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2 scheda tecnica durata: 108 minuti nazionalità: ita anno: 2002 regia: Gabriele Salvatores sceneggiatura: Niccolò Ammanniti, Francesca Marciano produzione: Maurizio Totti, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi fotografia: Italo Petriccione montaggio: Massimo Fiocchi musiche originali: Ezio Bosso, Pepo Scherman interpreti: Aitana Sánchez-Gijón (Anna), Dino Abbrescia (Pino), Giorgio Careccia (Felice), Giuseppe Cristiano (Michele), Mattia Di Pierro (Filippo), Diego Abatantuono (Sergio) Gabriele Salvatore nato a Napoli il 30 luglio 1950 filmografia Io non ho paura (2003) Amnèsia (2002) Altro mondo è possibile, Un (2001) Denti (2000) Nirvana (1997) Sud (1993) Puerto escondido (1992) Mediterraneo (1991) Turnè (1990) Marrakech express (1989) Kamikazen ultima notte a Milano (1987) Sogno di una notte d'estate (1983) Diego Abatantuono nato a Milano il 20 maggio 1955 filmografia Io non ho paura (2003) Amnèsia (2002) Mari del sud (2001) Concorrenza sleale (2001) Metronotte (2000) Tifosi (1999) Paparazzi (1998) Matrimoni (1998) Figli di Annibale (1998) Testimone dello sposo, Il (1998) Camere da letto (1997) Nirvana (1997) Barbiere di Rio, Il (1996) Viva San Isidro (1995) Toro, Il (1994) Arriva la bufera (1993) Nel continente nero (1993) Per amore, solo per amore (1993) Puerto escondido (1992) Mediterraneo (1991) Turnè (1990) Vacanze di Natale '90 (1990) Marrakech express (1989) Cammelli, I (1988) Ragazzo di Calabria, Un (1988) Strana la vita (1987) Ultimo minuto (1987) Regalo di Natale (1986) Tranches de vie (1985) Arrivano i miei (1983) Ras del quartiere, Il (1983) Sballato, gasato, completamente fuso (1982) Viuuulentemente mia (1982) Attila flagello di Dio (1982) Grand Hotel Excelsior (1982) Scusa se è poco (1982) Eccezzziunale... veramente (1982) Carabbinieri, I (1981) Fichissimi, I (1981) Pap'occhio, Il (1981) Fantozzi contro tutti (1980) Prestami tua moglie (1980) Tango della gelosia, Il (1980) Vacanza bestiale, Una (1980) Fico d'india (1980) Arrivano i gatti (1980) Saxofone (1979) Liberi armati pericolosi (1976) Stelle cadenti (1972)

3 premi e festival Berlin Film Festival 2003 nominato Orso d oro miglior film European Film Awards 2003 nominato miglior fotografia - Italo Petriccione Nastri d argento 2003 vincitore migliore fotografia - Italo Petriccione vincitore miglior regia - Gabriele Salvatores vincitore migliore attore non protagonista - Diego Abatantuono nominato migliore produttore nominato migliore musica - Ezio Bosso, Pepo Scherman nominato migliore sceneggiatura - Niccolò Ammaniti, Francesca Marciano nominato miglior suono presa diretta - Mauro Lazzaro intervista a Gabriele Salvatores Patrizia Wächter, press agent della Sottocorno 17 è stata cortese ma inflessibile: Hai tre minuti a disposizione per parlare con Gabriele, va bene? Dopo l anteprima romana di Io non ho paura e la relativa conferenza stampa all Hotel de Russie, ho avuto il tempo di scambiare due chiacchere veloci con Niccolò Ammaniti (entusiasta del film), qualcuna in più con il solare Dino Abbrescia, attore rivelatosi con La Capagira di Alessandro Piva (Prossimamente interpreterò un poliziotto, poi di nuovo un rapitore...tutto torna!), adesso ho 180 secondi insieme a un regista con venti anni di carriera e undici film alle spalle. Che fare? È un duro lavoro di editing mentale : taglio via il superfluo, continuo a tagliare mentre Salvatores, cordialissimo, mi stringe la mano. Ho un ventennio di domande da fargli ma di là, a circa dieci metri di distanza, stanno già guardando l orologio. Proviamoci. Sia con questo film che con Denti, tratto dal romanzo di Domenico Starnone, lei ha indicato in qualche modo una strada al cinema che si produce attualmente nel nostro paese, che è quella di nutrirsi della letteratura italiana dei nostri giorni coinvolgendo lo scrittore nel processo creativo del film. Ci sono al momento altri nostri autori con i quali vorrebbe collaborare? Ce ne sono, però preferirei non indicarli per tutta una serie di motivi. Credo comunque che nella letteratura italiana, come nel cinema italiano, qualcosa si stia muovendo davvero, soprattutto tra le generazioni più giovani e secondo me adesso c è anche una corrispondenza di visioni. Credo che quello tra letteratura e cinema sia un vecchio legame e che vada assolutamente usato. Come è arrivato alla scelta di Abatantuono nei panni del cattivo? Ha dovuto faticare per convincerlo? Mi mancava un po in questo film di bambini. Con Diego ho un rapporto particolare, siamo ormai quasi fratelli, parenti, perché abbiamo condiviso veramente tante cose e con lui ho anche un rapporto di odio/amore, ci sono delle cose che odio di lui e tante che amo, naturalmente. Qui c era secondo me l opportunità di far vedere un aspetto di Diego completamente diverso. Lui è cresciuto a Milano, al Giambellino, negli anni in cui la malavita organizzata dei vari Vallanzasca e Turatello si era spostata al nord proprio nel periodo che raccontiamo nel film. Spesso, Diego mi raccontava storie di questi

4 balordi da bar, così gli ho proposto di fare qualcosa di diverso da quello che aveva fatto e di non avere paura di far vedere quello di cui lui normalmente ha paura, cioè la pancia, i capelli che cominciano a cadere, lo spazio tra due incisivi...tutta una serie di cose che aveva cercato di nascondere. Si è lasciato andare e secondo me ha fatto una cosa molto importante... Come l ha presa? Subito bene o... L ha presa con interesse, e pian piano credo che si sia molto divertito. È un attore che sa mettersi alla prova. Infatti. Secondo me potrebbe fare tutta una serie di ruoli che in Italia non sono coperti da nessuno, dovrebbe avere voglia di rischiare un po, di fare delle cose diverse. Durante la conferenza stampa, lei è stato molto ottimista sull attuale cinema italiano, ha detto che dovremmo smetterla un po di fustigarci, di tirarci merda addosso, ma lei è uno dei pochi registi italiani con un respiro autenticamente internazionale... Io credo che ci siano alcuni autori, giovani soprattutto, che ci stanno facendo vedere cose interessanti. Penso a Crialese di Respiro, a Matteo Garrone de L Imbalsamatore...così come credo che se il cinema italiano avrà il coraggio (e mi sembra che lo stia dimostrando) di smetterla di parlare solo di un certo tipo di personaggi, di questa borghesia più o meno interessante, andando ad indagare nei lati più curiosi o meno esposti ci possa far vedere qualcosa di buono. Sì, sono abbastanza ottimista, bisogna dare fiducia a queste persone; il problema è che l industria cinematografica italiana non dimostra questa fiducia. Facciamo l esempio di Respiro, un bel film da portare all Oscar, invece noi portiamo Benigni...Roberto è un amico, gli voglio bene ed è un grande, ma non era Pinocchio il film da appoggiare. Padri e figli: in Marrakech Express i bambini erano il tormentone telefonico di Cederna, oggi sono i protagonisti assoluti di Io non ho paura, ma credo che questo discorso nel suo cinema sia cominciato in Nirvana, con il rapporto singolare tra il personaggio di Solo, eroe virtuale del videogame e Jimmy. È d accordo? Molto...sono colpito! Penso proprio di sì, lì ci sono un padre e un figlio che non ha chiesto di nascere e che chiede: "Se hai avuto il potere di farmi nascere, fammi anche morire perché non mi piace vivere così". Lì dentro ci sono un po di temi che in effetti ho ripreso e sviluppato dopo... In Denti, ad esempio. Anche lì c è un bambino, l infanzia... Lì c era il racconto dell infanzia del protagonista per capirne i problemi da adulto. Io ho uno strano rapporto con i bambini, non ho figli però mi trovo molto bene a giocare con loro, ma qui la cosa interessante è stata che per la prima volta mi trovavo a lavorare con dei cuccioli. In tutti i suoi film l organizzazione dell inquadratura sancisce un rapporto tra lo spazio circostante e la dimensione interiore dei personaggi. Quanta influenza hanno avuto in questo senso i suoi esordi teatrali? Dico sempre che la cosa che mi ha insegnato di più il teatro è la direzione degli attori ma in realtà è vero che a teatro hai un campo lungo unico come inquadratura che è il boccascena e i personaggi sono lì dentro. A teatro ti poni di più il problema di cosa c è dietro il personaggio, paradossalmente, perché diventa significante di qualcos altro. In questo senso, non sopporto i paesaggi raccontati senza personaggi e se ci fa caso, in nessun film che ho fatto c è la descrizione di un paesaggio se non perché c è dentro un personaggio che agisce.

5 Ha rinunciato a portare sullo schermo il romanzo Il Cromosoma Calcutta (di Amitav Ghosh, edito in Italia da Einaudi, n.d.r.)? Purtroppo abbiamo dovuto rinunciare. Rimane secondo me me un sogno aperto...i sogni non finiscono, però non ci sono le condizioni pratiche per farlo. Trovo che sia un romanzo molto bello che racconta il web, la Rete in maniera molto più profonda di come si è fatto in altre cose, però non siamo riusciti a farlo. C è qualche altro progetto sul quale sta lavorando? Stiamo guardando un po di storie, stiamo leggendo anche dei libri. Quindi, continuando anche a pescare nella narrativa... Sì, non mi dispiacerebbe continuare questo rapporto. "Io non ho paura" diventa un film La sinistra storia raccontata da Niccolò Ammaniti in Io Non Ho Paura diventa un film. Per la regia di Gabriele Salvatores. Con tanti bambini sul set e un cattivo d eccezione: Diego Abatantuono Il talento narrativo di Niccolò Ammaniti incontra la fantasia immaginifica di Gabriele Salvatore e ne nasce un film, Io non ho paura, tratto dall omonimo, eccellente romanzo dello scrittore romano. Il libro è da un anno e mezzo in classifica e ha venduto 180 mila copie. Il film, del quale Ammaniti firma anche la sceneggiatura insieme a Francesca Marciano, dovrebbe essere pronto il prossimo febbraio. Non è la prima volta che un libro di Ammaniti viene portato sul grande schermo: è accaduto con il suo primo, controverso romanzo Branchie, da cui l'omonimo film di Francesco Ranieri Martinotti, scomparso rapidamente dalle sale, e con il memorabile Fango da cui è stato tratto L'ultimo capodanno, di Marco Risi con sceneggiatura dello stesso scrittore. E ora Ammaniti ha finito di scrivere una sceneggiatura per Alex Infascelli da un racconto originale. È un thriller - spiega lo scrittore - che dovrebbe partire a febbraio ma si saprà qualcosa tra un mese e mezzo. A confermare lo stretto legame tra le sue storie e il cinema è lo stesso Ammaniti sul set, vicino a Melfi, del film tratto da Io non ho paura, che sta girando Salvatores. Ho difficoltà - confessa Ammaniti - a scindere quello che penso di un film e di un libro. Vedo le storie che racconto per immagini, come un film cerebrale. Sulla carta è più evidente l'aspetto psicologico e intimista. Quando scrivo le mie storie sento che c'è un film. Il cinema è stato fondamentale come la letteratura anche se quest'ultima mi gratifica di più perché i libri si fanno con il lettore mentre il cinema ti fornisce tutto: facce, musica, luoghi. Se dovessi scegliere direi: salviamo i libri. Io non ho paura - continua lo scrittore - è nato come un soggetto, ho deciso di scriverlo passando in macchina per questi campi tra Basilicata e Puglia. Ci vedevo la difficoltà di crescere dei bambini in un posto così ed è proprio questo aspetto della fatica che mi piace del film. Per la sceneggiatura non ho dovuto lavorare molto, ho reso ancora più secco quello che avevo fatto nel romanzo. Di solito ho una scrittura più barocca. L'intento di Ammaniti era di far parlare i bambini come degli organismi diversi dai genitori. Due specie diverse, due società differenti come interagiscono fra loro? Nella storia - continua lo

6 scrittore - si sa solo quello che vede Michele, il protagonista, e questo crea empatia nello spettatore. In questo film manca comunque qualsiasi forma di intrattenimento. Viene lasciato spazio alla fantasia, al mondo attraverso le favole, come quelle di Calvino. È un horror rurale e c'è la dimensione della noia, dell'estate che non passa. Non c'e mai un giudizio morale nei confronti dei genitori e Michele, il protagonista, ha anche un rapporto sadico con il bambino nel buco. Lo tira fuori, lo rimette dentro. È come un gioco in cui potrebbe fare il bene come il male. E anche con i cattivi è pietoso. Inseguire il grano giallo, alto. Da questa immagine è partito Gabriele Salvatores per girare il film, affidandosi a un cast di tutto rispetto: Diego Abbatantuono, Dino Abbrescia e la spagnola Aitana Sanchez. Sul set, nelle terre assolate e magiche della zona di San Leonardo, vicino a Melfi, Salvatores racconta: E un film realistico, però non è minimamente legato a un luogo preciso e riconducibile al realismo a cui siamo abituati. Ho cercato di illustrare il libro di Ammaniti, uno dei più bei romanzi che ho letto ultimamente. È stato come fare le figurine: una è quella del giallo, del grano alto in cui i bambini scompaiono. Un campo di grano può fare molta paura, sotto c'è una vita agitata e misteriosa. Ed è proprio tra le spighe alte della campagna del sud nell'estate torrida del 1978 che si trova un segreto pauroso, quello che scopre Michele Amitrano, 9 anni, interpretato da Giuseppe, un bambino di 12 anni di Foggiano, una frazione di Melfi. In un buco è nascosto Mattia (Filippo, 9 anni di Rionero in Vulture), che è stato rapito e i suoi guardiani sono i genitori di Michele interpretati dalla Sanchez e Abbrescia. I due bambini diventeranno amici, ma il segreto del loro legame verrà scoperto e a sistemare le cose arriverà da Milano Diego Abatantuono, balordo complice dei sequestratori. È il personaggio più cattivo che ho fatto - dice Abatantuono -. Il libro non dà spazio a nessun tipo di equivoco. I personaggi sono ben delineati. Accanto ai bambini si fa fatica a essere cattivi. Mi sento privilegiato in un ruolo marginale e poi non è importante quanto si sta in scena ma come vi si sta. Anche Abbrescia è cattivo, ma in modo diverso - spiega - più sfigato, mentre la Sanchez è la mamma buona. Non ho voluto fare un film sul sud Italia bozzettistica - spiega Salvatores - ma mettere questi personaggi piccoli in inquadrature grandi, epiche, renderli eroi. Il protagonista, Michele, è presente in tutte le pose, tutti i giorni. Ci sono temi Conradiani, toni da tragedia greca, è un film più astratto che strettamente naturalistico. E la lingua è un misto di inflessioni pugliesi, campane, che credo sarà comprensibile ma non identificabile. All'estero, se ci arriverà, il film sarà riconoscibile come molto italiano. Con questa storia forte, sulla crescita, che suggerisce diversi significati, Salvatores, come tanti grandi registi italiani porta piccoli protagonisti sul grande schermo e dice sul set, tra i campi e quattro case, in parte ricostruite per il film: I ragazzini stanno ricordandomi cose che mi ero dimenticato. Con loro devi avere le idee chiare, gli devi dire una cosa precisa, senti la responsabilità di persone che si affidano a te. cosa che mi piace di più è il rapporto tra Michele e Mattia, nel film hanno la stessa età e ad un certo punto si dicono: ma allora siamo uguali. Quello con il bambino nel buco diventa il più grande gioco possibile. Dai sei ai 12 anni, i bambini protagonisti sono stati selezionati fra mille ragazzini superdilettanti della zona. Una di loro, Adriana, racconta: C'era una scena in cui dovevamo correre e sentivo le spighe entrarmi nella maglietta e le cavallette saltare fra il grano. Ho avuto paura e ho pianto. E Salvatores racconta che Filippo (Mattia) gli ha detto: Vorrei fare l'attore perché posso dire la verità senza farmi male. E proprio per lui che deve stare in quel buco sotto terra, con gli occhi che per mancanza della luce diventano una piccola fessura, è stata chiamata sul set anche una psicologa per avere un sostegno nel caso ce ne fosse stato bisogno. Il finale che nel romanzo è aperto, nel film sarà più chiaro. Il resto - libro e sceneggiatura - sono, a giudizio di Salvatores, molto vicini, con un lavoro di ottima sintes.

7 NICCOLO' AMMANITI: SCHEDA BIOGRAFICA Niccolò Ammaniti è nato a Roma nel Ha esordito nel 1994 con il romanzo "Branchie", (Editrice Ediesse, poi Einaudi, 1997). Nel 1995 ha pubblicato il saggio "Nel nome del figlio", scritto con il padre Massimo, e nel 1996 la raccolta di racconti "Fango" (Mondadori). Suoi racconti sono usciti nelle antologie "Gioventù cannibale" (Einaudi, 1966) e "Tutti i denti del mostro sono perfetti" (Mondadori, 1997). I suoi libri sono stati tradotti in francese, tedesco, spagnolo, greco e russo. E' del 1999 "Ti prendo e ti porto via" (Mondadori), mentre nel 2001 pubblica per Einaudi "Io non ho paura". recensioni La Stampa - Lietta Tornabuoni Allarmante come una favola nera, teso come un thriller, curioso come un gioco, «Io non ho paura», che Gabriele Salvatores ha tratto quasi fedelmente dal romanzo di Niccolò Ammaniti (editore Einaudi), è davvero un bel film: forte, ben strutturato e girato, semplice ed estremamente raffinato, con bravi interpreti bambini e non, con un forte senso della Natura, senza patetismi né moralismi. Nella campagna tra Puglia e Basilicata, un'estate di circa un quarto di secolo fa, correndo in bicicletta tra il grano alto, esplorando per gioco, un bambino scopre una buca-prigione sotterranea, appena occultata da un pezzo di lamiera. Dentro la buca sta un bambino della sua età: incatenato, spaventato, affamato e assetato, quasi nudo, quasi cieco, con una faccia spettrale e il pallore malato del sepolto vivo, grida isterico «Sono morto». Tra i due coetanei si sviluppa un'amicizia solidale: il bambino libero porta all'altro pane da mangiare e acqua da bere, lo fa uscire dalla tana e gli fa respirare l'aria, con pazienza cerca di parlargli e di farlo parlare; il bambino prigioniero, sicuro d'essere stato abbandonato dai suoi e condannato a morte, arriva a ridere. Poco a poco, il bambino libero capisce da vari segni che sono i propri genitori a tenere sotto sequestro il bambino prigioniero in attesa del riscatto: e alla fine lo libera, gli salva la vita, prende il suo posto. La bellissima storia è raccontata come meglio non si potrebbe. Nessun luogo comune, niente metafore, asciutta sobrietà, realistica serietà. I bambini non vengono eletti a simboli d'innocenza: i loro giochi (hai perso, ho vinto, paga penitenza) sono prepotenti e crudeli quanto gli affari sporchi degli adulti; nel bambino salvifico, curiosità e spirito d'avventura sono forti quanto la bontà; quando capisce cosa stiano facendo i propri genitori, il bambino non li giudica ma disobbedisce e per contraddizione rimedia alle loro colpe. Gli adulti non vengono promossi carogne: agiscono orribilmente per miseria ignoranza o follìa, per obbedienza meridionale a Diego Abatantuono, desolato capobanda settentrionale. I bambini sono filmati con grande naturalezza nelle corse a perdifiato in bicicletta e nei giochi, ma l'occhio che guarda (i calzoncini, le gambette sode) è adulto. La Natura è realistica soprattutto nella buca-prigione brulicante di vermi o nella notte piena d'insidie: le grandi distese dorate del grano maturo, i grandi cieli tersi o appena sfrangiati di nuvole sono mitici come illustrazioni di libri per l'infanzia o come le immagini di Conrad L. Hall nella fotografia di «Era mio padre» di Mendes. La famiglia non esiste: la madre furente e il padre assente sono soltanto persone che si arrabbiano («mamma ti ammazza»), che chiedono complicità («non dire una parola a nessuno»), che danno fastidio e danno da mangiare. In tutta la vicenda straziante, una autentica prova di maturità, bravura, intelligenza: neppure per un attimo si indulge al sentimentalismo, non vengono mai le lacrime agli occhi. Ciak - Stefano Lusardi Di solito il cinema non racconta i bambini, li usa (a Hollywood diventano perfino orrende baby- star) per fare piangere o ridere. E di solito quando un regista adatta un romanzo per lo schermo rischia di tradirlo troppo, snaturandolo, o troppo poco, limitandosi a una piatta illustrazione. Invece Gabriele Salvatores è riuscito a fare un film sui bambini, con la sensibilità di un Comencini o di un Truffaut, e a tradurre in immagini il bel romanzo di Niccolò Ammaniti, senza tradirlo, ma facendolo diventare puro cinema, dinamico e profondo. Io non ho paura rispetta infatti il romanzo a partire dalla prima inquadratura, con Michele (Giuseppe Cristiano), il protagonista di dieci anni che vive in una misera e remota frazione nell'entroterra pugliese (siamo negli anni '70), che corre fra il grano

8 per raggiungere la vetta di un colle. Persa la gara con gli amici e costretto a una pericolosa penitenza, il bambino troverà per caso il coetaneo Filippo (Mattia Di Pierro) imprigionato in un freddo buco sotterraneo, un'incredibile drammatica scoperta che cambierà la sua vita e il suo rapporto col mondo degli adulti. Non entriamo nei dettagli perché Io non ho paura è un film che va scoperto scena per scena, visto che una delle sue anime è thriller, a metà via fra aspro verismo e certe storie d'orrore, molto terrene e senza mostri, del miglior Stephen King (Stand by me). Preferiamo piuttosto sottolineare il buon lavoro di sceneggiatura che Ammaniti (in coppia con Francesca Marciano) ha fatto sul suo materiale originale, eliminando ad esempio, questa la variante più evidente, l'origine ricca e borghese di Salvatore (Stefano Biase), l'amico più caro di Michele. Una scelta, come quella di ridurre la presenza del personaggio di Melichetti (basta una scena a evidenziare la sua inquietante animalità), che permette a Salvatores, dopo la creatività sperimentale dimostrata nell'interessante (ma sfortunato) Denti, di concentrarsi su uno stile di regia secco, netto ed essenziale. L'intero film, infatti - dalla fotografia di Italo Petriccione, che alterna oro/grano e nero/notte alla scenografia "povera" e naturale di GianCarlo Basili - è tutto giocato su una perfetta alternanza di contrasti, di mondi e spazi contrapposti: il Sud, nei cui colori stordenti è immersa la storia, e il Nord evocato per contrasto (le parole incomprensibili - "orsetti lavatori" - di Filippo, il dialetto milanese di Sergio/Diego Abatantuono); l'alto (la vastità, il perdersi, la libertà infantile dei giochi) contro il basso (le riprese a livello bambino, che marcano l'estraneità e l'inquietudine crescenti), che poi si specchia nel rapporto, attraverso la buca, fra Michele e Filippo; i pieni claustrofobici (la casa, il buco, la grotta) contro i vuoti da vertigine (il campo, la desolazione). Infine il linguaggio, elemento estremo di separazione: quello degli adulti è come un puzzle impossibile da decifrare («non riesco a capire, dice Michele al padre, quando scopre l'orrendo piano concepito dagli adulti), quello dei bambini continua invece a sovrapporre caparbiamente l'immaginario al reale (l'uomo lucertola inventato da Michele per affrontare la penitenza, la litania scaramantica quando pedala nel buio, l'incomprensibile prigionia che diventa morte per Filippo) proprio per superare la paura e per trovare un proprio codice morale di comportamento. Oltre a dimostrare di saper usare l'immagine per trasformare simboli, etica e nostalgia in concretezza narrativa e in ritmo coinvolgente (Io non ho paura è un film che prende e avvolge, fino al colpo di scena finale), Salvatores è stato molto bravo nella scelta e nella direzione dei suoi attori (e non attori). Cristiano, dai grandi occhi espressivi, ha la giusta introversione e una convincente purezza, Di Pierro una perfetta e indifesa angelicità; il padre Dino Abbrescia le necessarie ruvidità e impotenza e la madre Aitana Sànchez-Gijon la giusta dolente bellezza. Ma forse la vera sorpresa è Abatantuono, carogna fino all'ultima battuta, che, con raffinata misura, va a pescare il suo lombardo cattivo con stecchino fra i denti direttamente dal bar del Giambellino. Sette - Claudio Carabba Ricordi di una lunga estate calda, in una campagna del Sud, nell'italia di ieri (1977). Il primo bambino, che vive lì con la rude famiglia, corre in bicicletta attraverso il giallo del grano ; il secondo é già chiuso, in una tana sottoterra, in attesa che i suoi ricchi genitori paghino il riscatto. Partito da un esile e fortunato romanzo di Niccolò Ammaniti (che deve qualcosa a Stand By Me di Stephen King), Gabriele Salvatores narra. Io non ho paura con un bel passo lento, riducendo al minimo i dialoghi. Il tema non è la perdita dell'innocenza (gli uomini non sono buoni, neppure da cuccioli ), ma la possibilità di lottare contro i mostri che ci assediano il cuore. Le favole sono più spaventose, se l'orco è il padre amoroso. Nonostante qualche eccesso di calligrafia (un po' di spighe di troppo, l'inquadratura finale), Salvatores, dopo alcuni film coraggiosi, ma sbagliati, ritrova una vena tesa e compatta, poeticamente sgomenta. la Repubblica - Roberto Nepoti Durante un'estate torrida, Michele scorrazza per la campagna pugliese assieme a un gruppo di coetanei: una piccola banda pronta a sfidarsi in prove di coraggio gratuite, che ricorda certi personaggi usciti dalla penna di Stephen King. Anche il clima narrativo, che implica una sorta di "spirito del luogo", è simile: l'in-famigliarità del famigliare, l'evento inconcepibile che irrompe nella vita monotona d'ogni giorno. Per caso, Michele scopre un ragazzo selvaggio incatenato in un buco nel terreno: in realtà un piccolo principe, Filippo, figlio di una ricca famiglia del Norditalia sequestrato a scopo di riscatto. L'avvicinamento dei due coetanei è lento, circospetto; poi il ragazzo del Sud diventa il protettore del prigioniero, senza sapere che i genitori sono coinvolti nel rapimento. E' bello quendo un regista si sforza di rinnovare il proprio rapporto col cinema,

9 inoltrandosi in esperienze nuove anziché riposare sugli allori. Gabriele Salvatores, a onor del vero, ci aveva già provato con "Nirvana" e "Denti", esperimenti coraggiosi però non del tutto riusciti. Da un po' di tempo, insomma, aspettavamo da lui un risultato completo, il titolo da annotare come una tappa importante nella sua filmografia: e Io non ho paura lo è. Ottimo adattamento del romanzo di Niccolò Ammaniti, il film è declinato alla prima persona, come lo è il libro e come dichiara il titolo. Narra una storia appassionante (con tanto di "arrivano i nostri" finale), ma nel frattempo rivela uno sguardo acuto su temi seri come il rapporto tra bambini e adulti, i riti di passaggio da un'età all'altra, la perdita dell'innocenza. Una questione di "sguardo", soprattutto. La macchina da presa di Italo Petriccione conduce lo spettatore a volo per una distesa di campi dalla luminosità abbacinante; poi lo precipita sottoterra, nell'oscurità claustrofobica di una fossa impenetrabile alla luce. Salvatores posiziona la macchina da presa ad altezza di ragazzino, focalizzando gli eventi attraverso il punto di vista (ingenuo, romanzesco, mitico) di Michele in modo da costituire per lo spettatore un alter-ego infantile attraverso cui osservarli. Il risultato è originale e sapiente; di più: una ricerca sul linguaggio di grande rigore formale mascherata sotto la linearità e la naturalezza del racconto. Ineccepibile anche il lavoro di casting: un gruppo di ragazzini più veri del vero, attori adulti poco noti (salvo Abatantuono, quasi irriconoscibile) ma bravi e fisicamente aderenti ai ruoli. Il Giorno - Silvio Danese E' l'allineamento tra estetica ed etica nel cinema di Salvatores, alla fine di una ricerca decennale che, puntata sul primo o sul secondo termine, sui prestiti e sugli stili, lasciava insoddisfatti, eppure convinti dei potenziali risultati. Nel romanzo omonimo di Ammaniti il regista di "Mediterraneo" e "Denti" ha trovato un punto di vista eccentrico e insieme bilanciato per liberare doti di percezione emotiva (da cinescrittore) e audiovisione organica (da autore): non soltanto la cinepresa è fisicamente ad altezza del bambino protagonista, cercando una sorta di "io" oggettivo, ma è il film a muoversi col pubblico ad altezza d'uomo. La storia la conoscono già tutti: Michele scopre Filippo, un bambino conosce la rapacità umana. La campagna riarsa del Sud, i cieli incombenti, la plastificazione studiata del reale, la palpabilità dell'ignoto, la denuncia del degrado familiare, la solidarietà nell'infanzia, l'incarnazione del destino malvagio (Abatantuono un po' dipinto): il cinema scorre e alimenta lo spettatore. Non è nuovo, ma è vero. Film TV - Emanuela Martini Una storia di orchi: un omaccione in mutande e canottiera che occupa imponente il bagno di casa e tiene una pistola nella valigia, un altro più mingherlino e incattivito che si chiama il Teschio e, anche lui in mutande, canottiera e stivaletti anfibi, balla e canticchia Parole, parole di Mina e Alberto Lupo in mezzo alla campagna, un guardiano di porci che sembra uscito da un incubo e ha ormai la stessa faccia degli animali che sorveglia. Persino il proprio padre, tanto atteso e giocoso e generoso, può diventare l'orco che divora. Sospeso tra il sole accecante di un'estate meridionale riflessa sul grano e l'oscurità fonda di un buco scavato nella terra e coperto da una lamiera, Io non ho paura, il film che Gabriele Salvatores ha tratto dal romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti (che l'ha sceneggiato, con Francesca Marciano), ha l'andamento pigro e casuale e poi pauroso e "predestinato" di una fiaba. Nel mezzo dell'estate, un bambino bruno che ha poco da fare se non giocare randagio con gli amici scopre in fondo a un buco un altro bambino, biondo, tenuto alla catena, affamato, sporco, ormai quasi incapace di vedere. Si chiamano Michele e Filippo, hanno la stessa età e sanno tutti e due che l'unica maniera per sopravvivere alle loro paure é affidarsi all'immaginazione, agli orsetti lavatori, agli angeli custodi, alle storie che ci si racconta nel buio e alle filastrocche con le quali attraversare le strade invase dalla notte. Ma gli esorcismi che tengono indietro i mostri misteriosi dell'infanzia non proteggono invece dagli orchi veri, quelli più pericolosi, i grandi. Il viaggio di Michele e Filippo é quello alla scoperta della brutalità del mondo reale, nascosta dietro le fattezze e i luoghi più familiari. Un viaggio che, prima o poi, arriva in ogni infanzia. Io non ho paura vede con i loro occhi, sente con le loro sensibilità, capisce al volo, come tutti i bambini capiscono, molto di più di quanto i grandi non credano. Ha la loro lealtà, la loro fragilità (un grande segreto in cambio di una macchinina, lo stesso segreto in cambio di una vera lezione di guida),la loro incosciente generosità. Il grande merito di Salvatores è di aver fatto un film esattamente.ad altezza di bambino, di aver lasciato ai grandi (tutti i grandi) lo spazio che si meritano: orchi appunto, minacciosi, o stupidi, o, sempre vigliacchi. Mentre i bambini cosa sia la vigliaccheria non l'hanno ancora imparato.

DIEGO ABATANTUONO AGENTE. Sabrina Ciuffardi Telefono:

DIEGO ABATANTUONO AGENTE. Sabrina Ciuffardi Telefono: DIEGO ABATANTUONO AGENTE Sabrina Ciuffardi Telefono: 02 48021595 Email: sabrina@moviement.it Esperienze ATTORE CINEMA 2017 - MISTER FELICITÀ regia di A. Siani 2016 - I BABYSITTER regia di G. Bognetti 2015

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