La nuova antropologia filosofica e il problema dell essere

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1 PIETRO DE VITIIS La nuova antropologia filosofica e il problema dell essere 1. Un antropologia filosofica esiste da quando esiste la filosofia, dal momento che anche se la riflessione filosofica può essere orientata, in una fase arcaica, all indagine sul cosmo o alla meditazione sull essere, non può prescindere dal riferimento all uomo, che successivamente si approfondisce con la riflessione sul sapere concettuale che porta alla tematizzazione della dialettica e della logica. Se poi si considera che anche in età arcaica il pensiero filosofico si eleva alla dimensione del divino si tenga presente, per esempio, quanto ha sostenuto Jäger sulla teologia dei primi pensatori greci, ne risulta che fin dall inizio la filosofia ha confrontato l uomo col divino, anche prima che sorgesse una filosofia scolastica che concepisce l uomo come creatura di Dio. Nella prima metà del secolo XX, e precisamente a partire dalla pubblicazione nel 1928 dell opera di Scheler Die Stellung des Menschen im Kosmos, che rinvia al testo già pubblicato di una conferenza tenuta a Darmstadt nel 1927, e del volume di Helmuth Plessner Die Stufen des Organischen und der Mensch, la riflessione antropologica ha fatto però emergere in primo piano il confronto fra l uomo e l animale, che precedentemente non assumeva una rilevanza così fondamentale, cosicché si è parlato di una nuova antropologia filosofica 1. Possiamo descrivere la nascita della nuova antropologia filosofica anche facendoci guidare da uno dei principali esponenti di essa, il filosofo e teorico della cultura Arnold Gehlen, autore della fondamentale opera Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt, pubblicata nel Gehlen distingue varie 1 Fra i lavori più recenti sulla nuova antropologia filosofica si tenga presente il volume di O. TOLONE, Homo absconditus. L antropologia filosofica di Helmuth Plessner, Napoli 2000, che è un attenta ricostruzione monografica, fra le prime in Italia, della prospettiva antropologica di Plessner.

2 330 PIETRO DE VITIIS forme di antropologia: l antropologia fisica, che è una parte della zoologia, l antropologia sociale, che studia l influenza delle strutture sociali sul comportamento umano, l antropologia culturale, che indaga la cultura delle società primitive, e infine l antropologia filosofica. Quest ultima, secondo Gehlen, non esisteva nel periodo in cui la filosofia non si era ancora emancipata dalla teologia e dell uomo si aveva quindi soltanto un idea teologica; sorge, invece, allorché tale emancipazione si realizza con Descartes, il quale affermando il dualismo di corpo e spirito, ha posto le basi della distinzione fra scienze della natura e scienze dello spirito 2. La svolta decisiva avviene però con lo scritto antropologico di Scheler del 1928, il quale non interpreta più l uomo in base al confronto con Dio, bensì in rapporto alla differenza essenziale con l animale. A nostro avviso, questa diversa impostazione che caratterizza la nuova antropologia filosofica, con l emergere in primo piano del confronto fra l uomo e l animale, è una conseguenza dell evoluzionismo di Darwin, che ha affermato la derivazione diretta dell uomo dalle grandi scimmie antropoidi. Anche Gehlen, nella sua opera fondamentale Der Mensch, si pone il problema dell origine dell uomo e sulla base di considerazioni di carattere morfologico che trae da studiosi di zoologia come A. Portmann e L. Bolk, nega, a differenza di Darwin, la derivazione diretta dell uomo da antenati animali e ne ammette semmai soltanto una indiretta: infatti, gli organi umani sono non specializzati, mentre le scimmie superiori, dalle quali l uomo dovrebbe derivare secondo Darwin, possiedono organi altamente specializzati 3. La non specializzazione dell uomo è dunque la principale difficoltà cui va incontro la concezione darwiniana della derivazione diretta: «La non specializzazione dell uomo scrive Gehlen è la pietra di paragone di ogni dottrina della derivazione. Chi non la pone al centro della problematica si lascia sfuggire l intera difficoltà e il peso del problema» 4. Gehlen si richiama come precursore a Herder, che in uno scritto sull origine del linguaggio definisce l uomo come un essere carente (Mängel- 2 Cfr. A. GEHLEN, Anthropologische Forschung. Zur Selbstbegegnung und Selbstentdeckung des Menschen, Reinbeck bei Hamburg 1961; trad. it. di S. Cremaschi, Prospettive antropologiche, Bologna 1987, pp ID., Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt, Wiesbaden 1978, p Ibi, p. 123.

3 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 331 wesen) in quanto non possiede la sicurezza dell istinto, la specializzazione degli organi e l acutezza dell organizzazione sensoriale che invece caratterizzano l animale 5. L uomo deve poi compensare le sue carenze biologiche con la creazione della cultura, e in questo modo Gehlen, pur non accettando la derivazione diretta dell uomo dalle grandi scimmie, connette però direttamente l attività spirituale dell uomo in quanto creatore di cultura con la di lui situazione biologica, il che poi è la conseguenza di un impostazione che fa emergere in primo piano il confronto fra l uomo e l animale 6. Anche Scheler procede verso la definizione dell uomo mediante un confronto con l animale. Ci sono livelli della vita psichica che sono comuni all uomo e all animale: così l impulso affettivo che non richiede coscienza e quindi può ritrovarsi anche nelle piante, e poi l istinto, la memoria associativa che sta alla base del riflesso condizionato e infine l intelligenza pratica, che impedisce di ridurre il comportamento animale a mero automatismo istintivo. Ciò che l animale non riesce a fare, però, è aprirsi alla realtà nella sua oggettività, in quanto già le sue capacità percettive sono limitate, nel senso che tutto ciò che l animale può percepire è determinato a priori dalla relazione dei suoi istinti innati alla struttura dell ambiente. Ciò che non è interessante per gli istinti e gli impulsi, non è nemmeno dato, e ciò che è dato, è dato all animale soltanto come centro di resistenza per la sua brama e la sua avversione, cioè per l animale come centro biologico. [ ] La struttura del mondo ambiente è commisurata in modo preciso e completamente delimitato alla peculiarità fisiologica, e indirettamente anche morfologica dell animale, alla sua struttura istintuale e sensoriale, che formano un unità funzionale rigida 7. 5 Cfr. ibi, pp L antropologia di Gehlen è stata abbastanza ampiamente studiata in Italia già da qualche anno, mentre lavori impegnativi su Plessner risalgono ad anni assai recenti. Si vedano, per esempio, su Gehlen le due monografie seguenti: U. FA- DINI, Il corpo imprevisto. Filosofia, antropologia e tecnica in Arnold Gehlen, Milano 1988; M.T. PANSERA, L uomo progetto della natura. L antropologia filosofica di Arnold Gehlen, Roma M. SCHELER, Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Gesammelte Werke, IX (Späte Schriften), herausgegeben von M. FRINGS, Bern und München 1976, p. 33.

4 332 PIETRO DE VITIIS L animale vive estaticamente nel suo mondo, mentre l uomo riesce a distanziare da sé l ambiente, a oggettivarlo e a idealizzarlo distinguendo l essenza dell esistenza, elevandosi anche nella riflessione di sé all autocoscienza. L uomo quindi non è chiuso nella sua struttura istintuale ma è aperto al mondo, ed è proprio tale apertura al mondo, tale Weltoffenheit, la caratteristica peculiare dell uomo che consente di definirne il modo di essere: «L uomo è quell X che si può comportare in misura illimitata come aperto al mondo. Il diventar uomini è innalzamento all apertura al mondo in forza dello spirito» 8. L apertura al mondo è resa possibile dallo spirito (Geist), che non è solo un livello di attività superiore all intelligenza pratica ma anche un attributo dell essere, una sfera di realtà opposta a quella della vitalità, dell impulso (Drang). Lo spirito non deriva soltanto dalla negazione dell impulso vitale, cioè dalla sublimazione e dall ascesi, come pensano Freud e anche Schopenhauer, per il quale le attività umane più elevate derivano dalla negazione della volontà di vivere, ma è una realtà positiva che rientra nell essere stesso. «Lo spirito è, come già abbiamo detto scrive Scheler, in ultima istanza un attributo dell ente stesso, che diventa manifesto nell uomo nell unità concentrata della persona che si raccoglie in se stessa» 9. Negativa è anche la teoria che vede nello spirito un succedaneo o una sorta di compensazione dell insufficiente adattamento organico dell uomo. Se veramente l uomo fosse un animale debole, malato in quanto scarsamente adattato nei suoi organi, allora sarebbe dovuto perire, estinguendosi come specie, come si sono estinte altre specie animali male adattate all ambiente: invece l uomo ha creato un livello superiore di vita con la civiltà e con la cultura. Del resto, già in uno scritto che precede di una diecina di anni Die Stellung des Menschen im Kosmos, il saggio Zur Idee des Menschen composto intorno agli anni , Scheler aveva affermato che la superiorità dell uomo sull animale non si colloca sul piano dell adattamento all ambiente e della conservazione della vita, anzi sul piano dello sviluppo vitale l uomo sarebbe piuttosto un 8 Ibidem. 9 Ibi, p Sugli scritti di Scheler riguardanti il tema dell antropologia si veda: F. BOSIO, Invito al pensiero di Scheler, Milano 1995, p. 56.

5 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 333 passo falso, un vicolo cieco nell evoluzione della vita; la superiorità dell uomo, la sua dignità sta invece nel fatto che egli è capace di trascendere la sfera del vitale e di aprirsi al divino, cosicché egli può essere definito come «l essere (Wesen) che prega e cerca Dio», anche se il concetto stesso di definizione può essere inadeguato al dinamismo ed alla inoggettivabilità del modo di essere dell uomo, che è solo un «intervallo», un «confine», un «transito», un «apparizione di Dio» nel flusso della vita e un eterno aldilà della vita oltre se stessa 11. Successivamente, allorché compone Die Stellung, Scheler fa delle concessioni alla teoria negativa dello spirito, in quanto da una parte attribuisce ad esso una autonomia irriducibile, mentre dall altra nega ad esso la potenza, cioè la capacità di tradursi in realtà indipendentemente dalle forze e dalle energie che vengono sottratte all impulso. Però egli scrive in quanto tale lo spirito nella sua pura forma è originariamente del tutto senza alcuna potenza, forza, attività. Per acquisire un grado sia pur piccolo di forza e di attività, deve subentrare quella ascesi, quella repressione degli impulsi che è contemporaneamente sublimazione 12. Scheler afferma la tensione originaria di spirito e impulso, però vuole evitare il dualismo delle due sostanze, quella estesa e quella pensante, in cui è caduto Descartes, il quale «ha introdotto nella coscienza occidentale tutta una serie di errori del più grave tipo sulla natura umana» 13. Proprio per evitare il dualismo egli attribuisce anche alle piante e agli animali un attività psichica, sia pur meno sviluppata o inferiore, e inoltre pensa la persona, che non è sostanza, come un centro di atti spirituali che si situa al di là dell opposizione fra fisico e psichico: L uomo però grazie al suo spirito è ridato a se stesso ancora una terza volta: nell autocoscienza e nella oggettivazione dei suoi processi psichici e del suo apparato sensomotorio. La persona nell uomo deve essere pensata come il centro che è superiore all opposizione fra organismo e mondo ambiente M. SCHELER, Vom Umsturz der Werte. Abhandlungen und Aufsätze, Bern und München 1955, p ID., Die Stellung des Menschen im Kosmos, p Ibi, p Ibi, p. 36.

6 334 PIETRO DE VITIIS Lo spirito che rende possibile l apertura al mondo e l autocoscienza è però sovraspaziale e sovratemporale, come Scheler afferma esplicitamente: Però il centro a partire dal quale l uomo compie gli atti mediante i quali egli oggettiva il corpo proprio (Leib) e la propria psiche, e fa del mondo nella sua pienezza spaziale e temporale un oggetto, non può esso stesso essere una parte proprio di questo mondo, e non può nemmeno quindi possedere un dove e un quando determinati: esso può esser collocato soltanto nel supremo fondamento dell essere 15. Tale fondamento è Dio stesso cui l uomo è immanente come luogo in cui si incontrano i due attributi dell essere supremo, lo spirito e l impulso. Secondo la nostra visione scrive Scheler divenire dell uomo e divenire di Dio dipendono fin dall inizio scambievolmente l uno dall altro. Tanto poco l uomo può giungere alla sua destinazione senza sapersi parte di quei due attributi dell essere supremo e senza sapere quest essere a sé immanente, quanto poco l Ens a se lo può senza la collaborazione dell uomo 16. Chi intende porre il problema dell origine dell uomo prevalentemente in rapporto ai suoi antenati animali dimostra di avere una visione antropologica troppo ristretta e riduttiva: tale problema deve invece esser posto in rapporto al processo della vita universale, al divenire del fondamento della realtà che è Dio stesso, dal momento che «solo nell uomo Dio è interamente Dio e può diventare colui che egli vuol diventare» 17. Come spirito l uomo rinvia quindi al fondamento della realtà, mentre come vivente non può esser considerato come il successore dello scimpanzé e del gorilla ma deriva dalla vita universale 18. Ci si potrebbe chiedere a questo punto se Scheler non abbia riproposto il dualismo cartesiano, sia pur articolandolo in modo 15 Ibi, pp Ibi, pp ID., Schriften aus dem Nachlass, III (Philosophische Anthropologie), herausgegeben von M. FRINGS, Bonn 1997, p Cfr. ibi, p. 103.

7 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 335 diverso, non più fra corpo e anima ma fra lo spirito che si colloca al di là dello spazio e del tempo e il corpo animato, che vive invece in una dimensione spazio-temporale. Ora, la critica fondamentale che Gehlen rivolge a Scheler è proprio quella di aver soltanto spostato il dualismo, riproponendolo però come contrapposizione fra vita e spirito 19. Questo spirito che si colloca in modo eccentrico rispetto al mondo è un entità metafisica su cui non si possono fare affermazioni controllabili, così come è metafisica di stile piuttosto convenzionale, se non addirittura obsoleto, il tentativo di Scheler di superare il dualismo in una sorta di spinozismo in cui alla sostanza assoluta ineriscono i due attributi dello spirito e dell impulso. Gehlen vuole procedere, invece, in modo empirico, e sostiene anche «che Scheler [ ] nel suo ultimo periodo di Francoforte era sulla strada di abbandonare la metafisica in generale come posizione sostenibile» 20. Se si leggono però gli scritti scheleriani di argomento antropologico composti verso la metà degli anni Venti quindi nel periodo in cui uscì l opera principale Die Stellung des Menschen im Kosmos e poi pubblicati postumi nel volume terzo degli Schriften aus dem Nachlass, si trova sì un serrato confronto con le discipline empiriche nell ambito della psicoanalisi, della antropologia storica, della biologia, però l impianto metafisico è conservato. Nonostante le critiche alla antropologia scheleriana, Gehlen ne conserva alcuni aspetti fondamentali come il procedimento del confronto con l animale e poi il concetto di apertura al mondo, e alla fine dello scritto retrospettivo su Scheler ribadisce che tutte le opere contemporanee e successive sull antropologia filosofica dipendono in punti fondamentali dalla principale opera scheleriana, e così rimarrà anche per il futuro 21. Fondamentale per Gehlen è il problema del dualismo, per evitare il quale, sia nella forma cartesiana che in quella scheleriana, egli intende fondare l antropologia sul concetto di azione (Handlung), che è indifferente dal punto di vista psico-fisico, in quanto essa è il medio che collega l interno con l esterno, l agente con l ambiente che esso modifica, in un rapporto scam- 19 GEHLEN, Prospettive antropologiche, p ID., Rückblick auf die Anthropologie Max Schelers, in Philosophische Anthropologie und Handlungslehre, Gesamtausgabe, IV, Frankfurt a.m. 1985, p Ibi, p. 258.

8 336 PIETRO DE VITIIS bievole in cui la modificazione esterna indotta si ripercuote sullo stesso agente, in un processo circolare che sta al di là della contrapposizione fra interno ed esterno. L uomo scrive Gehlen è l essere che agisce. Egli è, in un senso che bisognerà precisare ancor meglio, non definito, cioè egli è a se stesso ancora un compito egli è, si può anche dire, l essere che prende posizione. Gli atti del suo prender posizione verso l esterno le chiamiamo azioni, e proprio in quanto egli è ancora per se stesso un compito, egli prende anche posizione nei confronti di se stesso e fa di se stesso qualcosa. [ ] Se si tien fermo ciò, si acquisisce una molteplicità di asserzioni singole sull uomo che sono sviluppi della visione fondamentale: il progetto della natura di un essere agente 22. Il concetto di azione deriva, dal punto di vista filosofico, dal pragmatismo però contiene anche delle suggestioni derivanti dalla filosofia del soggetto del primo Fichte, che Gehlen ha studiato intensamente all inizio della sua attività di ricerca. Tale concetto, in quanto implica in qualche modo l autoporsi dell uomo che si definisce con la propria azione, lascia aperto il problema del fondamento dell azione umana, a differenza di quanto avveniva nella prospettiva antropologica di Scheler, che risaliva dall apertura al mondo allo spirito e da questo all essere assoluto, affermando che Dio stesso si conosce e si realizza nell attività dell uomo. È vero che Gehlen vuole sfuggire alla metafisica che egli ritiene razionalmente non dimostrabile, però finisce poi per incappare nelle aporie della filosofia del soggetto, come ha chiaramente messo in rilievo il teologo protestante Wolfhart Pannenberg in un suo trattato sull antropologia filosofica che intende riproporre il concetto di spirito in una dimensione storica e nel quadro della implicazione reciproca fra la cultura e le strutture della società, evitando così di cadere nel dualismo psico-fisico criticato da Gehlen. Anche l interpretazione di Gehlen dell apertura al mondo come punto di partenza dell appropriazione del mondo per mezzo dell agire umano rimane irretita nella tematica del soggetto e segnatamente in una singolare analogia con Plessner: in entrambi il soggetto deve sorgere soltanto nel corso del processo del suo comportamento, ma al 22 ID., Der Mensch, p. 32.

9 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 337 tempo stesso deve esser pensato anche come principio di questo processo, per cui dovrebbe essere già compiuto fin dall inizio 23. La conseguenza di questo irretimento nella problematica del soggetto è che l azione umana viene ad avere un fondamento solo negativo, vale a dire si basa solo sulla carenza, sulla mancanza che caratterizzano l uomo dal punto di vista biologico: egli deve agire e creare la cultura proprio per compensare la propria inadeguatezza organica e istintuale e quindi riuscire a sopravvivere, anche se partendo da tali premesse negative la sopravvivenza appare piuttosto inspiegabile. Del resto, Scheler aveva già acutamente fatto emergere la contraddizione intrinseca alla teoria negativa dell uomo: «La teoria negativa presuppone appunto, in ogni forma in cui si presenta, già sempre ciò che deve esser spiegato mediante essa: lo spirito, la ragione, una propria legalità indipendente dello spirito e la parziale identità dei suoi principi con quelli dell essere stesso» 24. Si tratta dunque di dare una fondazione positiva allo spirito nei termini di Gehlen, all azione che crea la cultura ancorandolo nell essere: la questione del fondamento facilmente conduce alla problematica ontologica. Il problema dell essere è presente nell antropologia di Scheler, il quale afferma che l uomo arriva a porsi il problema dell essere e del nulla proprio in quanto trascende la dimensione meramente naturale dei fenomeni: Una volta che l uomo si è tratto fuori dall intera natura e ha fatto di essa un suo oggetto il che appartiene certo alla sua essenza, è l atto stesso del diventar uomo, allora egli deve, per così dire trasalendo, voltarsi indietro e chiedersi: «dove mi trovo io infine? Qual è la mia posizione?». Egli non può più propriamente dire: «sono una parte del mondo, sono circoscritto da esso», dal momento che l essere attuale del suo spirito e della sua persona è perfino superiore alle forme dell essere di questo mondo nello spazio e nel tempo. Così nell atto di questo rivolgersi indietro egli volge lo sguardo, per così dire, al nulla: egli scopre in questo sguardo per così dire la possibilità dell assoluto nulla, il che lo spinge oltre verso la domanda: «perché c è in generale un mondo e perché e come sono io in generale?» W. PANNENBERG, Anthropologie in theologischer Perspektive, Göttingen 1983, p SCHELER, Die Stellung des Menschen im Kosmos, p Ibi, pp

10 338 PIETRO DE VITIIS Come Scheler afferma negli scritti postumi, l antropologia filosofica deve «elaborare una ontologia essenziale dell uomo» 26, e deve determinare, mediante un interrogare di tipo metafisico, la «posizione dell uomo nel tutto in quanto tale» 27. Tuttavia le tematiche ontologiche occupano un posto secondario nell antropologia di Scheler, mentre forse proprio uno sviluppo in senso più accentuatamente ontologico avrebbe potuto evitare quella alternativa fra il dualismo di spirito e vita e la teoria negativa dell uomo, cioè fra la posizione di Scheler e quella di Gehlen, che ha condotto la nuova antropologia filosofica a una sorta di impasse. Come è noto, sull esigenza di un approfondimento ontologico aveva insistito Heidegger nel paragrafo 10 di Sein und Zeit, facendo osservare che le due componenti essenziali dell antropologia tradizionale, la definizione greca dell uomo come animale razionale e quella cristiana che ne fa un immagine di Dio, non mettono in questione l attribuzione all uomo del modo di essere della sussistenza (Vorhandenheit), mentre l interpretazione del modo di essere dell esserci (Dasein), l ente che noi stessi siamo, elaborata dall analitica esistenziale può fornire nuove basi ontologiche all antropologia, alla psicologia e anche alla biologia, in quanto la vita è un modo di essere che può esser rinvenuto nell esserci, anche se, ovviamente, non può interferire nel materiale empirico che tali discipline vanno raccogliendo 28. Potrebbe sembrare addirittura strano che Heidegger si proponga qui di fornire una base ontologica a discipline empiriche come l antropologia e la psicologia, tanto più che egli più volte ribadisce che non vuole elaborare una filosofia esistentiva che si fondi sull esperienza vissuta e sull affettività ma intende procedere attraverso l analitica esistenziale alla determinazione del senso dell essere in generale; però bisogna tenere presente che il problema dell essere in generale non esclude quello delle ontologie regionali che stanno alla base delle scienze empiriche. Anche la polemica contro l umanismo, che è una conseguenza di quella metafisica che Heidegger intende superare, dovrebbe allontanare dalle tematiche antropologiche; però tale polemica emergerà in primo piano solo col pieno sviluppo della Kehre, mentre negli anni 26 ID., Schriften aus dem Nachlass, III, p Ibi, p M. HEIDEGGER, Sein und Zeit, Tübingen 1963, pp

11 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 339 immediatamente successivi a Sein und Zeit tale polemica risulta attenuata e Heidegger è intento non tanto a superare la metafisica, bensì a dare ad essa una nuova fondazione articolandola in due momenti: «Ontologia fondamentale e metaontologia nella loro unità scrive Heidegger nella lezione del 1928 Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz formano il concetto di metafisica» 29. L ontologia fondamentale contiene poi in sé, come aspetto essenziale, l interpretazione dell esserci come temporalità, e la metaontologia non è soltanto la radicalizzazione e l universalizzazione di tale ontologia ma ne è anche il capovolgimento (Umschlag). Nel paragrafo 10 di Sein und Zeit in cui Heidegger tratta dell antropologia e della psicologia ci sono significativi riferimenti a Scheler, per il quale la persona non è una sostanza, non è una cosa ma è l unità di una molteplicità di atti intenzionali. Ma allora qual è il suo modo di essere? Lo stesso concetto scheleriano di persona richiede dunque, secondo Heidegger, un approfondimento dell indagine ontologica. La persona è sempre data come compitrice di atti intenzionali che sono connessi dall unità di un senso. L essere psichico non ha nulla a che fare con la persona. Gli atti vengono compiuti, la persona è compitrice di atti. Ma qual è il senso ontologico di compiere, come si deve determinare in modo ontologicamente positivo il modo di essere della persona? Ma la domanda critica non si può fermare a questo punto. Essa deve concernere l essere dell intero uomo, che si è abituati a concepire come unità corporea-animata-spirituale 30. Nei Methaphysische Anfangsgründe der Logik Heidegger fa emergere alcuni fondamentali punti di convergenza con Scheler, soprattutto riguardo al problema soggetto-oggetto in quanto rientrante non nella teoria della conoscenza bensì nella metafisica: Nel nostro ultimo colloquio di una certa lunghezza nel dicembre del 1927 scrive Heidegger a proposito di Scheler abbiamo raggiunto l accordo su quattro punti: 1. Il problema del rapporto-soggetto-oggetto è da porre in modo completamente nuovo, e precisamente in modo indipendente 29 ID., Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz, in Gesamtausgabe, XXVI, herausgegeben von K. HELD, Frankfurt a.m. 1990, p ID., Sein und Zeit, p. 48.

12 340 PIETRO DE VITIIS dai tentativi che finora sono emersi. 2. Esso non è un problema della cosiddetta teoria della conoscenza, cioè non bisogna porlo primariamente in riferimento ad un soggetto che comprende un oggetto; questo comprendere non deve esser posto alla base nel punto di partenza. 3. Esso ha un significato centrale per la possibilità della metafisica e sta in strettissimo collegamento col problema fondamentale di essa. 4. Ciò che è più essenziale: è arrivato il momento, proprio nel quadro desolato della situazione pubblica della filosofia, di arrischiare di nuovo il passaggio all autentica metafisica, cioè di svilupparla a partire dai fondamenti 31. Per Heidegger il problema soggetto-oggetto come problema del passaggio dalla sfera psichica o interna in cui sono contenute le rappresentazioni a quella fisica o esterna che sarebbe poi il cosiddetto problema gnoseologico è in realtà uno pseudoproblema (Scheinproblem), dal momento che l esserci è già sempre aperto al mondo e quindi presso gli enti. Ora, anche Scheler ha compreso chiaramente, secondo Heidegger, che il concetto fenomenologico di intenzionalità rende irrilevante il problema soggetto-oggetto e quindi consente di andare al di là dell alternativa fra realismo e idealismo 32. Tuttavia, Scheler non ha avvertito in modo altrettanto chiaro l esigenza di affrontare su nuove basi il problema fondamentale dell essere, e quindi per quanto riguarda l ontologia generale ha assunto «dalla tradizione tesi che sono ancor meno fondate e problematizzate di quelle trattate nella teoria della conoscenza» 33. Bisogna tenere poi presente che Scheler morì proprio nel 1928, allorché era in corso la Vorlesung Metaphysische Anfangsgründe der Logik, il cui testo riporta un breve discorso di commemorazione, in cui Heidegger dichiara che «Max Scheler era a prescindere dall ampiezza e dal tipo della sua produttività la più potente forza filosofica nella Germania odierna, anzi no, nell odierna Europa e perfino in generale nella filosofia contemporanea» 34. Heidegger mette in rilievo il contributo di Scheler all antropologia filosofica, e afferma che nonostante i mutamenti e i nuovi tentativi egli è rimasto sempre fedele «a questo orientamento intimo del suo essere» ID., Metaphysische Anfangsgründe der Logik, p Cfr. ibi, pp Ibi, p Ibi, p Ibi, p. 64.

13 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 341 Che ci fossero analoghe esigenze di vie nuove nel campo dell antropologia risulta anche da un affermazione di Scheler negli scritti postumi, secondo la quale ha ragione Heidegger a non considerare l uomo come una semplice somma di ragione e di vita 36. L influenza di Scheler su Heidegger si avverte nella scelta, nella Vorlesung del Die Grundbegriffe der Metaphysik, della via del confronto fra l animale e l uomo, che è poi la via caratteristica della nuova antropologia filosofica, allo scopo di determinare il concetto di mondo, che in opere precedenti egli aveva cercato di approfondire mediante l esame della storia di tale concetto (Vom Wesen des Grundes) oppure mediante l analisi della quotidianità (Sein und Zeit). Fondamentalmente il confronto si esplica mediante l elaborazione di tre tesi: «1. La pietra (ciò che è materiale) è priva di mondo; 2. l animale è povero di mondo; 3. l uomo è plasmatore di mondo (weltbildend)» 37. Bisogna subito dire però che Heidegger, pur nell affinità del tema, sceglie un procedimento che è diverso da quello di Scheler, non è inclusivo, nel senso che tende a unificare o a includere una pluralità di livelli nell uomo, bensì privativo, nel senso che il modo di essere dell animale, che è la vita, non è il modo di essere dell uomo o esserci, che è l esistenza. Assai di recente scrive Heidegger Max Scheler, nel contesto di un antropologia, ha cercato di trattare unitariamente questa successione di livelli di ente materiale, vita e spirito sulla base di una convinzione secondo la quale l uomo è l essere che riunisce in se stesso tutti i livelli dell ente, l essere fisico, l essere di pianta ed animale, e lo specifico essere spirituale. Io ritengo questa tesi come l errore fondamentale della posizione di Scheler, che gli deve necessariamente sbarrare la via alla metafisica 38. In effetti bisogna dire che il procedimento inclusivo è anche un procedimento compositivo che è quindi esposto al pericolo del dualismo, e precisamente a quello di spirito e vita, che è la difficoltà più grave cui va incontro l antropologia di Scheler. Al dua- 36 SCHELER, Schriften aus dem Nachlass, III, p M. HEIDEGGER, Die Grundbegriffe der Methaphysik. Welt Endlichkeit Eimsamkeit, in Gesamtausgabe, XXIX-XXX, herausgegeben von F.-W. VON HERRMANN, Frankfurt a.m. 1983, p Ibi, p. 283.

14 342 PIETRO DE VITIIS lismo sfugge invece il procedimento privativo di Heidegger, che egli già teorizzava precedentemente nel paragrafo 10 di Sein und Zeit: «L ontologia della vita si attua sulla via di una interpretazione privativa; essa determina ciò che deve essere di modo che possa essere qualcosa come soltanto-il-vivere. La vita non è pura sussistenza e nemmeno però esserci» 39. Vediamo dunque come si configura questa povertà di mondo che caratterizza l animale e che è «in qualche modo un avere il mondo e di nuovo un non averlo» 40. L animale non ha veramente un mondo in quanto esso non sta nell esser aperto o manifesto dell ente in quanto tale, ma è aperto solo a ciò che lo mette in moto, in quanto disinibisce il suo impulso: Ciò a cui si riferisce il comportamento dell animale è tale che questo comportamento è aperto per esso. Questo altro viene incluso nell apertura dell animale nel modo che noi designiamo come disinibizione (Enthemmung). [ ] Ogni altra cosa già in anticipo non può penetrare nel cerchio che circoscrive l animale 41. L animale è chiuso nel cerchio della disinibizione, per questo la realtà gli è in qualche modo manifesta, però non in quanto tale, non in quanto ente: «Poiché questo chiudersi in un cerchio appartiene all animale, esso porta da sé sempre il suo cerchio della disinibizione con sé e lo sostiene per tutto il tempo della sua vita intorno a sé» 42. L animale possiede capacità e attitudini, però non gli può essere attribuita una condotta, in quanto manca di riflessione, si trova in uno stato di stordimento o di possessione (Benommenheit), proprio in quanto è posseduto, ingenommen, dagli impulsi. «Noi caratterizziamo scrive Heidegger lo specifico esserpresso-di-sé dell animale, che non ha nulla dell ipseità dell uomo 39 ID., Sein und Zeit, p. 50. La differenza fra il procedimento di Scheler e quello di Heidegger viene molto chiaramente messa in luce in un volume interamente dedicato a Die Grundbegriffe der Metaphysik: A. BEELMANN, Heideggers hermeneutischer Lebensbegriff. Eine Analyse seiner Vorlesung Die Grunbegriffe der Metaphysik. Welt Endlichkeit Einsamkeit, Würzburg 1994, pp Secondo Beelmann Scheler vede l uomo come un conglomerato di livelli per il fatto che concepisce il modo di essere dell uomo come Vorhandenheit, sussistenza. 40 HEIDEGGER, Die Grundbegriffe der Metaphysik, p Ibi, p Ibi, p. 371.

15 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 343 come persona che ha una condotta, questo essere posseduto (Eingenommenheit) da sé dell animale, nel quale ogni e qualsiasi reazione è possibile, come stordimento (Benommenheit)» 43. A differenza della pietra che non è aperta ad altro e quindi è priva di mondo, weltlos, l animale è in rapporto con un ambiente (Umgebung), anche se non ha, in senso stretto, un mondo. L animale ha il possesso di se stesso, però non nella forma della personalità, della riflessione, della coscienza, e questo è in generale anche il modo di essere dell organismo 44, cosicché Heidegger, attraverso la trasposizione nell animale, che non è empatia in quanto rimane una sostanziale estraneità con l uomo, tende a elaborare una filosofia della vita che è anche una antropologia indiretta, in quanto determinando il modo di essere del vivente fa risaltare la differenza rispetto a quello dell uomo, che è appunto l esserci, il Dasein in quanto esistente 45. Per Heidegger l organismo è sempre in rapporto con un ambiente, e in ciò si avverte l influenza del biologo Jakob von Uexküll, che aveva appunto indagato il comportamento, anche percettivo, delle diverse specie animali in rapporto all ambiente, aggiungendo alla biologia una nuova disciplina, «l ecologia» 46. Inoltre, egli ritiene che gli organi non siano strumenti, cioè qualcosa di estrinseco rispetto all organismo, bensì rientrino nella formazione stessa dell organismo: «L organo non è dotato di capacità, bensì le capacità si creano gli organi. E ancora: capace di vedere e di cose simili non è di nuovo la singola capacità in quanto tale, bensì l organismo» 47. Rispetto alla macchina poi l organismo si differenzia per «l auto-produzione, l auto-direzione e l auto-rinnovamento, il quale è già espresso nel noto concetto dell auto-conservazione» Ibi, p Cfr. ibi, pp L espressione antropologia indiretta si trova in Beelmann, il quale fa anche osservare che elaborando una filosofia della vita in Die Grundbegriffe der Metaphysik Heidegger ha inteso rispondere alle critiche che gli venivano soprattutto da Löwith e da Plessner riguardo all astrattezza di una filosofia dell esistenza che prescindesse dal concetto di vita e quindi anche dalla natura (cfr. BEELMANN, Heideggers hermeneutischer Lebensbegriff, p. 251 e pp ). 46 HEIDEGGER, Die Grundbegriffe der Metaphysik, p Ibi, pp Ibi, p. 339.

16 344 PIETRO DE VITIIS Tutto ciò fa pensare a una visione olistica dell organismo, la quale si differenzia però non solo dal meccanicismo ma anche dal vitalismo di Hans Driesch, che pone nell organismo una entelecheia 49. Riguardo al darwinismo, infine, il giudizio di Heidegger è piuttosto limitativo: egli non ne condivide il «metodo puramente analitico e scompositivo nella morfologia e nella fisiologia» 50, che pensa di poter ricostruire l organismo partendo dalle pietre da costruzione, trascurando quindi il piano di costruzione, cioè «l essenza dell organismo nella sua struttura fondamentale» 51. Anche il concetto di adattamento non deve essere concepito passivamente, come se un organismo già sussistente si adattasse a un ambiente già sussistente, ma come un interazione: «L organismo non è già qualcosa per sé per poi adattarsi anche, bensì al contrario l organismo adatta a sé di volta in volta un ambiente inserendovisi» 52. Il rapporto dell organismo all ambiente deve esser concepito come una «struttura di rapporto (Beziehungsgefüge)» 53, e in ciò Heidegger si richiama alle indagini di von Uexküll 54. Si è detto che la comparazione fra l uomo e l animale serve a Heidegger per elaborare il concetto di mondo, e a questo punto è possibile quindi determinare tale concetto: «Il mondo è l esser manifesto dell ente in quanto tale nella totalità (im Ganzen)» 55. Impor- 49 «Il vitalismo è per i problemi biologici altrettanto pericoloso del meccanicismo» (ibi, p. 381). Heidegger riconosce però l importanza dell idea di tutto introdotta da Driesch nella biologia, anche se va sviluppata nel senso del processo e del movimento. Secondo Beelmann, Heidegger ha precorso ciò che la biologia ha elaborato come visione olistica, pur non potendo prendere in considerazione la biologia microscopica. Anche le scienze positive, infatti, con la teoria dei sistemi e la cibernetica, hanno superato il conflitto fra vitalismo e meccanicismo (BEELMANN, Heideggers hermeneutischer Lebensbegriff, p. 216). Il concetto ermeneutico di vita elaborato da Heidegger, che non è in contrasto con quello biologico, può servire quindi da ontologia regionale, la cui funzione può esser quella di difendere l autonomia della biologia rispetto alle scienze fisicochimiche, evitando il riduzionismo (ibi, p. 228). 50 HEIDEGGER, Die Grundbegriffe der Metaphysik, p Ibidem. 52 Ibi, p Ibi, p Beelmann fa osservare che le critiche al darwinismo non significano che Heidegger proponga una diversa teoria dell evoluzione, piuttosto egli non ha tematizzato la questione (BEELMANN, Heideggers hermeneutischer Lebenbegriff, pp ). 55 HEIDEGGER, Die Grundbegriffe der Metaphysik, p. 483.

17 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 345 tante è l in quanto, poiché solo l uomo è aperto all ente in quanto tale: Noi ci interroghiamo sull in quanto, per penetrare, a partire da esso, nel fenomeno del mondo. L in quanto è qualcosa di caratterizzante in ciò per cui l esserci umano è aperto, a differenza dall esser aperto per nell animale. In questo l esser aperto per è l esser posseduto da nello stordimento (Benommenheit) 56. L esser aperto all ente in quanto tale è poi anche la base su cui riposa la possibilità degli atti logici, del logos che caratterizza l uomo: «L esser aperto prelogico (vorlogisch) per l ente, a partire dal quale ogni λο γοs deve parlare, ha già previamente integrato l ente in direzione di un: nella totalità» 57. L esser aperto all ente in quanto tale è affine a quella caratteristica dell uomo che Scheler chiama apertura al mondo, Weltoffenheit. In Heidegger però l apertura ottiene una più complessa elaborazione ontologica, in quanto «l ente [ ] sta già nella luce dell essere» 58, il che porta a porre il problema della differenza fra ente ed essere, della differenza ontologica. Questa non è semplicemente una nozione, ma un accadimento che sempre si verifica allorché esperiamo l ente nella sua determinatezza. Se noi dunque non ci poniamo davanti questa differenza (Unterschied) in un distinguere oggettivo, allora ci muoviamo già sempre nella differenza che accade. Non noi la attuiamo, bensì essa accade con noi come fondamentale accadimento del nostro essere 59. Il problema della differenza ontologica ci porta quindi al di là di ciò che è oggettivabile e pertanto pensabile mediante concetti definitori: di conseguenza esso pone in crisi le stesse categorie ontologiche elaborate nel quadro della metafisica. 2. Anche Scheler tratta a volte del problema dell essere e del nulla, e in un contesto antropologico lo fa soprattutto in rappor- 56 Ibi, p Ibi, p Ibi, p Ibidem.

18 346 PIETRO DE VITIIS to al concetto della trascendenza dell uomo rispetto alla natura: nell atto dell estraniarsi dalla natura oggettivandola, l uomo corre il rischio di rimanere senza appoggio, «di cadere nel puro nulla» 60. Solo la religione può salvare l uomo dalla caduta nel nichilismo: «Il superamento del nichilismo nella forma di tali salvataggi e appoggi è ciò che noi chiamiamo religione» 61. Il rapporto al nichilismo sembra qui rientrare nella definizione stessa della religione. Nell ultima fase del suo pensiero Scheler ha abbandonato la precedente posizione teistica affermante un Dio personale creatore per affermare una concezione secondo la quale Dio si conosce e si realizza nell uomo, mentre la persona umana, se si coglie in modo autentico, trova il suo essere stesso in Dio 62. Probabilmente Scheler è stato indotto ad attenuare la consistenza ontologica della persona umana proprio a causa del dualismo di spirito e impulso vitale, che rende difficile pensare l unità dell essere umano e quindi induce a trasferire tale unità nell Assoluto. In questa nuova concezione dei rapporti fra uomo e Dio, la storia della religione diventa il divenire di Dio stesso: La storia della religione in senso oggettivo, non la storia della pietà religiosa bensì delle idee, che sono date, degli dèi stessi questo è un crescente diventar consapevole dell Ens a se nell uomo stesso, anzi una crescente autorealizzazione, però nella visione prospettica del singolo gruppo umano e nei limiti del suo autocomprendersi 63. La tendenza dell ultimo Scheler a unificare l uomo e Dio, e quindi al panteismo, trova una attenuazione nell affermazione del nascondimento di Dio, e pertanto della sua inconoscibilità: gli infiniti attributi di Dio sono assolutamente inconoscibili, eccettuati i due che sono presenti nell uomo, lo spirito e l impulso. «Ogni metafisica ha nell essere sconosciuto, αjvgwstoς θεο ς, il suo assoluto limite» 64. Ciò significa che noi conosciamo solo l essere di Dio ma non la sua essenza. Per quanto riguarda poi il valore costitutivo della religione nella vita spirituale dell uomo, la posi- 60 SCHELER, Die Stellung des Menschen im Kosmos, p Ibidem. 62 Cfr. ID., Schriften aus dem Nachlass, III, p Ibi, p Ibi, p. 214.

19 LA NUOVA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E IL PROBLEMA DELL ESSERE 347 zione di Scheler non à cambiata rispetto a quella della fase teistica, che può trovare espressione nel seguente passo di Zur Idee des Menschen: «C è un idea dell uomo secondo la quale l uomo è il luogo per l emergere e il pervenire a sé di un ordine delle cose che è essenziamente diverso da tutta la natura: esso si chiama spirito, cultura, religione» 65. Diversamente da Scheler, Gehlen ritiene che l antropologia filosofica non debba porre espressamente la domanda su Dio 66, mentre il pensiero heideggeriano dell essere apre alla dimensione religiosa, in quanto la trascendenza dell esserci, che porta alla comprensione dell essere, implica il comprendere l essere come potenza superiore (Übermacht) e come sacralità (Heiligkeit), il che però non significa «dimostrare onticamente il divino nella sua esistenza» 67, come ha cercato di fare l onto-teologia della metafisica. Anche l ultimo Dio (der letzte Gott), che Heidegger presenta come venturo nei Beiträge zur Philosophie, è una figura del superamento del nichilismo: esso è ultimo appunto perché presuppone la morte di Dio proclamata da Nietzsche nel quadro del nichilismo, che è un portato della metafisica moderna della soggettività 68. Le indagini di antropologia filosofica condotte con metodo fenomenologico da Scheler e da Heidegger, proprio per la loro apertura essenziale alla dimensione religiosa, possono presentare qualche aspetto di convergenza con la fenomenologia storica della religione, quale è stata elaborata da grandi studiosi come Rudolf Otto, Friedrich Heiler, Gerardus van der Leeuw, Mircea Eliade. Quest ultima disciplina ha carattere prevalentemente ontico, a differenza dell antropologia filosofica che si muove a livello ontologico, non è però priva di interesse anche per la filosofia e in particolare per la filosofia della religione. Ci sembra quindi significativo che Julien Ries, che ha inteso offrire un quadro sistematico alle ricerche fenomenologiche, sociologiche e storiche 65 ID., Vom Umsturz der Werte, p GEHLEN, Prospettive antropologiche, p HEIDEGGER, Metaphysische Anfangsgründe der Logik, p Sull ultimo Dio si veda: ID., Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), in Gesamtausgabe, LXV, herausgegeben von F.-W. VON HERRMANN, Frankfurt a. M. 1989, pp

20 348 PIETRO DE VITIIS sull homo religiosus, abbia potuto parlare di una vera e propria antropologia religiosa: L antropologia religiosa si dedica egli scrive allo studio dell homo religiosus in quanto creatore e utente della simbologia del sacro. Il suo scopo è quello di scrutare l uomo portatore di credenze religiose che ispirano e orientano il suo comportamento, i suoi atti, la sua vita e che danno un senso alla sua situazione nel cosmo, aiutandolo a comprendere la sua condizione umana 69. Indubbiamente, anche Scheler e Heidegger possono fornire linee di orientamento a una antropologia religiosa così configurata. 69 J. RIES, Prefazione, in Trattato di antropologia del sacro, 5 voll., II, L uomo indoeuropeo e il sacro, trad. it. di M. Telaro, Milano 1991, p. 1.

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