Lezione 6 Durabilità delle materie plastiche: fenomeni degradativi e stabilizzazione
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- Giulietta Patti
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1 6.1 Aspetti generali Lezione 6 Durabilità delle materie plastiche: fenomeni degradativi e stabilizzazione Come è già stato detto, le materie plastiche sono sostanze organiche costituite prevalente da atomi di carbonio ed idrogeno (a volte contengono anche atomi di ossigeno, azoto, cloro, zolfo ecc.) legati tra loro a formare catene polimeriche da legami chimici covalenti che possono assorbire energia da sorgenti esterne (elevata temperatura, radiazioni di elevata energia, sollecitazioni meccaniche, ecc.) e/o che in presenza di particolari sostanze possono dar luogo a reazioni chimiche. In entrambi i casi come conseguenza si ha una modifica della struttura molecolare, e quindi delle proprietà delle materie plastiche. Le principali cause di degradazione delle materie plastiche sono pertanto: alta temperatura, ossigeno, radiazioni UV (o di energia superiore), sollecitazioni meccaniche, ma può essere causa di degradazione anche il contatto con acqua, acidi e basi, ozono, batteri, ecc.. Gli effetti negativi della degradazione sono spesso accresciuti dalla contemporanea azione di più fattori tra quelli elencati (ad esempio alta temperatura e ossigeno, radiazioni UV e ossigeno, ecc.), inoltre, per uno stesso fattore, sono accelerati da un aumento di temperatura (come per esempio la reazione con acqua di poliesteri, poliammidi, ecc.). E evidente che alcune di queste cause di degradazione sono inevitabilmente presenti sia durante la trasformazione delle materie plastiche in manufatti (alta temperatura, ossigeno, sollecitazioni meccaniche, tracce di acqua..), sia durante la vita d uso dei manufatti stessi (ossigeno, radiazioni,...). Quindi, per la maggior parte dei polimeri i fenomeni degradativi sarebbero di fatto inevitabili e impedirebbero l uso delle materie plastiche in molte applicazioni se non esistessero additivi stabilizzanti capaci di bloccare le reazioni di degradazione e quindi gli effetti che da esse deriverebbero. Infatti, studi delle reazioni coinvolte nei fenomeni degradativi hanno permesso di comprenderne i meccanismi e di sviluppare additivi che in molti casi, mescolati in piccole percentuali alle materie plastiche (0,05-0,5 % in peso), consentono di eliminare o limitare fortemente le conseguenze in termini di deterioramento delle proprietà. Poichè l entità dei fenomeni degradativi e i rischi che ne derivano dipendono sia dal tipo di materiale che dalle condizioni in cui avviene la fase di lavorazione e in si svolge la vita d uso del manufatto, il tipo e la quantità di additivi necessari ad evitarli devono essere definiti caso per caso sia che si tratti di materiali polimerici vergini sia, ed a maggior ragione, nel caso di riciclo delle materie plastiche. Le conseguenze dei fenomeni degradativi su una certa materia plastica dipendono dal tipo di materia plastica e dalle cause di degradazione; è comunque possibile riassumere schematicamente le principali conseguenze a livello molecolare come da figura 6.1. La più frequente conseguenza di fenomeni degradativi è la rottura di un legame della catena polimerica (a) con diminuzione della lunghezza media delle catene e conseguente progressivo scadimento di proprietà meccaniche (ed in particolare di allungamento e resistenza a rottura). Questo tipo di degradazione interessa quasi tutti i materiali plastici e può essere determinata dalla maggior parte delle cause prima indicate. Un altra possibile conseguenza è la depolimerizzazione delle catene (b), con formazione di monomero; in tal caso i rischi, che si manifestano prevalentemente a temperature molto elevate, nella fase di lavorazione, sono essenzialmente legati alla tossicità dei monomeri formatisi (rischi per l operatore) e alla formazione di bolle all interno del manufatto (diffetosità nel manufatto). Un esempio di questo tipo riguarda ad esempio le resine acetaliche. 1
2 Una terza possibile conseguenza è la formazione di ramificazioni e/o reticolazioni (c) con relativa modifica delle proprietà (in particolare reologiche, ma anche meccaniche); è di questo tipo ad esempio la degradazione causata da ossigeno (e radiazioni) che determina un irrigidimento e un infragilimento progressivo delle gomme (invecchiamento chimico). Figura 6.1 Infine una quarta tipologia di conseguenza è quella in cui la degradazione consiste nella reazione intra- o intercatena di particolari gruppi di atomi presenti nelle catene polimeriche, come ad esempio l eliminazione di piccoli gruppi di atomi con modifica di proprietà quali colore, solubilità ecc. (d). Tale tipo di degradazione è tipica del PVC da cui per riscaldamento si elimina acido cloridrico, ma anche di altri polimeri come polivinilalcol, derivati della cellulosa, e anche la formazione di particolari gruppi di atomi, come perossidi o idroperossidi, che essendo meno stabili degli altri legami covalenti possono modificarne le caratteristiche riducendone la resistenza nel lungo periodo. Molto spesso le conseguenze dei fenomeni degradativi non dipendono solo dal tipo di polimero e di causa di degradazione, ma anche da altri fattori come i fenomeni diffusivi, la presenza di impurità, il grado di cristallinità, l orientamento delle catene, residui catalitici, ecc. Tali fattori si vanno a sommare agli altri rendendo assai difficile la previsione della velocità con cui gli effetti degradativi possono manifestarsi anche per uno stesso tipo di polimero. Tabella 6.1 Cause di degradazione PE PS e derivati PA PVC PU PC PP Gomme PET Alta temperatura x x x xx x x xx x ossigeno x x x x x xx xxx x Radiazioni UV x xx xx x xx xx xx xxx x Acqua ad xx x xx xx alta temperatura Ambiente x xx xxx xx basico Ambiente acido x x x x x Maggiore è il n di x maggiore è il rischio di degradazione 2
3 Poiché l entità dei fenomeni degradativi per un certo polimero possono condizionare in modo rilevante le proprietà di un manufatto durante la vita d uso, fino a rendere il materiale non più rispondente alle specifiche di progetto o a comprometterne la possibilità di riciclo, occorre provvedere a proteggere il materiale con la giusta quantità di adeguati additivi ed a verificarne la durabilità con opportuni test. In tabella 6.1 sono riportati criteri indicativi per capire i rischi per ciascun polimero rispetto a diverse cause di degradazione. 6.2 Test per la verifica della durabilità In assenza di un opportuna protezione (che generalmente si ottiene attraverso l impiego di additivi) la maggior parte delle materie plastiche può essere soggetta, durante la vita d uso, a dei fenomeni degradativi che possono determinare uno scadimento di proprietà meccaniche fino a causare prematuri fenomeni di cedimento o alterazione inaccettabile delle specifiche d uso (ad esempio cambio di colore). Per evitare che ciò succeda occorre eseguire test in grado di valutare la permanenza delle proprietà desiderate per tempi che possono essere anche molto lunghi (anni). E chiaro che i test non possono durare tanto a lungo quanto è lungo il tempo per cui vogliamo che le proprietà si mantengano entro i valori di progetto, per cui è necessario ricorrere a test accelerati, capaci di dare in tempi ragionevoli (alcune settimane, un mese) la risposta desiderata. In altre parole, bisogna creare le condizioni per cui in tempi brevi avvengano quei fenomeni degradativi che nelle condizioni d uso avverrebbero in tempi lunghi. Il modo più semplice per accelerare le reazioni chimiche, e quindi anche quelle che determinano i fenomeni degradativi, è un aumento di temperatura; e quindi in genere i provini vengono mantenuti in un forno dove circola aria (ma a volte anche un altro gas) a temperature molto più alte di quelle d uso, valutando come variano alcune proprietà nel tempo. Nel definire la temperatura a cui mantenere i campioni occorre tenere presente sia il campo di temperatura in cui il materiale si troverà ad operare durante l uso, sia le caratteristiche chimico-fisiche del materiale stesso. Questo ultimo aspetto è assai importante al fine di poter estrapolare con una certa affidabilità i risultati ottenuti in tempi brevi per ricavare informazioni a tempi lunghi. Per avere il massimo effetto di riduzione del tempo di risposta sarebbe preferibile eseguire le prove alla temperatura più alta possibile, tuttavia, se l aumento di temperatura tra la massima temperatura d uso e la temperatura di prova determina nel materiale transizioni termiche importanti, è possibile che i fenomeni fisici coinvolti siano diversi da quelli operanti nelle condizioni d uso ed in grado di modificare il meccanismo di degradazione, e quindi si corre il rischio di avere risposte non affidabili. Ad esempio, il polipropilene (PP) ha una Tg di ca. -10 C e una Tm di ca. 165 C e viene largamente utilizzato per articoli che svolgono la funzione d uso nell abitacolo delle auto dove la temperatura potrà raggiungere valori massimi di C. In questo caso se si scegliesse per il test un valore di temperatura superiore a 165 C, il materiale sarebbe liquido (fuso) anziché solido semicristallino e molti fenomeni coinvolti nel processo di degradazione sarebbero alterati in modo sostanziale rispetto alle condizioni d uso (ad esempio i fenomeni diffusivi, la quantità di materiale amorfo, ecc.); per il PP i test accelerati sono perciò eseguiti a temperature di 150 C, valore per cui il materiale è ancora un solido semicristallino. Analogamente, per il polistirene (PS) che è amorfo ed ha una Tg di +100 C, i test accelerati possono essere eseguiti fino a temperature non superiori a C in quanto a temperature superiori a 100 C la mobilità delle catene, e quindi la diffusività dell ossigeno e la reattività delle catene risulterebbe molto più alta che a temperature inferiori a Tg. Nel caso in cui il manufatto debba svolgere la sua vita d uso all esterno, e quindi sia soggetto agli effetti delle radiazioni UV, il materiale può essere sottoposto ad irraggiamento accelerato in camere chiuse dove lo spettro della luce solare è riprodotto da una lampada allo xenon (xenotest). 3
4 Naturalmente se il manufatto deve funzionare in un ambiente in cui siano presenti sostanze potenzialmente aggressive verso il materiale (ozono, ambiente acido o basico, ecc.) è necessario predisporre test che simulino le condizioni d uso, accelerando la risposta con aumento di temperatura e/o di concentrazione della sostanza aggressiva. I fenomeni degradativi possono avvenire anche durante la trasformazione del materiale da granulo a manufatto; in tal caso comunque i tempi per cui il materiale si viene a trovare in condizioni di possibile degradazione sono generalmente di pochi minuti, e quindi, se è utile o necessario valutare tali effetti degradativi, si riproducono le stesse condizioni nell esperimento e si valuta l effetto sulle proprietà. Relativamente alle proprietà che conviene misurare per verificare l entità dei fenomeni degradativi, queste dipendono dalla risposta che si vuole ottenere e dalla natura del materiale. Se nel progetto è stata individuata una specifica proprietà particolarmente critica si possono programmare esperimenti per valutare gli effetti delle condizioni di esercizio proprio su questa proprietà, se invece si vuole più genericamente valutare la degradazione del materiale, la tabella 6.2 indica, per alcune tra le materie plastiche più comuni, quali sono le proprietà che è preferibile misurare. Criteri PE, PP e loro copolimeri infragilimento xx PS e derivati Tabella 6.2 PA PU PC POM (resine acetaliche) Elastomeri termoplastici x ingiallimento x xx x xx xx x Proprietà meccaniche in trazione (1) x x xx x x xx x Resistenza x xx x x x x all urto Prove in flessione x x Viscosità in x x x soluzione Perdita di xx peso (1) In particolare allungamento a rottura e resistenza a rottura PET e PBT In tabella 6.2 con (xx) si indicano i principali criteri di verifica per un certo materiale. Naturalmente gli effetti degradativi possono essere contrastati con additivi opportuni; il tipo di additivo (o meglio la miscela di additivi) più efficace varia con la natura chimica del materiale plastico e con le condizioni di prova, quindi quando i fenomeni degradativi possono essere importanti, è bene verificare l efficacia di diverse formulazioni di additivi per lo stesso materiale, impiegando i test di tabella 6.2 per confrontarne gli effetti. In figura sono riportati esempi di resistenza alla degradazione per uno stesso materiale additivato con diverse formulazioni di additivi. 4
5 Figura 6.2 Figura 6.3 5
6 Figura 6.4 Figura 6.5 6
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