Il rinascimento italiano

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1 Il rinascimento italiano La storia della critica drammatica durante il rinascimento italiano è essenzialmente la storia della riscoperta d Aristotele, dell affermarsi della sua Poetica come punto di riferimento fondamentale nella teoria drammatica, e dei tentativi di collegare questa opera alla tradizione critica consolidata. Aristotele fu noto, e le sue opere oggetto di riferimenti, per tutto il medioevo, ma la Poetica fu sostanzialmente ignota all occidente, fino a che la traduzione d Averoe ad opera di Ermanno non porto per lo meno questa versione distorta all attenzione di alcuni studiosi. Alla fine del XV secolo, la traduzione latina di Giorgio Valla (1498) e un testo greco pubblicato a Venezia (1508) misero finalmente a disposizione degli studiosi rinascimentali versioni abbastanza accurate della Poetica. L opinione generale dei critici italiani del primo cinquecento era che la tradizione classica fosse essenzialmente monolitica, e che contraddizioni o incoerenze evidenti fossero il risultato di false interpretazioni, false traduzioni o corruzioni dei testi prevenuti. Robortello Il primo importante commento d Aristotele ad essere pubblicato fu quello di Francesco Robortello nel 1548, perché riuniva osservazioni sparse sulla Poetica di scrittori dei precedenti 20 anni, è indico ai critici successivi le direzioni generali a seguire. Il problema più grave era il rapporto alla mimesi. Da Aristotele proveniva l idea di mimesi come fine in se, benché Robortello puntasse l accento meno sulla mimesi in se che non sul relativo piacere del pubblico. Sottolineando l effetto piacevole della mimesi, Robortello riesce a conciliare Aristotele con l obbiettivo di Orazio del dilettare, e il critico italiano era pronto ad aggiungere che l utile non ne risulta escluso. Il mezzo con cui lo si ottiene è quello tradizionale: l imitazione e la lode degli uomini virtuosi incitano gli uomini alla virtù; la rappresentazione e la condanna del vizio fungono da deterrenti. Le finalità retoriche vengono a sostituire, cosi, quelle estetiche d Aristotele; il pubblico, in primo luogo, non deve trarre piacere dall unita e dalle qualità formali dell opera ma deve ricavare un insegnamento morale dai diversi elementi didattici. 1

2 L intrecciò e i caratteri indicano principalmente le azioni e i tratti individuali che conduccono alla virtù o al vizio, e dunque alla felicita o all infelicità. Comunque, va osservato che Robortello restituisce l idea dell spettacolo alla teoria drammatica. L imitazione nella tragedia può essere considerata in due modi, egli osserva, o in teatro recitata da attori, o realizzata da poeta nel momento quando scrive. La prima sottolinea l azione, la seconda i caratteri. In entrambi i casi, il pubblico sarà indotto ad un progresso morale soltanto se ciò di cui fa esperienza apparirà attinente alla vita che gli è consueta. Secondo Robortello, la verosimile ha la facoltà di commuovere e persuadere. Le cose come dovrebbero essere di Aristotele non vengono interpretate da un punto di vista filosofico o estetico, ma in termini retorici e morali. Questo nesso tra verosimiglianza e ammaestramento morale doveva diventare, come vedremo, una delle pietre miliari della teoria neoclassica francese. In appendice al commento vi sono, in Robortello, alcune tesi supplementari tra le quali una sulla commedia. Essenzialmente, questa rielabora la Poetica d Aristotele, sostituendo commedia e tragedia, e ripetendo ogni elemento considerato comune ad entrambe. I generi sono fondamentalmente distinti in base d argomento, la commedia tratta gente umile e comune, la tragedia si occupa di quella di rango superiore. In breve, lo sforzo di conciliare Aristotele con la teoria letteraria prevalente ha effetto solo a partire da un radicale rimaneggiamento del testo originale; cioè, più attraverso una reinterpretazione dei concetti chiave, che attraverso una scrittura alla maniera di Averoe. L accento posto da Aristotele sull uniformità artistica scompare, poiché l obbiettivo di raggiungere non è di tipo estetico. Le diverse parti dell opera vengono invece analizzate per la loro specifica efficacia nel persuadere e dilettare il pubblico. Gli ideali oraziani di decoro e convenienza sono applicati a tutti gli aspetti del dramma, secondo il presupposto che il pubblico sarà 2

3 persuaso e commosso con grande facilita d azioni, caratteri e linguaggio che appaiano in armonia con le sue idee preesistenti. L interesse per la verosimiglianza e la chiave per capire i commenti di Robortello all osservazione d Aristotele secondo cui la tragedia cerca di mantenersi all interno di un unico giro del sole. Robortello afferma che questo deve significare l intervallo di tempo all alba al tramonto piuttosto che un giorno di 24 ore, poiché la gente normalmente non se ne va in giro ne fa conversazione di notte. Anche sul tale punto questo primo commento importante rinascimentale di Aristotele stabili l orientamento generale per coloro che seguirono. Poi sono accadute varie interpretazioni, come quella di 1549 quando è stata tradotta in volgare, con commenti di Bartolomeo Lombardi e Vincenzo Maggi, basati sul esempio di Robortello. Ma nessuna di esse non presentarono la novità di rilievo nella metodologia e le affermazioni generali. Cinzio Poi e avvenuto il Discorso intorno al comporre delle commedie e delle tragedie di Giambattista Giraldi Cinzio ( ) come il primo importante trattato rinascimentale sull'arte drammatica di un drammaturgo professionista, e come spesso capita, espone una presa di posizione molto meno rigorosa di quelle dei critici che non esercitavano professionalmente questa arte. Infatti, lui ha affermato che Aristotele era troppo oscuro per poterlo prendere come guida; sarebbe meglio ascoltare la ragione nel considerare il tempo, lo spazio, e lo svolgimento. Questa affermazione sembra quasi prefigurare le celebre condizioni di razza e milieu di Hippolyte Taine nel XIX secolo, ma naturalmente Cinzio non aveva un obiettivo cosi radicale. Egli ci concede, semplicemente, un'interpretazione molto libera delle fonti classiche. Infatti, il suo trattato segue Aristotele con discreta fedeltà, ma con alcune singolari differenze, tra le quali le più evidenti erano la difesa del lieto fine nella tragedia e del doppio intrecciò. Aristotele gli ammetteva entrambi come possibilità, ma gli definiva inferiori, affermando che essi vengono generalmente impiegati da autori ossequienti al capriccio del pubblico. 3

4 Come effetto secondario degli orientamenti moralistici della critica rinascimentale, si ebbe un forte interesse per il pubblico, e Cinzio intende proprio sfidare Aristotele su questo terreno. Lui affermava che le opere di Aristotele erano scritte solo per servire gli spettatori, ed è essenziale ricordare che questo desiderio di piacere non viene mai presentato come fine a se stesso. Il piacere rimane un mezzo volto al fine dell istruzione morale, e Cinzio considerava in questa luce sia l idea della catarsi che i soggetti della commedia e della tragedia. Cinzio esige che i due generi siano nettamente distinti rispetto ai: caratteri (regale contro plebeo), all azione (illustre contro privata) e il linguaggio (poesia contro prosa). L interesse d Aristotele per l estensione appropriata di un intrecciò si trasforma, nonostante i suoi avvertimenti, nella questione pratica del tempo di rappresentazione. Cinzio lo propone di circa 3 ore per la commedia e di 4 per la tragedia, benché il 5 atti della tragedia possano estendersi agli eventi di un unico giorno. Nel corso di intero trattato, vediamo applicata una dinamica per la quale una concessione o un eccezione, di Aristotele è assimilata come regola generale, di solito in nome dell ammaestramento morale, oppure dell efficacia nel commuovere il pubblico: ovvero, in nome degli obbiettivi oraziani di dilettare e giovare. Cosi, ad esempio, dove Aristotele ammette vicende non familiari come basi possibili per il dramma, Cinzio afferma che le vicende inventate sono di regola superiori a quelle note perché di maggiore interesse, e perciò più efficaci nel loro insegnamento. Il processo di riesame e adattamento della tradizione critica, iniziato per la necessità di applicare la Poetica, si arricchì, dopo la meta del secolo, con lo sviluppo di una tradizione drammatica rinascimentale. Apparivano con regolarità i nuovi drammi, e il loro rapporto con la teoria e la pratica classica era l argomento di continuo interesse, sia per i loro autori, che per gli studiosi contemporanei. Cinzio è un esempio rilevante, ma certo non unico, di un drammaturgo che diffonde il suo lavoro riferendosi, quando è 4

5 possibile ad Aristotele, ma citando se è necessario la pratica romana contro quella greca, Euripide contro Sofocle, e la credibilità o soddisfazione da parte del pubblico contro tutto. Minturno Oltre ai commenti specifici d Aristotele, anche gli studi generali di poesia pubblicati in questa epoca concedevano una certa attenzione della poetica, ed alcuni la discutevano in maniera estesa. Di questi il più vasto e il meglio conosciuto fu il Ponderoso de poeta (1599) di Antonio Sebastiano Minturno. Quatro anni più tardi Minturno pubblico un opera supplemento in italiano, L arte poetica, più attenta all analisi delle singole forme di poesia contemporanea che non alla teoria generale. I libri III e IV del poeta sono dedicati alla tragedia e alla commedia, come il libro II dell Arte poetica. Minturno, prelato, poeta e critico, partecipo al concilio di Trento, è scrisse questi 2 importanti trattati durante lo stesso periodo. Una delle preoccupazioni del concilio di determinare ciò che doveva essere salvaguardato e sostenuto del periodo umanista e del primo rinascimento, caratterizzo anche la teoria poetica del vescovo, che è chiaramente più conservatrice e moralistica di quella, ad esempio di Cinzio. Minturno dichiara che la fine di tutta la poesia è di istruire, dilettare e commuovere, con le ulteriori finalità, relativamente alla tragedia, cioè di purificare dalle passioni gli animi di coloro che ascoltano. Sulla base di questo passo, a Minturno è stata generalmente attribuita l aggiunta di commuovere al tradizionale di istruire e dilettare. Tuttavia, il concetto all origine non è affatto suo. Robortello aveva parlato dell uso di verosimile per commuovere e persuadere; è l idea di suscitare pietà e terrore, sia che fosse considerata come fine in se (da quei critici che sottolineavano il piacere emotivo della tragedia) o come mezzo volto ad un fine (da coloro che cercavano l utilità morale), comportava comunque la commozione del pubblico. La stimolazione del riso o delle lacrime, da parte del dramma, fu messa in rilievo da Orazio e spesso di critici successivi. Ma Minturno sembra di aver dato tanto rilievo a questa enfasi emotiva 5

6 da far diventare triplice la duplice finalità poetica tradizionale. Probabilmente, la sua reale ispirazione non provenne dalla critica poetica, ma dall insegnare, dilettare e commuovere della retorica ciceroniana, fonte importante di molte sue idee. Nel Arte poetica Minturno sviluppa questi 3 temi in un interessante mescolanza di idee medievali e rinascimentali. La tragedia ammaestra alla maniera medievale, mostrando esempi di mutamenti di fortuna. Come altri teorici interessati all ammaestramento morale del pubblico, Minturno mise in grande rilievo la verosimiglianza. Il poeta deve mostrare soltanto ciò che è vero e imitarlo in modo tale che il suo pubblico lo accetti come vero. In tale modo, Minturno assegna un ruolo centrale alla convenienza e al decoro. I generi drammatici sono distinti per tipi di conclusione (benché il Minturno conceda che le tragedie si concludano felicemente) e per tipi di caratteri (grandi uomini nella tragedia; mercanti e gente comune nella commedia; gente umile, bassa e ridicola nel dramma satirico). Citando l uso degli antichi, Minturno raccomanda di mantenere l azione drammatica all interno di una giornata e di non prolungarla mai oltre le due, con un tempo reale di rappresentazione di non meno di 3 e non più di 4 ore. Ovviamente, imita Aristotele nel richiedere unita e compiutezza all opera, ma questa unita sembra riguardare meno la forma che il tono, poiché le diverse parti del dramma sono analizzate nella loro efficacia retorica più che nella loro interrelazione estetica. Scaligero Nei 4 anni percorsi tra La poetica latina e quella italiana di Minturno, apparvero altre opere molto influenti dello stesso genere; come La poetica (1561) di Guilio Cesare Scaligero. L opera di Scaligero era addirittura più ponderosa ed ampia del massicciò De poeta del Minturno, un compendio talmente enorme ed erudito, che, alla sua morte, Scaligero era generalmente considerato l uomo più dotto di Europa. Ancora più impressionante della mole e della cultura di questo saggio, era la sua organizzazione. Scaligero non si accontento, come Minturno, di raccogliere un corpo di pensieri critici non sempre in armonia tra loro, egli lavoro 6

7 costantemente per scoprire interrelazioni e sciupare un sistema ordinato e coerente. Ben cosciente che il sistema cosi formulato era in contradizione con Aristotele sotto molti aspetti significativi, Scaligero scelse tuttavia senza esitazioni la coerenza piuttosto che il rispetto della autorità. Il potere della sua fama fu tale che, quando ormai l autorità di Aristotele era divenuta un punto di riferimento constante, i critici disdenti poterono riferirsi allo Scaligero per la possibile alternativa. Le definizioni della tragedia e commedia si allontanano da Aristotele. La tragedia è un imitazione che si serve delle azioni di qualche vita illustre, infelice di esito, svolta in serio discorso metrico. Scaligero esprime l opinione che alla tragedia sia sufficiente comprendere gli eventi orribili. Invece, la commedia è un poema drammatico pieno di intrigo, di azione, lieto nel suo esito e scritto in uno stile popolare. Armonia e canto sono esclusi dalla definizione della tragedia, in quanto riguardano solo il momento in cui la tragedia è messa in scena, non quello in cui viene letta. Egli definisce l intrecciò come compito in se, i caratteri una sua caratteristica, l elocuzione un ornamento d intrecciò, e il pensiero una parte dell elocuzione. La melodia e lo spettacolo scenico sono considerati fattori completamente esterni, in nulla esenziali alla tragedia. Scaligero considerava i caratteri come più importanti, in quanto, come la maggior parte dei suoi contemporanei, guidino il progresso morale il vero fine della arte drammatica. Alla fine, non è esagerato di affermare che Scaligero negasse interamente la mimesi. Mentre i critici precedenti avevano interpretato i termini di Aristotele appropriato e verosimile intendendo che il personaggio drammatico dovesse confermarsi alle attese del pubblico oppure alle norme della natura, Scaligero non fa distinzione tra le cose della natura e quelle della poesia. Le creazioni di Virgilio fanno parte di una realtà come le creazioni della natura. Al concetto di verosimiglianza viene cosi data una nuova e più radicale interpretazione, che ha qualche analogia con quella dei realisti di 19. secolo. Per Scaligero, il dramma crea una realtà nella quale, teoricamente, il pubblico è inconsapevole d artifici. 7

8 Scaligero di fatto non dedusse un interpretazione rigida della unita di tempo, di luogo, ma la sua insistenza che gli eventi teatrali si avvicinassero il più possibile alla realtà forni a questa interpretazione un fondamento teorico, giustificando in certa misura l espressione francese, UNITES SCALIGERINNES. Castelvetro L apparizione nel 1570 della Poetica d Aristotele vulgarizata e sposta di Lodovico Castelvetro, fu un evento di grande importanza nella poetica del rinascimento. Rappresento un momento cruciale nella diffusione verso un vasto pubblico delle idee sulla Poetica. Inoltre, non si tratto di un commento quanto di un tentativo, anche più radicale di quello di Scaligero di formulare un sistema poetico in grado di competere con quello del filosofo greco. Il suo testo è vivacizzato da continue espressioni del tipo secondo Aristotele, anche se non ha niente da fare con Aristotele. I punti di maggior disaccordo emergono quasi tutti da un unico motivo, un fondamentale mutamento nell interesse critico. Ad Aristotele interessava il dramma per se, per la sua struttura e le sue relazioni interne. Castelvetro ritiene che l interesse specifico della critica drammatica sia l analisi della dramma, ma alla luce delle esigenze e delle richieste del pubblico. Il teatro e la dramma, egli ripete diverse volte, furono inventati per il diletto della rozza moltitudine, è cosi devono essere considerati. Entrambe le parti di questa frase ebbero implicazioni di grande portata nell opera di Castelvetro, e lo distaccarono nettamente non soltanto da Aristotele, ma anche della maggior parte dei suoi predecessori rinascimentali. Il mutamento più radicale è rappresentato nella proclamazione del solo piacere come fine della poesia. Dilettare ed ammaestrare (e occasionalmente, commuovere) erano state, fin dall inizio della riflessione critica rinascimentale le basi, raramente messe in discussione, della Poetica; si doveva l accento innanzitutto sull aspetto didattico, considerando il diletto uno strumento per rendere più efficace l insegnamento. Castelvetro, al contrario afferma più volte che la poesia fu trovata solamente per dilettare e per ricreare, e condanna specificamente la funzione didattica come un falso scopo. 8

9 Altrettanto radicale, non solamente rispetto alla sua epoca, ma rispetto all intera tradizione della critica drammatica, è la ferma richiesta di Castelvetro che il dramma venga creato non per l individuo colto o per quello esteticamente sensibile, ma per le masse incolte, intese non in qualità di lettori ma in qualità di spettatori ed ascoltatori. Castelvetro pone l accento sul dramma in quanto arte rappresentativa, e respinge i tentativi di considerare l arte drammatica indipendentemente dalla rappresentazione. Castelvero non solo si concentro sul piacere del pubblico ma rivendico, senza giustificazioni o imbarazzo, una creazione drammatica commisurata al minimo comune denominatore di quel pubblico. E le famose prese di posizione del Castelvetro sulle unita possono essere meglio comprese alla luce di questi interessi. Il pubblico da lui postulato, non intende le ragioni, ne le divisioni, ne gli argomenti sottili, e lontani dall uso degli idioti, quali adoperano i filosofi in investigare la verità delle cose e gli artisti di ordinare le arti. Gli spettatori si basano, invece sul senso comune e sull evidenza dei loro occhi e delle loro orecchie, e la rappresentazione dovrebbe impiegare, nel mostrare un azione, lo stesso numero di ore di quelle effettivamente trascorse. Analogamente la messinscena non deve cambiare, ma essere ristretta a quella vita, che sola può appare a gli occhi di una persona. Qui appaiano, nella formulazione più rigida, le due celebri unita di tempo e di luogo. Castelvetro è estremamente coerente, non accetta che la concentrazione di tempo e di luogo sia dettata da finalità drammatiche. Talvolta la sua affermazione che un azione possa durare 12 ore viene considerata come una prova del fatto che, sulla scia di altri commentatori, egli prende alla lettera il celebre giro del sole di Aristotele, ma non è cosi. Le 12 ore d azione del Castelvetro occuperebbero letteralmente quell intervallo di tempo. Tanto è vero che egli lo considera un limite estremo non in omaggio di Aristotele, ma a causa del pubblico, dal quale non ci si può ragionevolmente aspettare che rimanga di più al teatro, trascurando le necessita del corpo, come e mangiare, bere, dipore i superflui pesi del ventre e della vescica, dormire e altre necessita. 9

10 Per quanto riguarda l unita di azione Castelvetro è in effetti più flessibile di Aristotele, che ne aveva fatto l unita principale. Castelvetro riteneva che le dimensioni del dramma, ristrette a paragone di quelle d epica, cospirassero contro le azioni multiple, ma che l obiettivo del dilettare il pubblico, invece, le incoraggiasse. Di conseguenza, se il drammaturgo riesce a farcela all interno del proprio spazio ristretto, offre al suo pubblico un piacere ancora maggiore, a causa della difficoltà che ha superato. Il riconoscimento della difficoltà superata (un fattore del piacere artistico sottolineato anche dal Robortello) sembra l unica valutazione artistica che il Castelvetro è disposto a concedere al suo pubblico incolto. Lui accetta nella tragedia, la pietà e il terrore aristotelici, ma respinge la catarsi. Egli riteneva, infatti, che Aristotele l avesse inventata per replicare a Platone, e per dare alla tragedia una qualche utilità. Al contrario, obietta, nonostante i suoi argomenti quasi sempre tristi, la tragedia ci da un piacere obliquo, che può essere ottenuto in due modi. Prima quando troviamo tristezza per le sofferenze di un altro, perché ci riconosciamo di essere buoni, poi che le cose ingiuste non ci piacciono, e questo riconoscimento è piacevole. Secondo, nell essere testimoni dell afflizione, noi impariamo tacitamente e di nascosto, come siamo soggetti a molte sventure, il che ci soddisfa in misura maggiore che se ci fosse stato comunicato apertamente con parole. Questo secondo modo di provare diletto differisce di poco dalla tradizionale giustificazione didattica della tragedia. Castelvetro, come la maggior parte dei critici che ponevano il piacere quale fine dell arte, aveva difficoltà nello spiegare l attrazione della tragedia. Pur preferendo in generale l azione al racconto in scena, Castelvetro propone che i fatti di crudeltà e orrore vengano narrati, non per motivi di decoro, ma poiché non ci si può attendere che essi vengano realizzati con verosimiglianza. Questo spostamento d accento, dalla tradizione classica alla psicologia del pubblico, fu spesso ripreso da altri critici. 10

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