Le figure retoriche. Il glossario delle figure retoriche
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- Virginio Coppola
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1 1 Le figure retoriche All interno del volume abbiamo avuto occasione di parlare delle principali figure retoriche: si tratta di procedimenti che consistono nell usare parole o costrutti particolari per rendere più efficace o per abbellire il discorso. Le figure retoriche non sono una prerogativa del linguaggio letterario, ma sono molto diffuse anche nella lingua comune; si tratta, infatti, di procedimenti che nascono dalle necessità della comunicazione e, in particolare, dal bisogno di definire oggetti e concetti nuovi, di estendere il significato delle parole, di sfruttare i rapporti di forma tra le parole, di rendere meno prevedibile la loro combinazione. Abbiamo visto alcuni esempi di figure di suono (paronomàsia, rima, allitterazione) che si incontrano anche nella lingua comune per valorizzare le somiglianze di suono tra le parole; abbiamo poi parlato dell onomatopea, che non è propriamente una figura retorica, ma un fenomeno di iconicità (cioè di conformità tra la forma e il contenuto) tipico della lingua verbale. Abbiamo analizzato le principali figure di contenuto, che agiscono cioè sul significato delle parole, soffermandoci in particolare su quelle sfruttate a livello di sistema per colmare dei vuoti del lessico o per estendere il significato di alcune parole. Parlando della comunicazione abbiamo citato figure che agiscono sull interpretazione del messaggio come l ironia, la litote e l eufemismo; parlando delle frasi interrogative, poi, abbiamo citato un altra figura di questo genere: l interrogativa retorica. Sono tradizionalmente considerate figure retoriche anche una serie di procedimenti che agiscono sulla combinazione e sulla disposizione dei costituenti e che abbiamo trattato parlando della grammatica, come l asindeto e il polisindeto, l anacoluto, e l inversione nelle frasi enfatiche: in realtà si tratta, come abbiamo visto, di fenomeni comunicativi. Tutte le figure finora citate producono effetti che possono essere isolati e analizzati, di volta in volta, nei testi (non solo letterari). Parlando del testo abbiamo avuto modo di citare anche altri procedimenti tradizionalmente considerati di pertinenza della retorica, come l anafora, la ripetizione e l ellissi. Diamo qui un glossario completo di tutti i procedimenti tradizionalmente considerati figure retoriche. Per le figure già ampiamente trattate in altre parti del libro, rinvieremo sostanzialmente a quelle trattazioni. Il glossario delle figure retoriche Allegoria (dal greco allegoria, parlare in termini diversi ). È una descrizione, o un immagine, che nasconde un significato, diverso dal senso letterale e non immediatamente comprensibile: deve quindi essere interpretata. Sono allegorie, ad esempio, le parabole del Vangelo, e spesso lo sono le favole; la Divina Commedia di Dante è tutta un allegoria, e contiene a sua volta un gran numero di immagini allegoriche, come quella che citiamo qui di seguito (da If XIV, ).
2 2 Dentro dal monte sta dritto un gran veglio (= vecchio) [ ] La sua testa è di fin oro formata e puro argento son le braccia e il petto, poi è di rame infino alla forcata (= inguine); da indi in giuso (= giù) è tutto ferro eletto, salvo che l destro piede è terra cotta; e sta n su quel, più che n su l altro, eretto. Questo strano vecchio simboleggia il genere umano nelle sue varie età: dell oro, dell argento, del rame, del ferro; col piede di terra cotta, che è la parte più fragile, Dante vuol far capire che l umanità è ormai in fase di decadenza. Allitterazione (dal latino ad e littera, di lettera in lettera ). È la ripetizione di suoni uguali o simili all inizio o all interno di due o più parole (vedi anche la voce paronomàsia); a volte si mescola con l onomatopèa. e simili a sogno di nulla, / nell acqua c è l ombra sua bruna, / che appena si dondola e culla / nel lume di luna (G. Pascoli) È frequente anche nei proverbi e modi di dire (Chi non risica non rosica; Spendere e spandere; ), negli slogan pubblicitari, nei titoli dei giornali ecc. Allusione. Consiste nel dire una cosa con l intenzione di farne capire un altra. Naturalmente, la cosa a cui si allude deve essere ben conosciuta, deve cioè riguardare una frase, un fatto, un personaggio famoso (della storia, della letteratura ecc.), oppure un fatto legato all esperienza personale di chi ci ascolta. Ne sono esempi: È stata una vittoria di Pirro, ossia una vittoria inutile, come quella di Pirro, re dell Epiro, che sconfisse i Romani a Eraclea nel 280 a.c., ma perdette gran parte dell esercito; Andare a Canossa, ossia sottoporsi a una ritrattazione umiliante, come quella di Enrico IV con papa Gregorio VII nel castello di Canossa. Anacoluto (dal greco anakóluthos, senza seguito ). È la combinazione di due costruzioni sintattiche non raccordate tra loro, in modo che la prima resta interrotta e sospesa. È una struttura più irregolare di quella delle frasi enfàtiche segmentate. Con l anacoluto si è molto vicini alla lingua parlata, e perciò gli scrittori di narrativa non lo rifiutano. Vi sono parecchi esempi (e sono famosi) ne I promessi Sposi di Alessandro Manzoni: Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro. [ ] noi altre monache, ci piace sentir le storie per minuto. Anadiplòsi (dal greco anadiplosis, raddoppiamento ). Consiste nel riprendere, all inizio di una frase o di un verso, una o più parole dalla fine della frase o del verso precedente.
3 3 [ ] parlava da due ore, da due ore faceva ridere il pubblico come un brillante. (F. De Roberto) Questa voce sentiva / gemere in una capra solitaria. / In una capra dal viso semita / sentiva querelarsi ogni altro male, / ogni altra vita. (U. Saba) Anàfora (dal greco anaphorà, ripetizione ). È, in poesia, la ripetizione di una o più parole all inizio di versi successivi. Famosissimo l esempio della Divina Commedia, in If III, 1-3. Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. La triplice ripetizione, o anafora, appunto, di per me dà il senso di orrore e di definitiva condanna per chi attraversa la porta dell inferno. Il termine viene usato anche con il significato generale di ripetizione, richiamo di un elemento già nominato all interno di un testo. Anàstrofe (dal greco anastrophé, inversione ). Consiste nel rovesciare l ordine normale di due parole. L anastrofe somiglia molto all ipèrbato. È frequente nella poesia che si rifà ai modelli dello stile classico. questa / bella d erbe famiglia e d animali Perfida sia quantunque, ingrata e ria (U. Foscolo) (L. Ariosto) Si può avere anche nel linguaggio comune: eccezion fatta; strada facendo. Annominazione (dal latino adnomìnatio, denominazione ). Detta anche figura etimologica, consiste nell accostare parole che hanno la stessa radice. Questa selva selvaggia e aspra e forte Amor ch a nullo amato amar perdona (Dante) (Dante) Antìfrasi (dal greco antiphrasis, espressione contraria ). Consiste nel dire qualcosa intendendo esattamente il contrario; si usa per fare dell ironia. È frequentissima nella lingua comune: «Vedo che avete studiato!», vale a dire: Vedo che non avete studiato affatto, che non siete preparati. Un esempio famoso nella narrativa è ne I promessi sposi, quando don Abbondio rimprovera Renzo per il tentativo di «matrimonio per sorpresa». Avete fatto una bella azione! M avete reso un bel servizio! [ ] Avete fatto una bella prodezza!
4 4 Antìtesi (dal greco antìthesis, posizione contro ). È la contrapposizione di due parole o espressioni di senso opposto. Un esempio famoso è nell ode Il cinque maggio di Alessandro Manzoni, nei versi che descrivono la vita di Napoleone. Tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio: due volte nella polvere, due volte sull altar. La contrapposizione può anche avere forma negativa, come in questo verso di Francesco Petrarca. Pace non trovo, e non ho da far guerra. Antonomàsia (dal greco antonomasia, parola sostitutiva ). Consiste nel sostituire un nome comune con un nome proprio, o viceversa. Il nome sostitutivo richiama una qualità, una caratteristica della persona o cosa di cui si parla. Ne sono esempi: un Carneade, ossia un perfetto sconosciuto, dal passo famoso de I promessi sposi in cui don Abbondio trova in un libro il nome di Carneade, antico filosofo, e dice fra sé: «Carneade! Chi era costui?»; un Creso, ossia un uomo ricchissimo, dall antico re di Lidia, Creso, famoso per le immense ricchezze); una Venere, ossia una donna di grande bellezza, poiché Venere era la dea greca della bellezza. Con procedimento contrario, cioè usando un nome comune o un giro di parole al posto del nome proprio, si dice, ad esempio, il sommo poeta per alludere a Dante; la voce, per alludere a Frank Sinatra. Apòstrofe (dal greco apostrophé, dal verbo apostréphein, rivolgere ). Consiste nel rivolgersi direttamente, con forza e calore, a qualcuno (vivo o morto, presente o assente), oppure a una cosa personificata: O, Romeo, Romeo!; Casa mia!; Fermati, o sole! Asìndeto (dal greco asýndetos, senza legamenti ). È la mancanza di congiunzioni coordinanti (e, o, ma, né,...) fra due parole o due frasi. Il suo contrario è il polisindeto. Bisticcio. Vedi paronomàsia. Calembour (dal francese, pron. calambùr). È un gioco di parole che sfrutta i vari significati che una stessa parola può offrire, o gioca sull omonimia tra due parole. Lo troviamo spesso negli slogan della pubblicità, nelle barzellette, nel linguaggio degli umoristi. Eccone uno giocato sulla polisemia. Le mogli che amano i loro mariti non cercano di cambiarli: l equivoco è sul doppio significato del verbo cambiare, che in questo caso può significare: a) cambiare i mariti, cioè lasciarli e prenderne altri; b) cambiare il loro carattere o le loro abitudini.
5 5 Catàcrèsi. Vedi metàfora. Chiasmo. È la disposizione incrociata di parole o frasi che si corrispondono: prende nome dalla lettera greca c (chi) per la sua forma di croce: Promette tutto, nulla mantiene. Un famoso esempio poetico tratto da Giacomo Leopardi. L armi, qua l armi: io solo combatterò, procomberò (= cadrò) sol io. Circonlocuzione. Vedi perifrasi. Climax. Vedi gradazione. Comparazione. È un ampio confronto tra due fatti, due scene ecc. In genere, la prima parte del paragone è introdotta da come, quale, la seconda parte da così, tale. È una forma più sviluppata della semplice similitudine. Le comparazioni sono frequenti nella poesia del passato (Ottocento compreso) e in particolare nella poesia epica (Iliade, Odissea, Eneide). Come sui monti un serpente nutrito di succhi malefici attende sul covo l uomo, e un ira lo invade feroce, terribile guarda e a spire sul covo s attorce: così Ettore, acceso d indomita collera il cuore, non recedeva... (Omero, Iliade, trad. di Vincenzo Cetrangolo) Dittología sinonimica. Vedi endìadi. Ellissi (dal greco élleipsìs, mancanza ). Consiste nel sopprimere in una frase alcuni elementi che la costruzione grammaticale richiederebbe, ma che si ricavano senza difficoltà dal contesto. Endìadi (dal greco hén dia dyóin, una cosa per mezzo di due ). È detta anche dittologia sinonimica ( uso di due sinonimi ). Consiste nell esprimere un concetto unitario con due termini coordinati: Far fuoco e fiamme; È un affare bell e buono; «O delli altri poeti onore e lume» (Dante); «Salve, o città forte di vallo e fosso!» (G. Pascoli). Eufemismo (dal greco euphemismós, dal verbo euphemízethai, dire parole buone, ben auguranti ). Consiste nel sostituire un espressione considerata sconveniente o spiacevole con altra gradevole. Gradazione o climax (dal greco klimax, scala ). Consiste nel creare una catena di parole o espressioni che, per il significato o per il ritmo, creano un effetto di progressiva intensificazione o accumulazione (gradazione ascendente) o vi-
6 6 ceversa di progressiva attenuazione (gradazione discendente, o anticlimax): Ti prego, ti supplico, ti scongiuro di non partire; La fiamma della candela si fa più sottile, trema, si spegne. Interrogazione retorica. È una domanda che di interrogativa ha solo la forma; non si fa davvero per sapere qualcosa, ma per affermarla decisamente, dando per scontata la risposta. Ipàllage (dal greco hypallaghé, scambio di posto ). Consiste nell attribuire a un oggetto (o a una situazione, luogo ecc.) una caratteristica che appartiene ad altro oggetto (o situazione, luogo ecc.). Ecco un esempio dal sonetto Alla sera di Ugo Foscolo: «inquiete tenebre». Un altro esempio famoso, tratto da Giosue Carducci: «il divino del pian silenzio verde», in cui si definisce verde il silenzio invece che la pianura erbosa. Ipèrbato (dal greco hypérbatos, trasposto, invertito ). Consiste nello spezzare e invertire l ordine solito delle parole di una frase, separando elementi che normalmente sono uniti (ad esempio, un nome dal suo aggettivo, un complemento dal nome che lo regge). L ipèrbato è simile all anàstrofe e, come questa, è soprattutto frequente nella poesia che si ispira ai modelli classici e nelle traduzioni poetiche dal greco e dal latino. Un esempio è tratto da due versi di Ugo Foscolo: «mille di fiori al ciel mandano incensi», che in costruzione normale sarebbe: mandano al ciel mille incensi (= profumi) di fiori ; «della fatal quïete / tu sei l immago»; e ancora da Giousue Carducci: «Ancor dal monte che di foschi ondeggia / frassini al vento mormoranti», cioè, in costruzione normale, Ancora dal monte che ondeggia di foschi frassini mormoranti al vento ; la costruzione poetica, separando i tre vocaboli foschi, frassini e mormoranti, dilata l immagine delle loro chiome ondeggianti. Ipèrbole (dal greco hyperbolé, lancio in alto, esagerazione ). Consiste nell esprimere un concetto con termini esagerati, che presi nel loro senso letterale sarebbero del tutto inverosimili. È frequentissima nella lingua comune. L esagerazione può essere per eccesso: Corre come un razzo; oppure per difetto: Cammina come una lumaca; Scendo a fare due passi; Bevi un goccio di vino. Come si vede da questi esempi, l ipèrbole fa parte del linguaggio quotidiano. Un esempio poetico è tratto da Il cinque maggio di Alessandro Manzoni, dove si descrive il genio militare e la rapidità d azione di Napoleone. Dall Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno: scoppiò da Scilla al Tanai dall uno all altro mar. Ironia (dal greco eironéia, il far finta di non sapere ). Consiste nel dire una cosa per finta, intendendo però il contrario; è simile all antìfrasi, che è appunto una forma di ironia.
7 7 Litote (dal greco litós, semplice, attenuato ). Consiste nell affermare un concetto negando il suo contrario: Non è simpatico (invece di: È antipatico); Non è un aquila (invece di: È uno stupido). Famoso l esempio manzoniano: «Don Abbondio... non era nato con un cuor di leone (= era un vile)». Metàfora (dal greco metaphorà, spostamento, trasferimento ). Consiste nello spostamento di significato di una parola da un campo di idee a un altro. È usatissima nella lingua comune: Gianni è un vulcano di idee; Luisa ha uno sguardo di fuoco;, ed è una delle maggiori fonti di trasformazione della lingua. Quando una metafora si è raffreddata, cioè non appare più come tale ma è diventata una parola o un espressione di uso normale (ala di un palazzo; fonte di guai; ), prende il nome di catàcrèsi. Metonìmia (pronunciato di solito alla latina; dal greco metonymía, cambiamento di nome ). Consiste nell indicare una cosa non col suo nome abituale, ma col nome di un altra cosa che in qualche modo è collegata alla prima da un rapporto di vicinanza, di causa ed effetto, di contenente e contenuto ecc. Ecco i casi più tipici con i relativi esempi:. la causa invece dell effetto: Vive del suo lavoro (= con i guadagni che il lavoro gli procura);. l effetto invece della causa: «talor lasciando le sudate carte» (G. Leopardi), cioè lasciando gli studi che fanno sudare sui libri;. la materia invece dell oggetto fatto con essa: ferro invece di spada, legno invece di nave, marmo invece di statua; «E a questi marmi / venne spesso Vittorio ad ispirarsi» (U. Foscolo). Da una metonìmia è nato il significato già antico, e poi più nettamente moderno, della parola codice.. il contenente invece del contenuto: bere un bicchiere, una bottiglia, un boccale;. il mezzo, lo strumento invece della persona che lo usa; «lingua mortai non dice...» (G. Leopardi); È il primo violino della Scala; Le artiglierie hanno sparato;. l autore invece dell opera: leggere Leopardi; comprare un Picasso, cioè un quadro di Picasso;. l astratto invece del concreto: sfuggire alla sorveglianza, cioè ai sorve glianti; «Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta» (G. Leopardi), dove virtù indica gli uomini virtuosi;. il concreto invece dell astratto: avere fegato, cioè avere coraggio (e così aver cuore, aver testa, );. lo specifico invece del generico: correre i 100 metri, cioè la corsa dei 100 metri; vivere la festa, cioè vivere intensamente le ore della festa;. il luogo invece delle persone che vi si trovano: essere in panchina, espressione del gergo calcistico che indica il far parte del gruppo di allenatori, tecnici e giocatori di riserva; il Quirinale, cioè il Presidente della Repubblica italiana; Onomatopèa (dal greco onomatopoiía, creazione di un nome ). È una parola che imita un suono, un rumore, il verso di un animale: tic-tac (l orologio), dindon (le campane), miao,... Insieme con l onomatopèa vera e propria vanno considerati gli effetti onomatopèici che vengono di volta in volta inventati dai poeti.
8 8 Ecco due esempi tratti da due versi di Giovanni Pascoli: Col vento via le vane foglie vanno Nei campi c è un breve gregre di ranelle Ossìmoro (dal greco oxýmoron, acuto, ma apparentemente stupido ). Consiste nell accostamento di parole di significato opposto: amara dolcezza, attimo eterno, lucida follia. Ecco alcuni famosi esempi poetici: Cembalo di silenzio sonoro bianca bianca nel tacito tumulto / una casa apparì sparì d un tratto il vento che tarda, la morte, la morte che vive! (A. Soffici) (G. Pascoli) (E. Montale) Paronomàsia (dal greco paronomasìa, denominazione affine ). Consiste nell accostamento di parole che hanno suoni simili. È affine all allitterazione. Quando le parole hanno suono identico, ma significato diverso, si crea il bisticcio: Porta aperta per chi porta. Perìfrasi (dal greco períphrasis, discorso intorno ), detta anche circonlocuzione (dal latino circumlocutio). Consiste nell indicare qualcosa o qualcuno non col suo nome abituale, ma con un giro di parole. «Colui lo cui saver tutto trascende» (Dante), cioè Dio; «Il bel paese ch Apennin parte (= divide), il mar circonda e l Alpe» (F. Petrarca), cioè l Italia. Anche nella lingua comune si usano delle perifrasi a scopo di eufemismo: È stato colpito da un male incurabile, per non nominare il tumore. Polisìndeto (dal greco polysýndetos, con molti legamenti ). Consiste nel legare tutti gli elementi (parole o frasi) di una serie con una congiunzione. È il contrario dell asìndeto. Dopo tanti anni possiamo di nuovo vederci e parlare e ricordare il passato (G. Carducci) e sempre corsi / e mai non giunsi il fine; / e dimani cadrò. (G. Carducci) Preterizione (dal latino praeteritio, dal verbo passare oltre ). Consiste nel dichiarare di non voler dire una certa cosa, che invece viene detta. Non parliamo neppure di tutti i pasticci che Marco ha combinato: ha perduto i biglietti dell aereo, non è arrivato in tempo all appuntamento ecc.
9 9 Similitudine. È un paragone, un confronto tra cose ritenute simili, introdotto di solito da come, tale, quale, simile a ecc. È più breve della comparazione: Correva come una lepre; Parla come un avvocato. Sinèddoche (dal greco synekdoché, connessione, comprensione ). Assomiglia molto alla metonìmia e consiste nel chiamare una cosa non con il suo nome abituale, ma con un altro, che indica qualcosa di connesso per estensione (più ampio o meno ampio). Ecco i vari casi possibili, con i relativi esempi:. la parte invece del tutto: Non avere un tetto (= una casa); Quella donna ha cinque bocche (= perso ne) da sfamare;. il tutto invece della parte: «il mondo (= gli uomini) è cieco» (Dante);. la parola di significato più ampio invece della parola più ristretta: lavoratori per gli operai;. il genere invece della specie: «O animal (= uomo) grazioso e benigno» (Dante);. la specie invece del genere: Il pane (= cibo) non ci manca;. il singolare invece del plurale: Mi guardava con occhio severo;. il plurale invece del singolare: «Quel dolce pome [...] / oggi porrà in pace le tue fami» (Dante). Sinestesìa (dal greco synáisthesis, percepire insieme più cose ). Consiste nell associare insieme termini che si riferiscono a campi sensoriali diversi, cioè a sensi diversi (vista, udito, olfatto ecc.). Due esempi tratti rispettivamente da Giovanni Pascoli e da Scipio Slataper: «pigolìo di stelle», dove pigolìo appartiene alla sfera uditiva, stelle a quella visiva; «un grido impietrito». Zeugma (dal greco zéugnymi, aggiogo ). Consiste nel collegare ( aggiogare ) due o più termini a una parola che, secondo la logica, potrebbe andar bene solo per uno di essi. Famoso l esempio dantesco: «Parlare e lagrimar vedrai insieme». In realtà si può vedere qualcuno lacrimare, ma non parlare: semmai, lo si sente parlare.
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