre 1922 al luglio Dai profili biografici, come si è accennato nella prefazione, è possibile evidenziare un numero rilevante di informazioni personali: i dati anagrafici, il titolo di studio, la regione geografica di provenienza, la data di ingresso in carriera, la data della nomina a prefetto, le sedi di servizio, taluni particolari incarichi conferiti nell arco della carriera, la provenienza amministrativa o politica. In quest ultimo caso sono riportate le cariche rivestite prima della nomina a prefetto allo scopo di ottenere elementi necessari per stabilire, ove possibile, i motivi che ne determinarono la nomina stessa e valutare i legami con il partito e l eventuale iscrizione al P.N.F., prima che questa divenisse obbligatoria. Questi sono solo alcuni dei dati rilevabili direttamente dalla lettura delle schede biografiche, altri, invece, possono essere ricavati dall esame anali- 13
13 INTRODUZIONE tico e comparato dei singoli profili biografici, come ad esempio taluni percorsi quasi obbligati per giungere ai posti di vertice o l elevato grado di mobilità nonché l instabilità dell esercizio della funzione prefettizia. Ma il dato di maggiore interesse è certamente il ricorso ai prefetti di provenienza politica: nell arco del ventennio ne sono stati nominati in totale 102. Il maggior numero, 10, venne nominato nei primi sette mesi del 1943, mentre la più alta concentrazione si raggiunse nel 1940, allorché su una dotazione organica di 110 prefetti ben 66 non erano di carriera 3. Appare evidente l opera messa a punto dal P.N.F., attraverso la scelta degli uomini nel chiaro tentativo di asservire l istituto prefettizio al fascismo. L avvicendamento continuo dei prefetti, che ebbe inizio sin dal novembre 1922, risulta ispirato più dall esigenza di creare un corpo prefettizio di fede fascista che dalle reali necessità delle province. Diversamente dal criterio seguito nella precedente pubblicazione, vengono indicate, su suggerimento del Consigliere Gustapane, tutte le sedi ricoperte, ad iniziare da quella di prima assegnazione. Questo elemento fornisce ulteriori informazioni per una visione più adeguata dell aleatorietà della carica di prefetto. Il mutamento frequente di sede, come è noto, costituisce una caratteristica peculiare dell istituto prefettizio ed evidenzia, a volte, correlazioni tra la sede ricoperta prima della nomina a prefetto e quella di successiva assegnazione, anche alla luce della regione geografica di provenienza del funzionario o di eventuali legami con uomini politici locali. La durata della permanenza in sede era in media di due anni e variava notevolmente in relazione all importanza della sede stessa. Durante il ventennio, per ciascuna sede, si sono alternati in media 12 prefetti, con variazioni che oscillano da un minimo di 6 a Cremona ad un massimo di 20 a Caltanissetta. In media o lievemente al di sotto della media le grandi città come Roma, Napoli, Milano e Palermo. Per una valutazione della stabilità dell incarico è interessante notare anche la frequenza con la quale il Governo fascista ha fatto ricorso all istituto dell esonero temporaneo dalla funzione ed a quello del collocamento a riposo per ragioni di servizio. Si è, invece, fatto raramente uso degli istituti della disponibilità e dell a- 3 Ai centodieci vanno aggiunti i prefetti a disposizione nel numero massimo di 15 e quelli collocabili fuori ruolo. 14
14 INTRODUZIONE spettativa, trasformando il collocamento a disposizione in un istituto ordinario di allontanamento temporaneo dall ufficio. Tale istituto è stato da sempre considerato uno strumento punitivo o di gratificazione ove il provvedimento fosse caratterizzato dal conferimento di uno speciale incarico. L uso frequente del collocamento a disposizione consentì di ricorrere solo occasionalmente al collocamento a riposo per ragioni di servizio, che venne evitato anche per non danneggiare economicamente quei prefetti che, per non aver maturato il minimo di anzianità di servizio, non avrebbero potuto percepire la pensione. Il collocamento a disposizione, per la sua durata (tre anni) pur non rappresentando un valido mezzo di ricambio del corpo prefettizio, in quanto il posto reso vacante non poteva essere utilizzato rispondeva comunque alle esigenze del Governo: aveva lo scopo di consentire l allontanamento di un prefetto che si fosse mostrato inadeguato alle esigenze politiche del momento, senza che ciò impedisse di poter tornare ad avvalersi della sua opera in un momento successivo. Il collocamento a riposo per ragioni di servizio, nei casi in cui si riteneva di poterlo applicare, finì, invece, per divenire lo strumento ordinario di rimozione dei prefetti, necessario a consentire quel ricambio che il Governo perseguiva da tempo. Si instaurò, così, la prassi di collocare a riposo per ragioni di servizio tutti i prefetti salvo alcune eccezioni al compimento del 35 anno di servizio. Il collocamento a disposizione divenne così un normale strumento di esonero temporaneo utilizzato, per rendere disponibili sedi da affidare eventualmente a prefetti politici e, ancor più spesso, per allontanare il prefetto in caso di contrasto con il locale Segretario Federale. Il collocamento a disposizione o a riposo si rivelò anche strumento di soluzione di divergenze e venne spesso utilizzato anche nei confronti di quei prefetti non in linea con la politica fascista. E il caso, ad esempio, del Prefetto Achille De Martino collocato a disposizione nel novembre 22 ed a riposo per ragioni di servizio nel dicembre 27, dei prefetti Paolo Bodo, Ottavio Gabetti, Furio Petroni, Giuseppe Spano ed anche di Marcello Tallarigo, proveniente dal P.N.F., che fu prefetto di Taranto dal febbraio 38 all agosto 39. Nel periodo in cui rivestì tale 15
15 INTRODUZIONE incarico, sciolse il Rettorato, allontanò il Preside e chiese al Segretario del partito l allontanamento del Segretario Federale. L effetto conseguenziale fu la nomina a prefetto (Varese) del Segretario Federale Giuseppe Russi ed il collocamento a disposizione, anche se del Direttorio, del Tallarigo, che peraltro ricoprì l incarico soltanto per un mese. Fu il prefetto Petroni ad individuare, concretamente, nel rapporto Segretario Federale Direzione del Partito Ministero dell Interno il meccanismo per giungere ad influenzare i singoli prefetti. Nonostante la circolare del Duce del gennaio 1927 ed il rispetto rigido del protocollo che, formalmente, considerava il prefetto come la prima autorità locale, i Segretari Federali avevano in concreto una corsia preferenziale nei contatti con il Capo del Governo. Al verificarsi di eventuali contrasti era, di solito, il prefetto ad essere allontanato proprio mediante il ricorso al collocamento a disposizione. In effetti i rapporti con i Segretari Federali risultavano, generalmente, assai difficili, tanto che nel 1940 il Sottosegretario agli Interni Buffarini Guidi ritenne opportuna la presenza di un prefetto nel Direttorio del P.N.F. L inserimento di un prefetto, anche se proveniente dai ranghi del partito fascista, avrebbe dovuto costituire un elemento moderatore nei rapporti fra Prefettura e Federazione. La scelta cadde sul Prefetto Gaetani, persona gradita anche ai prefetti di carriera. L esperienza del ventennio fra due realtà tanto importanti quanto diverse, quali la Prefettura e la Federazione provinciale, sicuramente condizionò l orientamento della R.S.I. ad unificare in un unico vertice il Capo della Provincia, sia il livello politico che amministrativo locale, nell intento di evitare il ripetersi del ventennale dualismo prefetto segretario federale. Nel primo Consiglio dei Ministri della R.S.I., Mussolini decise che, per tutta la durata della guerra il Capo della Provincia dovesse realizzare l unicità del Comando politico e amministrativo, essendo a capo tanto della Prefettura quanto della Federazione Fascista Repubblicana. La convergenza delle due funzioni aveva suggerito anche una diversa procedura di nomina: il capo della provincia veniva nominato con decreto del Ministro dell Interno e scelto d intesa con il Ministro Segretario del Partito. Il Capo della Provincia, per ciò che atteneva all organizzazione provinciale del Partito, era coadiuvato dal triumvirato federale ovvero, dove la 16
16 INTRODUZIONE particolare situazione provinciale lo richiedesse, da un Commissario straordinario. Il nuovo modello, anche se temporaneo, non si rivelò risolutivo degli annosi problemi e di ciò è chiara espressione il contenuto della circolare telegrafica inviata da Mussolini nel febbraio 1944, nella quale veniva ricordato ai Capi delle Province che erano anche Capi del Partito. Uno dei problemi più rilevanti per Mussolini, superata la fase rivoluzionaria, era quello della normalizzazione: ribadire l autorità dello Stato e dei suoi rappresentanti dinanzi a qualsiasi altro centro di potere. Nell elaborazione del modello fascista Mussolini diede sempre priorità al concetto unitario di Stato e nella scelta tra organi di partito e organi di governo puntò fortemente su questi ultimi, almeno a livello periferico. Non pare difficile coglierne le ragioni: la prefettura appariva sicuramente più affidabile, più governabile e più idonea a consolidare il regime con il pieno controllo delle province. In sostanza in periferia l esercizio del potere fu demandato alle istituzioni tradizionali dello Stato, al centro furono, invece, adottate soluzioni diverse facenti riferimento prevalentemente al Partito. Questo consentì di agevolare la continuità rispetto al vecchio Stato liberale, di controllare gli avversari politici e di rafforzare il potere esecutivo; di ottenere, in sostanza, il consolidamento del fascismo. E lo strumento più idoneo allo scopo fu individuato proprio nell istituto prefettizio. La conseguenza più immediata fu la diramazione della circolare del 1927 che, in tema di rapporti tra organi di Governo e organi di partito, riaffermò nella figura del prefetto la più alta autorità dello Stato nella provincia e il rappresentante diretto del potere esecutivo centrale. Nella forma, in verità, la circolare fu sempre puntualmente rispettata, tanto che le stesse convocazioni dei Federali per questioni non attinenti al partito, avvenivano attraverso la persona del prefetto. La scelta si scontrò con le gerarchie del partito uscite rafforzate dalla marcia su Roma e ansiose di vedere realizzate le loro aspettative di comando. Mussolini cercò di risolvere la questione, come si è visto, con un innesto di elementi di fede fascista nel tessuto istituzionale. Non soltanto con il ricorso alla nomina a prefetto o a questore ma anche con il semplice affidamento dell incarico di reggenza di una Prefettura o di una Questura, con la nomina ai più 17
17 INTRODUZIONE alti gradi della carriera diplomatica o a Provveditore agli Studi. E stato sostenuto dagli studiosi che la fascistizzazione della burocrazia non avvenne in conseguenza dell immissione nei ruoli prefettizi dei dirigenti di partito o di persone ad esso vicine ma, piuttosto, per l adesione, anche se graduale, della burocrazia stessa al regime. Anche se il prefetto si riconfermava la massima autorità della provincia, i contrasti con il Segretario Federale non soltanto rimasero ma si acuirono. Il problema non fu risolto neanche con la nomina a prefetto di membri del Partito: anzi si accentuarono le pressioni da parte di quest ultimo sulle nomine a prefetto. A questa ingerenza del Partito sempre più massiccia si cercò di porre un freno con la normativa del 1937 che limitò numericamente la scelta dei prefetti politici (2/5 dei posti in organico) 4. La riaffermazione del prefetto come la più alta Autorità dello Stato nella Provincia e l adozione della normativa del 37 dimostrano quanto Mussolini fosse poco preoccupato degli orientamenti politici dei prefetti di carriera. Non è semplice cogliere a pieno le motivazioni della norma: dalla relazione allegata al disegno di legge di conversione del R.D.L. si rileva assai poco: Per quanto, poi, attiene alla nomina dei prefetti, si è stabilito..., in analogia alle disposizioni in vigore per la nomina dei Consiglieri di Stato e della Corte dei Conti, che i tre quinti. Non vi sono elementi obiettivi e certi per stabilire se la limitazione sia dovuta alla forza del Corpo prefettizio, alla loro riconosciuta competenza in materia o se non addirittura alla volontà politica di contenere gli innesti di uomini di partito o alle tre ragioni insieme. Sicuramente una richiesta da parte del Corpo prefettizio non avrebbe trovato ostacoli da parte del Capo del Governo, che aveva sempre cercato di contemperare le richieste di nomina a prefetto che provenivano dagli ambienti legati al Partito con la necessità di salvaguardare un istituto sul quale contava per il consolidamento del fascismo. Un argomento a favore di quest ultima tesi si rileva dall analisi degli incarichi conferiti ai prefetti politici. In sostanza se da un lato si consentiva una sorta di scalata alla carriera prefettizia, venendo così incontro alle aspettative del Partito, dall altro si veniva incontro alla richiesta del Corpo prefettizio, affidando ai prefetti politici incarichi di non particolare ri- 4 Per la verità la norma stabilisce che i posti in organico devono essere coperti, per almeno 3/5, da funzionari della carriera prefettizia. 18
18 INTRODUZIONE levanza o sedi di non grande rilievo. Anche se non sono mancate eccezioni (come ad esempio, per i prefetti Marziali, Borri, Tiengo, Uccelli ed Albini). Non sfugge il fatto che il prefetto è sempre un rappresentante del potere esecutivo, a prescindere dalla specifica forma di Governo. Se si tiene conto ancora che il prefetto esprime comunque sempre il suo punto di vista sulle questioni per le quali è chiamato ad intervenire e che in ogni caso vi sono modalità assai diverse di esecuzione di una disposizione, non è difficile osservare, come ci siano stati buoni e cattivi prefetti anche in relazione ai Governi centrali che si sono alternati. L adozione della legge 1058 del 1937 certamente fornisce ulteriori elementi di lettura dei rapporti che intercorrevano fra il corpo prefettizio e il regime fascista. Ma anche se mancano dati certi non si può escludere che il corpo prefettizio sia riuscito ad arginare la forte immissione, nei ruoli, dei prefetti politici e ciò se, da un lato, può essere visto come un atto di buona disposizione da parte del Capo del Governo, dall altro appare come un chiaro segnale di quanto il corpo prefettizio non preoccupasse il Regime. Dei 103 prefetti di sicura fede fascista, 67 furono nominati dalla nascita del Regime a tutto il 1937 con un crescendo che non poteva non preoccupare il corpo prefettizio, soprattutto se si tiene conto del rapporto fra prefetti di carriera e di provenienza politica. I dati numerici, comunque, necessitano pur sempre di un ulteriore approfondimento. In quest ottica si è cercato di fornire una chiave di lettura del puro dato numerico, evidenziando il legame con il P.N.F., individuando tutte le benemerenze fasciste riconosciute, l eventuale iscrizione al P.N.F., prima che divenisse obbligatoria, i procedimenti di epurazione, nel chiaro intento di individuare i motivi che determinarono la nomina a prefetto. Ciononostante il dato numerico è certamente significativo di una situazione di fatto: la ricerca da parte del partito di sbocchi per i suoi fedelissimi, accentuata dopo le modifiche statutarie del P.N.F. che trasformarono la figura del Segretario federale da politico in funzionario professionale di partito e il contenimento effettuato dal Corpo prefettizio, prima limitando la portata degli incarichi e poi addirittura il numero dei prefetti di provenienza politica. Su questi due contrastanti orientamenti, il Capo del Governo, come era suo costume, assunse tra le due spinte un ruolo di mediazione. 19
19 INTRODUZIONE Dei 332 prefetti nominati nel ventennio, 102 erano di provenienza politica e fra questi 59 avevano ricoperto importanti incarichi in seno al Partito e solo per fare un esempio: 48 erano Segretari Federali, uno Vice Segretario Federale, due Segretari politici, un componente del Direttorio e un Segretario Generale dei Fasci all estero. 20
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