CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale. Incontro di studi sul tema

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1 1 CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale Incontro di studi sul tema La giurisdizionalizzazione del processo minorile laboratorio di autoformazione per magistrati minorili Roma, 13 febbraio 2012 GRUPPO DI DISCUSSIONE IN MATERIA DI GIURISDIZIONALIZZAZIONE DEI PROCEDIMENTI RELATIVI ALLA FILIAZIONE NATURALE EX ART. 317 BIS CC. Sommario:. 1 Gli orientamenti consolidati in materia di riparto di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario. - 2 Problemi interpretativi. Le ipotesi di connessione tra domande di affidamento e di mantenimento dei figli naturali Ammissibilità del ricorso congiunto dei genitori. Competenza per materia del tribunale per i minorenni. 4 Carattere esecutivo delle disposizioni concernenti il mantenimento dei figli naturali. - 5 Altre disposizioni di carattere patrimoniale in favore dei figli naturali Individuazione dell Autorità giudiziaria competente per territorio. - 7 Il presupposto della cassazione della convivenza. Orientamenti della recente giurisprudenza di merito.- 8 Il rito applicabile. 9 I procedimenti ex art. 317 bis cc e le prassi. Dott.ssa Valeria Montaruli Giudice del Tribunale per i Minorenni di Bari 1

2 - 1 Gli orientamenti consolidati in materia di riparto di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario. Nonostante l unanimità di consensi in ordine alla necessità di adire un unica autorità giudiziaria per i figli naturali, all indomani dell emanazione della legge sull affido condiviso sussistevano diverse opinioni in ordine all individuazione della stessa. Tale divergenza è stata appianata dall intervento della Cass., I sez. civ., ordinanza n del 22 marzo 2007, emessa in sede di regolamento di competenza sull affidamento e mantenimento dei figli naturali 1. La Corte di Cassazione, in sede di regolamento di competenza, ha sposato la tesi, sostenuta dal tribunale ordinario di Milano, che attribuisce al Tribunale per i minorenni la competenza in ordine all emanazione di ogni provvedimento concernente l affidamento e il mantenimento della prole. La Suprema Corte ha stabilito che la legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull affidamento condiviso, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l art. 317-bis cod. civ., sicché la competenza ad adottare i provvedimenti nell interesse del figlio naturale spetta al tribunale per i minorenni, in forza dell art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ., in parte qua non abrogato, neppure tacitamente, dalla novella. La Corte, tuttavia, valorizza il principio della unitarietà dei profili di natura personale e di quelli di natura patrimoniale, alla luce del principio della contestualità delle misure relative all esercizio della potestà e all affidamento del figlio e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall altro, prefigurata dai novellati artt. 155 e ss. cod. civ. Viene ritenuto dirimente il rilievo che l art. 4 comma 2 della legge n. 54/2006, con il prevedere l applicazione ai 1 La pronuncia è pubblicata nella rivista Famiglia e diritto, 2007, 446, con nota di Tommaseo. 2

3 procedimenti che riguardano i figli naturali, delle norme contenute in quella stessa legge, non abbia abrogato il rinvio contenuto nell art. 317 bis c.c. all art. 38 disp. att., ma si sia limitato ad estendere al fine di assicurare alla filiazione naturale forme identiche di tutela rispetto a quelle riconosciute alla filiazione legittima i nuovi criteri e principi sulla potestà genitoriale e sull affidamento, anche ai figli di genitori non coniugati, senza perciò incidere sui profili processuali dei relativi procedimenti, tra i quali la competenza. La pronunzia opera una disamina delle nuove norme applicabili ai figli naturali ed esclude che la nuova disciplina in materia di separazione e affidamento condiviso sia automaticamente applicabile ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. E certamente da escludersi l applicabilità del reclamo avverso l ordinanza presidenziale, che presuppone un procedimento davanti al tribunale ordinario, ai sensi degli artt. 706 ss. cpc. 2 Per il resto, la Cassazione afferma che il Tribunale per i minorenni, con riferimento ai figli naturali, è dotato degli stessi poteri istruttori previsti dalla legge sull affido condiviso in capo al giudice della separazione, e che può addirittura applicare ai genitori i provvedimenti sanzionatori ex art. 709 ter cpc. Quanto all attribuzione al tribunale per i minorenni anche dei provvedimenti sul mantenimento dei figli naturali, la Cassazione ha ritenuto rispondente al criterio di razionalizzazione della materia introdotto dalla modifica dell art. 155 c.c., l attribuzione della competenza ad emanare detti provvedimenti allo stesso giudice che si occupa dei profili di carattere personale. Essa accoglie la lettura, già anticipata dalla dottrina, per cui l art 155 c.c. introduce il principio di inscindibilità della valutazione relativa all affidamento e di 2 cfr. da ultimo Cass. ord. 20 novembre 2010 n , che ha escluso la reclamabilità dei provvedimenti provvisori adottati in tali procedure, in quanto sempre revocabili e privi di decisorietà. 3

4 quella concernente gli aspetti patrimoniali. Infatti, la valutazione di tali aspetti da parte del giudice minorile era già prevista dall art. 277 c.c. in materia di reclamo della paternità o maternità naturale, stabilendo che in tal caso il giudice minorile avesse cognizione anche sugli aspetti patrimoniali, atteso che in caso contrario si renderebbe il trattamento dei medesimi deteriore rispetto a quello previsto per i figli legittimi. Un ulteriore tassello è stato aggiunto dalla Cassazione con l ordinanza del 20 settembre 2007, n , che ha dato seguito all indirizzo interpretativo che la stessa Corte regolatrice, in tema di affidamento e mantenimento dei figli naturali, aveva assunto con la precedente ordinanza 3 aprile 2007, n Segnatamente, la Corte di cassazione ha dichiarato la competenza del Tribunale per i Minorenni, nell'ambito dei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ex art. 317-bis c.c., ad esprimere una «cognizione globale» sui figli naturali, nel senso che il Giudice minorile potrà adottare non solo i provvedimenti relativi all'affidamento della prole naturale ma, anche, nella sola ipotesi di contestualità della domanda di natura patrimoniale con quella di affidamento, quelli relativi alla misura e al modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento della stessa. Non essendo peraltro stato abrogato, né modificato l art. 148 C.c., procedimento speciale di natura ingiuntiva di competenza del tribunale, deve ritenersi che permanga la competenza del tribunale ordinario in caso di ricorso relativo ai soli aspetti patrimoniali 3. Tale pronunciamento ha trovato univoca conferma nella giurisprudenza successiva, che ha recepito il principio per cui solo allorché la controversia riguardi unicamente i diritti patrimoniali, la competenza spetta al tribunale ordinario. In particolare, si sono pronunciate in questo senso Cass. civ. I 3 Cfr. in senso minoritario, Trib Tivoli, 23 aprile 2009, che afferma la competenza del TM in tema di mantenimento del figlio naturale, indipendentemente dalla proposizione di una domanda di affidamento. 4

5 sez. civ., ord. 25 agosto 2008, n , Cass. civ, sez. I, 11 dicembre 2009, n L anzidetta linea interpretativa è stata altresì seguita dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib Monza, 16 luglio 2009, per un caso di contestualità tra domanda di affidamento e di mantenimento della prole; Trib. Catania 16 settembre 2009, che attribuisce al TM la competenza a provvedere sul diritto di visita del figlio naturale, che si configura come modalità di esercizio della potestà genitoriale; Trib. Bologna 10 luglio 2007, Trib. Firenze 26 luglio 2007, che ha ritenuto che è rimasta intatta la competenza del Tribunale ordinario ex art. 148 c.c., laddove anche per la famiglia di fatto non venga proposta una questione relativa all affidamento della prole). Tale soluzione è peraltro compatibile con i principi del diritto comunitario, atteso che, ai sensi del Regolamento Cee n. 2201/03, i giudici competenti in materia di responsabilità genitoriale, devono pronunciarsi anche in materia di obbligazioni alimentari in favore della prole. In ordine alla questione in parola, venivano sollevate dal rispettivamente Tribunale di Siena 11 gennaio 2008 e dalla Corte di Appello di Lecce (sez. dist. di Taranto) del 22 dicembre 2008, questioni di legittimità costituzionale dell art. 4 cpv. l. n. 54/06, nella parte in cui non attribuisce al tribunale per i minorenni la competenza esclusiva in ordine a tutti i procedimenti relativi a figli di genitori non coniugati, invocando una violazione del principio della concentrazione delle tutele e del contraddittorio, a detrimento dei figli naturali. La questione è stata peraltro dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale, rispettivamente con ordinanze del 18 febbraio 2009 n. 47 e del 5 febbraio 2009 n. 129, per mancata delimitazione del petitum e della causa pretendi, e per non avere esperito altri percorsi di interpretazione adeguatrice delle norme. Da ultimo, la recente sentenza della Corte costituzionale, 5 marzo 2010 n. 82, ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all art. 4 cpv l.n. 54/06, 5

6 nella parte in cui non prevede una competenza funzionale del Tribunale per i minorenni in ordine alle decisioni relative al contributo al mantenimento della prole naturale, ritenendo conforme alla Costituzione il riparto di competenze delineato dalla Cassazione 2007 e dalla giurisprudenza successiva. La Corte ha infatti riconosciuto che la relazione tra le questioni relative all affidamento e quelle concernenti il mantenimento della prole naturale, rileva solo quando si traduca in specifiche domande contestualmente proposte, essendo priva di incidenza sulla competenza, la mera possibilità di proporre successivamente una questione relativa all affidamento, trattandosi di circostanza puramente eventuale. Tale soluzione è stata da ultimo sposata dalla Cassazione, con la recentissima sentenza Cass. 27 settembre 2010 n La Suprema Corte, adita con regolamento di competenza avverso una pronuncia del Tribunale di Verona, che aveva dichiarato la propria incompetenza in favore del TM, in un caso in cui, in un ricorso per il mantenimento del minore, in via riconvenzionale è stata proposta una domanda di affidamento, ha rigettato il ricorso, valorizzando il principio di concentrazione delle tutele. In senso diverso, ma applicando il medesimo principio, Cass. 21 aprile 2010 n , ha rigettato il regolamento di competenza sollevato d ufficio dal Tribunale di Tivoli, in un caso in cui era stato proposto davanti al Tribunale per i minorenni di Roma un ricorso per il solo mantenimento del minore. In tal caso, la Suprema Corte ha ritenuto la competenza del giudice ordinario, ai sensi dell art. 148 c.c. e dell art. 38 disp. att. c.c., giacché la controversia riguardava unicamente diritti patrimoniali, ossia il mantenimento di una figlia minorenne. Nello stesso snso, cfr. Cass. sez. I, 5 ottobre 10 n Un ulteriore tassello verso l'equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi e stato posto dalla recente sentenza Cass. civ. sez. I, 10 maggio 2011 numero 10265, con la quale la suprema corte è intervenuta ancora una volta nella dibattuta 6

7 questione concernente gli effetti delle disposizioni in tema di affidamento condiviso in ordine alla disciplina dell'esercizio della potestà genitoriale sui figli minori. Nello specifico, i giudici di legittimità hanno affermato, in adesione a quanto sostenuto da parte della dottrina, che l'articolo 317 bis comma secondo cc, sia stato tacitamente parzialmente abrogato per effetto della l.n. 54/06, risultando con la stessa totalmente incompatibile, sicché deve ritenersi prevalente il principio della bigenitorialità anche per i figli naturali. In conformità al detto principio, la cassazione ha deciso sulla controversia sorta a seguito della richiesta di un marito di adottare la minore nata da una relazione extraconiugale della moglie; richiesta alla quale si opponevano il padre naturale della minore stessa, che fino a quel momento risulta si fosse disinteressato alle sorti della minore. Tale decisione, veniva riformata dalla corte d'appello, che veniva confermata dalla cassazione. I giudici di legittimità hanno infatti ritenuto che la disciplina introdotta dalla l. n. 54/06 ha efficacia pervasiva e implicitamente abrogante l art. 317 bis cpv cc, sicché l'esercizio della potestà spetta in ogni caso ad ambedue i genitori naturali, anche in caso di mancanza di pregressa convivenza. - 2 Problemi interpretativi. Le ipotesi di connessione tra domande di affidamento e di mantenimento dei figli naturali. L assetto delle competenze funzionali in esito al regolamento di competenza statuito da Cass. n. 8632/2007 si arricchisce di ulteriori complessità, nelle ipotesi in cui esso sia in fieri. Domande riconvenzionali sull affidamento davanti al Tribunale ordinario adito con una domanda di mantenimento. 7

8 Tanto accade quando, a fronte dell instaurazione della speciale azione monitoria di cui all art. 148 c.c. da parte di un genitore nei confronti dell altro, denunziato per inadempienza agli obblighi di mantenimento di figlio naturale minore, il genitore convenuto svolga in via riconvenzionale domanda rivolta all affidamento del figlio naturale 4. Si pone il problema dei limiti di applicabilità dell istituto della connessione, ai sensi dell art. 36 (che richiama artt. 34 e 35 cpc) e l art. 40 cpc. Qualora la domanda patrimoniale sia proposta con rito ordinario, si verifica spostamento del procedimento davanti al giudice specializzato (tale soluzione è stata da ultimo sposata dalla Cassazione, con la recentissima sentenza Cass. 27 settembre 2010 n ); se invece la riconvenzionale è proposta nel procedimento ex art. 148 cpc, stante la natura sommaria de rito essa è ritenuta inammissibile, e si determina l assegno, mentre resta salva proponibilità della domanda davanti al TM. In tal senso si sono pronunciati il TO di Bologna e di Modena. Il Trib. Bologna, con decreto , si è così pronunciato : Se persiste l inadempimento del padre tenuto a contribuire al mantenimento del figlio nella misura stabilita dal tribunale per i minorenni, il genitore avente diritto, dopo l inutile intimazione di atto di precetto ed avuto riguardo alle peggiorate condizioni economiche dell obbligato, può agire ex art. 148 c.c. davanti al tribunale ordinario anche nei confronti dell ascendente (nella specie, il presidente ha posto a carico della nonna paterna la somma dovuta quale contributo mensile al mantenimento della minore, ferma la partecipazione del padre, pur sempre dotato di potenzialità reddituali anche se allo stato disoccupato, alle spese straordinarie nella misura di metà).nel procedimento ex art. 148 c.c. promosso contro il genitore inadempiente e 4 Cfr. Trib. Macerata, ord. 17 aprile 2009, che ha dichiarato l incompetenza funzionale del Tribunale ordinario in favore del Tribunale per i Minorenni, in presenza di una domanda riconvenzionale di affidamento della prole, che implica di per sé la competenza del Tribunale per i Minorenni. 8

9 l ascendente, sono inammissibili le domande riconvenzionali volte ad ottenere la modifica delle condizioni di affidamento o mantenimento stabilite dal tribunale per i minorenni, l attuazione del c.d. diritto di visita o l applicazione di misure previste dall art. 709 ter c.p.c., la regolamentazione degli incontri tra il minore e la nonna paterna. La questione si complica se la domanda di affidamento viene svolta nel giudizio di opposizione al decreto ex art. 148 c.c., dall'opponente. Sull'affidamento (e contestualmente sul mantenimento, ma solo per il periodo successivo alla proposizione della domanda) dovrà decidere il T.M., che però è incompetente a decidere sull'opposizione a decreto monitorio ex art 148 c.c. (e cioè sul rapporto controverso, per il tempo anteriore alla proposizione della domanda). Altra ipotesi è quella in cui il Tribunale per i Minorenni, adito con una domanda avente ad oggetto il contributo al mantenimento della prole, avesse precedentemente già statuito in ordine all esercizio della potestà e all affidamento della prole, disponendo una prosecuzione degli interventi da parte dei Servizi sociali, e così determinando la sussistenza di un assetto ancora in fieri 5. In presenza della possibilità di ulteriori interventi dei servizi e di deduzioni, sia pure proposte in sede di udienza e non già negli atti introduttivi, sulle modalità di cura e il diritto di visita della prole, e in ossequio al principio di concentrazione delle tutele in favore del figlio naturale, si è ritenuta in tali casi la competenza del TM. 5 Cfr. Trib. min Campobasso, decreto 6 novembre 2008, in Guida al diritto famiglia e minori n. 4/2009, fl. 72, che interpreta in senso estensivo il requisito della contestualità tra decisioni sull affidamento e sul mantenimento, sicché l esigenza della concentrazione delle tutele verrebbe sacrificata, a detrimento delle garanzie in favore del figlio naturale, qualora, ancora pendente un procedimento minorile relativo all esercizio della potestà, le ulteriori questioni patrimoniali venissero rimesse davanti al Tribunale ordinario. Osserva peraltro il Tm di Campobasso che, aderendo a siffatta tesi, il tribunale ordinario verrebbe a configurarsi come un giudice dell impugnazione, rispetto a quello minorile. 9

10 Modifica delle decisioni sul mantenimento assunte nei procedimenti di cui agli artt. 317 bis cc e 269 cc. Quanto alle modifiche relative ad aspetti anche solo economici in ambito 317 bis c.c., laddove nella precedente pronunce il TM abbia già esaminato entrambi gli aspetti: la soluzione di gran lunga maggioritaria in senso affermativo è stata assunta dal TM di Brescia, anche dai tribunali minorili di Palermo, Catania, Umbria, Napoli e Bari. Ha inoltre declinato competenza in favore del tribunale per i minorenni, il tribunale di Bologna. Non si ritengono invece competenti i Tribunali minorili di Trieste, Bologna, Milano. Si segnala nel primo senso una decisione del tribunale per i minorenni di Brescia, con decreto del , che ha ritenuto la propria competenza in un caso in cui, a fronte di un precedente provvedimento che statuiva sull affidamento e mantenimento della prole, una delle parti chiede la modifica del contributo al mantenimento. Il Tribunale argomenta sulla base della natura rebus sic stantibus dei provvedimenti ex art. 317 bis cc, del principio di parità di trattamento tra figli legittimi e naturali, del principio del giudice naturale e della competenza sulle istanze ex art. 709 ter cpc, attribuita allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento di cui si deduce l inosservanza. La soluzione maggioritaria è stata peraltro sposata dalla corte di cassazione con sentenza numero 9936 del 31 marzo 2011, emessa su regolamento di competenza avverso l'ordinanza assunta dal tribunale ordinario di Rieti, che si era dichiarato incompetente, dichiarando competente il tribunale per i minorenni di Roma, relativamente ad un ricorso promosso per la rideterminazione del contributo per il mantenimento del figlio naturale, in presenza di una precedente pronunzia del tribunale per i minorenni, che statuiva anche in ordine all'affidamento. La corte di cassazione argomentava nel senso che l'articolo 742 cpc deve ritenersi espressione di un principio, insito nel sistema, secondo il quale, una volta attratta al tribunale per 10

11 i minorenni la competenza a decidere anche sull assegno di mantenimento, stante la contestuale proposizione della relativa domanda insieme alle questioni relative all'affidamento, detta competenza resta radicata presso questo tribunale relativamente ad ogni modifica del provvedimento adottato, impedendo la logica del sistema che esso non possa essere modificato in alcuna sua parte da un giudice diverso se non nell'ipotesi, non ricorrente nella specie, di connessione che giustifichi lo spostamento di competenza. Quanto ai provvedimenti assunti nella procedura di cui all art. 269 cc, qualora venga successivamente esperita una richiesta di modifica su questioni patrimoniali, si ritengono incompetenti, sul presupposto che l azione di cui all art. 269 cc attiene ad uno status, i tribunali minorili dell Umbria e di Brescia, mentre il TM di Bari in qualche caso ha provveduto, talvolta facendo integrare in udienza la domanda di mantenimento con i profili relativi all affidamento. Con riferimento, infine, alla problematica relativa all individuazione dell AG competente, in caso di domanda per la quantificazione del mantenimento del figlio naturale proposta davanti al Tribunale ordinario, e preceduta da una pronuncia di natura prescrittiva, emessa dal Tribunale per i Minorenni anteriormente all entrata in vigore della riforma introdotta dalla legge n. 54/2006, pare più corretto ritenere che la competenza appartenga al tribunale ordinario, poiché la precedente pronuncia del tribunale per i minorenni era finalizzata alla sola regolamentazione della potestà genitoriale, e non già natura di condanna al mantenimento con carattere di esecutorietà. Si discute a quale autorità appartenga la competenza per la nuova domanda di quantificazione del mantenimento, proposta davanti al Tribunale ordinario: 1) la sezione famiglia del Tribunale di Cagliari investita della questione, ha ritenuto di declinare la propria competenza, rimettendo le parti davanti al Tribunale per i minorenni; 2) secondo altra opinione, poiché la precedente 11

12 pronuncia pregressa del Tribunale per i minorenni aveva valore meramente prescrittivo, finalizzato alla sola regolamentazione della potestà genitoriale, e non già natura di condanna al mantenimento con carattere di esecutorietà, la competenza doveva radicarsi in relazione al contenuto della nuova domanda proposta, e dunque poteva appartenere al Tribunale per i minorenni solo allorquando la domanda di mantenimento fosse proposta contestualmente a una domanda di affidamento. In caso contrario, seguendo l orientamento consolidato inaugurato dalle pronunce della Cassazione n. 8362/07 e n /07 e seguito dalla giurisprudenza successiva (cfr. Cass., I sez. civ, ord. 25 agosto 2008 n e Cass. sez. I, 11 dicembre 2009, n ), il tribunale ordinario aveva competenza a pronunciarsi sulla domanda di mantenimento proposta in via esclusiva; Ulteriore questione interpretativa attiene ai limiti entro cui è proponibile o rilevabile di ufficio la questione di competenza nei procedimenti di volontaria giurisdizione. Secondo l orientamento dominante della Cassazione, la disposizione contenuta nel comma 1 dell'art. 38 c.p.c., nel testo modificato dall'art. 4 l. 26 novembre 1990 n. 353, là dove ha introdotto una generale barriera temporale, di natura preclusiva, ai fini della possibilità di rilevare l'incompetenza per materia, per valore o per territorio nei casi previsti dall'art. 28 c.p.c., fissandola nella prima udienza di trattazione, deve ritenersi applicabile non soltanto ai processi (contenziosi) di cognizione ordinaria, ma anche a quelli di volontaria giurisdizione (nella fattispecie, procedimento ex art. 330 c.c. promosso dal tribunale per i minorenni), da trattare quindi in camera di consiglio, nei quali l'intervento del giudice trova il suo presupposto in una situazione conflittuale che impedisce ai titolari degli interessi coinvolti di provvedere direttamente alla loro regolamentazione. Tanto vale anche per la questione di incompetenza territoriale, che in tali procedimenti è inderogabile ai sensi dell art. 28 cpc, e che ai sensi 12

13 dell art. 38 co. 3 può essere rilevata di ufficio non oltre la prima udienza di trattazione, da identificarsi con la prima udienza camerale in cui la parte aveva avuto occasione di interloquire (cfr. Cassazione civile, sez. I, 22/05/2003, n e in senso conforme Cass. 3 novembre 2000 n ). Si concorda sulla utilizzabilità nel procedimento minorile della formula sull incompetenza, salvo il TM di Milano. Questo, con decreto 3 dicembre 09, ritiene non utilizzabile la formula declinatoria della competenza nei decreti del tribunale per i minorenni, che, non avendo carattere di decisorietà, non determina un meccanismo di translatio iudicii, richiamando Cass. SS. Un., ord /03, secondo la quale la pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento camerale privo di decisorietà e definitività non è impugnabile con il regolamento di competenza ad istanza di parte Ammissibilità del ricorso congiunto dei genitori. Competenza per materia del tribunale per i minorenni. Il ricorso congiunto di entrambi i genitori al giudice per la regolamentazione dell'affidamento e del mantenimento dei loro figli naturali minori è ritenuto ammissibile, in ragione della natura pubblicistica dell'interesse di questi alla cui conformità l'autorità giudiziaria è chiamata a valutare gli accordi. L autorità giudiziaria non può sottrarsi ad una simile richiesta di regolamentazione dell affidamento e mantenimento del figlio minore concordemente presentata dai genitori naturali, in quanto essa risponde all esigenza di tutela dell interesse dei minori, e quindi ad un interesse di carattere pubblicistico che il giudice non può esimersi dal valutare, una volta che sia sottoposto al suo esame. Va ancora evidenziato che la Corte di Cassazione con l ordinanza n del 2007, ha riconosciuto la competenza del Tribunale per i Minorenni ad adottare tutti i provvedimenti, 13

14 sia in tema di affidamento ed esercizio della potestà sia in tema di mantenimento, relativi ai figli naturali. La Cassazione, nel ribadire i principi già affermati dalla stessa Corte costituzionale n. 23/1996 e n. 166/1998 e quindi, nel sostenere che nella crisi della coppia di genitori naturali non sussiste la inevitabile necessità dell intervento giudiziario, ha comunque espressamente fatta salva la verifica da parte dell AG della conformità degli accordi assunti tra i genitori all interesse del minore. Tale affermazione è in linea con l orientamento legislativo volto ad estendere ai figli naturali la normativa relativa ai figli legittimi e le garanzie ad essa collegate e mira ad evitare che il figlio naturale, nel momento della cessazione del rapporto di convivenza dei suoi genitori, riceva un trattamento deteriore ed una tutela non completi. Invero, riconoscere ai genitori naturali la facoltà di chiedere ed ottenere dal giudice una verifica della non contrarietà all interesse dei minori degli accordi da loro assunti significa responsabilizzare ulteriormente i genitori stessi e vincolarli al rispetto nel tempo di quegli accordi, dal momento che essi, in caso di violazione o di grave inadempienza rispetto ad impegni assunti formalmente e recepiti in un provvedimento giudiziale, sarebbero soggetti al trattamento sanzionatorio di cui all art. 709-ter c.p.c. o addirittura, nei casi di maggiore gravità, ai provvedimenti limitativi della potestà genitoriale ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. La formula esecutiva viene in tal caso apposta al decreto che recepisce l accordo. - 4 Carattere esecutivo delle disposizioni concernenti il mantenimento dei figli naturali. Quanto alle pronunce patrimoniali, prima effettuate solo in forma di prescrizioni, oggi esse assumono la forma di pronunce 14

15 di condanna e quanto agli importi non c è un criterio univoco, ma vi sono indici costituiti dalla capacità reddituale di entrambi i genitori, i tempi di convivenza del figlio con ciascuno di essi e l importo di eventuale contribuzione diretta, eventuale assegnazione della casa familiare. Altro problema è quello della formula esecutiva da apporre ai decreti che contengono sotto forma di disposizione, statuizioni di carattere economico. E prevalsa un interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina maggiormente condivisa, formatasi anche alla luce della giurisprudenza costituzionale e della Corte di cassazione, tesa ad una totale equiparazione dei figli naturali con i figli legittimi. Alla luce di tale interpretazione, si è ritenuta apponibile quella formula anche ai decreti in esame, analogamente ai provvedimenti di uguale contenuto, pronunciati in materia di separazione e divorzio dal tribunale ordinario, per i quali l efficacia esecutiva è prevista dalla legge (art. 708 cpc in correlazione con l art. 189 disp. att cpc, art. 4 l. divorzio), ovvero il decreto ex art. 710 CPC che (secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale) pur non essendo qualificato come titolo esecutivo (a differenza dell ordinanza presidenziale ex art.708, e art. 189 disp. att. cpc) viene ritenuto tale avendo natura sostanziale di sentenza. Tale via è stata consacrata dall ordinanza della Corte costituzionale del 20 novembre 2009 n. 310, che ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità della normativa vigente sollevata dal Tribunale per i minorenni di Roma, laddove non è attribuita efficacia ex lege ai provvedimenti patrimoniali relativi ai figli naturali, in quanto il giudice remittente non avrebbe sperimentato alcuna possibilità di pervenire ad un interpretazione costituzionalmente conforme della normativa, attraverso il ricorso all analogia. Va detto peraltro che recentemente la Cassazione ha stabilito che il provvedimento di modifica delle condizioni di 15

16 separazione, previsto dall'art. 710 cod. proc. civ., non è immediatamente esecutivo, ma solo ove in tal senso sia disposto dal giudice ai sensi dell'art. 741 cod. proc. civ. (Cass. 27 aprile 2011 n. 9373). Tanto consiglia dunque di inserire nei provvedimenti ex 317 bis c.c. la clausola di immediata esecutività del provvedimento. - 5 Altre disposizioni di carattere patrimoniale in favore dei figli naturali. La giurisprudenza stabilisce che, nelle attribuzioni di carattere economico patrimoniale riconosciute al tribunale per i minorenni ai sensi dell art. 4 cpv. l.n. 54/2006, rientra il potere di pronunciarsi anche sulla richiesta di porre la corresponsione di una somma mensile, direttamente a carico del datore di lavoro del genitore obbligato a corrispondere la somma stabilita a titolo di mantenimento della prole, mediante un ordine di pagamento diretto. Tanto in applicazione dell art comma c.c., che equipara detto ordine coercitivo al potere di sequestro di beni del genitore obbligato 6. Si ricorda, in proposito, che la Corte costituzionale, con sentenza 18 aprile 1997 n. 99, ha dichiarato illegittimo l art comma cc (previsto nell ambito del procedimento di separazione tra coniugi), nella parte in cui esclude che l anzidetto provvedimento (comprensivo del sequestro e dell ordine di pagamento diretto) possa anche essere disposto in favore del figlio naturale. Quanto alle controversie aventi ad oggetto il rimborso pro quota degli arretrati, versati dal momento della cessazione della convivenza alla proposizione del ricorso dal genitore che in 6 Cfr. Trib. Min. L Aquila 4 aprile 08. Per una recente applicazione dello strumento del versamento diretto da parte del datore di lavoro, ai sensi dell art. 156 cc, e decreto Trib. min. Trieste 10 luglio il Trib. Min. Catania, con decreto del 23 aprile 2008, ha disposto l ordine di pagamento diretto dell assegno di mantenimento dei figlio naturale, nei confronti del datore di lavoro del padre, in applicazione della previsione relativa all ordine di pagamento nei confronti del terzo di cui all art. 148 cpv. c.c. 16

17 passato abbia integralmente provveduto al mantenimento del figlio naturale, la Cassazione, con sentenza n /2009, si è recentemente pronunciata nel senso che, poiché essa attiene alla definizione di rapporti pregressi tra condebitori solidali, in relazione a diritti disponibili, e non essendo dunque strettamente consequenziale e collegata alla decisione sull affidamento, non ricorrono le ragioni di deroga alla competenza per materia del Tribunale ordinario 7. Tale orientamento è stato da ultimo confermato, in sede di regolamento di competenza, dall ordinanza Cass. sez. VI n. 674/11. Un diverso orientamento è invalso in alcune pronunce di merito, che, alla luce del principio di contestualità tra misure relative all'esercizio della potestà e affidamento del figlio e quelle economiche relative al mantenimento, per ragioni di stretta connessione e di economia processuale, non hanno ritenuto corretto demandare la delibazione di questa domanda, famulativa rispetto alle altre, a diversa autorità giudiziaria, alla luce anche del fatto che le pronunce emesse in questa sede in campo patrimoniale hanno natura di condanna e carattere di esecutorietà. Hanno aderito alla prima tesi i tribunali minorili di Napoli, Reggio Calabria e Sassari; si ritengono invece competenti i tribunali per i minorenni di Catania e di Bari, se non c è eccezione sul punto. Analogo meccanismo opera, secondo quanto statuito dalla stessa Suprema Corte, in applicazione dell art. 277 cc, nelle azioni di dichiarazione giudiziale di paternità 8. Da ultimo, la sentenza Cass. 9 luglio 2010 n , nell ambito di un azione di dichiarazione giudiziale di paternità, si è posta in linea con il consolidato orientamento che ha ritenuto competente il TM 7 Cfr. Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2009, n , in Guida al diritto Famiglia e minori, n. 7/2009, fl Cfr. Trib. min. Bari, 2 luglio 2008 e Trib. min. Marche, 28 febbraio Quanto all ammissibilità del cumulo nelle azioni di dichiarazione giudiziale di paternità, cfr. Cass. 11 febbraio 2005 n Da ultimo, sono stati riconosciuti gli arretrati, sia pure in assenza di motivazione, dal decreto del Trib. min. Trieste, 14 luglio

18 adito, anche con riferimento alle domande consequenziali a contenuto economico, comprese quelle di rimborso delle spese sostenute dal genitore ricorrente. Invero, in ragione della presenza di un minore in giudizio, è proponibile davanti al TM anche un azione di regresso tra condebitori solidali relativa al periodo antecedente, mentre l esecuzione del titolo presuppone la definitività dell accertamento giudiziale di paternità. Hanno ritenuto possibile la domanda di regresso, se esercitato iure proprio dal genitore richiedente, ai sensi dell art 277 cc, i tribunali minorili di Catania, di Brescia e di Bari, la Corte d appello minorile di Bari); si ritengono incompetenti i tribunali minorili di Napoli, Reggio e Sassari, anche nel procedimento ex art. 269 cpc. Quanto alle modalità di assegnazione della casa familiare, si ritiene generalmente, in applicazione dell art. 155 quater cpc, che tale provvedimento potrà essere assunto dal TM a tutela dei figli naturali. Si segnala un interpretazione evolutiva invalsa nella giurisprudenza di merito, che intende la cessazione della convivenza, non già come cessazione della coabitazione, ma come fine dell affectio familiaris, sì da evitare che il genitore debole debba uscire dall abitazione familiare per poter proporre il ricorso ex art. 317 bis c.c. Per alcuni Tribunali per i minorenni, è sufficiente la mera allegazione della cessazione della convivenza, senza esperire istruttoria sul punto. Una recente pronuncia del Tribunale per i minorenni di Bari 17 novembre 10, ha ritenuto applicabile nell ambito di un procedimento ex art. 317 bis cc, un provvedimento di assegnazione frazionata della casa familiare, quando ne ricorrano i presupposti. La soluzione dell assegnazione parziale o frazionata della casa familiare, specie se di grandi dimensioni (come nel caso di specie) è stata favorevolmente accolta dalla prevalente giurisprudenza, laddove le caratteristiche strutturali e dimensionali dell immobile siano tali da consentirlo con esborsi contenuti (cfr. Cass. 11 novembre 1986 n e 11 dicembre 1990 n , nonché 18

19 copiosa giurisprudenza di merito; si segnala in senso contrario, Cass. 26 maggio 04 n ; hanno ritenuto la residualità dell assegnazione frazionata della casa familiare, solo in caso di comoda divisibilità e in presenza di adeguate dimensioni, Cass 17 dicembre 2009 n e da ultimo Cass. 6 giugno 2011 n ). Tuttavia, poiché l art. 155 co. quater cc, anche introducendo un organica disciplina dell assegnazione della casa familiare, nulla ha statuito in ordine a questa possibilità, deve ritenersi che sia un provvedimento adottabile, laddove la sensibilità del giudice lo induca a ritenere opportuno, e praticabile, laddove la conformazione e le dimensioni della casa lo consentano (cfr. Cass. 11 dicembre 1990 n ). Quanto ai profili relativi all esecuzione del provvedimento, trattandosi non già di provvedimento cautelare, ma costitutivo di un diritto di godimento, sarà competente il tribunale in funzione di giudice dell esecuzione, fermo restando il potere del giudice minorile di impartire prescrizioni di dettaglio, con riferimento alle modalità dell assegnazione, l autonomizzazione delle utenze, la ripartizione delle spese, ecc. In materia di assegnazione della casa familiare nei procedimenti relativi ai figli naturali, è intervenuta da ultimo la cassazione con sentenza numero del 15 settembre 2011, che ha stabilito che anche in questo caso la norma tutela l'interesse prioritario della prole a permanere nell'habitat domestico, postulando, oltre alla permanenza del legame ambientale, la ricorrenza del rapporto di filiazione legittimo o naturale cui accede la responsabilità genitoriale, mentre non si pone a presidio dei rapporti affettivi ed economici che non involgano entrambe le parti in veste di genitori, con riferimento a eventuali figli legittimi di altra unione che avessero un precedente legame con l'anzidetta abitazione, ovvero i figli della coppia che abbiano cessato di convivere nell'abitazione comune. Quanto alla proponibilità delle domande risarcitorie, nel procedimento minorile, il Trib. Min L Aquila, con le pronunce 8 19

20 luglio 05 e 19 aprile 2007, ha stabilito che il genitore che ometta deliberatamente di costituire per il figlio un modello parentale valido e fecondo sul piano "educativo", deve risarcire ogni danno così arrecato. In senso contrario, il Trib. min. Bari, 29 dicembre 2009, ha affermato che per la domanda di risarcimento del danno, è competente il Tribunale ordinario sulla base del petitum e della causa petendi individuati ex art c.c Individuazione dell Autorità giudiziaria competente per territorio. Quanto all individuazione dell Autorità giudiziaria competente per territorio nell ambito di un ricorso proposto ex art. 317 bis cc, analogamente a quanto accade per tutti i procedimenti in materia minorile, non trova applicazione la regola generale di cui all art. 18 cpc, ovvero il criterio dell ultima residenza comune di cui all art. 706 cpc, ma vale il principio dell ultima residenza abituale del minore. Tale criterio è stato recepito a livello normativo dalla legislazione comunitaria, ovvero dall art. reg. N. 2201/2003 detto anche regolamento di Bruxelles 2, il quale recita che le autorità giurisdizionali di uno stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su di un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi. La ratio della norma è indicata nel XII considerando, per cui le decisioni in questa materia devono ispirarsi al superiore interesse del minore e in particolare al criterio della prossimità. Lo stesso criterio è richiamato nell art. 15 del regolamento, in base al quale si ritiene che il minore abbia un legame particolare con un determinato Stato membro, laddove sia divenuto la residenza abituale del minore o lo sia stato in precedenza. 20

21 Da ultimo sul criterio della residenza abituale, è tornata la Corte Europea di Giustizia con sentenza n. C dicembre 2010, valorizzando una serie di elementi fattuali, tra i quali l età del minore, in un caso in cui il minore, originariamente residente in Inghilterra con il padre inglese e la madre francese, a seguito della separazione è andato a vivere con la madre in territorio francese. In considerazione del fatto che il regolamento non fornisce una definizione del criterio di residenza abituale, anche l ermeneutica demanda la sua valutazione, caso per caso, sulla base degli elementi fattuali del caso concreto. Il criterio di prossimità, nei procedimenti in materia minorile, è stato peraltro ampiamente recepito dalla giurisprudenza italiana. In particolare, Cass. sez. I 31 gennaio 06 n ha stabilito che, ai fini dell individuazione del Tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale e sulle modalità del suo esercizio ex artt. 330 ss cpc, deve aversi riguardo alla residenza abituale del minore alla data della domanda o alla data di inizio del procedimento stesso. La ratio di tale previsione è data dalla tutela del superiore interesse del minore, che potrà essere più efficacemente effettuata dal tribunale dove il minore ha la sua dimora abituale stabile al momento iniziale della procedura, a prescindere da trasferimenti contingenti o dalla residenza di carattere meramente anagrafico. In senso analogo, cfr. anche Cass. sez. I 19 gennaio 2006 n , che identifica la residenza abituale nel luogo in cui il minore, in virtù di una stabile e durevole permanenza, ha i suoi legami affettivi (non solo parentali), fulcro della sua vita di relazione. La rilevanza del criterio di prossimità, a temperamento del principio della perpetuatio iurisdictionis, è stata affermata, in materia di affidamento eterofamiliare, dalle Sezioni Unite, con sentenza del n , che così recita:in tema di competenza territoriale nei procedimenti di affidamento etero- 21

22 familiare di minori, qualora il provvedimento iniziale di affidamento, di regola soggetto a durata non superiore ai ventiquattro mesi, necessiti di essere seguito da un'ulteriore proroga o, viceversa, da una cessazione anticipata, queste ultime vicende integrano provvedimenti camerali nuovi, per i quali il principio della perpetuatio deve essere temperato con quello di prossimità, sicché il giudice competente per territorio deve essere individuato nel tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore legittimamente si trova, in tal modo dando rilievo ad eventuali sopravvenuti cambiamenti di residenza. Nel privilegiare il criterio di prossimità nei procedimenti di affidamento, in caso di mutamento della dimora del minore affidato, la Corte ha richiamato le Convenzioni internazionali, con riferimento al superiore interesse del fanciullo, come si è visto richiamato anche nel regolamento n. 2201/03. A questi concetti si è richiamato il Trib. min. Milano, con decreto 5 febbraio 10, che ha precisato che il concetto di residenza abituale non deve essere supportato da un particolare animus, poiché il dodicesimo considerando del regolamento fa riferimento ad una situazione di fatto che risulti oggettivamente. Si ritiene che detto criterio sia applicabile anche nei procedimenti ex art. 317 bis cc, sicché la competenza per territorio debba radicarsi nel luogo in cui il minore abbia i suoi legami affettivi ed interessi di vita, sicché il trasferimento unilaterale ed immotivato del minore da parte di uno dei genitori non fa venir meno la competenza del giudice del luogo di residenza affettiva del minore (cfr. Trib. min. Roma 16 novembre 1992). In materia di procedimenti di carattere contenzioso ai sensi dell art. 269 cc, va citata tuttavia la sentenza delle Sezioni Unite 7 febbraio 1992 n 1373, che per tali procedimenti ritiene applicabile il criterio generale di cui all'articolo 18 cpc, ovvero il luogo di residenza abituale del convenuto e in mancanza 22

23 di una diversa disposizione di legge, valendo il criterio di prossimità soltanto per i procedimenti di volontaria giurisdizione in cui i provvedimenti assunti non hanno carattere di decisorietà. Una delicata questione interpretativa si pone se il ricorso sia proposto a distanza di pochi mesi dal trasferimento del minore in altro Stato, ovvero in altra regione d Italia. In applicazione della giurisprudenza sulla sottrazione internazionale, per cui l indagine sull abitualità o temporaneità della nuova dimora non si baserà esclusivamente sulla durata, ma se il cambiamento di destinazione presenti una rilevante probabilità di tradursi in un effettivo nuovo centro di affetti e di interessi per il minore (cfr. Cass. 14 luglio 2006 n ). Occorre dunque valutare, per esempio sulla base dell iscrizione e frequenza scolastica, la serietà dell intento perseguito dal genitore convivente con il figlio minore e dunque che la nuova dimora si traduca in una residenza stabile, in conformità con l interpretazione aderente al caso concreto, che viene fatta propria anche dalla Corte di Giustizia. Utili elementi interpretativi possono trarsi anche dall art. 9 del regolamento Bruxelles 2, che stabilisce il principio di ultrattività della competenza del giudice della precedente residenza abituale del minore, ammettendo la possibilità che anche entro il periodo previsto di tre mesi dal trasferimento, il minore acquisisca la residenza abituale in altro Stato membro. - 7 Il presupposto della cessazione della convivenza. Orientamenti della recente giurisprudenza di merito. Circa la questione dell ammissibilità della richiesta di affidamento della prole nata da un unione di fatto, da parte di un genitore che non ha preso le distanze dall altro, che mantiene la stessa residenza e condivide la quotidianità continuando a 23

24 soggiornare nella comune abitazione, l orientamento tradizionale ha escluso, di regola, che una domanda di questo tipo possa trovare accoglimento, in quanto la disposizione dell art. 317 bis cod. civ. comma 1, dispone che per i figli naturali l esercizio della potestà genitoriale spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi. Solo nel caso di cessazione della convivenza la potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive e, al contempo, diviene possibile che un giudice (Tribunale per i minorenni) emetta una pronuncia sul tema dell affidamento (si vedano, infatti, a seguito della riforma, l art. 4 comma 2, che prevede che la nuova legge è applicabile anche ai figli di genitori non coniugati, nati da convivenze o unioni di fatto, e l interpretazione, che si sta consolidando nei Tribunali, seguita dalla Corte di Cassazione ordinanza del , n. 8326). Con l approvazione della legge sull affidamento condiviso si è posto il quesito se sia possibile ottenere una pronuncia sull affidamento dei figli naturali e/o di assegnazione della casa familiare dal tribunale per i minorenni, quando la convivenza sia ancora in atto, così come pacificamente il ricorso per separazione può essere proposto da uno dei coniugi, quando ancora abiti nella casa familiare. Invero, si ritiene che la stessa regola non possa operare anche rispetto alla famiglia di fatto, atteso che la Corte costituzionale, ancora con la sentenza 30 dicembre 1997 n. 451, ha stabilito che la situazione dei coniugi che decidono di allentare e poi di sciogliere il vincolo coniugale non coincide con quella dei conviventi more uxorio, atteso che (si argomenta) mentre in presenza di persone unite in matrimonio non è possibile che il legame giuridico tra loro esistente venga reciso senza l intervento del giudice (con la separazione prima e con il divorzio poi), la convivenza more uxorio può interrompersi sulla base della decisione unilaterale di uno dei conviventi, senza alcun intervento da parte del giudice. Conseguentemente, è lo stesso intervento dell autorità 24

25 giudiziaria ad atteggiarsi in modo diverso nelle due predette ipotesi, sicché, in ottemperanza al principio per cui il legislatore ha ampia discrezionalità nella regolazione generale degli istituti processuali, nell ambito delle convivenze di fatto, l intervento dell Autorità giudiziaria è eventuale, e si ha solo nelle ipotesi in cui venga adita da una delle parti. Quanto all accezione da dare al presupposto della convivenza, la giurisprudenza si è pronunciata, per questioni diverse ma assimilabili, nel senso che essa non si identifichi con il mero dato della comunione di residenza, ma presupponga una comunanza di progetto di vita e la vicinanza sul piano affettivo e psicologico che caratterizza anche la famiglia di fatto, distinguendola dalla mera compresenza in uno spazio abitativo (la cd. affectio coniugalis). Tanto è stato affermato in materia di ricongiungimento familiare, per cui la sopravvenuta cessazione della convivenza coniugale, non determinata da separazione legale e di contro accompagnata da elementi sintomatici della inesistenza iniziale dell affectio propria del coniugio, integra ragione di revoca del permesso di soggiorno (Cass. civ. sez. VI, 27 luglio 2010). Nel senso della diversità del concetto di convivenza rispetto a quello di coabitazione si è più volte pronunciata la Cassazione, statuendo che, perché si abbia riconciliazione, con conseguente cessazione degli effetti della separazione, occorre il ripristino del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale dei coniugi cessata appunto con la separazione; a tal fine, il giudice di merito deve attribuire prevalente valore agli elementi esteriori oggettivamente diretti a dimostrare la volontà dei coniugi di ripristinare la comunione di vita, piuttosto che a elementi psicologici permeati di soggettività (cfr. Cass. sez. VII, 25 maggio 2007 n ). Orbene, a fronte del dato oggettivo del ripristino della convivenza, la controparte ha sempre la possibilità, o comunque l onere, di provare che si tratta di un diverso status, ad esempio di coabitazione come separati in casa. 25

26 Sono intervenute anche pronunce di merito nell ambito dei procedimenti ex art. 317 bis cc, nel senso che il presupposto della cessazione della convivenza tra i genitori di un figlio naturale riconosciuto da entrambi, che legittima l'intervento del giudice minorile ex art. 317 bis, comma 2, c.c., deve essere inteso quale effettivo venir meno della comunione di vita, differenziandosi così la convivenza dalla semplice coabitazione. (cfr. Trib Bologna 5 aprile 2001). In tal senso si è pronunciato il Tribunale per i minorenni di Torino con il decreto (minore S.D., proc. N. 939/2006 Reg. V.G.), confermato dalla Corte d Appello di Torino, Sezione Minorenni, in data (proc. N. 656/2006 Reg. V.G.). Lo stesso tribunale minorile, con decreto del 22 maggio 08, ha anche attribuito a tale interpretazione evolutiva un intento di tutela della parte debole all interno della coppia di conviventi, sul piano economico o dal punto di vista psicologico, che rischia di non essere sufficientemente tutelata rispetto alla corrispondente situazione che si può porre tra coniugi, a meno che non si versi in uno dei casi così gravi da giustificare il ricorso alle norme sulla violenza nelle relazioni familiari introdotte nel 2001 (il riferimento é, in particolare, agli ordini di protezione previsti dall art. 342 bis e ter cod. civ. e, soprattutto, in presenza di figli minori, alla possibilità di allontanare dall abitazione il genitore violento o abusante in base agli artt. 330 e 333 cod. civ., come modificati dalla L. 28 marzo 2001 n. 149). Argomenta il tribunale che la persona convivente potrebbe trovarsi in una stato di soggezione talmente serio da non poter chiedere l intervento del giudice in ordine all affidamento dei figli, dovendosi temporaneamente allontanare dalla casa familiare, pur potendo trattarsi, in ipotesi, del genitore più adeguato, tra i due, ad assumere il ruolo di affidatario o collocatario. Vi è anche una pronuncia del Trib. min. Bari del 17 novembre 10, che si è orientato in senso analogo e ha operato un assegnazione frazionata della casa familiare, previo espletamento di una CTU. 26

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