UN PERCORSO TRA STORIA ARTE E ARCHEOLOGIA

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1 UN PERCORSO TRA STORIA ARTE E ARCHEOLOGIA RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI Certamente è attestata una frequentazione in epoca romana da numerosi ritrovamenti: le due epigrafi ora inserite sulla facciata della chiesa e quella conservata a Milano; tavelloni e frammenti fittili rinvenuti sotto il Battistero insieme a monete di Arcadio ( ); la vasta necropoli venuta alla luce nel 1844 e 1868 nel parco della Villa Trotti (poi Adami, ora Galtrucco) e un tratto di muro scoperto insieme a monete del III sec. d.c. durante i lavori per la costruzione delle "Fonti di Baveno". La necropoli di villa Galtrucco era un piccolo sepolcreto con tombe e cremazione, databile alla prima età imperiale (I-II sec. d.c.), collocato probabilmente al di fuori dell'abitato, come prescrivevano le leggi, e lungo una via di comunicazione. Nel 1844 furono rinvenute tombe con deposizioni in urne cinerarie delimitate da pietre e accompagnate da corredo costituito da balsamari vitrei, oggetti d'ornamento, armi e monete di bronzo, fra cui una "Faustina Augusta", con ogni probabilità Annia Galeria Faustina (morta nel 175 d.c.). Nel 1868 furono scoperte invece circa quindici tombe con deposizione in urne cinerarie; il corredo era costituito da olpi, balsamari in vetro, oggetti di ornamento (fra i quali una fibula), patere (piatti) e coppette in terra sigillata, una ceramica particolarmente pregiata, prodotta ad Arezzo o in luogo su imitazione di modelli aretini. Le tombe contenevano anche monete di bronzo, alcune riferibili a Tiberio (14-37 d.c.) e Claudio (41-54 d.c.), che, come quelle rinvenute nel 1844, avevano forse la funzione del cosiddetto "obolo di Caronte" e cioè della moneta per pagare il terribile traghettatore di anime. Lapide romana sulla facciata della Chiesa La scarsità delle notizie riguardanti il ritrovamento e la dispersione degli oggetti di corredo consentono solo di ipotizzare che il sepolcreto servisse un piccolo insediamento. La frequentazione della zona del lungolago anche in età successiva è attestata dal muro scoperto presso le "Fonti di Baveno" insieme a monete degli imperatori di III sec.d.c.: era costituito da pietre di grandi dimensioni legate da malta e sul lato verso il lago si appoggiava direttamente su un masso. CHIESA DEI SS. GERVASO E PROTASO La chiesa pievana si trova al centro di Baveno, e si affaccia sulla piazza costruita alla fine del '500 nell'area cimiteriale delimitata da una Via Crucis ottocentesca. Sulla destra si trova un edificio di volume compatto, con basamento a bugnato liscio e due ordini di finestre: inizialmente faceva parte della canonica, ma nel 1870 venne assorbito dallo Stato, ristrutturato in stile neoclassico e adibito a Municipio. Il Complesso Monumentale La dedicazione della chiesa rimanda ai due Santi Martiri romani, i cui corpi vennero trovati da Sant'Ambrogio, e testimonia così una sorta di dipendenza di Baveno dalla Diocesi milanese. Ha facciata a capanna, divisa da una cornice marcapiano aggettante e coronata da archetti pensili in corrispondenza di quello che doveva essere il colmo dell'edificio primitivo. Nella parte inferiore della facciata si trova il portale d'ingresso, sormontato da un arco a tutto sesto e strombato da quattro giri di modanature. I capitelli sono ornati da motivi diversi: a sinistra foglie di palma e treccia piatta, fiore stilizzato; a destra foglie appuntite e rosette, sormontate da modanatura piatta. La facciata si conclude con due grossi contrafforti e mostra le tracce di un'antica decorazione ad affresco: restano gli occhi di una figura centrale e la sagoma di una figura laterale di minori dimensioni, inserite in una cornice policroma gialla e rossa. Ai lati del portale sono inserite due epigrafi romane. A sinistra la prima, in marmo di Candoglia, ci fornisce informazioni riguardo alla romanizzazione di questi territori: TROPHIMUS TI(beri) CLAUDII CAES(aris) AUGUSTI GERMANIC(i) SER(vus) DAP[H]IDIANUS

2 MEMORIAE [Aeternae sacrum] ossia "Trophimus Daphidianus servo di Tiberio Claudio Cesare Augusto. (Questo monumento è) sacro alla Memoria Eterna". Il nome di stampo greco indica che il nostro non era originario di queste zone; inoltre la definizione di servus insieme alla mancanza del praenomen individua una persona di condizione servile, e precisamente di un servo imperiale di Claudio; dal momento che l'imperatore Claudio governò dal 41 al 54 d.c. possiamo datare l'epigrafe intorno a questi anni. Inoltre dall'aggiunta di Daphidianus come secondo nome (gli schiavi solitamente avevano un solo nome) si deduce che era già stato servo di un altro padrone, un certo Daphidius: la terminazione in -anus indica infatti il cambiamento di proprietario per donazione. Il servo dedica questa iscrizione alla Memoria Eterna, una divinità romana. Probabilmente la presenza di uno schiavo imperiale in questa zona è attribuibile a motivi economici o militari. La seconda iscrizione in gneiss si trova a destra in basso sotto il contrafforte: [---]ALENTIUS [---]NDORO [---]RI A causa della frammentarietà del testo non offre elementi sufficienti per datarla e trarre conclusioni riguardo alla condizione e all'origine del dedicante che si chiamava probabilmente Valentius. Il registro superiore della facciata della chiesa è scandito da slanciate lesene e mostra due bifore tamponate; vi sono poi due aperture: la finestra rettangolare e quella quadrilobata. La muratura è a conci regolari di blocchi ben squadrati, legati da malta stesa in strati sottili. Anche il tratto di muro a Nord, tra le cappelle laterali e il corpo del campanile, è ascrivibile al periodo romanico, per via della muratura simile a quella della facciata e della decorazione ad archetti pensili in quarzite e laterizi, poggianti su piccole protome animali. Alla struttura romanica si sovrappongono rifacimenti di epoche diverse: i tamponamenti delle bifore, gli affreschi dell'interno, l'aggiunta dell'attuale abside nel 1607, gli ingrandimenti delle cappelle laterali nel XVIII, la sacrestia del 1717, la volta barocca della navata. L'interno è dunque frutto di successivi interventi e mostra la scena del Golgota con un grande crocifisso lineo e sull'arcone absidale i Santi Patroni; lungo le pareti l'annunciazione attribuita a Camillo Procaccini ( ), il Sacrificio di Isacco al Vermiglio e Santa Lucia di Isidoro Bianchi ( ). Nella terza cappella sulla destra, la Cappella del Crocifisso, si trovano due dipinti di Defendente Ferrari, probabilmente parte di un polittico: l'adorazione della Vergine e la Presentazione al Tempio. Affresco della Crocifissione sec. XIII IL CAMPANILE La struttura del campanile è probabilmente datata ad un periodo compreso tra il 1050 e il 1075, quindi anteriore alle forme attuali della facciata della chiesa. E' a sei piani su pianta quadrata; presentava in origine aperture di ampiezza crescente dal basso verso l'alto, ora tamponate, ad eccezione delle due piccole monofore del terzo piano con archetto e ghiera in laterizio. E' coronato dalla cella campanaria che taglia la preesistente cornice ad archetti pensili, ora solo in parte visibile. IL BATTISTERO Al Battistero di accede tramite un porticato a quattro archi a tutto sesto su colonne di granito. Il livello del pavimento è inferiore rispetto a quello del sagrato, da ciò la necessità dei tre gradini. Ha la pianta all'esterno quadrata e all'interno ottagonale, per via della presenza di nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari ricavate nello spessore della muratura. E' sormontato da un tiburio ottagonale che mostra all'esterno una volta a spicchi, su arco ribassato e che poggia su mensole decorate a motivi vegetali stilizzati.

3 Sandro Mazza, autore di un approfondito studio sulle murature del Battistero, ha proposto una datazione al V sec.d.c. per analogia con piante di edifici datati a quel secolo (ad esempio il Battistero di Riva San Vitale): a corroborare questa ipotesi, sostenuta anche da altri studiosi, sono richiamate la posizione del Battistero e il ritrovamento di monete di Arcadio e laterizi romani. Il Kingstey Porter invece ritiene che il Battistero sia stato costruito tra il 1150 e il 1175, parallelamente all'edificazione della chiesa considerando la somiglianza delle mensole di sostegno della volta del Battistero con quelle del portale della Chiesa. Una datazione al XII sec. è proposta anche da Ugo Monneret de Villard. E' difficile tuttavia, senza un'analisi approfondita delle strutture murarie (attualmente impossibile per il rivestimento d'intonaco esterno) o senza uno scavo all'interno e intorno al Battistero, proporre una datazione solo sulle analogie planimetriche o stilistiche vista la possibilità di imitazione degli schemi più antichi. Gli affreschi dell'interno sono del VXI secolo, e raffigurano sugli spicchi della cupola i Quattro Evangelisti (Marco col Leone, Marco con l'angelo, Luca con il Toro e La volta "ad ombrello" Giovanni con l'aquila) con Padri della Chiesa (Ambrogio, Agostino, Gregorio Magno e Gerolamo). Sulle pareti del tiburio episodi della Passione di Cristo; accanto alle finestre le Virtù Cardinali. Il ciclo sulle pareti delle nicchie raffigura la vita di San Giovanni Battista; gli episodi cominciano alla sinistra dell'altare: Annunciazione della Nascita del Santo, Visita di Maria ad Elisabetta, Nascita del Santo, Preghiera del Battista nel deserto, Giovanni imprigionato da Erode, il Banchetto di Erode, la Decapitazione del Santo. Tutti gli episodi sono ben ambientati in ricche quinte architettoniche, e i personaggi raffigurati sono sia in abiti romani sia in abbigliamento cinquecentesco. Il portico anteriore è datato La forma del battistero è determinata dalle funzioni battesimali che si svolgono al suo interno e viene poi progressivamente modificata col cambiare delle tradizioni. La forma ottagonale della pianta del Battistero ha un preciso significato simbolico: pone l'evento Battesimo nell'ottavo giorno, giorno della Resurrezione del "Nuovo Adamo" e riconosce nell'ottavo giorno il compimento della Creazione. VILLA BRANCA La villa si trova sul lungolago di Baveno davanti al porticciolo: venne costruita tra il 1871 e il 1872 da Sir Henfrey che la volle in questo stile a emulazione del gotico inglese e fu chiamata Villa Clara. Alla morte di Sir Henfrey avvenuta intorno al 1890 la villa rimase chiusa fino al 1898 quando venne acquistata da Maria Scala Branca. Diversi i contributi di Baveno e dei suoi cittadini alla costruzione dell'edificio: i graniti furono forniti dalla Ditta Elia, pittori e disegnatori furono Guzzi e Parea, mentre gli stuccatori, Lucca, Ferragutti e Lanfranconi, furono chiamati da Milano. La chiesa, di forma ottagonale, fu costruita qualche anno dopo. La prima struttura appartenente alla villa è un corpo di fabbrica parallelepipedo, nel quale si aprono cinque finestroni e su cui si affaccia una terrazza con balaustra sormontata da statue classicheggianti. La villa vera e propria si trova ad altezza maggiore, immersa nel verde e si staglia con la sua grande mole, movimentata da un piano a finestroni e da due ordini di finestre di dimensioni diverse. I tetti hanno a loro volta altezze e dimensioni irregolari e contribuiscono all'effetto di vivacità della struttura. L'edificio è sormontato, sul tetto più alto, da una terrazza, ai cui lati sorgono due torrette con tetto piramidale. L'insieme è coronato da pinnacoli e dalle finiture bianche dei particolari architettonici, in contrasto con il rosso della cortina muraria in mattoni. L'interno della villa presenta un grande atrio a metà del quale ha inizio una scalinata a doppia rampa che conduce al primo piano dove si trovano diversi Villa Branca appartamenti. Al secondo piano vi sono le stanze per gli ospiti e le camere di servizio, mentre le cucine e le dispense si trovano nel sotterraneo. Nella proprietà è visibile anche un finto castello diroccato, edificato nel allo scopo di mascherare la vista del nuovo Albergo Lido Palace (che ospitò tra gli altri lo statista Churchill e il compositore Wagner) sorto nella Villa Durazzo confinante con il giardino di Villa Branca. VILLA FEDORA La villa costruita alla metà del secolo scorso, si trova appena oltre il Torrente Selvaspessa immersa nella ricca vegetazione del Parco Comunale e affacciata sul lago. La struttura ha in facciata due ali laterali aggettanti che, proseguendo sul retro, formano un piccolo cortile. Il corpo centrale è a tre piani con due logge in stile dorico, sormontate da metope a grottesche su fondo azzurro.

4 Questo fabbricato a forma di H si collega ad un'altra struttura tramite una sorta di barchessa. Tutto l'insieme è stato ristrutturato in tempi recenti dalla Camera di Commercio che ne è la proprietaria. E' qui che tra il 1904 e il 1924 soggiornò il noto compositore Umberto Giordano, maestro del nostro Verismo e autore, fra le altre opere, della Fedora (1898) e della Siberia (1903). DOMO RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI Piccola piazza a cui si arriva tramite una via stretta e tortuosa, fiancheggiata da case basse con larghi portali d'ingresso. Vi si trova, sulla sinistra al n. 20, una bassa costruzione coperta da un tetto di piode. Si apre con una bassa porta dall'antico architrave di legno, sovrastata da un alto camino. La dimensione del camino fa pensare che si trattasse di un forno pubblico. Sul retro del forno un edificio che sormonta la strada verso il lago, creando una galleria in pietra a vista. Il nucleo antico CAPPELLETTA VOTIVA Di fronte al forno una cappelletta che si dice sia stata eretta come ex-voto per la liberazione dalla peste: ha l'arco interno con volta a botte, con affreschi raffiguranti Madonna in Gloria con Bambino e i SS. Giuseppe e Defendente, nella zona i SS. Gervaso e Protaso, centrale sui lati della volta gli stessi a cui è dedicata la Chiesa Parrocchiale di Baveno. CASA MORANDI Casa datata al XVIII secolo: ha quattro piani collegati all'esterno da scale e con ballatoio su ogni piano. Le aggiunte contemporanee contraffanno quello che doveva essere l'aspetto originario; resta a vista la muratura, a pietre scistose in corsi irregolari, che terminano in angoli di pietre sbozzate. Casa Morandi, cartolina d'epoca

5 ROMANICO CHIESA DI SAN GIUSEPPE La Chiesa, costruita nel 1633 e restaurata nel 1952, venne forse fatta edificare dalla famiglia Rabaioli, Apostoli di Lesa, originaria di Romanico. Ha pianta ottagonale e abside esterna al perimetro dell'ottagono, con terminazione piatta. In facciata un piccolo pronao con due coppie di colonne binate, in granito locale, la cui dimensione si ripete sul muro della facciata con due lesene e capitelli; all'interno è stata affrescata da P. Gaddia. VIA MOLINI Sulla via, che parte dalla Chiesa di San Giuseppe, si allineano diverse case dall'architettura simile e tipicamente rurale: ballatoi retti da mensole in pietra, scale esterne, portali in granito. Alcune abitazioni riportano la data di costruzione (1711, 1808); un'abitazione, datata 1709, ha annessa una cappella affrescata con la B.V. delle Grazie e alcuni santi taumaturghi: S. Barbara, invocata contro i tuoni, i fulmini e per non morire senza sacramenti; S. Venanzio, protettore contro le cadute; S. Bernardo d'aosta, terribile contro i demoni; ed infine S. Rocco che, con la sola benedizione, libera dalle pestilenze. Case a "ringhiera" a Romanico RIONE MILNESE Il rione Milnese, citato nei documenti di XIII sec. con il nome di Murinesio-Morinesco, può essere raggiunto seguendo la via Milnese che si dirama dalla strada proveniente da Baveno e diretta a Roncaro. Questa via, che porta al lungolago, costeggiando i parchi delle ville adiacenti, è particolarmente suggestiva per le sue dimensioni: si tratta di una strada molto stretta, che ricalca esattamente il tracciato già presente sul catasto ottocentesco Rabbini, dove però compare senza alcuna abitazione ai lati. La Cappelletta di Milnese

6 RONCARO LE STRADE Roncaro è oggi raggiungibile percorrendo la "strada panoramica" che corre sulle colline sovrastanti la strada Regina (strada napoleonica del Sempione): questo tracciato moderno, che segue il dolce andamento di più antichi percorsi, conduce direttamente all'abitato e poco più avanti si interrompe. Prima della costruzione napoleonica del Sempione, forse già in epoca romana nel caso della "strada panoramica", l'abitato era collegato ad una rete viaria, in molti tratti riutilizzata ed in parte abbandonata: via Prati Belli oggi corre fino all'autostrada e lì si interrompe; la mulattiera prosegue la linea ideale della "strada panoramica" in direzione di Stresa. Da Roncaro verso sud la strada probabilmente toccava Meina, Solcio, Villa Lesa, Lesa, Belgirate, Stresa e forse Carciano; a nord proseguiva verso Romanico per poi finire in Baveno. IL NUCLEO STORICO Poche case compongono il nucleo antico di questo abitato che domina una porzione di lago: molte di esse sono state restaurate di recente ed hanno un effetto scenografico caratteristico, mantenendo evidente la loro struttura non moderna. La casa di fronte alla chiesa, con portale che reca la data 1790, veniva chiamata "casa del signore": sul muro esterno è ancora ben conservato un affresco datato 1765, raffigurante una Madonna trafitta da sette spade, tipica raffigurazione della Madonna Addolorata o dei sette dolori ovvero delle sette spade. Nella stessa casa è conservata una lastra di pietra di circa 150x80 cm con coppelle e incisione di un gioco. Il gioco degli scalpellini inciso in una lastra di granito a Roncaro LA CHIESA DELLA B.V. ADDOLODARA Lo stesso tema dell'addolorata ricompare anche in un brano di S. Bernardino da Siena, scritto sul frontone del portico della chiesa, costruito negli anni Venti dell'ottocento riutilizzando le colonne di granito provenienti dalla chiesa di Stresa. Una data sul fianco dell'edificio, 1888, ricorda restauri ed ulteriori rifacimenti. Il corpo centrale della chiesa è a navata unica e mantiene la struttura tipica delle chiese rurali di questa zona: pianta pressocchè rettangolare, senza abside, con campanile addossato al corpo centrale, costruito nel 1830 con rifacimenti nel E' interessante rilevare la posizione della torre campanaria a ridosso della facciata anzichè sul retro. Ma la piccola chiesa è forse di fondazione più antica delle datazioni riportate: già nel 1761, infatti, in un memoriale, si ricordava la costruzione di un oratorio in onore della Madonna Addolorata che era oggetto di particolare devozione da parte della popolazione.

7 VILLA CAROSIO La villa, ora trasformata in residence, porta la firma di uno dei più importanti architetti del liberty italiano, Giuseppe Sommaruga ( ). I lavori di realizzazione durarono due anni ( ); l'intero arredo della villa - rimasto in loco fino agli anni '70 - venne affidato ad Eugenio Quarti, famoso ebanista molto in voga in quel periodo, che collaborò strettamente almeno in questo progetto col Sommaruga, riuscendo nel difficile compito di ambientazione dei monumentali spazi interni realizzati dall'architetto. La villa, collocata in posizione panoramica ed elevata, è a tre piani con torretta; la planimetria interna si sviluppa intorno al nodo centrale, costituito dalla sequenza atrio/scalone - salone - sala da pranzo, adottata già in palazzine di città. Il desiderio dell'architetto di infrangere i limiti imposti dai muri si realizza mediante logge, bow-window, balconi e terrazzi quali cannocchiali prospettici verso il paesaggio circostante. In questa villa il Sommaruga tocca il culmine dell'intensità espressiva nel trattamento del cemento plastico che decora gli esterni: non si hanno infatti - come nella vicina Villa Galimberti di Stresa - efflorescenze incontrollate, quasi sfacciate, ma prepotenti incastri di volumi astratti, sorta di volute sempre più irregolari e intrecciate tali da far presupporre la conoscenza di Boccioni e che diventano sigla irripetibile e peculiare del Sommaruga. La villa testimonia il gusto dell'alta borghesia imprenditoriale di inizio secolo che - mossa da esigenze di modernità e rappresentatività - si rivolge all'architettura liberty - sia in città sia in luoghi di villeggiatura - come espressione di un vero e proprio status simbol dal momento che evidenzia alti investimenti di capitale. In seguito al pesante intervento di destinazione a residence, solo il pianterreno e lo scalone non hanno subito modifiche

8 LOITA IL NUCLEO STORICO Vecchio Mulino Il nucleo storico si è sviluppato seguendo il corso del Rio Loita che porta al lago, con edifici di grosse dimensioni ancora in pietra a vista. Di fronte alla chiesa si trova un opificio che sfruttava la forza del torrente per mezzo di una ruota a pale e di cui ora è solo visibile l'invaso. LA CHIESA DEI SS. ANTONIO E FERMO La bella chiesa è dedicata ai SS. Antonio e Fermo, raffigurati sopra la porta d'ingresso dove compare anche un'invocazione rivolta ai due santi: a S. Antonio perchè difenda dalle tempeste e a San Fermo perchè, in qualità di Santo protettore del paese, elargisca grazie dal cielo. La chiesa, a pianta rettangolare, ha due cappelle affiancate lateralmente all'unica navata ed un porticato d'ingresso sorretto da quattro colonne di granito simile a quello della vicina chiesa della Madonna della Neve. Il corpo centrale è coperto da volta a botte, mentre le cappelle laterali sono sormontate da volticine ad ombrello. La copertura della zona presbiteriale invece è una bella semicupola, tagliata da finestrelle laterali. Ricche decorazioni barocche adornano l'interno della Chiesa, con raffigurazioni dei Santi protettori: a sinistra Santa Barbara e a destra San Fermo. Sull'altare la pala affrescata con Madonna e Bambino in Gloria con i SS. Barbara e Antonio adoranti. Dalla zona di culto si può accedere alla retrostante sacrestia, addossata al perimetro della chiesa. La Chiesa di S. Fermo

9 OLTREFIUME PIAZZA SAN PIETRO Oltrefiume si compone di due nuclei abitativi ben distinti, già evidenti nell'ottocentesco catasto Rabbini. Il nucleo che si sviluppa intorno alla chiesa di San Pietro Martire raccoglie in sé diversi elementi di interesse che ci consentono di immaginare la vita di questa frazione qualche secolo fa. CHIESA DI SAN PIETRO MARTIRE La costruzione della chiesa di San Pietro Martire risale ai primi del Settecento poichè in un inventario del 1716 si dice che l'edificio non era ancora stato terminato. La facciata su gradini ha un pronao con volte a botte che poggia su quattro colonne in granito di Baveno sormontate da un timpano triangolare. La porta d'ingresso e le due finestrelle laterali hanno semplici stipiti lineari, e sopra di essi, sulla parete, ci sono finti capitelli in rilievo e frammenti di decorazione a imitazione di lesene. La chiesa è strutturata in tre corpi di fabbrica addossati l'uno all'altro, di cui il terzo occupato dalla Sacrestia; l'allungamento è frutto di un'operazione successiva alla fondazione, e sono risultato di questa fase anche la volta e le finestre laterali, come è chiaramente visibile dalla muratura esterna ancora a vista. L'interno, recentemente risitemato, è a navata unica, con nicchie laterali poco profonde e a terminazione piatta, come la parete di fondo dell'abside: questa mostra un finto coro prospettico con volta a botte cassettonata che sembra aprirsi sul cielo. Verso la Chiesa di S. Pietro Martire OSTERIA DEL PORTICO Sulla piazza della chiesa si affaccia il portale in granito dell'osteria del Portico, decorato con motivi floreali entro cornici polilobate alterni a croci: questo costituisce anche l'ingresso al borgo vecchio con le case che si dispongono lungo una suggestiva stradina di acciottolato. Sulla destra un arcone ribassato permette di accedere ad un altro nucleo di vecchie abitazioni (Via S. Pietro). VILLA MUSSI Sempre sulla stessa piazza si affaccia la cancellata di Villa Mussi: si tratta di una villa in stile Liberty strutturata in tre ali, le due laterali avanzate e asimmetriche, con facciata su tre registri con colonne doriche. Le finestre sono in ferro battuto dipinto di rosa, lavorato a cerchi e volute che arricchiscono il movimento della facciata. Tra il piano terra e la veranda del piano superiore una cornice a motivi geometrici piuttosto pesanti, che ha insolito risalto plastico se paragonata al linearismo della facciata. Sopra l'edificio una torretta con finestre a tutto sesto e coronamento in ferro battuto. L'intonaco era in origine sottilmente decorato a linee ondulate, a ripetere i motivi in puro stile floreale delle ringhiere. In questa villa abitò Francesco Cazzamini Mussi, poeta e studioso della storia di Milano. La villa, completamente recintata, aveva anche un grande parco al quale si poteva accedere attraversando un sottopasso: ora questo è stato ceduto al comune che ha realizzato un'area attrezzata a parco pubblico, mantenendo comunque il tipo di vegetazione (palme, canne palustri) che caratterizzava il giardino privato. Seguendo la strada che separa la villa dal parco si giunge ad un gruppo di edifici che costituivano la parte di servizio: stalle, granai, abitazioni dei dipendenti. Nei dintorni della villa si possono ancora vedere i cippi con iscrizione 'Casa Mussi' che delimitavano i confini della proprietà.

10 CASA MONFFERINI Edificio in puro stile eclettico, datato Casa Monferrini interamente decorata La decorazione degli esterni è particolarmente ricca: intonaco decorato a motivi geometrici simili a piastrelle, metope a volute colorate, e sotto di esse un riquadro con satiri bambini e cartiglio, nel timpano vasi da cui sgorgano ricchi motivi a volute. Il retro della casa mantiene il carattere del fronte, ma con motivi decorativi leggermente diversi: esagoni irregolari, con quadrati interni e spirali. All'esterno della casa una tipica staccionata ottenuta riutilizzando gli ex tralicci dei lampioni, in granito, ora sostituiti da lampioni metallici in stile.

11 FERIOLO RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI Feriolo si configura come una delle aree di più antica frequentazione umana di tutto il Vergante. Tra le attestazioni archeologiche di età preistorica vengono infatti da Feriolo: - una lama in selce ritoccata, identificabile forse come un pugnale eneolitico, conservato presso il Museo L. Pigorini di Roma; - un grattatoio frontale corto e un raschiatoio in quarzo da attribuire, vista la continuità d'uso di questi strumenti, ad un periodo compreso tra l'eneolitico e l'età del bronzo. Entrambi sono conservati presso l'antiquarium di Mergozzo; - un'accetta litica in nefrite, rinvenuta in una cava posta sopra il lago e conservata presso il Sig. Gramaccioli di Milano che la ritrovò nel Non è certamente un caso la presenza proprio a Feriolo di simili ritrovamenti. L'esistenza di un'altura a stretto contatto con il lago, fonte di sostentamento e insieme via di comunicazione, e la sua posizione strategica all'imbocco della Val d'ossola ne hanno fatto un luogo di insediamento privilegiato nel corso dei secoli. Non mancano le testimonianze di età romana: - si ha notizia di una tomba presso la torre; - in località "il castello", sul dosso sovrastante il lago a Nord della torre, si sono rinvenuti parecchi frammenti di tavelloni a risvolto e coppi frammisti alle pietre dei muretti a secco che delimitano la proprietà. Il simultaneo ritrovamento di frammenti fittili fa evidentemente supporre la presenza di edifici o strutture nelle quali questi tegoloni venivano utilizzati per la copertura del tetto; - una fusaiola in cotto, di epoca tardo imperiale; - si ha notizia dei ritrovamenti durante gli scavi per la costruzione dell'autostrada di monete e frammenti fittili relativi probabilmente ad un corredo tombale nell'avvallamento tra la collina del castello e il monte Camoscio. Sappiamo peraltro del passaggio per questo territorio di due tracciati viari romani: uno collinare e uno litoraneo leggermente in costa su cui in questo secolo fu modellato il tracciato ferroviario. Le due strade univano in direzione Nord-Sud quasi tutti i centri del Verbano e si ricollegavano a Baveno. Non si tratta di strade consolari, ma probabilmente di preesistenti percorsi locali potenziati in età imperiale. LA STORIA Il documento più antico nel quale si cita il Ferreolum Castrum risale all'inizio del XIII secolo: in una lettera databile al secondo decennio del secolo il vescono Tornielli di Novara ringrazia l'arcivescovo di Milano Enrico da Settala per aver concesso la castellanza di Feriolo ad un Raniero dei Visconti di Oleggio Castello, suo parente. La dipendenza dalla mensa arcivescovile risulta anche dagli statuti di Valtravaglia del 1283 nei quali era previsto l'obbligo di rifornire di calce i castelli di Feriolo, Brovello e Angera. Per tutti i secoli XII e XIII la zona è caratterizzata da una frammentarietà amministrativa nella quale si sovrappongono più poteri. Nel XII secolo i Da Castello sono i feudatari più potenti della zona e ad essi viene imposto dal Comune di Novara con il trattato di Buccione del 1200 la salvaguardia di tutti gli uomini e i mercanti transitanti tra Feriolo e Palantia. Nella ventennale opera di espansione di Milano nel Vergante, la sentenza pontificia del 1199 fissa Feriolo come confine settentrionale della giurisdizione arcivescovile di Milano. A metà del XIV secolo, sotto il dominio visconteo, ritroviamo la richiesta dei consoli della zona all'arcivescovo Roberto Visconti di aiuto per la custodia del castello di Feriolo. Con il XV secolo inizia la sudditanza, che durerà fino alla Rivoluzione Francese, di tutta l'area del lago ai Borromei: risale a questo periodo una moneta ritrovata nel 1997 vicino alla torre, una trillina di Francesco I Sforza ( ). Per la sua posizione privilegiata Feriolo continuò a rivestire un ruolo fondamentale anche in campo economico, come centro commerciale. In una lettera del 1585 si legge che, durante una pestilenza, vennero messe 'due bone guardie' presso il castello proprio perchè esso controllava un punto di passaggio obbligato nel Vergante per terra. In alcune descrizioni del Morigia dei primi anni del Seicento il villaggio è ricordato per la produzione di fieno e per il commercio del carbone. L'ultimo documento di un certo interesse che si ricorda è una lettera del 1652 dalla quale risulta che la contessa Isabella d'adda, da cui prende nome l'isola Bella, passò per il 'palazzo' di Feriolo e 'fece devozione alla Madonna' (probabilmente alla Madonna della Scarpia o Rialto). Tra gli avvenimenti degli ultimi due secoli rimangono l'epilogo dello scontro tra sabaudi e patrioti cisalpini nella

12 piana di Feriolo (aprile 1798) e la tragica frana del 1867 che fece sprofondare nel lago la strada del Sempione e una parte dell'abitato causando la morte di 17 persone. LA CHIESA DI SAN CARLO Il colpo d'occhio per chi arriva a Feriolo da Baveno è particolarmente suggestivo: si coglie il borgo nella sua interezza, con le case a due piani dai colori vivaci e con i caratteristici balconcini poggianti su mensole di granito e ricoperti di fiori. Nel mezzo campeggia la Mole della Chiesa di San Carlo. Diventa parrocchia separandosi da Baveno nel Sulla facciata è segnato il livello raggiunto dall'innalzamento del lago nel 1868, quando le acque giunsero sino a sette metri sulla magra ordinaria; mentre la data sul muro perimetrale della terrazza ricorda l'alluvione del La facciata è scandita da quattro lesene, che proseguono anche nella parte superiore e il coronamento è un timpano triangolare con sbiadito affresco raffigurante il Borromeo. L'interno è a navata unica con quattro cappelle laterali, due per lato, coperte da volta a botte, e delimitate, le due più prossime all'abside, da balaustre in granito. Tutte le pareti sono scandite da enormi lesene in marmo nero, con capitelli corinzi in stucco coperto da foglia d'oro. Le due lesene sul fondo dell'abside hanno testine di cherubini tra il fogliame d'acanto. La chiesa è decorata da affreschi, statue e vetrate policrome: nell'abside Episodi della vita di Cristo e di San Carlo Borromeo, nelle cappelle laterali una statua della Madonna del Rosario, un affresco col Battesimo di Cristo, una statua di S. Carlo Borromeo, una statua di Santa Lucia affiancata da angeli affrescati. LA TORRE Posta su un colle che domina il lago e l'imbocco della Val d'ossola la torre ha una storia controversa. La tradizione popolare la vuole di età romana, ma nelle sue forme attuali è di certo attribuibile al Basso Medioevo. Ciò non vieta di pensare che il sito su cui si erige non possa aver avuto frequentazioni ben precedenti, non solo romane (lo proverebbe il rinvenimento di materiale da costruzione di quell'epoca sparso sull'altura), ma anche preistoriche. Il dosso è difeso naturalmente su tre lati, con due pareti di roccia a Est (a strapiombo sul lago) e a Ovest e una sola via di accesso verso Mezzogiorno. Nella tarda antichità in particolare tutti i territori di confine posti su alture all'imbocco delle valli e delle più importanti vie di comunicazione furono organizzati a rete in funzione difensiva o anche solo di controllo e segnalazione. Feriolo potrebbe quindi rientrare nel sistema di fortificazione del limes alpino a protezione del passaggio sulla strada del Sempione e dei valichi dell'ossola. La tesi è avvalorata dall'indagine sul territorio: ad ogni gomito della valle si trova una torre visibile da quella immediatamente a valle e a monte. Feriolo poteva comunicare con Mergozzo a Nord e inviare segnali a Suna, e quindi al bacino del lago, a Sud. Sull'organizzazione militare tardo romana in castra si impianta l'ordinamento longobardo delle iudiciarie: la torre di Feriolo, il fortilizio del motto di Gravellona, la torre di Montorfano e quella dell'isola di San Giovanni insieme formavano un importantissimo sbarramento tra le due sponde del golfo occidentale del Verbano, costituente la chiusa dell'ossola. Né va dimenticata la funzione del lago stesso come via di comunicazione e di trasporto di uomini e merci, talvolta più veloce e sicura delle vie di terra e inserita in un sistema fluvio-lacuale già ben sviluppato in età romana. Resta comunque indiscutibile l'attribuzione dell'edificio oggi visibile ad opera medievale. Tanto più che la storia lo spiega benissimo: il triangolo Suna-Feriolo-Mergozzo era il cardine di una rete di fortilizi La Torre di Guardia appartenenti alla famiglia dei Da Castello, che in questo modo controllava quel nodo di comunicazioni eccezionale che è il Montorfano. Il primitivo nucleo fortificato dei signori (che proprio dalla fortificazione originaria della famiglia trassero il patronimico De Castello) era sull'isoletta di San Giovanni, terminale di una rete abbracciante la foce del Toce e il centro del lago. Si tratta di esempi assai modesti rispetto alle imponenti rocche vescovili: torri talvolta circondate da uno o più giri di mura così da creare un piccolo recinto-castello. La tipologia appena descritta si adatta perfettamente al sito di Feriolo, dove sono riconoscibili due giri di mura. Il primo si snoda sul pianoro più alto del colle seguendo l'andamento della roccia a delimitare l'area sulla quale si erge la torre. Il muro, costruito con lo stesso materiale lapideo della torre e certamente coevo ad essa, appare di buona fattura e presenta delle feritoie per il tiro radente e delle aperture con arco a tutto sesto. La seconda cinta invece è posteriore all'impianto della torre, e si va ad innestare a Nord sulla cerchia più antica, della quale ostruisce in più punti le feritoie. Inoltre l'analisi della muratura fa pensare a delle maestranze meno capaci che si servirono di materiale di recupero (ciottoli, sassi non squadrati), mentre il muro originario presenta dei filari di conci ben squadrati. Tuttavia questa seconda operazione di recinzione aveva permesso di ampliare notevolmente l'area militare, estendendo la difesa a tutto il pianoro immediatamente a Sud della torre.

13 Il manufatto, in ossequio all'ardito verticalismo che contraddistingue l'architettura militare della seconda metà del XII secolo e dell'inizio del XIII, si eleva in alzato per nove metri circa su di una pianta quadrata e presenta tracce di un tetto a falda. La struttura è in conci regolari di granito locale, con tonalità varianti dal bianco al rosa, che sono legati da malta fabbricata con materiale dello sperone dell'arxtravalia. Esistevano tre piani più un sotterraneo con volta a botte. L'ingresso non corrispondeva a quello oggi visibile sul prospetto Est aperto in seguito a rottura in basso a sinistra della facciata. La porta con archivolto in conci in pietra è posta invece sul lato di ponente a circa 4 metri di altezza da terra, ed era raggiungibile solo con una scala movibile in legno. MADONNA DELLA SCARPIA Nell'edificio posto lungo il rettilineo che conduce a Gravellona, a 1,5 km circa da Feriolo, si venera la cinquecentesca immagine della Vergine. Venne riedificato nelle sue attuali forme dagli scalpellini all'inizio del Settecento. E' posto su un terrazzo sopraelevato e sostenuto da un muraglione, e si affaccia su un sagrato di lastroni di pietre sconnesse. Ha pianta ottagonale a lati disuguali e vi si accede per un elegante e slanciato portale con stipiti in granito e timpano a ricciolo. Sul retro si trova la Sacrestia, addossata alla roccia della montagna retrostante. Dalla Chiesa parte la strada acciottolata che portava a Feriolo, ma che è ora interrotta dalla cava moderna. La zona è stata interessata da una recente alluvione che ha reso necessario il rinforzo degli argini. La chiesa seicentesca della Madonna della "Scarpia"

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